lunedì 22 giugno 2009

Pensieri 116

Io credo di poter dire: Dio è umile. Quando io prego, mi rivolgo a uno più umile di me. Quando io confesso il mio peccato, è a uno più umile di me che chiedo perdono. Se Dio non fosse umile, io esiterei a dirlo infinitamente amante. Questo aspetto del mistero è quello che mi persuade della verità della rivelazione (F. Varillon, L’umiltà di Dio, Ed. Qiqajon, Comunità di Bose).

Alla miseria degli uomini, che è uno scandaloso spettacolo per ogni uomo di cuore, non penso che si abbia il diritto di opporre un altro spettacolo: quello di una collera non purificata dalla preghiera (F. Varillon, L’umiltà di Dio).

Sapientia e sapor hanno uguale radice. L’essere non è senza sapore. Se i mistici hanno avuto il gusto di Dio, è perché Dio ha sapore (F. Varillon).


È nel focolare domestico che s'impara a vivere veramente, a valorizzare la vita e la salute, la libertà e la pace, la giustizia e la verità, il lavoro, la concordia e il rispetto (Benedetto XVI – Messaggio alle famiglie, 18 gennaio 2009).

L’uomo è chiamato all’invenzione, alla creatività. Come si dice in tedesco: “Jede Gabe ist eine Aufgabe”, ogni dono è un compito. L’uomo non è semplicemente creato (come il ciottolo o la lucertola), egli è creato creatore. L’idea di creazione raggiunge tutto il suo significato nell’uomo. Ivi la libertà diviene creatrice. Egli non ha davanti a sé un destino tutto determinato, fosse anche da Dio, e del quale egli sarebbe lo scrivano che copia sotto dettato un testo divino. Parlare dell’uomo creato creatore, è dire che a lui è stata donata la libertà d’inventare del nuovo, dello sconosciuto, perfino dell’inaudito (A. Gesché).

È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza. Fare, però,
quanto ci è possibile con la forza di cui disponiamo; questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù Cristo sempre in movimento: « L'amore
del Cristo ci spinge » (2Cor 5,14) (Benedetto XVI - Enciclica Deus Caritas est).

L’amore cristiano è quanto mai esigente poiché sgorga dall’amore totale di Cristo per noi: quell’amore che ci reclama, ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, sino a tormentarci, poiché costringe ciascuno a non vivere più per se stesso, chiuso nel proprio egoismo, ma per “Colui che è morto e risorto per noi” (cfr 2Cor 5,15). L’amore di Cristo ci fa essere in Lui quella creatura nuova (cfr 2Cor 5,17) che entra a far parte del suo Corpo mistico che è la Chiesa (Benedetto XVI - Udienza Generale 26 novembre 2008).

L'amore è «divino» perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia «tutto in tutti» [1Cor 15,28] (Benedetto XVI, Lettera Enciclica "Deus caritas est").

Il principale contrassegno dell'umiltà è l'obbedienza senza indugio. Essa è propria di coloro che ritengono di non aver nulla più caro di Cristo; i quali, sia per il servizio santo a cui si sono consacrati, sia per il timore della geenna e la gloria della vita eterna, non appena dal superiore viene comandato qualcosa, come se l'ordine venisse da Dio, non sopportano alcun ritardo nell'eseguirla. Di questi il Signore dice: «Appena ha udito, subito mi ha obbedito» [Sal 17,45]; e ai maestri dice: «Chi ascolta voi, ascolta me» [Lc 10,16]. (S. Benedetto, Regola, Cap. 5,1-6).

Gesù disse con forza a chi gli chiedeva se era re: «Il mio Regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). Questa verità è difficile da ricordare. Il visibile ci rende continuamente smemorati dell'invisibile. «Questo mondo» ci condiziona talmente che abbiamo difficoltà a pensare che ne esista un altro. E ci stupiamo continuamente, peggio ci scandalizziamo. Se muore un bambino interroghiamo l'invisibile con un doloroso «Perché?». Se dopo esserci costruita la casa, creata una famiglia, aver vissuto con figli e figlie restiamo soli nella vecchiaia, assistendo allo sfacelo del nostro passato ci stupiamo ancora e aggrappandoci ai resti disperatamente tiriamo calci per prolungare ancora un po' il nostro soggiorno quaggiù senza assolutamente tenere conto che le realtà invisibili debbono assorbirci per trasformarci e portarci via dalle realtà terrene. La terra non è fine a se stessa. Ciò che vedo ora è solo un inizio: lo sviluppo lo vedrò dopo. La morte è l'istante che precede la luce. E’ lo stato di attesa. E’ la fede in Dio creatore. E’ la speranza posta nel Dio dell'impossibile. E’ l'amore richiestoci per possedere definitivamente l'Amore (Carlo Carretto).

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