martedì 31 gennaio 2012

Fanciulla, io ti dico: Alzati!

Mc 5,21-43
Essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: «Chi mi ha toccato?»». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Questo accorrere di popolo è un tratto permanente nella narrativa di Marco (cfr 3,7-8; 4,1). Per primo si avvicina a lui Giàiro (nome che significa Dio illumina o Dio risuscita) e lo prega di salvare la sua figlioletta. L'imposizione delle mani era un gesto usato fin dall'antichità per indicare la guarigione degli infermi, perché si pensava che servisse a comunicare al malato una forza vivificante. A questo scopo si chiamavano al letto degli infermi persone anziane o religiose (cfr Gc 5,14). La donna affetta da emorragia, nella sua fede semplice, è un esempio di come Gesù si rivolge a chi mostra in lui una fiducia infantile: egli la guarisce e la orienta verso quella fede completa alla quale è promessa la salvezza eterna. Egli le dà conforto e fiducia, assicurandole una guarigione stabile con parole che testimoniano la bontà di Dio e la sua volontà di salvezza. A coloro che lo toccano con fede, Gesù dona sempre guarigione e salvezza. La nuova scena viene introdotta dalla notizia che in questo frattempo la figlia di Giàiro è morta. Gesù non ha paura della morte e non retrocede di fronte ad essa. Egli ascolta la notizia e incoraggia il padre: "Non temere, continua solo ad avere fede!" (v.36). Anche qui si prosegue sul tema della fede: una fede genuina non si arrende nemmeno di fronte al potere della morte. Per comprendere la scena svoltasi nella casa di Giàiro, è importante notare come Gesù voglia evitare di mettersi in mostra e tenere lontana una fede che si basa solo sui miracoli come tali. Egli prende tuttavia con sé un gruppetto di testimoni qualificati, ossia i tre discepoli che in seguito saranno presenti alla sua trasfigurazione (9,2) e alla sua angoscia mortale nel Getsémani (14,33-34). Dopo la risurrezione (cfr 9,9), essi potranno narrare queste cose, e allora anche la risurrezione della figlia di Giàiro apparirà sotto una nuova luce. L'allontanamento delle lamentatrici e dei flautisti non ha solo il significato di permettergli di compiere il miracolo nel silenzio e nel nascondimento. Gesù sa che cosa sta per accadere; perciò i lamenti funebri sono fuori posto. Nella stessa direzione è orientata la frase enigmatica: "La bambina non è  morta, ma dorme" (v.39). La bambina era morta, ma alla luce della fede, la morte è solamente un sonno, dal quale siamo risvegliati dalla potenza di Dio. La Chiesa ha conservato l'espressione antica quando chiama i defunti coloro che "si sono addormentati" nel Signore, alimentando così continuamente la sua speranza nella futura risurrezione dei morti. Il "risveglio" della figlia di Giàiro però non è ancora la risurrezione definitiva, ma un ritorno alla vita terrena e un prolungamento di essa. Questo brano ci presenta due miracoli intrecciati: la guarigione della donna affetta da emorragia e la risurrezione della figlia di Giàiro. Questi due miracoli hanno in sé una somiglianza in crescendo. L'emorragia è una perdita di sangue e, quindi, una perdita di vita: "La vita di ogni essere vivente è il suo sangue" (Lv 17,14).
Guarendo la donna affetta da perdita di sangue, Gesù si rivela come colui che ferma la perdita graduale della vita; con la risurrezione della figlia di Giàiro, si manifesta come colui che ridona la vita totalmente perduta. La risurrezione della figlia di Giàiro è il culmine di questa prima parte del vangelo. Di tutti i limiti a cui l'uomo è sottomesso, la morte è quello che ha l'aspetto pauroso della definitività. Contro la malattia si può combattere e vincere; contro le disgrazie si può sempre tentare qualcosa, ricostruirsi una vita dopo il fallimento, e si è soliti dire: "Finché c'è vita, c'è speranza!". Ma di fronte alla morte si constata: "A tutto c'è rimedio, fuorché alla morte!". E questa è proprio la convinzione che sta dietro al nostro racconto: "Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?" (v.35). In altre parole: ormai è troppo tardi; contro la morte non c'è rimedio. Di fronte alla morte, l'impotenza umana è totale. Avere fede vuol dire costruire la propria speranza su un Altro più forte della morte. Dal punto di vista umano, la vita è provvisoria e la morte è definitiva. Dal punto di vista cristiano, la morte è provvisoria (come il sonno: cfr Mc 5,39; Gv 11,11) e la vita è definitiva ed eterna. La conversione che Gesù ci ha chiesto fin dall'inizio del vangelo (cfr Mc 1,5) comprende anche, e soprattutto, questo cambiamento di ottica e di valutazione riguardo alla vita e alla morte.


Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 31/I/2012

Signore, durante questa giornata, chi incontrerò?
Incontrerò sicuramente la mia famiglia, alcuni amici, i colleghi di lavoro, la gente che incrocio abitualmente per la strada senza conoscerla.
Farò forse altri incontri.
Alcune persone ti conoscono e ti amano, sono molte, ma i più sono indifferenti, persino ostili. Alcuni addirittura si burlano di te.
Tu mi dici: "Non temere, ma credi solamente".
Anche per loro tu sei venuto, ti sei fatto uomo. Che io sia oggi, per loro, colui attraverso il quale essi possano vederti.
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lunedì 30 gennaio 2012

Esci, spirito impuro, da quest’uomo

Mc 5,1-20
Giunsero all'altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest'uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione - gli rispose - perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C'era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va' nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.

Abbiamo già conosciuto la potenza di Gesù contro i demoni (cfr Mc 1,21-28; 1,34; 3,11-12). Ma qui c'è qualcosa di nuovo: siamo nel territorio dalla Decàpoli (che significa dieci città), in terra pagana, dove il potere di satana ha
maggiore solidità. Segno concreto della terra pagana è quel numeroso branco di porci al pascolo sul monte (luogo riservato al culto e alla preghiera). Il porco è animale immondo, aborrito dagli ebrei, e che può trovarsi solo in una terra immonda e pagana. Nell'indemoniato gerasèno prevale un istinto di morte: odia la vita degli altri e danneggia la propria, vive nei sepolcri... Il demonio che tiene schiavo quest'uomo si chiama legione: una coalizione di demoni. Combattuti e vinti in terra d'Israele, essi avevano ripiegato in terra pagana. Nella tempesta sul mare (Mc 4,35-41) avevano tentato di fermare l'avanzata vittoriosa del Cristo. Gesù, superata la linea di sbarramento, attacca l'impero di satana al cuore, alla sede dello stato maggiore. Questo indemoniato viene considerato come il rappresentante-tipo del paganesimo, e ciò alla luce di Isaia 65,1-4: "Mi feci ricercare da chi non mi interrogava, mi feci trovare da chi non mi cercava. Dissi: Eccomi, a gente che non invocava il mio nome. Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle; essi andavano per una strada non buona, seguendo i loro capricci, un popolo che mi provocava sempre, con sfacciataggine. Essi sacrificavano nei giardini, offrivano incenso sui mattoni, abitavano nei sepolcri, passavano la notte in nascondigli, mangiavano carne suina e cibi immondi nei loro piatti". Questo pagano ha un nome. In pieno testo greco, risponde con una parola latina: legione. Ricordiamo che la legione romana era formata da seimila uomini. Questa parola evoca la guerra, la presenza e la dominazione romana, personificata da quei "porci" di legionari (il verro era uno dei simboli della potenza imperiale raffigurato sulle insegne dell'esercito romano). È la demonizzazione dell'esercito romano. Per Marco che scrive il suo vangelo probabilmente a Roma, capitale dell'impero di satana, in piena persecuzione di Nerone, questo brano potrebbe voler dire ai cristiani: Cristo butterà a mare questa legione di porci indemoniati (i persecutori) e libererà la terra dal potere oppressivo dell'impero romano, che è una manifestazione del potere di satana. A conferma di questa visione della storia si legga Ap 13-20. Il brano di porci che precipita in mare è certamente una scena sconvolgente per l'"uomo economico" di tutti i tempi. Il Signore sta liberando la terra dal male e dal maligno, e questa liberazione è motivo di gioia, ma questa gioia ha un prezzo salato: la perdita di duemila porci. E i Gerasèni non se la sentono di pagare prezzi così alti. Sarà anche un grande liberatore questo Gesù, ma presenta delle parcelle troppo esose. Meglio allora sopportare rassegnati la schiavitù di satana e godere indisturbati la propria ricchezza e le proprie "porcherie". E la loro stessa preghiera suona assurda e sconcertante: "Si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio" (v.17).
Gli uomini parlano tanto di libertà e di liberazione, ma la rifiutano appena si accorgono che c'è un prezzo da pagare. Al desiderio dell'indemoniato guarito di stare con Gesù, il Signore risponde inviandolo in missione. Egli è diventato apostolo perché è in grado di raccontare ciò che il Signore gli ha fatto. Il vangelo è la buona notizia di quanto Gesù ha fatto per noi. L'evangelizzazione non è tanto un'esposizione di dottrina o di idee, ma un racconto di fatti, una narrazione di quanto il Signore ha operato per noi. Come Gesù iniziò a proclamare il vangelo nella Galilea (Mc 1,14), così questo indemoniato guarito lo proclama nella Decàpoli. È l'inizio della missione ai pagani.


Padre Lino Pedron
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Per servire, servire

Anche tu hai una vocazione professionale che ti «sprona». Ebbene, questo «sprone» è l'amo per pescare uomini. Rettifica, pertanto, l'intenzione, e non trascurare di acquisire tutto il prestigio professionale possibile, al servizio di Dio e delle anime. Il Signore conta anche su «questo». (Solco, 491)


Pertanto, volendo dare un motto al vostro lavoro, potrei indicarvi questo: Per servire, servire. In primo luogo, infatti, per realizzare le cose bisogna saperle condurre a termine. Non credo alla rettitudine di intenzione di chi non si sforza di ottenere la competenza necessaria per svolgere debitamente i compiti che gli sono affidati. Non basta voler fare il bene; è necessario saperlo fare. E, se il nostro volere è sincero, deve tradursi nell'impegno di impiegare i mezzi adeguati per compiere le cose fino in fondo, con perfezione umana.
Ma anche questo servizio umano, questa idoneità potremmo chiamare tecnica, questo saper fare il proprio mestiere, deve essere dotato di una caratteristica che fu fondamentale nel lavoro di Giuseppe e che tale dovrebbe essere anche per ogni cristiano: lo spirito di servizio, il desiderio di lavorare per contribuire al bene comune. Il lavoro di Giuseppe non tendeva all'affermazione di sé, anche se effettivamente la dedizione a una vita di lavoro gli aveva dato una personalità matura e spiccata. Il Patriarca lavorava con la consapevolezza di compiere la volontà di Dio, pensando al bene dei suoi — Gesù e Maria — e avendo presente il bene di tutti gli abitanti della piccola Nazaret. (E' Gesù che passa, 50-51)
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Preghiera del mattino 30/I/2012

Signore Gesù, grazie per questo regalo di un nuovo giorno. 
Un regalo che viene ad aggiungersi ai tanti altri che ho ricevuto da te. 
Apri i miei occhi affinché io mi renda conto che tutto ciò che sono, che tutto ciò che ho viene da te. 
È dunque normale che tutto ciò che sono e possiedo lo metta al tuo servizio e al servizio del mio prossimo. Aiutami ad annunciare a coloro che incontrerò oggi "tutto ciò che tu, Signore, hai fatto per me nella tua misericordia".
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domenica 29 gennaio 2012

Insegnava loro come uno che ha autorità

Mc 1,21-28
Domenica IV tempo ordinario
Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono! ». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

L'attività di Gesù si concentra in una giornata a Cafàrnao (Mc 1,21-45), poi la sua missione si allarga a tutta la Galilea.
La "giornata di Cafàrnao" è il modello in piccolo di quello che sarà tutto il ministero di Gesù. Lo riassumiamo così: Gesù insegna, caccia i demoni, guarisce i malati, prega. Questo è il ritmo fondamentale della vita di Gesù: attività e preghiera. L'attività di Gesù comprende due elementi: parole e opere. Marco ama rilevare soprattutto la potenza e l'autorità con cui Gesù parla e agisce. Egli si presenta così: una potenza sovrumana, una compassione che si avvicina a ogni povero, malato, peccatore.
Gesù incontra gli uomini del suo tempo lì dove essi sono normalmente: mentre celebrano il sabato o si dedicano alle loro occupazioni. Li avvicina nelle situazioni in cui si trovano: tormentati interiormente, colpiti da malattia, immersi nella loro miseria.
La potenza di Gesù si manifesta nella sinagoga, poi in casa, quindi alla porta della città: tutto lo spazio, sacro e profano, viene riempito dalla sua presenza.
"Spirito immondo". La Bibbia definisce immondo o impuro tutto ciò che si oppone alla santità divina. I demoni sono forze d'opposizione all'azione di Dio, quindi sono detti immondi.
La proclamazione del Vangelo scatena la guerra. Tra Gesù e satana c'è un contrasto netto e irriducibile. La novità del Vangelo è la vittoria di Gesù sul male sotto qualunque forma si presenti. Il male non viene solo dall'uomo: dentro di lui c'è un inquilino che lo degrada e lo distrugge. Gesù è venuto a scacciarlo. Senza Cristo siamo tutti in balia delle forze del male e incapaci di entrare in comunione con Dio, anche se siamo nella sinagoga (v. 23): la religione che salva non è la pratica di un culto o la presenza materiale nei luoghi sacri o l'adempimento di un precetto, ma l'incontro personale con Cristo.
"Il Santo di Dio". Questo titolo rivela la vera identità di Gesù e la sua autorità divina. Il Santo di Dio è l'avversario dichiarato del peccato che solo Dio può smascherare e perdonare.
Dopo la guarigione dell'indemoniato, la meraviglia di tutti si manifesta in forma corale. L'avvenimento è provocante perché Gesù non ha agito come gli esorcisti del suo tempo, con incantesimi o formule magiche, ma soltanto con la sua parola. Gesù libera dal potere di satana. Ma gli uomini sono disposti ad accettare la libertà di Cristo? La risposta è solo in parte affermativa. Se vi sono i discepoli che lo seguono, vi sono però altri, la massa, che si limitano all'entusiasmo inconcludente e alle belle parole. La gente per Marco è sempre una massa che vive nell'indecisione e spesso preferisce una schiavitù comoda a una libertà esigente. Ma il discepolo non può essere così.


Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 29/I/2012

Signore Gesù, all'inizio di questo giorno, voglio lodarti e benedirti in comunione con tutta la Chiesa e insieme a tutto il creato.
Voglio glorificarti, poiché "Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l'onore e la potenza, perché tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono".
"Tu hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione" e "liberandoci dal potere delle tenebre, ci hai trasferiti nel regno tuo", che è regno di amore, di giustizia e di pace, e ci hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti.
A te lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli. Amen!
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sabato 28 gennaio 2012

Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?

Mc 4,35-41
In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Il linguaggio vivo di questo racconto è come la sequenza di un film che coinvolge il lettore nell'evento. Pare incredibile che un passeggero se ne stia dormendo tranquillo durante una simile burrasca. Il racconto richiama il Libro di Giona: "Il Signore scatenò sul mare un forte vento e ne venne in mare una tempesta tale che la nave stava per sfasciarsi. I marinai impauriti invocavano ciascuno il proprio Dio e gettavano in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più riposto della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò il capo dell'equipaggio e gli disse: "Che cos'hai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo" (Gn 1,4-6).
Giona si dichiarò peccatore e si fece gettare in mare, e il mare placò la sua furia. Gesù è il Santo di Dio che domina il mare con la propria potenza divina.
Per comprendere la potenza dimostrata da Gesù in questa occasione, bisogna intenderla come un esorcismo della burrasca, e le parole con cui egli comanda al mare come un espulsione di demoni. Il potere di Gesù sul vento e sul mare dimostra che egli domina le potenze demoniache. Gesù sgrida il vento come faceva con gli spiriti immondi (cfr Mc 1,25; 3,12). Con la stessa ingiunzione fa tacere il mare che contiene una moltitudine di demoni che ostacolano con tutte le loro energie l'andata di Gesù verso i territori pagani dove essi hanno il loro quartier generale. L'uomo biblico considera il mare come il luogo dove si raccolgono le forze del male che solo Dio può dominare.
I salmi, in particolare, contengono allusioni alla lotta vittoriosa di Dio contro il mostro marino del caos primitivo (cfr Sal 89,10-11; 93,3-4; 104,25-26), contro le acque del mare dei Giunchi o del fiume Giordano (cfr Sal 74,14-15; 77,17-21; 78,13) o, più semplicemente, contro i flutti che si accaniscono contro i naviganti (cfr Sal 107,23-30). L'azione di Gesù, come quella di Dio, è istantanea ed efficace.
I discepoli hanno paura di andare a fondo con Cristo, non hanno fede in lui. Il battesimo è andare a fondo con Cristo: essere associati a lui nella sua morte e risurrezione. Questo racconto è un'esercitazione battesimale per vedere se la Parola ha prodotto il suo frutto, cioè la fiducia di abbandonare la nostra vita nelle mani di Gesù che è morto e risorto.
Lo stesso giorno delle parabole, i discepoli falliscono l'esame. Ma l'esperimento non è inutile: li sveglia e suscita in loro la domanda: "Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?". E questa è la domanda
fondamentale del vangelo.
Il discepolo è colui che, dopo aver ascoltato la Parola, si affida a Gesù che dorme, e sulla parola del Signore, accetta di andare a fondo (morire con Cristo) nella speranza-certezza di emergere con lui a vita nuova (risorgere con Cristo). "Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui" (2Tim 2,11). L'alternativa a questa proposta di Cristo non è stare a galla, ma andare a fondo senza di lui. La fede consiste nel non temere di andare a fondo con Gesù e accettare di dormire con lui che dorme per stare con noi. È affidare la nostra vita, la nostra morte e le nostre paure al Signore della vita, che si prende cura di noi proprio con il suo sonno (la sua morte che opera la salvezza).
Anche il particolare che descrive Gesù che dorme sulla poppa della barca non è secondario. La poppa è la parte della barca che va a fondo per prima. Gesù ci precede nel naufragio della morte e nel risveglio della risurrezione, per esorcizzare le nostre paure e suscitare in noi una fede fiduciosa e fattiva.


Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 28/I/2012

La luce della fede si levi, Signore, nei nostri cuori per guidarci nella nostra traversata del mare burrascoso di questo mondo, nella nave della Chiesa, dove tu sei sempre presente.
Fa' che il timore e la paura non ci pervadano mentre navighiamo verso di te, anche se la nave della nostra vita viene brutalmente scossa dalla tempesta delle tentazioni.
Che non venga mai a mancare la fiducia in te, perché tu sei presente nella Chiesa, e in ognuno di noi.
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venerdì 27 gennaio 2012

L’uomo getta il seme e dorme; il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa.

Mc 4,26-34
Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

L'ottimismo di Gesù è evidente. Egli ha fiducia nel suo lavoro, crede nella forza delle idee e sa che quelle racchiuse nella parola di Dio hanno una potenza divina che supera tutte le altre: la parola uscita dalla bocca di Dio non tornerà senza effetto, senza aver operato ciò che egli desidera e senza aver compiuto ciò per cui egli l'ha mandata (cfr Is 55,11). Perché la Parola produca frutto basta seminarla, annunciando il vangelo: il resto viene da sé. Forse che il contadino, dopo la semina, si ferma nel campo per ricordare al seme che deve germogliare? Il seme non ha bisogno di lui, è autosufficiente: ha in sé tutto il necessario per diventare spiga matura. Così il regno di Dio annunciato dalla Parola.
Compito del cristiano è l'evangelizzazione: il resto non dipende da lui, ma da chi accoglie la parola di Dio. Riferendosi alla comunità cristiana di Corinto, Paolo ha scritto: "Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere" (1Cor 3,6).
Non è l'azione dell'uomo che produce il Regno, ma la potenza stessa di Dio, nascosta nel seme della sua parola. Tante nostre ansie per il bene, non solo non sono utili, ma dannose. Tutte le nostre inquietudini non vengono da Dio, che ci ha comandato di non affannarci (cfr Mt 6,25-34), ma dalla nostra mancanza di fede.
L'efficacia del vangelo è l'opposto dell'efficienza mondana. Il regno di Dio è di Dio. Quindi l'uomo non può né farlo né impedirlo. Può solo ritardarlo un po', come una diga sul fiume.
Gesù ha seminato la Parola, ed è lui stesso il seme di Dio gettato nel campo della storia. Ha bisogno solo di trovare una terra preparata che lo accoglie e una pazienza fiduciosa che sa attendere.
Gesù ha proclamato: "Il regno di Dio è vicino" (Mc 1,5), ma apparentemente nulla è cambiato nel mondo: la gente continua a vivere, a soffrire e a morire. Di nuovo c'è semplicemente un uomo che predica in un luogo poco importante dell'impero e i suoi ascoltatori sono malati, analfabeti, squattrinati: quelli che non contano niente. È tutto qui il regno di Dio? Sì, è tutti qui! Grande come un granellino di senapa. Proprio perché Dio è grande non ha paura di farsi piccolo; proprio perché il suo regno è potente, può fare ameno di ogni apparato esterno grandioso: non ha bisogno di terrorizzare per affermarsi.
Il mondo oppone al regno di Dio le sue terribili seduzioni: il denaro, il piacere, e le sue forze che impauriscono: la persecuzione, le tribolazioni, la morte violenta... Le parabole presentano una visione severa del Regno: esso viene attraverso lotte e opposizioni. Eppure esso prevarrà certamente contro ogni ostacolo.
La venuta del regno di Dio non è tanto ostacolata dalla malvagità dei cattivi, ma dalla stupidità dei buoni. La nostra inesperienza spirituale è la più grande alleata del nemico. Il diavolo ci dà volentieri tanto zelo quando manchiamo di esperienza evangelica, perché usiamo per la venuta del regno di Dio quei mezzi che il Signore scartò come tentazioni: il successo, la pubblicità, l'efficienza e la grandezza. Gesù è la grandezza di Dio che per noi si è fatto piccolo fino alla morte di croce. Proprio così è diventato il grande albero dove tutti possono trovare accoglienza. Il discepolo deve rispecchiare il suo spirito di piccolezza e di servizio. Questo vince il male del mondo, che è desiderio di grandezza e di potere.
Chi ama si fa piccolo per lasciare posto all'amato; il suo io scompare per diventare pura accoglienza dell'altro. Per questo la piccolezza è il segno della grandezza di Dio (cfr Lc 2,12). "Annunciava loro la parola secondo quello che potevano intendere" (v. 33). È un tratto importante della pedagogia di Gesù: progressività, adattamento alle persone e ai loro ritmi di crescita.
Anche noi, a imitazione di Gesù, dobbiamo incarnarci nella situazione di chi non capisce o non riesce a convertirsi rapidamente e a reggersi costantemente in piedi, ricordandoci che un tempo eravamo anche noi nelle medesime condizioni e forse lo siamo ancora.
L'evangelizzatore deve agire come Gesù. Egli vuole la conversione di tutti: il suo atteggiamento è dettato dalla misericordia e dalla compassione. Egli si rivolge a tutti, buoni e cattivi, disposti e indisposti (ricordiamo i quattro tipi di terreno della parabola!) perché vuole che tutti siano salvati.


Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 27/I/2012

In questo nuovo giorno vogliamo alzare il nostro sguardo verso di te, Signore nostro Dio, perché, guardandoti, la semina abbondante che ci hai affidato cresce e fruttifica.
Fa' che in questo giorno, con l'aiuto insostituibile del tuo Spirito Santo, cresciamo in santità e in obbedienza, e che piantiamo con te il seme della Buona Novella presso tutti gli uomini, nostri fratelli.
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giovedì 26 gennaio 2012

Un incontro personale con Dio

Quando lo ricevi, digli: Signore, spero in Te; ti adoro, ti amo, aumenta la mia fede. Sii il sostegno della mia debolezza, Tu che sei rimasto nell'Eucaristia, inerme, per porre rimedio alla debolezza delle creature. (Forgia, 832)


Non faccio davvero una scoperta se dico che alcuni cristiani hanno un'idea assai povera della Santa Messa, e che altri la vedono solo come un rito esteriore, se non addirittura come una forma di convenzionalismo. È la meschinità del nostro cuore che ci fa accogliere come per abitudine il più grande dono che Dio potesse fare agli uomini. Nella Messa — in questa Messa che stiamo celebrando adesso — interviene in modo particolare, ripeto, la Santissima Trinità. Per corrispondere a tanto amore ci si richiede una totale donazione, del corpo e dell'anima: noi infatti ascoltiamo Dio, gli parliamo, lo vediamo, lo gustiamo. E quando le parole non ci sembrano sufficienti cantiamo, incitando la nostra lingua — Pange,lingua! — a proclamare davanti a tutta l'umanità le meraviglie del Signore.
Vivere la Santa Messa significa rimanere in preghiera continua, con la convinzione che per ciascuno di noi si tratta di un incontro personale con Dio: lo adoriamo, lo lodiamo, gli chiediamo tante cose, lo ringraziamo, facciamo atti di riparazione per i nostri peccati, ci purifichiamo, ci sentiamo una cosa sola, in Cristo, con tutti i cristiani. (E' Gesù che passa, nn. 87-88)
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La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai

Lc 10,1-9
Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa!». Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: «È vicino a voi il regno di Dio».

Questo brano di vangelo ci vuole ricordare che anche i discepoli sono stati incaricati e inviati dal Signore ad annunciare il regno di Dio. Il numero settantadue ricorda i popoli della "tavola delle nazioni" nel libro della Genesi; capitolo 10, in pratica tutti gli uomini della terra. I missionari di Cristo vanno a due a due per dare maggior credito alla loro predicazione, perché nella testimonianza di due o tre c'è la garanzia di ogni verità (cf. Dt 17,6; 19,15).
Rispetto all'estensione del campo e del raccolto che si annuncia, il numero degli operai del vangelo è sempre esiguo. Bisogna andare con urgenza e andare tutti. I verbi sono imperativi: "pregate" e "andate" (v. 3). La missione degli inviati non è facile, come non è stata facile per Gesù. I messaggeri del vangelo sono per definizione portatori di buone notizie (cf. Is 52,7-9). Gesù li paragona agli agnelli, simbolo di mansuetudine, che devono andare in mezzo ai lupi, cioè in mezzo agli uomini violenti e assassini. Il loro compito è quello di portare a tutti, casa per casa, la benedizione e la pace.
Gesù manda i suoi discepoli come il Padre ha mandato lui (cf. Gv 20,21). La missione nasce dall'amore del Padre per tutti i suoi figli e termina nell'amore dei figli per il Padre e tra di loro. L'inizio di questo brano di vangelo ci invita a grandi cose: "La messe è molta" (v. 2), cioè tutta l'umanità attende da noi il gioioso annuncio che Dio è Padre e vuole che tutti gli uomini siano salvati. Chi conosce il cuore del Padre è sollecito verso tutti i fratelli.
Padre Lino Pedron
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mercoledì 25 gennaio 2012

Disposti a una nuova conversione

I tuoi parenti, i tuoi colleghi, i tuoi amici, stanno notando il cambiamento, e si rendono conto che il tuo non è un passaggio momentaneo, che non sei più lo stesso. Non preoccuparti, va' avanti! Si avvera il «vivit vero in me Christus» adesso è Cristo che vive in te. (Solco, 424)


Qui habitat in adiutorio Altissimi, in protectione Dei coeli commorabitur, abitare sotto la protezione di Dio, vivere con Dio: in questo consiste la rischiosa sicurezza del cristiano. Bisogna persuadersi che Dio ci ascolta, che è accanto a noi: e il nostro cuore si riempirà di pace. Ma vivere con Dio è indubbiamente un rischio, perché il Signore non si accontenta di condividere: chiede tutto. E avvicinarsi un po' di più a Lui vuoi dire essere disposti a una nuova conversione, a una nuova rettificazione, ad ascoltare più attentamente le sue ispirazioni, i santi desideri che egli fa sbocciare nella nostra anima, e a metterli in pratica.
Certo, dai tempi della nostra prima decisione cosciente di vivere integramente la dottrina di Cristo, abbiamo fatto molti passi sulla strada della fedeltà alla sua Parola. Eppure, non è vero che restano ancora tante cose da fare? Non è vero che resta, soprattutto, tanta superbia? C'è indubbiamente bisogno di un nuovo cambiamento, di una lealtà più piena, di un'umiltà più profonda, affinché diminuisca il nostro egoismo e Cristo cresca in noi; infatti, illum oportet crescere, me autem minui, bisogna che Egli cresca e che io sminuisca.
Non si può rimanere inerti. È necessario avanzare verso la meta indicata da san Paolo: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. L'ambizione è grande e nobile: è l'identificazione con Cristo, la santità. D'altronde non c'è altra strada se si desidera essere coerenti con la vita divina che Dio stesso, mediante il battesimo, ha fatto nascere nelle nostre anime. Andare avanti significa progredire in santità; si retrocede, invece, se si rinuncia allo sviluppo della vita cristiana. Il fuoco dell'amore di Dio ha bisogno di essere alimentato, di crescere ogni giorno, di gettare profonde radici nell'anima; e il fuoco si mantiene vivo a condizione di bruciare cose sempre nuove. Se non avvampa, rischia di estinguersi. (E' Gesù che passa, 58)
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Messaggio di Medjugorje del 25/1/2012

Cari figli! Anche oggi vi invito con gioia ad aprire i vostri cuori e ad ascoltare la mia chiamata. 
Io desidero avvicinarvi di nuovo al mio cuore Immacolato dove troverete rifugio e pace. 
Apritevi alla preghiera affinché essa diventi gioia per voi. 
Attraverso la preghiera l’Altissimo vi darà l’abbondanza di grazia e voi diventerete le mie mani tese in questo mondo inquieto che anela alla pace. 
Figlioli, testimoniate la fede con le vostre vite e pregate affinché di giorno in giorno la fede cresca nei vostri cuori. Io sono con voi. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata. "
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Richiesta di preghiere 3/2012

5) Mariella: Cara Mamma Celeste mi chiamo Mariella ho 45 anni e da più di un anno sono disoccupata.  Invio curriculum ad agenzie e cooperative. Aspetto che mi chiamino da Brescia, ti prego fa che arrivi al più presto la chiamata per ricominciare a lavorare, grazie amen

6) Maria dalla Campania: Ida 22 anni; nel fare un controllo medico ha scoperto di avere un brutto cancro alla gola... Proprio brutto !! Malignissimo!!! Ora vi chiedo di unirvi alle mie preghiere e alle preghiere della famiglia. Che la Vergine Maria vi custodisca tutti
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Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo

Mc 16,15-18
E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

La finale del vangelo di Marco insiste sulla missione di portare il vangelo in tutto il mondo, unendo strettamente la testimonianza della parola a quella delle opere, dei segni. 
Con l'esortazione alla missione universale si congiunge l'affermazione che per la salvezza sono richiesti la fede e il battesimo. Inoltre agli annunciatori del vangelo viene promesso che la loro predicazione missionaria sarà sostenuta e confermata dai miracoli compiuti da Gesù risorto. La trasmissione delle parole di Gesù è al centro del testo e ha lo scopo di fare cristiani tutti i popoli. La missione, l'andare da tutti gli uomini, è un incarico che va capito bene.
Se la missione è trasmettere agli uomini la parola di Gesù e le sue direttive per fare di loro, mediante il battesimo, dei discepoli, ciò esclude due malintesi.
Il primo è il malinteso della rivendicazione del potere politico. Una concezione utopistica è quella di W. Soloviev che ritiene il regno di Dio come uno stato teocratico in questo mondo, e vede questa concezione radicata nella volontà di Gesù. Sulla terra vi sarebbe un unico potere, e questo non apparterebbe a Cesare, ma a Gesù Cristo. L'altro malinteso è la relativizzazione dell'incarico missionario, che arriva a sostenere che il compito dell'evangelizzazione consiste nell'aiutare i buddisti a diventare buddisti migliori, i musulmani a diventare più ferventi musulmani, e via dicendo. 
Il dialogo necessario con le religioni mondiali non elimina la necessità dell'annuncio e della testimonianza, della fede cristiana e del battesimo. È il Cristo risorto al quale è stato dato ogni potere in cielo e in terra (cfr Mt 18,28), che manda i cristiani a predicare il vangelo ad ogni creatura.
La missione è necessaria per volontà di Dio, che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti.


Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 25/I/2012

Signore, che hai sbalzato san Paolo da cavallo per convertirlo e renderlo missionario del tuo nome fra le genti, butta giù anche me dai miei binari di vita tiepida e di peccato. 
Dammi lo zelo per la tua gloria che infiammò il cuore dell'Apostolo, rendimi testimone gioioso del tuo Vangelo. 
Se riesci a convertire uno come me, o Signore, tutti vedranno e sapranno, come hanno visto e saputo per Paolo, che c'è ancora un Dio onnipotente che regge e guida la vita degli uomini. 
Amen.
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martedì 24 gennaio 2012

Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre

Mc 3,31-35
Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre».

Gesù si era allontanato dalla madre e dai parenti per seguire il richiamo di Dio, e ora mostra di essersi separato da essi anche interiormente non per freddezza d'animo o per disprezzo dei legami familiari, ma per appartenere completamente a Dio: egli ha compiuto personalmente quanto esige anche dai suoi discepoli: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me" (Mt 10,37).
Ma la sua risposta non ha solo questo significato; essa riguarda soprattutto la consapevolezza che la comunità cristiana deve avere di sé. Gesù si è scelto un'altra famiglia al posto di quella naturale: una famiglia spirituale.
Il problema proposto dal brano è il discernimento se siamo con lui o contro di lui; se siamo dentro o fuori dalla comunità di Gesù. La vera famiglia di Gesù è composta da coloro che compiono la volontà di Dio: "Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre" (v.35).
Il compimento della volontà del Padre che è nei cieli sarà l'elemento discriminante anche nel giorno del giudizio finale: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli" (Mt 7,21).
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 24/I/2012

All'inizio del nuovo giorno, Signore nostro Dio, noi siamo qui per fare la tua volontà, imitando tuo Figlio prediletto.
Spiegaci come fare per riconoscere i tuoi desideri, e concedici la forza di seguirli come figli fedeli.
Gesù si offrì a te, Padre, in una offerta perfetta.
Fa' che il nostro impegno quotidiano assomigli al suo, per la nostra obbedienza continua alla tua volontà, Padre nostro.
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lunedì 23 gennaio 2012

Satana è finito

Mc 3,22-30
Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni». Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa. In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna». Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro».

La seconda risposta degli uomini al problema fondamentale: "Chi è Gesù?" è data dagli scribi venuti da Gerusalemme. Sono persone importanti, hanno una posizione ufficiale nel mondo religioso giudaico, sono esperti della legge di Dio che hanno studiato a Gerusalemme, il centro culturale d'Israele. Essi tengono una specie di consulto, al termine del quale esprimono la loro diagnosi: "È posseduto da Beelzebùl, principe dei demoni" (v.22), "è posseduto da uno spirito immondo" (v.30). Queste due risposte, che definiscono Gesù pazzo e indemoniato, hanno una cosa in comune: definiscono Gesù indegno di essere preso in considerazione. Lui che guarisce i malati è giudicato malato; lui che scaccia i demoni è giudicato posseduto dal demonio.
C'è nell'uomo qualcosa di demoniaco quando si ripiega su se stesso e rifiuta la luce dello Spirito Santo. L'accusa degli scribi non è solamente una calunnia, ma anche una bestemmia. Attribuire a satana la potenza di cui Gesù dispone, significa opporsi all'azione dello Spirito Santo e rendere inefficace la misericordia divina.
L'unico caso in cui il perdono può essere inefficace è il rifiuto di lasciarsi perdonare: è questo il peccato contro lo Spirito Santo. Peccare contro lo Spirito santo significa rifiutare di credere che in Gesù agisce Dio salvatore. Questo
rifiuto è il peccato più grande che l'uomo possa commettere. Finché l'uomo rimane in simile situazione di rifiuto, la salvezza è impossibile. "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12).
Solo la fede in Gesù può eliminare la tragedia della situazione umana, altrimenti l'uomo "non avrà il perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna" (v.29). Dio perdona sempre tutti. Il peccato contro lo Spirito Santo è rifiutare il perdono che Dio ci offre. Se questo nostro rifiuto rimane per sempre, il peccato e la conseguente dannazione, dureranno per sempre. Non è Dio che non perdona; è l'uomo che non vuole essere perdonato. Gesù denuncia questo peccato "eterno" non per condannare gli scribi, ma per chiamarli a conversione, mostrando loro la gravità di quanto stanno facendo. Ogni "minaccia" di Dio nella Bibbia è di questo tipo, e raggiunge il suo effetto quando non si avvera perché ha provocato la conversione.


Padre Lino Pedron
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domenica 22 gennaio 2012

Siate allegri, sempre allegri

Nessuno è felice, sulla terra, fino a quando decide di non esserlo. Così si snoda il cammino: dolore, in senso cristiano!, Croce; Volontà di Dio, Amore; felicità quaggiù e, poi, eternamente. (Solco, 52)


«Servite Domino in laetitia!» Servirò Dio con gioia! Una gioia che sarà conseguenza della mia Fede, della mia Speranza e del mio Amore..., che deve durare sempre, perché, come ci assicura l'Apostolo, «Dominus prope est!»... il Signore mi segue da vicino. Camminerò con Lui, pertanto, ben sicuro, giacché il Signore è mio Padre..., e con il suo aiuto compirò la sua amabile Volontà, anche se mi costa. (Solco, 53)


Un consiglio che vi ho ripetuto insistentemente: siate allegri, sempre allegri. Siano tristi quelli che non si considerano figli di Dio. (Solco, 54)
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Preghiera del mattino 22/I/2012

O Dio, Signore di tutti i tempi, nelle tue mani collochiamo anche il tempo di questo nuovo giorno, che la tua bontà ci ha donato.
Desideriamo che esso sia illuminato e guidato dal tuo Figlio crocifisso e risorto, pienezza di ogni tempo.
Perciò, per la grazia di Gesù, che visse nel tempo senza lasciarsene dominare, ti chiediamo di liberarci dalla tirannia delle ore che noi chiamiamo libertà e vita.
Non permettere che perdiamo l'ora della tua misericordia e della nostra conversione.
Amen.
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sabato 21 gennaio 2012

I suoi dicevano: «È fuori di sé»

Mc 3,20-21
Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».

A questo punto il vangelo comincia a presentare le prime risposte degli uomini al problema fondamentale: "Chi è Gesù?".
La prima è dei "suoi", cioè dei parenti di Gesù, i quali dicevano: "È fuori di sé" (v. 21). Lo considerano dunque un pazzo, uno scriteriato, uno che getta il discredito su tutta la famiglia. La cosa migliore è prenderlo e rinchiuderlo.
Questo testo ci rivela la maniera di pensare degli uomini, ai quali manca qualsiasi comprensione per le assolute esigenze di Dio. Essi non comprendono che un uomo possa essere tutto preso dagli interessi di Dio e dedicarsi completamente al suo servizio. Una tale cecità è sempre un pericolo per parenti e familiari di uomini che Dio chiama a un particolare servizio, ed è un ammonimento a guardarsi da pensieri di ordine semplicemente naturale e da preoccupazioni borghesi riguardo al buon nome, alla salute e agli affari. Gesù sta al di fuori di queste categorie e fa entrare anche i suoi discepoli al servizio delle esigenze totalitarie di Dio.
Più avanti i suoi parenti torneranno alla carica (Mc 3,31-35) e il ritorno di Gesù nella sua patria renderà palese lo stesso rifiuto a credergli (Mc 6,1-8).
Secondo i "suoi" (vedi Pietro in Mc 8,31ss), Gesù dovrebbe avere un po' più di buon senso: Dovrebbe investire meglio le sue qualità per avere di più, potere di più e valere di più. Secondo i "suoi", questi sono i mezzi utili per il trionfo del bene, per togliere il potere ai cattivi, per orientare tutto "a fin di bene" e, soprattutto, per la gloria di Dio.
Gesù invece simpatizza con i cattivi e trascura i propri interessi: si può prevedere che con la sua bontà e sprovvedutezza, e facendo l'avvocato degli emarginati e di quelli che non contano (l'avvocato delle cause perse!), andrà a finir male.
È fuori di sé, è pazzo! Per noi che abbiamo barattato l'intelligenza con la furbizia, saggio è colui che cerca l'utile e il vantaggio proprio, e non il bene e la verità. Questo buon senso umano ha fuorviato i parenti di Gesù, fuorvierà Giuda e tanti altri dopo di lui.
Gesù fu, è e sarà rifiutato proprio perché povero, umiliato e umile. Ma questa sua pazzia è la sapienza di Dio.
"Mentre i giudei chiedono miracoli e i greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1Cor 1,22-25).
"Essere con Gesù" richiede il cambiamento dal pensiero dell'uomo al pensiero di Dio. Senza questa conversione radicale della mente e del cuore si rimane fuori della sua famiglia, anche se ci sembra di volergli bene.
Senza una conversione radicale, in realtà, non si ama lui, ma se stessi e i propri progetti proiettati in lui e nei suoi progetti, pronti a seguirlo quando lui ci segue e a catturarlo quando lui non ci segue. Questo non è amore, ma egoismo, è il tentativo di assimilare lui a noi invece di assimilare noi a lui.
Anche nella preghiera, c'è la tentazione costante di chiedere a Dio di fare la nostra volontà invece della sua. E (naturalmente!) sempre a fin di bene.


Padre Lino Pedron
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Sei triste, figlio mio?

Non scoraggiarti mai, se sei apostolo. —Non c'è ostacolo che tu non possa superare. —Perché sei triste? (Cammino, 660)


La vera virtù non è triste e antipatica, bensì amabilmente allegra. (Cammino, 657)


Se le cose riescono bene, rallegriamoci, benedicendo Dio che ci mette l'incremento. —Riescono male? —Rallegriamoci, benedicendo Dio che ci fa partecipi della sua dolce Croce... (Cammino, 658)


Per porre un rimedio alla tua tristezza, mi chiedi un consiglio. —Ti darò una ricetta che proviene da buone mani: dall'apostolo Giacomo.
—“Tristatur aliquis vestrum?” —Sei triste, figlio mio? —“Oret!” —Fa' orazione! Prova e vedrai. (Cammino, 663)


Non essere triste. —Abbi una visione più... “nostra” —più cristiana— delle cose. (Cammino, 664)


“Laetetur cor quaerentium Dominum”. — Si rallegri il cuore di coloro che cercano il Signore.
—Ecco una luce, per indagare sui motivi della tua tristezza. (Cammino, 666)
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venerdì 20 gennaio 2012

Il comandamento nuovo dell'amore

Gesù nostro Signore ha tanto amato gli uomini, che si è incarnato, ha preso la nostra natura ed è vissuto in contatto quotidiano con poveri e ricchi, con giusti e peccatori, con giovani e vecchi, con gentili e giudei. Ha dialogato costantemente con tutti: con quelli che gli volevano bene e con quelli che cercavano solo il modo di travisare le sue parole, per condannarlo. — Cerca di comportarti anche tu come il Signore. (Forgia, 558)


Si comprendono benissimo l'impazienza, l'ansia, i desideri inquieti di coloro che, con un'anima naturalmente cristiana, non si rassegnano di fronte all'ingiustizia personale e sociale che il cuore umano è capace di creare. Sono tanti i secoli della convivenza degli uomini, e tanto è ancora l'odio, tante le distruzioni, tanto il fanatismo accumulato in occhi che non vogliono vedere e in cuori che non vogliono amare.
Vediamo i beni della terra divisi tra pochi e i beni della cultura chiusi in cenacoli ristretti. Fuori, c'è fame di pane e di dottrina; e le vite umane, che sono sante perché vengono da Dio, sono trattate come cose, come numeri statistici. Comprendo e condivido questa impazienza: essa mi spinge a guardare a Cristo che continua a invitarci a mettere in pratica il comandamento nuovo dell'amore.
Occorre riconoscere Cristo che ci viene incontro negli uomini, nostri fratelli. Nessuna vita umana è isolata; ogni vita si intreccia con altre vite. Nessuna persona è un verso a sé: tutti facciamo parte dello stesso poema divino che Dio scrive con il concorso della nostra libertà. (E' Gesù che passa, 111)
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Chiamò a sé quelli che voleva perché stessero con lui

Mc 3,13-19
Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè «figli del tuono»; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì.

È inutile cercare di localizzare questo monte perché "la montagna", in Marco, indica soprattutto il luogo delle rivelazioni divine, mentre il mare, come vedremo (4,35-39; 5,46-52), appare come il luogo della prova e delle dure realtà umane.
Il numero dodici ha un chiaro valore simbolico: deve, evidentemente, essere messo in relazione con quello delle dodici tribù d'Israele presenti al Sinai per formare la comunità dell'Alleanza (Es 24,4; Dt 1,23; Gs 3,12; 4,2 ss).
La funzione dei Dodici viene subito precisata: "Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni" (vv.14-15). Marco ha descritto Gesù come colui che predica e scaccia i demoni (1,39); ora afferma la stessa cosa dei suoi discepoli. La missione di Gesù continua e si rende visibile nel mondo attraverso i suoi inviati.
Gesù sceglie e chiama. È il cerchio di Gesù che si allarga: partecipa ad altre persone la sua forza e la sua autorità.
In Gesù il regno di Dio si è fatto vicino agli uomini; ora si dilata nei Dodici e attraverso di loro si estenderà al mondo intero.
Questi uomini sono presi dalla gente comune, con pregi e difetti, e sarebbe ingenuo e sbagliato idealizzare il gruppo che ne è uscito: non è una comunità di puri né un gruppo di educande. Il seguito del vangelo ce ne darà puntuale conferma.
Il cristianesimo non è un'ideologia: è una compagnia reale con Gesù, in un rapporto da persona a persona, che ci coinvolge totalmente. E da questo coinvolgimento con Gesù, veniamo spinti verso tutti gli uomini fino agli estremi confini della terra: "L'amore di Cristo ci spinge... (2Cor 5,14).
Andare verso tutti gli uomini e stare con lui sembrano due cose contraddittorie. Ma, in realtà, il Cristo va insieme con i cristiani: "Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano" (Mc 16, 20).
Non c'è alternativa tra contemplazione e azione. La nostra missione nasce dall'essere in Cristo, e la nostra prima occupazione è di restare uniti con lui come il tralcio alla vite (cfr Gv 15,1ss), fino ad essere contemplativi nell'azione.


Padre Lino Pedron
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Preghiera a San Sebastiano

1. Per quell'ammirabile impegno che vi condus­se ad affrontare tutti i pericoli per convertire i pagani più ostinati e confermare nella fede i cristiani vacillanti, ottenete a noi tutti, glorioso martire Sebastiano un uguale impegno per la salvezza dei nostri fratelli, per cui non contenti di edificarli con una vita veramente evangelica, ci adoperiamo anche con ogni sforzo per illu­minarli se sono ignoranti, a correggerli se sono sulla via del male, a rafforzarli nella fede se sono nel dubbio.
Gloria al Padre...
San Sebastiano, prega per noi.

2. Per quell'eroismo con cui sopportaste il dolo­re delle frecce che trafissero tutto il vostro corpo e rimasto miracolosamente in vita, rim­proveraste della sua empietà contro i Cristiani il crudele imperatore Diocleziano, ottenete a noi tutti, o glorioso martire Sebastiano, di soste­nere sempre, secondo la volontà di Dio, le malattie, le persecuzioni e tutte le avversità della vita per partecipare un giorno alla vostra gloria in Cielo.
Gloria al Padre...
San Sebastiano, prega per noi.
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giovedì 19 gennaio 2012

Gli spiriti impuri gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse

Mc 3,7-12
Gesù, intanto, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall'Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidone, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui. Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. 10Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo. Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.

Il rifiuto e la condanna a morte di Gesù, da parte dei farisei e degli erodiani, segna il nuovo inizio del popolo di Dio. L'efficacia evangelica è molto diversa dall'efficienza umana: trae la sua forza dall'impotenza dell'uomo e dalla potenza di Dio: "Quando sono debole, è allora che sono forte" (2Cor 12,10). Perché Dio, contrariamente all'uomo, sa trarre successo dall'insuccesso e vita dalla morte.
Le località nominate sono sette, un numero che indica completezza, totalità. Tutti accorrono a Cristo per formare la sua Chiesa. Egli non ha raggiunto il successo mediante la brama di avere, di potere e di apparire, origine di ogni male, ma ha vinto tutto questo proprio con il suo insuccesso, con la povertà, con il servizio e l'umiltà di chi ama.
Gesù è presentato come il centro di un ampio movimento di gente che cerca e trova in lui la possibilità di guarire.
L'uomo è malato e il pellegrinaggio verso Gesù nasce da questo bisogno di salvezza.
È bello vedere Gesù pressato da tanta gente. Ma perché accorrono? Per interesse o per fede? Marco ci fa capire che l'entusiasmo della folla è suscitato dall'azione guaritrice di Gesù, non dalla fede.
Solo i demoni conoscono l'identità di Gesù e la proclamano. Ma la loro propaganda è controproducente; il loro intento è di far fallire la rivelazione autentica di Gesù "bruciandola" anzitempo: di qui la reazione di Gesù che impone loro di tacere.
La trappola tesa a Gesù dai demoni sta nel fatto che satana vuole anticipare la manifestazione della gloria di Gesù prima della sua morte in croce, perché solo lì Gesù si rivela veramente Figlio di Dio (cfr Mc 15,39), che dona agli uomini la salvezza totale e definitiva, cioè la redenzione della loro esistenza nella comunione con Dio. È la tentazione che satana gli ripresenterà nuovamente per mezzo di Pietro (Mc 8,32-33).
La fede non è solo sapere chi è Gesù. Anche i demoni lo sanno, meglio e prima di noi. Come scrive s. Giacomo: "Credono, ma tremano" (2,19). Credere è prima di tutto fare esperienza di Gesù che mi ha amato e ha dato se stesso per me (cfr Gal 2,20). Una fede ideologica, che tutto conosce, ma non fa esperienza dell'amore di Dio, è un anticipo dell'inferno. È la pena del dannato che conosce il bene, ma non lo possiede.
Il Signore non desidera la pubblicità da parte di nessuno (tanto meno da parte dei demoni!). Raggiunge tutti solo attraverso la debolezza di chi, conoscendolo veramente, lo annuncia come amore crocifisso, povero, umiliato e umile. La propaganda va esattamente nella direzione opposta e si serve proprio di quei mezzi che il Signore ha denunciato e rifiutato come tentazioni.


Padre Lino Pedron
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Per riparare allo spettacolo blasfemo

Dal 24 al 28 gennaio prossimi presso il Teatro Parenti di Milano si terrà uno spettacolo fortemente offensivo della sensibilità dei credenti in cui l'immagine di Cristo viene imbrattata ed insultata dagli attori. Molti gesti di riparazione sono stati proposti al riguardo. Questo è uno dei tanti. Coloro che non possono partecipare personalmente potrebbero informarsi se nelle loro vicinanze se ne compiono altri o partecipare in comunione di preghiera a questo:


Il Cammino dei Tre Sentieri e la Comunità dei Frati Francescani dell'Immacolata di Benevento
comunicano che per riparare allo spettacolo blasfemo Sul concetto di volto nel Figlio di Dio, che si terrà a Milano dal 24 al 28 gennaio prossimi al teatro "Parenti", hanno organizzato un pomeriggio di preghiera per il giorno 23 gennaio (Festa dello Sposalizio di Maria) presso la Chiesa di San Pasquale (via San Pasquale, 11 - Benevento) avente il seguente programma:
ore 16.00: Adorazione Eucurastica con S. Rosario (misteri dolorosi)
ore 16.45: S. Messa (Rito Romano Antico)
ore 17.30: S. Rosario (misteri gaudiosi)
ore 18.00: S.Messa (Novus Ordo)
ore 18.45: Adorazione Eucaristica con S. Rosario (misteri luminosi e gloriosi)
Benedizione Eucaristica e termine alle ore 19.45


“Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; ma chi mi rinnegherà dinanzi agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al padre mio che è nei cieli.” (Matteo 10, 32-33)
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mercoledì 18 gennaio 2012

È lecito in giorno di sabato salvare una vita o ucciderla?

Mc 3,1-6
Entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo. Egli disse all'uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati, vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all'uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.

Un altro episodio ancora riguardo al sabato. Questa volta però non sono i discepoli di Gesù che trasgrediscono la legge, ma Gesù stesso. Il criterio di Gesù è questo: "Fare il bene, salvare una vita" (v. 4). Proprio a questo deve
servire la legge del sabato: per la libertà e per il bene dell'uomo, per evitargli una vita da schiavo e da forzato.
"Rattristato per la durezza dei loro cuori" (v.5). Gesù aveva cercato di evitare questa situazione; si era sforzato di rompere le barriere cercando il dialogo, perché fossero loro a dire ciò che si poteva fare in giorno di sabato, "ma
essi tacevano" (v. 5). A questo punto Gesù fece la sua scelta: scelse l'uomo e lo guarì. Non lasciò passare quel giorno di festa senza che diventasse anche per quel malato un segno concreto di libertà. Gesù ha sempre amato la
libertà per sé e per gli altri.
"Tennero consiglio contro di lui per farlo morire" (v.6). Perché Gesù deve morire se guarisce la gente e cerca il vero bene dell'uomo? Per gli scribi la vera immagine di Dio può essere soltanto quella del giudice che condanna il
colpevole (e, in questo, ben volentieri, gli darebbero una mano. Cfr anche Gv 8,3-11).
È abissale la differenza tra la loro concezione di Dio e il vero Dio, manifestato da Gesù: un Dio che sana, perdona, riconcilia, ama. Nel contrasto tra Gesù e coloro che detengono il potere, sono in gioco due diverse concezioni di Dio.
Facciamo una breve digressione sulla logica dei farisei. Essi non hanno approvato la guarigione di un malato in giorno di sabato per timore di violare la legge, ma non hanno scrupolo, in giorno di sabato, di decidere la morte di
una persona innocente, del Salvatore, di Dio stesso. Guarire e far vivere è un delitto che merita la morte, far morire è un'opera buona che rende gloria a Dio. Strana logica, strana morale: è la "morale" dell'odio che si oppone alla morale
dell'amore. I farisei avevano fatto di Dio il nemico dell'uomo: il colmo dell'opera diabolica (cfr Gen 3; Gv 8,44). In Gesù si rivela Dio-con-noi-e-per-noi: questa è la grande novità della rivelazione. Ma gli uomini spesso rifiutano un Dio amico che li ama e li libera, e gli preferiscono un falso Dio che li spadroneggi. Di fronte alla durezza di cuore dei farisei, Gesù prova indignazione e tristezza. Il Cristo manifesta contemporaneamente la collera di Dio e la sua compassione che non viene mai meno di fronte alle sue creature incapaci di aprirsi alle sue sollecitazioni. Il miracolo della guarigione dell'uomo che aveva la mano secca costerà la vita a Gesù. La croce si profila ormai chiaramente. È il prezzo del dono che ci fa guarendo la nostra mano incapace di accogliere e di donare. Le sue mani inchiodate scioglieranno la nostra mano rigida. Si scorge all'orizzonte l'albero dal quale penderà Gesù, il frutto della vita, verso cui possiamo e dobbiamo tendere la mano per diventare come Dio (cfr Gen 3).
Questo racconto chiude una tappa del vangelo in cui Gesù ci ha rivelato chi è lui per noi in ciò che ha fatto per noi.


Padre Lino Pedron
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