domenica 31 gennaio 2010

La grande Madre che non muore

O Santa Vergine, Madre di Dio, Immacolata Regina del Cielo e Madre nostra dolcissima, Mediatrice di tutte le grazie, che sei apparsa a Lourdes per invitarci alla preghiera e alla penitenza e che altre volte hai pianto sui nostri peccati, ascolta l'umile nostra preghiera mentre imploriamo per noi misericordia e perdono.Tu che hai schiacciato il capo al demonio, arresta il diluvio dilagante del materialismo e dell'eresia, fomenta nei fedeli l'amore alla purezza di vita e la pratica delle virtu' cristiane.Amen. Ave Maria!
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Non crearti esigenze

Non lo dimenticare: possiede di più chi ha meno bisogni. —Non crearti esigenze. (Cammino, 630)

Molti anni fa — più di venticinque — frequentavo una mensa di carità, per mendicanti che non avevano altro pasto giornaliero che quello che lì veniva distribuito. Era un locale spazioso, amministrato da un gruppo di buone signore. Dopo la prima distribuzione, venivano altri mendicanti a raccogliere qualcosa che avanzava e, in questo secondo gruppo, un povero attirò la mia attenzione: era proprietario di un cucchiaio di peltro! Lo cavava di tasca con circospezione, con cupidigia, lo guardava avidamente e, dopo aver assaporato la sua razione, guardava di nuovo il cucchiaio con occhi che gridavano: è mio!, gli dava un paio di leccate per pulirlo e, soddisfatto, lo riponeva di nuovo tra le pieghe dei suoi cenci. Effettivamente, quel cucchiaio era suo! Il misero mendicante, in mezzo a quella gente, ai suoi compagni di sventura, si riteneva ricco.
Nella stessa epoca conoscevo una signora, con titolo nobiliare, Grande di Spagna. Davanti a Dio, questo non significa niente: siamo tutti uguali, tutti figli di Adamo e di Eva, creature deboli, con virtù e difetti, capaci — se il Signore ci abbandona — di compiere i delitti più gravi. Da quando Cristo ci ha redenti, non ci sono differenze di razza, di lingua, di colore, di lignaggio, di censo...: siamo tutti figli di Dio. La signora di cui sto parlando abitava in un palazzo aristocratico, ma per se non spendeva neppure due pesetas al giorno. Invece, retribuiva molto bene la servitù, e il resto lo destinava all'aiuto dei bisognosi, assegnando a se stessa privazioni di ogni genere. A questa donna non mancavano i beni che molti ambiscono, ma personalmente era povera, molto mortificata, completamente distaccata da tutto. Avete capito? Del resto, è sufficiente ascoltare le parole del Signore: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli [Mt 5, 3].Se vuoi raggiungere questo spirito, ti consiglio di essere parco con te stesso e molto generoso con gli altri; evita le spese superflue per lusso, per capriccio, per vanità, per comodità...; non crearti esigenze. In una parola, impara con san Paolo a essere povero e a essere ricco, a essere sazio e ad aver fame, a essere nell'abbondanza e nell'indigenza. Tutto posso in colui che mi dà forza [Fil 4, 12-13]. E, come l'Apostolo, anche noi risulteremo vincitori nel combattimento spirituale, se manteniamo il cuore distaccato, libero da legami. (Amici di Dio, nn. 123)
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sabato 30 gennaio 2010

San Giovanni Bosco

Giovanni Bosco, al secolo Giovanni Melchiorre Bosco, meglio noto come Don Bosco, nacque il 16 agosto 1815 al Colle dei Becchi, una località presso Castelnuovo d 'Asti, ora Castelnuovo Don Bosco. Di famiglia povera si preparò, fra stenti ed ostacoli, lavorando e studiando, alla missione che gli era stata indicata attraverso un sogno fatto all'età di nove anni e confermata più volte in seguito, in modo straordinario.

Studiò a Chieri, a pochi chilometri da Torino. Tra le belle chiese di Chieri, Santa Maria della Scala (il duomo) fu la più frequentata da Giovanni Bosco, ogni giorno, mattino e sera. Pregando e riflettendo davanti all'altare della Cappella della Madonna delle Grazie egli decise il suo avvenire.

A 19 anni voleva farsi religioso francescano. Informato della decisione, il parroco di Castelnuovo, don Dassano, avvertì Mamma Margherita con queste parole molte esplicite:
“Cercate di allontanarlo da questa idea. Voi non siete ricca e siete avanti negli anni. Se vostro figlio va in convento, come potrà aiutarvi nella vostra vecchiaia?”. Mamma Margherita si mise addosso uno scialle nero, scese a Chieri e parlò a Giovanni: “Il parroco è venuto a dirmi che vuoi entrare in convento. Sentimi bene. Io voglio che tu ci pensi e con calma. Quando avrai deciso, segui la tua strada senza guardare in faccia nessuno. La cosa più importante è che tu faccia la volontà del Signore. Il parroco vorrebbe che io ti facessi cambiare idea, perché in avvenire potrei avere bisogno di te. Ma io ti dico. In queste cose tua madre non c'entra. Dio è prima di tutto. Da te io non voglio niente, non mi aspetto niente. Io sono nata povera, sono vissuta povera, e voglio morire povera. Anzi, te lo voglio subito dire: se ti facessi prete e per disgrazia diventassi ricco non metterò mai più piede in casa tua. Ricordatelo bene”.
Giovanni Bosco quelle parole non le avrebbe dimenticate mai. Dopo molta preghiera, ed essersi consultato con amici e con il suo confessore Don Giuseppe Cafasso, entrò in seminario per gli studi della teologia.

Fu poi ordinato sacerdote a Torino nella chiesa dell'Immacolata Concezione il 5 giugno del 1841.
Don Bosco prese con fermezza tre propositi:
“Occupare rigorosamente il tempo. Patire, fare, umiliarsi in tutto e sempre quando si tratta di salvare le anime. La carità e la dolcezza di San Francesco di Sales mi guideranno in ogni cosa”.

Venuto a Torino, fu subito colpito dallo spettacolo di centinaia di ragazzi e giovani allo sbando, senza guida e lavoro: volle consacrare la sua vita per la loro salvezza.
L'8 dicembre 1841, nella chiesa di S. Francesco d 'Assisi, ebbe l'incontro con il primo dei moltissimi ragazzi che l'avrebbero conosciuto e seguito: Bartolomeo Garelli. Incomincia così l'opera dell'Oratorio, itinerante al principio, poi dalla Pasqua 1846, nella sua sede stabile a Valdocco, Casa Madre di tutte le opere salesiane.
I ragazzi sono già centinaia: studiano e imparano il mestiere nei laboratori che Don Bosco ha costruito per loro. Nella sua opera educativa fu aiutato da sua madre Mamma Margherita, che fece venire dai Becchi, per sostenerlo e perché facesse da mamma a tanti suoi ragazzi che avevano perso i propri genitori.

Nel 1859, poi, invita i suoi primi collaboratori ad unirsi a lui nella “Congregazione Salesiana”: rapidamente si moltiplicheranno ovunque oratori, scuole professionali, collegi, centri vocazionali, parrocchie, missioni.

Nel 1872 fonda l'“Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice” (FMA) che lavoreranno in svariate opere per la gioventù femminile. Cofondatrice e prima superiora fu Maria Domenica Mazzarello (1837-1881) che verrà proclamata santa il 21 giugno 1951, da Pio XII.
Ma Don Bosco seppe chiamare anche numerosi laici a condividere con i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice la stessa sua ansia educativa.

Fin dal 1869 aveva dato inizio alla “Pia Unione dei Cooperatori” che fanno parte a pieno titolo della Famiglia Salesiana e ne vivono lo spirito prodigandosi nel servizio ecclesiale.

A 72 anni, sfinito dal lavoro, secondo quanto aveva detto: “Ho promesso a Dio che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani”, Don Bosco muore a Torino-Valdocco, all'alba del 31 gennaio 1888, lasciando al suo successore Don Michele Rua (proclamato beato il 29 ottobre
1972 da Pp Paolo VI),700 religiosi in 64 case disseminate in 6 paesi.

Fu beatificato il 2 giugno 1929 e dichiarato santo da Pio XI il l aprile 1934, domenica di Pasqua.
In seguito, molti altri sono venuti a gettare nei solchi semi di vita: San Domenico Savio, il Beato Don Rua, il Beato Don Rinaldi...affinché il terreno continuasse ed essere fertile, anche dopo Don Bosco.

La “Famiglia salesiana” conta circa 402.500 membri in 130 paesi nei cinque continenti; essi sono divisi in 23 organizzazioni differenti, che sono venute sorgendo lungo gli anni, e che hanno preso ispirazione dal sistema e dal carisma di Don Bosco.
Le tre prime, che sono state create già ai tempi di Don Bosco, sono Le Figlie di Maria Ausiliatrice(14.880), I Cooperatori Salesiani (circa 26.615) e gli Ex-Allievi di Don Bosco (circa 97.357). (Fonte: CG26 e Dati Statistici, 2008)

Significato del nome Giovanni : "il Signore è benefico, dono del Signore" (ebraico).

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Per « rinnovare la faccia della terra »

San Cirillo Alessandrino (380-444), vescovo, dottore della Chiesa
Commento sul profeta Isaia, 5, 5; PG 70, 1352-1353

Cristo, volendo restaurare il mondo e ricondurre tutti gli uomini al Padre, trasformare in meglio tutte le cose e rinnovare la faccia della terra, « assunse la condizione di servo » (Fil 2, 7) – egli Signore dell'universo – e annunziò la buona novella ai poveri, affermando che proprio per questo era stato mandato. Per poveri si possono intendere quelli che soffrono nella totale indigenza, ma anche, come dice la Scrittura, tutti quelli che non posseggono la speranza e che nel mondo sono privi di Dio (Ef 2, 12).

Arrivati a Cristo dal paganesimo, arricchiti dalla fede in lui, hanno conseguito un tesoro divino venuto dal cielo, la predicazione del Vangelo della salveza, resi partecipi in tal modo del regno dei cieli e consorti dei santi, eredi di quei beni che non si possono né immaginare, né domandare : « Cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d'uomo ; queste ha preparato Dio per coloro che lo amano » (1 Cor 2, 9).

Quanto ai fratelli venuti dal giudaismo, anch'essi erano poveri, col cuore spezzato, come schiavi e nelle tenebre. Ma venne Cristo, e a Israele prima che agli altri si annunziò con le benefiche e fulgide manifestazioni della sua potenza, proclamò « l'anno di misericordia del Signore » e il « giorno della salvezza »
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Santa Giacinta Marescotti

Vergine del Terz’Ordine regolare di San Francesco

Giacinta, al secolo Clarice, figlia del Conte Marcantonio Marescotti e di donna Ottavia Orsini, nasce a Vignanello (VT) il 6 marzo 1585.

Assieme alle sue due sorelle Ginevra e Ortensia, studia al Convento di San Bernardino a Viterbo; al termine degli studi Ginevra rimane in convento e prende il nome di Suor Immacolata.

Clarice e Ortensia sono introdotte nelle migliori case; Clarice è molto attratta dal giovane Paolo Capizucchi ma egli chiede la mano della sorella minore Ortensia. Clarice ne rimane sconvolta e dopo qualche settimana decide di raggiungere la sorella Suor Immacolata a San Bernardino.

Qui prende il nome di Giacinta, ma senza farsi monaca: sceglie lo stato di terziaria francescana, che non comporta clausura stretta. Anziché vivere in una cella, si fa arredare un intero appartamento nello stile delle sue stanze a Vignanello, ed è servita da due giovani novizie.
Conduce una vita mondana e licenziosa fino al 1615, quando, in seguito ad una malattia, entrò in una crisi spirituale: si ritrovò sola e gridò forte “O Dio ti supplico, dai un senso alla mia vita, dammi la speranza, dammi la salvezza!”.
Il giorno dopo venne a trovarla il Padre confessore e la notte seguente Suor Giacinta trascorse l'intera notte pregando, e provò una serenità ultraterrena. Si convertì e si diede ad esercizi di penitenza e di perfezione cristiana.

Per Suor Giacinta cominciano ventiquattro anni straordinari e durissimi: povertà totale e continue penitenze, con asprezze oggi poco comprensibili, ma che rivelano energie nuove e sorprendenti. Dalle due camerette raffinate lei passa a una cella derelitta per vivere di privazioni ma al tempo stesso, di lì, compie un’opera singolare di “riconquista”.

Personaggi lontani dalla fede vi tornano per opera sua, e si fanno suoi collaboratori nell’aiuto ad ammalati e poveri. Un aiuto che Giacinta la penitente vuole sistematico, regolare, per opera di persone fortemente motivate.
Questa mistica si fa organizzatrice di istituti assistenziali; aiutata dal cittadino Francesco Pacini fece nascere una confraternita laicale, detta dei “Sacconi” (dal sacco che i confratelli indossano nel loro servizio), col fine di elemosine e di soccorsi ai poveri, malati e detenuti. Dedicò il resto della sua vita ad aiutare il prossimo.

Non sono molti quelli che la conoscono di persona. Ma subito dopo la sua morte, avvenuta il 30 gennaio 1640, tutta Viterbo corre alla chiesa dove è esposta la salma e tutti si portano via un pezzetto del suo abito, sicché bisognerà rivestirla tre volte.
Il corpo è nella chiesa del Monastero di San Bernardino, a Viterbo.

Fu beatificata da Pp Benedetto XIII nel 1726 e proclamata santa da Pp Pio VII nel 1807

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Non mettere il cuore in nulla che sia caduco

Non mettere il cuore in nulla che sia caduco: imita Cristo, che si fece povero per noi, e non aveva dove posare il capo. — Chiedigli di concederti, in mezzo al mondo, un distacco effettivo, senza attenuanti. (Forgia, 523)

Noi siamo gente della strada, cristiani qualsiasi, inseriti nel sistema circolatorio della società, e il Signore ci vuole santi, apostolici, appunto in mezzo al nostro lavoro professionale; vuole cioè che ci santifichiamo nella nostra occupazione, che santifichiamo l'occupazione stessa e che, per mezzo di essa, aiutiamo gli altri a santificarsi. Siate certi che Dio vi attende nel vostro ambiente con sollecitudine di Padre, di Amico; e pensate che con il vostro lavoro professionale svolto con senso di responsabilità, oltre a sostenervi economicamente, prestate un servizio direttissimo allo sviluppo della società, alleggerite i pesi degli altri e mantenete tante opere assistenziali — locali e universali — a beneficio delle persone e dei popoli meno fortunati.
Nel comportarci con normalità — come la gente uguale a noi — e con senso soprannaturale, non facciamo altro che seguire l'esempio di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. Potete ben vedere che tutta la sua vita è piena di naturalezza. Per trent'anni resta nell'ombra, senza richiamare l'attenzione, come uno dei tanti lavoratori, e nel suo villaggio è conosciuto come il figlio del falegname. Neppure durante la vita pubblica si nota qualcosa di stonato perché strano o eccentrico.
Si circondava di amici, come tutti gli altri suoi concittadini, e il suo comportamento non differiva dal loro. Tanto che Giuda, per indicarlo, deve dare un segno convenuto: Quello che bacerò, è lui [Mt 26, 48].
In Gesù non c'era niente di stravagante. Mi commuove sempre questa regola di condotta del Maestro, che passa in mezzo agli uomini come uno qualsiasi. (Amici di Dio, nn. 120-121)
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Battuti dal vento e dalle onde

Sant’Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorso 63, 1-3; PL 38, 424-425

Per grazia di Dio vi rivolgo la parola sul passo del santo Vangelo letto poco fa e in nome di lui vi esorto a far sì che nei vostri cuori non si assopisca la fede con cui resistere alle tempeste e ai marosi di questo mondo. In effetti non è vero che Cristo nostro Signore avesse in suo potere la morte e non il sonno e che forse l'Onnipotente fu oppresso dal sonno contro la sua volontà mentre stava sulla barca. Se voi crederete questo, egli dorme nel vostro intimo; se invece Cristo è desto, è desta anche la vostra fede. L'Apostolo dice: « [Chiedo di] far abitare Cristo nei vostri cuori per mezzo della fede » (Ef 3,17).

Anche il sonno di Cristo è dunque un segno esteriore d'un simbolo. Sono come dei naviganti le anime che fanno la traversata di questa vita in una imbarcazione. Anche quella barca era la figura della Chiesa. Poiché anche ogni persona è tempio di Dio e naviga nel proprio cuore e non fa naufragio se nutre buoni pensieri. Se hai sentito un insulto, è come il vento; se sei adirato, ecco la tempesta. Se quindi soffia il vento e sorge la tempesta, corre pericolo la nave, corre pericolo il tuo cuore ed è agitato. All'udire l'insulto tu desideri vendicarti: ed ecco ti sei vendicato e, godendo del male altrui, hai fatto naufragio. E perché? Perché in te dorme Cristo. Che vuol dire: "In te dorme Cristo"? Ti sei dimenticato di Cristo. Risveglia dunque Cristo, ricordati di Cristo, sia desto in te Cristo: considera lui.
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venerdì 29 gennaio 2010

Beata Boleslawa Maria Lament

Vergine, Fondatrice : “Suore Missionarie della Sacra Famiglia”

Boleslawa Maria Lament nacque a Łowicz (Polonia) il 3 luglio 1862 : era la primogenita di otto figli di Martino Lament e Lucia Cyganowska.
Era ancora fanciulla quando ebbe il dolore di assistere alla morte di due sorelline, Elena e Leocodia, e del fratellino Martino.
Boleslawa dopo aver frequentato le elementari ed il ginnasio, andò a Varsavia in una scuola d’arti e mestieri, dove conseguì il diploma di sarta; ritornata a Łowicz aprì una sartoria insieme alla sorella Stanislawa, intanto viveva una vita interiore, profondamente legata alla spiritualità.

Nel 1884 decise di entrare nella “Congregazione della Famiglia di Maria”, che si andava organizzando a Varsavia in clandestinità, a causa delle persecuzioni zariste.
Era una suora zelante, che si distingueva per il dono della preghiera, del raccoglimento, della serietà e della fedeltà con cui compiva i suoi doveri. Dopo il noviziato e la professione dei voti semplici, lavorò come maestra di sartoria, insegnante ed educatrice in diverse Case della Congregazione, sparse nel territorio dell’Impero Russo.
Ma dopo nove anni, prima di pronunciare i voti solenni, ebbe una profonda crisi che non la faceva sentire più sicura della propria vocazione in quella congregazione, pertanto la lasciò, ritornando nella sua casa di Łowicz con l’intento, appena possibile, di entrare in una clausura. Con il consiglio del suo confessore, optò poi per le opere di assistenza per i senza tetto, attività che continuò anche a Varsavia, quando la famiglia vi si trasferì; qui per sostenersi aprì un laboratorio di sartoria con la sorella minore Maria.

Nel 1894 l’ennesima epidemia di colera le portò via il padre, caricandola di altre responsabilità familiari; prese con sé la madre e il fratello Stefano tredicenne, che a Varsavia frequentava il ginnasio e che intendeva farsi prete. Nel 1900 morì anche il giovane fratello Stefano; davanti alla sua bara, Boleslawa promise di ritornare alla vita della religiosa.

Nell’ottobre 1905 Boleslawa, insieme a Leocidia Górczynska e Lucia Chechowska, con l’aiuto del gesuita padre Felice Wiercinski, diede inizio alla congregazione detta “Società della S. Famiglia”, che in seguito cambiò denominazione in “Suore Missionarie della Sacra Famiglia”, la cui prima superiora fu Boleslawa.

Nell’autunno del 1907, Boleslawa con le sei suore della comunità di allora, si trasferì a Pietroburgo, dove sviluppò una vasta attività istruttiva ed educativa, dedicata soprattutto ai giovani, e già nel 1913 poteva estendere la sua attività in Finlandia, aprendo un collegio per ragazze a Wyborg. Seguirono, poi, altre Case nell’archidiocesi di Vilna e nella diocesi di Pinsk, e nel 1935 queste Case diventarono 33 sparse un po’ in tutta la Polonia e una perfino a Roma.

Nel 1935, madre Boleslawa decise di rinunciare alla carica di Superiora Generale per gravi motivi di salute e, d’accordo con la nuova Superiora, si ritirò a Białystok dove, pur essendo anziana e gravemente ammalata, si dedicò ad aprire scuole, asili, ospizio per le donne sole e una mensa per i disoccupati.

Nel 1941 fu colpita dalla paralisi e si dedicò ad una vita più ascetica, trasmettendo preziosi consigli alle consorelle.
Morì santamente a Białystok il 29 gennaio 1946, ad 84 anni; la sua salma fu portata nel convento di Ratow e sepolta nella cripta sotto la Chiesa di S. Antonio.
La Congregazione delle “Suore Missionarie della Sacra Famiglia”, si diffuse ampiamente in Polonia, Russia, Zambia, Libia, U.S.A., Roma.

Il 5 giugno 1991, Boleslawa Maria Lament, fu proclamata beata da Papa Giovanni Paolo II, durante il suo viaggio apostolico in Polonia.

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Per servire, servire

Anche tu hai una vocazione professionale che ti «sprona». Ebbene, questo «sprone» è l'amo per pescare uomini. Rettifica, pertanto, l'intenzione, e non trascurare di acquisire tutto il prestigio professionale possibile, al servizio di Dio e delle anime. Il Signore conta anche su «questo». (Solco, 491)

Pertanto, volendo dare un motto al vostro lavoro, potrei indicarvi questo: Per servire, servire. In primo luogo, infatti, per realizzare le cose bisogna saperle condurre a termine. Non credo alla rettitudine di intenzione di chi non si sforza di ottenere la competenza necessaria per svolgere debitamente i compiti che gli sono affidati. Non basta voler fare il bene; è necessario saperlo fare. E, se il nostro volere è sincero, deve tradursi nell'impegno di impiegare i mezzi adeguati per compiere le cose fino in fondo, con perfezione umana.
Ma anche questo servizio umano, questa idoneità potremmo chiamare tecnica, questo saper fare il proprio mestiere, deve essere dotato di una caratteristica che fu fondamentale nel lavoro di Giuseppe e che tale dovrebbe essere anche per ogni cristiano: lo spirito di servizio, il desiderio di lavorare per contribuire al bene comune. Il lavoro di Giuseppe non tendeva all'affermazione di sé, anche se effettivamente la dedizione a una vita di lavoro gli aveva dato una personalità matura e spiccata. Il Patriarca lavorava con la consapevolezza di compiere la volontà di Dio, pensando al bene dei suoi — Gesù e Maria — e avendo presente il bene di tutti gli abitanti della piccola Nazaret. (E' Gesù che passa, 50-51)
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Seminati per terra

Lettera a Diogneto (circa 200) VI ;
SC33bis, 65

Come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L'anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L'anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo (Gv 17,16). L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione è invisibile. La carne odia l'anima e la combatte pur non avendo ricevuto ingiuria, perché impedisce di prendersi dei piaceri; il mondo che pur non ha avuto ingiustizia dai cristiani li odia perché si oppongono ai piaceri. L'anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano.

L'anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. L'anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l'incorruttibilità nei cieli (1 Cor 15,50)… Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare.
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giovedì 28 gennaio 2010

La lampada sul lucerniere

San Massimo il Confessore (circa 580-662), monaco e teologo
Risposte a Talassio, quaest. 63 : PG 90, 667-670

La lampada posta sul candelabro è la luce del Padre, quella vera che illumina ogni uomo che viene al mondo (Gv 1,9), il Signore nostro Gesù Cristo... Chiamò lucerniere la santa Chiesa, perché in essa risplende la parola di Dio mediante la predicazione, e così, con i bagliori della verità, illumina quanti si trovano in questo mondo come in una casa, arricchendo le intelligenze con la conoscenza di Dio...

Questa parola annunziata dalla Chiesa esige di essere posta sulla sommità del lucerniere, cioè all’apice dell’onore e dell’impegno di cui la Chiesa è capace. Infatti finché la parola è nascosta dalla lettera della legge come da un moggio, lascia tutti privi della luce eterna. Essa non può trasmettere la visione spirituale a chi non si sforzi di togliere il velo del senso materiale che trae in inganno e può addirittura fuorviare verso l’errore e la falsità. Invece va posta sul lucerniere della Chiesa. Ciò significa che la parola rivelata va intesa nel senso interiore e spirituale, spiegato dalla Chiesa stessa. Solo così potrà veramente illuminare ogni uomo che si trova nel mondo. Se infatti la Scrittura non viene intesa spiritualmente mostra solo un significato superficiale e parziale e non può far giungere al cuore tutta la sua ricca sostanza...

Guardiamoci dunque dal porre sotto il moggio la lucerna, che accendiamo con la contemplazione e la pratica coerente della parola... Non riduciamo colpevolmente la indescrivibile vitalità della sapienza a causa della lettera; ma poniamo la luce sopra il lucerniere cioè sulla santa Chiesa, di modo che dall’alta cima di una interpretazione autentica ed esatta, mostri a tutti lo splendore della verità divina.
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mercoledì 27 gennaio 2010

Accorri con perseveranza davanti al Tabernacolo

Accorri con perseveranza davanti al Tabernacolo, fisicamente o con il cuore, per sentirti sicuro, per sentirti sereno: ma anche per sentirti amato..., e per amare! (Forgia, 837)

Trascrivo alcune parole di un sacerdote, rivolte a coloro che lo seguivano nella sua impresa apostolica: “Quando contemplate l'Ostia Santa esposta nell'ostensorio sull'altare, pensate che amore, che tenerezza è quella di Cristo. Io me lo spiego per l'amore che vi porto; se, lavorando lontano, potessi stare allo stesso tempo accanto a ciascuno di voi, come lo farei volentieri!Cristo, invece, può farlo! Ed Egli, che ci ama con un amore infinitamente superiore a quello che tutti i cuori della terra possono albergare, è rimasto affinché possiamo unirci sempre alla sua Santissima Umanità, e per aiutarci, per consolarci, per fortificarci, affinché siamo fedeli”. (Forgia, 838)

Le manifestazioni esterne dell'amore devono nascere dal cuore, e continuare in una testimonianza di vita cristiana. Il rinnovamento che si opera in noi, al ricevere il Corpo del Signore, deve essere manifestato nelle opere. Rendiamo dunque sinceri i nostri pensieri: che siano pensieri di pace, di donazione, di servizio. Rendiamo le nostre parole vere, chiare, opportune: che sappiano consolare e aiutare, che sappiano soprattutto portare agli altri la luce di Dio. Rendiamo le nostre azioni coerenti, efficaci, appropriate: abbiano il bonus odor Christi, il profumo di Cristo, che ce ne richiama il comportamento e la vita. (E' Gesù che passa, 156)
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Inno alla vita

Si apprezza tanto poco la vita, anzi tanto spesso la si disprezza, perché la si riguarda dal punto di vista del proprio egoismo. Si guarda solo alla vita presente ed alla sete di godere. Or siccome questa vita non è che un fugace passaggio ed è una prova, se non si guarda alla sua realtà, l'anima si smarrisce, si sente infelice e disprezza la vita.
Una cometa non passa nella nostra visuale che per continuare il suo percorso gigantesco attraverso i cieli… Noi siamo come mobilissime comete, tutte vapori di luce, che hanno un movimento vorticoso, che camminano per condensarsi e diventare un astro del cielo. La nostra vita è il punto dove deve avvenire, dirò così, il condensamento: qui ciò che era solo gratuito dono di Dio, deve diventare nostra consistenza, sotto la pressione divina della grazia; qui l'anima, che esce dalle mani di Dio, è lanciata nel cielo soprannaturale, e gira intorno ai punti di gravitazione, cioè intorno al Redentore vivente, alla Chiesa, alle grazie che scaturiscono dalla Redenzione finché non sia diventata un astro soprannaturale.
Che cosa grande è dunque la nostra vita, questo impercettibile attimo verso del quale si concentrano e convergono le anime, scaturenti dall'onnipotente amore di Dio!
Queste anime sono come faville luminose, che escono immacolate ed incandescenti dall'infinita potenza di Dio, e si rinchiudono in un piccolo corpo, come è imprigionata la corrente di una dinamo. Quella corrente deve muovere la dinamo, deve aggiungersi ad una nuova corrente, deve diventare gigantesca, deve mutarsi in un'onda elettrica, che ritorna nella immensità del cielo…
L'anima racchiusa nel corpo pare schiava, ed invece è operaia. Essa vi trova il mezzo per santificarsi, poiché il Redentore, prendendo la umana carne, mutò in grazia ogni atto della sua vita corporale. Vi trova il Sangue di Gesù che la purifica, vi trova la Passione di Gesù che come sole si riflette e si rifrange in tutte le pene del nostro corpo…, vi trova il mezzo per soprannaturalizzarsi e conquistare la vita eterna!
Che cosa grande è dunque questa nostra vita, che è il preludio breve della vita eterna!
Considerate l'infinito amore di Dio nel crearci e nel darci la vita presente. Questa vita che voi sprezzate come un tedio, come un peso, è invece come il palpito del suo Cuore divino… Egli felicissimo in se stesso, volle farci partecipi della sua felicità.
Ecco l'Infinito, Uno e Trino… Che gloria, che luce, che amore in quell'oceano di vita!
Ecco lo spaventoso caos del nulla!… L'orrido, lo zero, il freddo assoluto!
Eppure da quella infinita potenza quante creature possono scaturire, sol che lo voglia! Egli le considera, le ama… Le creature possibili sono come una semente infeconda, finché non è gettata nel terreno… È l'amore di Dio che raccoglie nella sua infinita potenza la creatura che può essere e non è ancora, e subito, quel seme vuoto, che non ha consistenza, che è nulla, acquista la vita.
Non c'è nella nostra vita un paragone che possa darci l'idea della creazione; ciò non pertanto, considerate la creatura come un cristallo avvolto da tenebre, come un brillante sepolto nel buio: appena sorge il sole diventa luminoso, pieno di svariati colori, e scintilla come un piccolo astro.
Così sorge la creatura dal nulla!
Quale ingratitudine pertanto il considerare come sventura e come un peso la vita. Sembra un paradosso, eppure è così.
La nostra vita terrena è immensamente arricchita da Gesù Cristo, è vita di merito, nella quale, per Gesù Cristo stesso, ogni atto può diventare soprannaturale. Nel Cielo noi riceviamo da Dio, mentre che sulla terra noi diamo a Dio: siamo fattori della gloria di Dio nel creato, accrescendola a Lui accidentalmente, secondo la missione che riceviamo da Lui.
Qui tutto ha valore: la terra, il concime, l'immondizia stessa…, come in un campo; mentre, quando si fa la raccolta, ha valore soltanto il frutto già maturato. Un anno di vita terrena ne fruttifica cento nel Cielo, anzi assai più. Se tu hai ottanta anni di vita, produci per ottomila.
Uno strumento con una corda, produce un sol suono; ma uno strumento con 80 corde produce tanti suoni, che tu puoi cantare a Dio tante melodie di amore.
È tanto preziosa questa nostra vita, che il Verbo Eterno di Dio non ha disdegnato di percorrerla Lui stesso, ed alla Creatura più cara al suo Cuore, a Maria santissima, l'ha prolungata fino alla vecchiezza.
Se il Re si degna di discendere a mangiare al tuo povero desco, è segno che il cibo che vi è apprestato ha valore, sostanza e gusto. È roba che cresce nel campo regale.
Noi non viviamo a caso, come piccoli esseri smarriti, come pezzi di ferro grezzo abbandonato nell'officina. Noi siamo invece dei pezzi, dirò così, già formati e torniti, che facciamo parte di un ingranaggio ammirabile. Dio scelse il momento più opportuno per crearci, secondo gli ammirabili fini che aveva sopra di noi.
Egli segnò l'ora e il momento della nostra morte, come è segnata l'ora del grano che biondeggia o del frutto che matura. Il tempo, il luogo, il modo, i patimenti della vita e della morte sono per noi certamente migliori di qualunque altro tempo, luogo e patimento.
La nostra vita ha un'importanza grande nei fini di Dio; si direbbe quasi che Egli ha su di noi il suo interesse. Anche quando noi, ingrati, ci sottraiamo alle speciali vedute del divino amore, anche allora la nostra vita ha un'importanza immensa.
Per un contadino che ha bisogno di concime per il suo campo, e di fermenti per far prosperare le piante buone, l'immondezza putrefatta, formata di materiale che doveva essere gloriosa ed è marcita, diventa preziosa. Questo contadino dirà di eccellente qualità concimante un carro di rifiuti che più puzza.
Noi siamo come un orologio, la cui corda si svolge, segnando le ore e suonando a rintocchi. Noi suoniamo le ore della gloria di Dio sulla terra.
L'orologio è uno strumento che in realtà raccoglie il corso delle sfere celesti. Quel quadrante che gira sembra una stoltezza, ed invece ha riscontro nel cielo. Tu vedi lo spazio di un minuto, e quel minuto è segnato nel cielo con una linea colossale di milioni di chilometri. Su quel quadrante sono riflessi i movimenti della colossale rotazione degli astri, e quel suono mesto, ritmico, cadenzato, che tanta solennità ti lascia nel cuore, è l'eco dell'immensa armonia degli astri, e del solenne silenzio dei cieli.
La mia vita, così come la vuole Dio, con le sue prove, con le sue lotte, con le sue amarezze, è come l'orologio che segna nel mondo le meraviglie della vita soprannaturale. Gesù Cristo è la vita, la verità e la via; io sono il quadrante che segna la manifestazione di questa vita in me.
Gesù Cristo solo vale, ed io nella mia vita non faccio che esprimere o positivamente o negativamente la grandezza della sua vita.
Noi siamo come un barometro: la sua lancetta si sposta verso la tempesta; sembra un disappunto, perché si è contratto il piccolo filamento che forma l'anima del barometro.
Quel piccolo spostamento appartiene al barometro, ma segna qualche cosa di colossale. Solleva lo sguardo in alto: vedrai le nubi oscure addensate nel cielo, ed ogni tanto un lampeggiare sinistro… Un cupo rimbombo ti assorda…, è il fulmine che cade… Scroscia la pioggia, inonda i campi, soffia il vento terribile, e tutto questo è segnato dal disappunto del barometro, dalla sua contrazione.
Così quando si dilata e segna il bel tempo, quel movimento segna sul piccolo quadrante il sole splendente, l'azzurro del cielo, il pacifico corso delle cose.
Chi può disprezzare la vita nostra, che raccoglie tanti misteri di amore, e che è piena di tanta attività?
È un errore pericoloso il considerare nella vita soltanto il nostro tornaconto particolare.
Un sofferente non è un infelice, è uno che è più attivo di tutti: o è un santo, ed allora rappresenta l'operaio che lavora per avere la sua giornata e per glorificare il suo padrone; o è un perverso, ed allora rappresenta la bruttura del male, ed il fermentare di chi si separa dalla pianta viva e cade nell'acqua appantanata dove marcisce. Sta in nostro potere impedire questa fermentazione: basta unirsi a Gesù Cristo vivente.
Un bambino che nasce macilento, e magari tisico, è sempre una vita preziosa e raccoglie sempre un'anima immortale, predestinata all'eternità. Impedire quella vita o stroncarla, è un inaudito delitto.
Un morente a cui si prolunga la vita di un minuto, rappresenta un uomo che compie la sua missione e suona gli ultimi rintocchi delle ore che gli furono assegnate per glorificare Dio nella felicità eterna.
Prostriamoci innanzi a Dio con grande riconoscenza, perché ci ha dato la vita!
Noi non siamo abbandonati o soli, o reietti; su di noi veglia l'amor suo; e sappiamo di fede che tutto è per il nostro bene. Anche un'amarezza, un dolore, un'angoscia, un'incertezza, dobbiamo accoglierla come un tesoro di Dio.
Egli ci è Padre, e noi siamo sue creature!
E quando ci assale il tedio, e tutto par che ci vada male, allora, proprio allora la nostra vita è gettata nel fuoco della Passione di Gesù Cristo per essere fusa e modellata in Lui.
Raccogliamoci con Lui nel tedio dell'Orto degli ulivi, nella amarezza della Passione, e prepariamoci ad essere con Lui glorificati.

Don Dolindo Ruotolo

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Chi ha orecchi per intendere intenda !

San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli,
dottore della Chiesa Discorsi 44 sul vangelo di Matteo, 3-4 ; PG 57, 467-469

Nella parabola del seminatore, Cristo ci mostra che la sua parola è destinata a tutti, indistintamente. Infatti come il seminatore della parabola, senza fare nessuna distinzione fra i terreni, semina ai quattro venti, così il Signore non distingue il ricco dal povero, il saggio dallo stolto, il negligente dal diligente, il coraggioso dal vigliacco, ma si rivolge a tutti e, pur conoscendo l’avvenire, fa da parte sua di tutto finché non possa dire : « Che cosa dovevo fare ancora che io non abbia fatto ? » (Is 5,4)…

Inoltre, il Signore dice questa parabola per incoraggiare i suoi discepoli ed educarli a non lasciarsi abbattere, anche se coloro che accolgono la parola sono meno numerosi di quelli che la sprecano. Così faceva il nostro Maestro che, pur conoscendo l’avvenire, non cessava di spargere il suo seme.

Ma, dirai, a che pro seminare tra le spine, fra i sassi o lungo la strada ? Se si trattasse di un seme e una terra materiali, non avrebbe nessun senso ; ma poiché si tratta delle anime e della Parola, la cosa è degna di elogi. A ragione si rimprovererebbe a un coltivatore di agire così ; il sasso non può diventare terra, la strada non può non essere una strada, né le spine non essere delle spine. Ma nella sfera spirituale, non è lo stesso : il sasso può diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente. Se questo non fosse possibile, il seminatore non avrebbe sparso il seme come ha fatto.
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martedì 26 gennaio 2010

Un incontro personale con Dio

Quando lo ricevi, digli: Signore, spero in Te; ti adoro, ti amo, aumenta la mia fede. Sii il sostegno della mia debolezza, Tu che sei rimasto nell'Eucaristia, inerme, per porre rimedio alla debolezza delle creature. (Forgia, 832)

Non faccio davvero una scoperta se dico che alcuni cristiani hanno un'idea assai povera della Santa Messa, e che altri la vedono solo come un rito esteriore, se non addirittura come una forma di convenzionalismo. È la meschinità del nostro cuore che ci fa accogliere come per abitudine il più grande dono che Dio potesse fare agli uomini. Nella Messa — in questa Messa che stiamo celebrando adesso — interviene in modo particolare, ripeto, la Santissima Trinità. Per corrispondere a tanto amore ci si richiede una totale donazione, del corpo e dell'anima: noi infatti ascoltiamo Dio, gli parliamo, lo vediamo, lo gustiamo. E quando le parole non ci sembrano sufficienti cantiamo, incitando la nostra lingua — Pange,lingua! — a proclamare davanti a tutta l'umanità le meraviglie del Signore.
Vivere la Santa Messa significa rimanere in preghiera continua, con la convinzione che per ciascuno di noi si tratta di un incontro personale con Dio: lo adoriamo, lo lodiamo, gli chiediamo tante cose, lo ringraziamo, facciamo atti di riparazione per i nostri peccati, ci purifichiamo, ci sentiamo una cosa sola, in Cristo, con tutti i cristiani.(E' Gesù che passa, nn. 87-88)
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Timoteo e Tito: due collaboratori di Paolo

Papa Benedetto XVI
Udienza generale del 13/12/06 - Copyright © Libreria Editrice Vaticana

Ad essi sono indirizzate tre Lettere tradizionalmente attribuite a Paolo, delle quali due destinate a Timoteo e una a Tito, suoi due collaboratori più stretti. Timoteo è un nome greco e significa «che onora Dio». Mentre Luca negli Atti lo menziona sei volte, Paolo nelle sue lettere fa riferimento a lui ben diciassette volte (in più lo si trova una volta nella Lettera agli Ebrei). Se ne deduce che agli occhi di Paolo egli godeva di grande considerazione...

Quanto poi alla figura di Tito, il cui nome è di origine latina, sappiamo che di nascita era greco, cioè pagano (cfr Gal 2,3). Paolo lo condusse con sé a Gerusalemme per il cosiddetto Concilio apostolico, nel quale fu solennemente accettata la predicazione ai pagani del Vangelo... Dopo la partenza di Timoteo da Corinto, Paolo vi inviò Tito con il compito di ricondurre quella indocile comunità all'obbedienza.

Concludendo, se consideriamo unitariamente le due figure di Timoteo e di Tito, ci rendiamo conto di alcuni dati molto significativi. Il più importante è che Paolo si avvalse di collaboratori nello svolgimento delle sue missioni. Egli resta certamente l'Apostolo per antonomasia, fondatore e pastore di molte Chiese. Appare tuttavia chiaro che egli non faceva tutto da solo, ma si appoggiava a persone fidate che condividevano le sue fatiche e le sue responsabilità. Un'altra osservazione riguarda la disponibilità di questi collaboratori.
Le fonti concernenti Timoteo e Tito mettono bene in luce la loro prontezza nell'assumere incombenze varie, consistenti spesso nel rappresentare Paolo anche in occasioni non facili. In una parola, essi ci insegnano a servire il Vangelo con generosità, sapendo che ciò comporta anche un servizio alla Chiesa stessa...
Mediante il nostro impegno concreto dobbiamo e possiamo scoprire la verità di queste parole,... essere anche noi ricchi di opere buone e così aprire le porte del mondo a Cristo, il nostro Salvatore.
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lunedì 25 gennaio 2010

Disposti a una nuova conversione

I tuoi parenti, i tuoi colleghi, i tuoi amici, stanno notando il cambiamento, e si rendono conto che il tuo non è un passaggio momentaneo, che non sei più lo stesso. Non preoccuparti, va' avanti! Si avvera il «vivit vero in me Christus» adesso è Cristo che vive in te. (Solco, 424)

Qui habitat in adiutorio Altissimi, in protectione Dei coeli commorabitur, abitare sotto la protezione di Dio, vivere con Dio: in questo consiste la rischiosa sicurezza del cristiano. Bisogna persuadersi che Dio ci ascolta, che è accanto a noi: e il nostro cuore si riempirà di pace. Ma vivere con Dio è indubbiamente un rischio, perché il Signore non si accontenta di condividere: chiede tutto. E avvicinarsi un po' di più a Lui vuoi dire essere disposti a una nuova conversione, a una nuova rettificazione, ad ascoltare più attentamente le sue ispirazioni, i santi desideri che egli fa sbocciare nella nostra anima, e a metterli in pratica.
Certo, dai tempi della nostra prima decisione cosciente di vivere integramente la dottrina di Cristo, abbiamo fatto molti passi sulla strada della fedeltà alla sua Parola. Eppure, non è vero che restano ancora tante cose da fare? Non è vero che resta, soprattutto, tanta superbia? C'è indubbiamente bisogno di un nuovo cambiamento, di una lealtà più piena, di un'umiltà più profonda, affinché diminuisca il nostro egoismo e Cristo cresca in noi; infatti, illum oportet crescere, me autem minui, bisogna che Egli cresca e che io sminuisca.
Non si può rimanere inerti. È necessario avanzare verso la meta indicata da san Paolo: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. L'ambizione è grande e nobile: è l'identificazione con Cristo, la santità. D'altronde non c'è altra strada se si desidera essere coerenti con la vita divina che Dio stesso, mediante il battesimo, ha fatto nascere nelle nostre anime.
Andare avanti significa progredire in santità; si retrocede, invece, se si rinuncia allo sviluppo della vita cristiana. Il fuoco dell'amore di Dio ha bisogno di essere alimentato, di crescere ogni giorno, di gettare profonde radici nell'anima; e il fuoco si mantiene vivo a condizione di bruciare cose sempre nuove. Se non avvampa, rischia di estinguersi. (E' Gesù che passa, 58)

Settimana di preghiera per unità cristiani - giorno 8

Testimoniare nell’ospitalità

Avete qualcosa da mangiare? (Lc 24, 41)

Genesi 18, 1-8 Poi vi darò qualcosa da mangiare
Salmo 146(145), 1-10 Difende la causa dei perseguitati [...] dà il pane agli affamati
Romani 14, 17-19 Cerchiamo quindi ciò che contribuisce alla pace e all’aiuto reciproco
Luca 24, 41-48 Gesù li aiutò a capire le profezie della Bibbia

Commento:
La comunicazione elettronica ci ha reso, oggi, vicini, in un pianeta piccolo e sovraffollato. Come ai tempi dell’evangelista Luca, anche oggi molti individui e comunità hanno dovuto lasciare le proprie case, viaggiando e girovagando in territori stranieri. Fedeli appartenenti alle grandi religioni del mondo hanno portato con sé nuovi credo e nuove culture nelle nostre comunità.

Durante la Settimana di preghiera, riconosciamo l’ospitalità e la compagnia di cristiani di tutte le chiese, nel nostro comune cammino verso l’unità. Dio stesso ci invita a offrire e a ricevere l’ospitalità dello straniero che ci è divenuto prossimo. Certamente, se non riusciamo a vedere Cristo nel prossimo, non lo riusciamo a vedere affatto.

La storia della Genesi narra di come Abramo abbia accolto Dio aprendogli la propria casa e offrendo ospitalità allo straniero. Il Dio di tutta la creazione è nel prigioniero, nel cieco, nello straniero. Il salmo odierno è un’offerta di lode a Dio per la sua fedeltà senza fine e per tutto ciò che Egli ha compiuto per noi. La lettera ai Romani ci ricorda che il regno di Dio è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Il Cristo risorto raduna i discepoli insieme, mangia con loro, ed essi lo riconoscono nuovamente. Egli rammenta loro ciò che le Scritture hanno detto su di lui e spiega loro ciò che non avevano compreso prima. Poi, Egli li libera dai loro dubbi e dalle loro paure, e li invia perché divengano testimoni di tutto ciò. Nel creare questo spazio di incontro, Egli li rende capaci di ricevere la sua pace, che implica la giustizia verso gli oppressi, la cura degli affamati e il reciproco sostegno, quali doni del nuovo mondo di resurrezione. I cristiani, nella storia, hanno trovato il Cristo risorto ogni volta che hanno servito e sono stati serviti da persone di fede diversa, ed anche noi possiamo incontrare Cristo quando condividiamo la nostra vita e i nostri doni.

Preghiera:
O Dio di amore,Tu ci ha mostrato la tua ospitalità in Cristo.Riconosciamo che nella condivisione dei doni, noi ti incontriamo.Donaci la grazia di diventare una sola cosa nel nostro cammino insiemee di riconoscere te nel nostro prossimo.Fa’ che, quando accogliamo lo straniero nel tuo nome,diveniamo testimoni della tua ospitalità e della tua giustizia. Amen.


Domande per la riflessione personale
1. In quale misura il paese in cui vivi è ospitale verso lo straniero?

2. In quale modo uno straniero può trovare ospitalità e uno spazio per vivere, nel tuo contesto?
3. In quale modo puoi mostrare gratitudine verso coloro che ti hanno mostrato ospitalità rendendosi disponibili?
4. In quale modo la croce ci mostra che l’ospitalità di Dio è un’ospitalità vissuta nella donazione totale di sé?
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Che devo fare, Signore ?

San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli,
dottore della Chiesa Omelia su san Paolo, 4, § 1-2

Il beato Paolo, che ci raduna oggi, ha illuminato la terra. Nell’ora della sua chiamata è stato accecato ; eppure questa cecità ha fatto di lui una fiaccola per il mondo. Vedeva chiaro per fare il male ; nella sua sapienza, Dio lo ha accecato per poi rischiararlo per il bene. Dio non gli ha semplicemente manifestato la sua potenza ; gli ha anche rivelato il cuore della fede che avrebbe dovuto predicare.
Occorreva cacciare lontano da lui tutti i suoi pregiudizi, chiudere gli occhi e abbandonare le false luci della ragione per scorgere la retta dottrina, « farsi stolto per diventare sapiente », come egli dirà più tardi (1 Cor 3,18)… Nessuno creda tuttavia che questa vocazione gli fosse stata imposta ; Paolo era libero di scegliere…

Ardente, impetuoso, Paolo aveva bisogno di un freno energico per non disprezzare, travolto dalla foga, la voce di Dio. Dio quindi ha prima represso tale impeto ; mentre lo colpisce di cecità, placa la sua ira ; poi gli parla.
Gli fa conoscere la sua sapienza ineffabile, perché riconosca colui che prima combatteva e capisca che non può più resistere alla sua grazia. Non è la mancanza di luce che lo ha accecato, bensì la sovrabbondanza di luce.

Dio ha scelto proprio il momento ; Paolo è il primo a riconoscerlo : « Quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio » (Gal 1, 15)…
Impariamo dunque per bocca stessa di Paolo che nessuno ha mai trovato Cristo per mezzo del proprio spirito. È Cristo ad essersi rivelato e fatto conoscere.
Così dice il Salvatore : « Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi » (Gv 15,16)
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domenica 24 gennaio 2010

Maria, regina della pace

Maria, Regina pacis, regina della pace, tu che avesti fede e credesti che si sarebbe compiuto l'annuncio dell'Angelo, aiutaci a crescere nella fede, a essere saldi nella speranza, profondi nell'Amore. Perché questo vuole da noi tuo Figlio, mostrandoci oggi il suo Sacratissimo Cuore. (E' Gesù che passa, 170).

Caratteristica evidente di un uomo di Dio, di una donna di Dio, è la pace della sua anima: ha “la pace” e dà la pace alle persone che frequenta. (Forgia, 649).

Non è lecito farsi scudo di ragioni apparentemente devote, per defraudare il prossimo di ciò che gli è dovuto: Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore [1 Gv 4, 20]. Ma cade nello stesso inganno anche chi lesina al Signore l'amore e l'ossequio — l'adorazione — che gli sono dovuti in quanto Creatore e Padre nostro; e altrettanto avviene per chi rifiuta di obbedire ai suoi comandamenti, con il falso pretesto di qualche incompatibilità con il servizio agli uomini, perché san Giovanni avverte espressamente che da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi (Amici di Dio, n. 166)

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Settimana di preghiera per unità cristiani - giorno 7

Testimoniare nella speranza e nella fiducia

Perché avete tanti dubbi dentro di voi?” (Lc 24, 38)

Giobbe 19, 23-27 Lo vedrò accanto a me
Salmo 63(62), 1-12 Sono assetato di te
Atti 3, 1-10 Quello che ho te lo do volentieri
Luca 24, 36-40 Sconvolti e pieni di paura

Commento:
Nel loro cammino di vita e di fede, tutti i cristiani sperimentano momenti di dubbio. Quando i cristiani non riescono a riconoscere la presenza del Cristo risorto, l’essere insieme talvolta aggrava questi dubbi, invece di alleggerirli.

La sfida che i cristiani devono affrontare è di continuare a credere che, anche quando non vedono o non percepiscono Dio, Egli rimane con loro. Le virtù di fede, speranza e fiducia permettono loro di testimoniare che la fede va oltre le loro stesse possibilità.

Il personaggio di Giobbe ci offre l’esempio di un uomo che ha affrontato prove difficili e tribolazioni, ed ha persino dibattuto con Dio. Nella fede e nella speranza, tuttavia, egli ha creduto che Dio sarebbe rimasto accanto a lui. La medesima convinzione e la stessa fiducia caratterizzano l’azione di Pietro e Giovanni, nella guarigione dello storpio narrata negli Atti. La loro fede nel nome di Gesù permette loro di testimoniare con potenza a tutti i presenti. La preghiera del salmo di oggi riflette il nostro profondo desiderio dell’amore misericordioso di Dio.

Il nostro incontro durante questa Settimana di preghiera permette alle nostre comunità di crescere nella condivisione della fede, della speranza e dell’amore. Noi rendiamo testimonianza all’amore misericordioso di Dio verso l’unica Chiesa che siamo chiamati ad essere. Maggiore sarà la nostra testimonianza insieme, più vitale sarà il nostro messaggio.

Preghiera:
O Dio della speranza, mostraci il tuo disegno di unità nella Chiesa,e facci superare i nostri dubbi.Accresci la nostra fede nella tua presenza affinché tutti coloro che professano la fede in te possano adorarti insieme in spirito e verità. Preghiamo in modo particolare per quanti sono nel dubbio ora, per coloro che vivono nell’ombra del pericolo e della paura,rimani con loro, o Dio, e dona loro la tua presenza consolatrice. Amen.

Domande per la riflessione personale
1. Come affronti le tue paure e i tuoi dubbi?
2. In quale modo tu stesso, con il tuo comportamento, potresti essere causa di paura o di ansietà per gli altri?
3.Quando sei riuscito ad affrontare le tue stesse paure e dubbi, superandoli e dando così testimonianza della tua fede in Cristo?
4. In quale modo le comunità cristiane possono incoraggiarsi reciprocamente nella fede e nella speranza?
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sabato 23 gennaio 2010

Lettera Padre Livio 23/1/10

Cari amici,
il terremoto di Haiti, con le devastazioni e le decine di migliaia di cadaveri, fra i quali moltissimi bambini, ha provocarto dolore e sgomento. Perchè tutto questo, se Dio è amore? E' un interrgativo spontaneo che ci sollecita ad approfondire la fede.
Lo spettacolo raccapricciante di una moltitudine di cadaveri ci richiama a una realtà che preferiamo nascondere il più possibile: l'onnipresenza del dolore e della morte nella vita umana. Si tratta di una costatazione: basta aprire gli occhi.
Ma chi, come i cristiani, guarda con gli occhi della fede che cosa vede? Vede le anime immortali di tutti coloro che, morendo, si aprono all'amore di Dio e vengono accolte nel suo Regno di gioia e di pace, Vede i morti che la terra ha ingoiato risuscitare nell'ultimo giorno a immagine della gloria di Cristo risorto. Vede nei sopravissuti che hanno perso ogni cosa la presenza di Gesù che chiede aiuto.
" Vidi poi un nuovo cielo e una terra nuova...Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme....Udii allora una voce potente che usciva dal trono: Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perchè le cose di prima sono passate" ( Apocalisse 21, 1-4).
La sofferenza e la morte che affliggono l'esistenza umana non sono l'ultima parola. In Cristo risorto avremo la gioia e la vita immortale.
Vostro Padre Livio

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Santo del giorno 24/1

San Francesco di Sales - Vescovo e Dottore della Chiesa (memoria)

Francesco, al secolo François, primogenito di tredici figli, nacque in Savoia nel castello di Sales, presso Thorens, il 21 ago­sto 1567, da Francesco I de Nouvelles, signore di Boisy, e da France­sca de Sionnaz.

Ricevette sin dalla più tenera età un’accurata educazione, coronata dagli studi universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova. Qui ricevette con grande lode il berretto dottorale e, ritornato in patria, fu nominato avvocato del Senato di Chambéry. Ma sin dalla sua frequentazione accademica erano iniziati ad emergere i suoi preminenti interessi teologici, culminati poi nella scoperta della vocazione sacerdotale che deluse, però, le aspettative paterne.

Ordinato sacerdote il 18 dicembre 1593, fu inviato nella regione del Chablais (zona montana situata al nord della Savoia), dominata dal Calvinismo, dove si dedicò soprattutto alla predicazione, prediligendo il metodo del dialogo. Fu sacerdote zelante ed instancabile lavoratore. Visti gli scarsi frutti ottenuti dal pulpito, si diede alla pubblicazione di fogli volanti, che egli stesso faceva scivolare sotto gli usci delle case o affiggeva ai muri; ma anche quei foglietti, che egli cacciava sotto le porte delle case, ebbero scarsa efficacia.

Spinto da un enorme desiderio di salvaguardare la cristianità, mentre imperversava la Riforma portata avanti da Calvino e dai suoi seguaci, Francesco chiese udienza al vescovo di Ginevra, affinché lo destinasse a quella città, appunto il simbolo supremo del calvinismo e massima sede dei riformatori. Una volta insediatosi a Ginevra, non si fece remore a discutere di teologia con i protestanti, desideroso di recuperare quante più “anime” possibili alla Chiesa e soprattutto alla causa di Cristo da lui ritenuta genuina.
Inoltre, il suo pensiero costante era rivolto alla condizione dei laici, preoccupandosi di sviluppare una predicazione ed un modello di vita cristiana che fosse alla portata anche delle persone comuni, quelle cioè immerse nella vita difficile di tutti i giorni.
Proverbiali i suoi insegnamenti pervasi di comprensione e di dolcezza, permeati dalla ferma convinzione che, a supporto delle azioni umane, vi fosse sempre la presenza di Dio. Non per nulla molti dei suoi insegnamenti sono intrisi di misticismo e di nobile elevazione spirituale (l'Enciclopedia Garzanti della Letteratura lo definisce: “elegante predicatore e prosatore alieno dai toni aspri, abile nell'intrecciare immagini e idee”).

I suoi enormi sforzi ed i grandi successi ottenuti in termini pastorali gli meritarono la nomina a vescovo coadiutore di Ginevra già nel 1599, a trentadue anni di età e dopo soli sei anni di sacerdozio.
Dopo altri tre anni divenne vescovo a pieno titolo e si spese per l’introduzione nella sua diocesi delle riforme promulgate dal Concilio di Trento. La città rimase comunque nel suo complesso in mano ai riformati ed il novello vescovo dovette trasferire la sua sede nella cittadina savoiarda di Annecy, “Venezia delle Alpi”, sulle rive del lago omonimo.

Fu anche direttore spirituale di S. Vincenzo de’ Paoli. Nel corso della sua missione di predicatore, nel 1604, conobbe, a Digione, la nobildonna Giovanna Francesca Frèmiot, vedova del barone de Chantal, con cui iniziò una corrispondenza epistolare ed una profonda amicizia che sfociarono nella fondazione dell’ “Ordine della Visitazione”.

“Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore”: in questa affermazione di Francesco di Sales sta il segreto della simpatia che egli seppe suscitare tra i suoi contemporanei.

Il duca di Savoia, dal quale Francesco dipendeva politicamente, sostenne l’opera, dell’inascoltato apostolo, con la maniera forte, ma non addicendosi l’intolleranza al temperamento del santo; quest’ultimo preferì portare avanti la sua battaglia per l’ortodossia con il metodo della carità, illuminando le coscienze con gli scritti, per i quali ha avuto il titolo di Dottore della Chiesa.

Le sue principali opere furono :
- “Filotea” (S. Francesco di Sales così si è espresso nella prefazione al suo libro: "Rivolgo la mia parola a Filotea; volendo mettere a disposizione di molte anime ciò che in un primo tempo avevo scritto per una sola, uso il nome comune a tutte quelle che vogliono essere devote; Filotea, infatti, vuol dire amante e desiderosa di amare Dio");
- “Trattato dell'amore di Dio”, testi fondamentali della letteratura religiosa di tutti i tempi. Quello dell’amore di Dio fu l’argomento con il quale convinse i recalcitranti ugonotti a tornare in seno alla Chiesa Cattolica.

L’11 dicembre 1622 a Lione ebbe l’ultimo colloquio con la sua penitente e qui morì, per un attacco di apoplessia, il 28 dello stesso mese nella stanzetta del cappellano delle Suore della Visitazione presso il monastero.
Il 24 gennaio 1623 il corpo mortale del santo fu traslato ad Annecy, nella chiesa oggi a lui dedicata, ma in seguito fu posto alla venerazione dei fedeli nella basilica della Visitazione, sulla collina adiacente alla città, accanto a S. Giovanna Francesca di Chantal.

San Francesco di Sales fu beatificato nel 1661 e canonizzato nel 1665.
Pp Leone XIII lo proclamò Dottore della Chiesa nel 1887; Pp Pio XI lo proclamò “Patrono dei giornalisti” nel 1923.

S. Francesco di Sales, considerato quale padre della spiritualità moderna, ha influenzato le maggiori figure non solo del “grand siècle” francese, ma anche di tutto il Seicento europeo, riuscendo a convertire al cattolicesimo addirittura alcuni esponenti del calvinismo.
È infine doveroso ricordare come al suo nome si siano ispirate parecchie congregazioni, tra le quali la più celebre è indubbiamente la Famiglia Salesiana fondata da S. Giovanni Bosco, la cui attenzione si rivolge più che altro alla crescita ed all’educazione delle giovani generazioni, con un’attenzione tutta particolare alla cura dei figli delle classi meno abbienti.

Significato del nome Francesco : “uomo libero” (antico tedesco).
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Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi

Sant’Ambrogio (circa 340-397), vescovo di Milano e dottore della Chiesa
Commento sui salmi, 1, 33 ; CSEL 64, 28-30

Dissétati prima all’Antico Testamento, per poter bere quindi dal Nuovo. Se non berrai al primo, non potrai bere al secondo. Bevi al primo per alleviare la tua sete, bevi al secondo per dissetarti appieno... Bevi l’uno e l’altro calice, quello dell’Antico e quello del Nuovo Testamento, perché in ambedue bevi Cristo. Bevi Cristo che è la vite (Gv 15,1), bevi Cristo che è la pietra da cui scaturì l’acqua (1 Cor 10,3). Bevi Cristo che è la fonte della vita (Sal 36,10); bevi Cristo perché egli è “il fiume che allieta la città di Dio (Sal 45,5); bevi Cristo che è la pace (Ef 2,14); bevi Cristo perché “fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7,38). Bevi Cristo per dissetarti col sangue da cui sei stato redento; bevi Cristo, bevi la sua parola: sua parola è l’Antico e il Nuovo Testamento. Si beve la sacra Scrittura, anzi la si devora, quando fluisce nell’anima e le dà vigore la linfa del Verbo eterno. Infine, “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Dt 8,3; Mt 4,4). Bevi questa parola, ma bevila nell’ordine in cui essa procede: prima nell’Antico Testamento, poi nel Nuovo.
Egli dice infatti quasi con premura : “Popolo che cammini nelle tenebre, vedi questa grande luce; su di te che abiti in terra tenebrosa, una luce rifulge” (Is 9,2 LXX). Bevi subito dunque, perché su di te splenda una gran luce: non la luce comune, quella del giorno, del sole o della luna, ma la luce che dissipa l’ombra della morte.
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Consummati in unum

Chi aspira all'unità, deve porsi di fronte a Cristo che prega affinché siamo consummati in unum, perfetti nell'unità. La sete di giustizia deve guidarci alla sorgente da cui scaturisce la concordia fra gli uomini: l'essere e il sapersi figli del Padre, e quindi fratelli. (E' Gesù che passa, 157)

Triste ecumenismo quello che sta sulla bocca di cattolici che maltrattano altri cattolici! (Solco, 643)

Dissi una volta al Santo Padre Giovanni XXIII, incoraggiato dal fascino affabile e paterno della sua persona: "Padre Santo, nella nostra Opera tutti gli uomini, siano o no cattolici, hanno trovato sempre accoglienza: non ho imparato l'ecumenismo da Vostra Santità". Egli rise commosso, perché sapeva che, fin dal 1950, la Santa Sede aveva autorizzato l'Opus Dei ad accogliere come associati cooperatori i non cattolici e perfino i non cristiani.
E in effetti sono parecchi - né mancano fra di loro dei pastori e addirittura dei vescovi delle rispettive confessioni - i fratelli separati che si sentono attratti dallo spirito dell'Opus Dei e collaborano ai nostri apostolati. E sono ogni giorno più frequenti - man mano che si intensificano i contatti - le manifestazioni di simpatia e di intesa cordiale che nascono dal fatto che i soci dell'Opus Dei hanno come cardine della loro spiritualità il semplice proposito di dare responsabile attuazione agli impegni e alle esigenze battesimali del cristiano. Il desiderio di tendere alla santità cristiana e di praticare l'apostolato, procurando la santificazione del proprio lavoro professionale; il vivere immersi nella realtà secolari rispettando la loro autonomia, ma trattandole con lo spirito e l'amore delle anime contemplative; il primato che nell'organizzazione delle nostre attività diamo alla persona, all'azione dello Spirito nelle anime, al rispetto della dignità e della libertà che nascono dalla filiazione divina del cristiano (Colloqui con Monsignor Escrivá, 22)
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Settimana di preghiera per unità cristiani - giorno 6

Testimoniare nella fedeltà alle Scritture

Non ci sentivamo come un fuoco nel cuore, quando egli lungo la via ci parlava e ci spiegava la Bibbia?” (Lc 24, 32)

Isaia 55, 10-11 Così è anche della parola che esce dalla mia bocca: non ritorna a me senza produrre effetto
Salmo 119(118), 17-40 Aprimi gli occhi e contemplerò i frutti stupendi della tua legge
2 Timoteo 3, 14-17 Tutto ciò che è scritto nella Bibbia è ispirato da Dio
Luca 24, 28-35 Gesù rivela le Scritture ai suoi discepoli


Commento:
I cristiani scoprono la parola di Dio in modo privilegiato, attraverso la lettura delle Sacre Scritture e i sacramenti. Nell’ascolto fedele della proclamazione della Sacra Scrittura e della lettura, in preghiera, dei vari libri della Bibbia, aprono il loro cuore e la loro mente a ricevere la vera parola di Dio. Gesù ha promesso ai suoi discepoli che avrebbe mandato il suo Spirito per far loro comprendere pienamente la parola di Dio, e per condurli alla verità tutta intera.
Storicamente, i cristiani sono stati divisi nella lettura e nella comprensione della parola di Dio. Spesso hanno utilizzato la Bibbia più per enfatizzare il loro disaccordo che per trovare sentieri di riconciliazione. Fortunatamente, in tempi recenti, la Sacra Scrittura ha avvicinato i cristiani, nella ricerca dell’unità. Studi biblici congiunti sono divenuti un comune strumento di crescita insieme.
Il cammino di fede che celebriamo durante questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è saldamente radicato nell’ascolto condiviso della parola di Dio, nella ricerca comune di comprenderla e di viverla. Il profeta Isaia ci rammenta che la parola di Dio proclamata con potenza è realmente efficace ed operativa, non ritorna a Dio senza frutto, ma realizza il proposito per cui è stata mandata. Questo messaggio è ripetuto nelle parole indirizzate a Timoteo, allorquando egli è spinto a credere nell’efficacia della Scrittura, che rende i fedeli capaci di buone opere. Il salmo dà lode alle parole e agli statuti di Dio e lo implora di donarci la comprensione per custodire la legge santa con tutto il cuore.
Durante questa Settimana per l’unità preghiamo che tutti i cristiani possano entrare più profondamente nel mistero della meravigliosa rivelazione di Dio, come essa giunge a noi dalla Sacra Scrittura. Eleviamo la nostra supplica allo Spirito Santo, perché ci faccia meglio comprendere la parola di Dio e ci diriga nel nostro cammino di fede fino a che non saremo riuniti tutti attorno all’unica mensa del Signore.


Preghiera:
O Dio Padre,ti lodiamo e ti ringraziamo per la tua parola salvificache riceviamo nella Sacra Scrittura.Ti ringraziamo per i nostri fratelli e le nostre sorelle con cui condividiamo la tua parola e insieme ai quali scopriamo l’abbondanza del tuo amore. Fa’ che siamo docili alla luce dello Spirito Santo affinché la tua parola possa condurci e dirigerci in questa volontà di maggiore unità. Amen.


Domande per la riflessione personale
1. Quali brani della Sacra Scrittura sono più significativi per te?

2. Nella tua vita, chi o che cosa fa accendere nel tuo cuore la passione per il vangelo e il desiderio di rendere testimonianza a Cristo?
3. Quali brani della Scrittura ti hanno aiutato a comprendere meglio la testimonianza degli altri cristiani?
4. Come possono le nostre chiese utilizzare la Sacra Scrittura più efficacemente nella loro vita quotidiana e nella loro preghiera?
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venerdì 22 gennaio 2010

Gesù, uomo mangiato

Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità
No greater love

Quando Gesù venne in questo mondo, lo amò con un amore così grande da dare la sua vita per lui. Venne per soddisfare la nostra fame di Dio. E come fece questo ? Egli in persona diventò il Pane della Vita. Si fece piccolo, fragile, disarmato per noi. Le briciole di pane sono così minuscole che pure un bambino può masticarle, pure un agonizzante può mangiarle. È diventato il Pane della Vita per sfamare il nostro appetito di Dio, la nostra fame di Amore.
Credo che non avremmo mai potuto amare Dio, se Gesù non fosse divenuto uno di noi. Ed è divenuto uno di noi in ogni cosa, eccetto il peccato, per renderci capaci di amare Dio. Creati a immagine di Dio, siamo stati creati per amare, poiché Dio è amore. Nella sua passione, Gesù ci ha insegnato come perdonare per amore, come dimenticare per umiltà. Trova Gesù, e troverai la pace.
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Siate allegri, sempre allegri

Nessuno è felice, sulla terra, fino a quando decide di non esserlo. Così si snoda il cammino: dolore, in senso cristiano!, Croce; Volontà di Dio, Amore; felicità quaggiù e, poi, eternamente. (Solco, 52)

«Servite Domino in laetitia!» Servirò Dio con gioia! Una gioia che sarà conseguenza della mia Fede, della mia Speranza e del mio Amore..., che deve durare sempre, perché, come ci assicura l'Apostolo, «Dominus prope est!»... il Signore mi segue da vicino.
Camminerò con Lui, pertanto, ben sicuro, giacché il Signore è mio Padre..., e con il suo aiuto compirò la sua amabile Volontà, anche se mi costa. (Solco, 53)

Un consiglio che vi ho ripetuto insistentemente: siate allegri, sempre allegri. Siano tristi quelli che non si considerano figli di Dio. (Solco, 54)
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Settimana di preghiera per unità cristiani - giorno 5

Testimoniare nella sofferenza

“Il Messia non doveva forse soffrire queste cose prima di entrare nella sua gloria?” (Lc 24, 26)

Isaia 50, 5-9 Il Signore mi è vicino, egli mi difenderà
Salmo 124(123), 1-8 Il nostro aiuto viene dal Signore
Romani 8, 35-39 L’amore di Dio si è rivelato in Cristo Gesù
Luca 24, 25-27 Gesù spiegò ai due discepoli i passi della Bibbia che lo riguardavano

Commento:
Negli ultimi anni sono accaduti in Scozia due eventi che hanno portato questo piccolo paese all’attenzione dei media in tutto il mondo: l’attacco bomba sull’aereo sopra Lockerbie e il massacro dei bambini nella scuola di Dunblane, tragedie che hanno catturato l’attenzione dell’intera nazione, che sempre ricorderà questa terribile perdita di vite umane. I due eventi hanno causato dolore e indescrivibile amarezza a moltissime persone, e le conseguenze si sono sentite ben oltre i confini fisici dei due luoghi. Persone innocenti hanno trovato la morte in circostanze orribili.
La sofferenza è una realtà di cui il profeta Isaia parla con forza nella lettura di oggi, ricordandoci che Dio non si rassegna mai a vedere l’umanità che soffre. Il salmo, in risposta, proclama la fiducia che i credenti devono avere nel loro Salvatore. La lettera ai Romani afferma la certezza che l’amore sarà sempre più forte, e che il dolore e la pena non prevarranno mai, giacché prima di offrire la resurrezione al mondo, Cristo ha affrontato una morte terribile e ha conosciuto l’oscura profondità della tomba, per poter essere sempre accanto a noi, anche nei momenti bui.
Sulle orme del Signore, i cristiani che desiderano la piena unità sono chiamati a mostrare la loro solidarietà a quanti sono provati, nella propria vita, da tragiche situazioni di sofferenza, per confessare che l’amore è più forte della morte. È dall’estrema umiliazione della tomba che la resurrezione è giunta come un sole per l’umanità; un’annunciazione festosa di vita, perdono e immortalità. Preghiera:
O Dio nostro Padre,guarda con compassione alla nostra situazione di povertà, sofferenza, peccato e morte, ti chiediamo perdono, guarigione, conforto e sostegno nelle nostre prove.Ti rendiamo grazie per tutti coloro che riescono a vedere la luce nella loro afflizione.Possa il tuo Spirito divino insegnarci la grandezza della tua compassione ed aiutarci a rimanere accanto alle nostre sorelle e ai nostri fratelli in difficoltà. Ricolmi della sua benedizione, fa’ che possiamo proclamare in unità e condividere con il mondo la vittoria del tuo Figlio sulla nostra vita, per sempre. Amen.

Domande per la riflessione personale
1. In quale modo puoi immedesimarti in coloro che soffrono e sono in difficoltà? 2. In quale modo, attraverso la sofferenza sperimentata nella tua vita, hai raggiunto una saggezza e una comprensione più profonde?
3. Come esprimi la solidarietà verso la sofferenza e l’oppressione sofferta da molte persone che vivono in povertà, e qual è la tua esperienza a riguardo?
4. Come renderesti testimonianza alla misericordia di Dio e alla speranza che trovi alla luce della croce di Cristo?
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Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare

Catechismo della Chiesa cattolica
§ 74-79 - Copyright © Libreria Editrice Vaticana

Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4), cioè di Gesù Cristo. È necessario perciò che il Cristo sia annunciato a tutti i popoli e a tutti gli uomini e che in tal modo la Rivelazione arrivi fino ai confini del mondo... «Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta la Rivelazione del sommo Dio, ordinò agli Apostoli di predicare a tutti, comunicando loro i doni divini, come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, il Vangelo che, prima promesso per mezzo dei profeti, Egli ha adempiuto e promulgato di sua bocca» [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7].
La trasmissione del Vangelo, secondo il comando del Signore, è stata fatta in due modi: oralmente, «dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca, dal vivere insieme e dalle opere di Cristo, sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo»; e per iscritto, «da quegli Apostoli e uomini della loro cerchia, i quali, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, misero in iscritto l'annunzio della della salvezza» [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7].
«Affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i vescovi, ad essi affidando il loro proprio compito di magistero» [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7]. Infatti, «la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva essere conservata con successione continua fino alla fine dei tempi» [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7]. Questa trasmissione viva, compiuta nello Spirito Santo, è chiamata Tradizione, in quanto è distinta dalla Sacra Scrittura, sebbene ad essa strettamente legata. Per suo tramite «la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni, tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede» [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7]. «Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega» [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7]. In tal modo la comunicazione, che il Padre ha fatto di sé mediante il suo Verbo nello Spirito Santo, rimane presente e operante nella Chiesa.

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giovedì 21 gennaio 2010

Una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui

Sant’Efrem Siro (circa 306-373), diacono in Siria, dottore della Chiesa
Diatèssaron, preghiera finale ; SC 12, 404


O misericordie, elargite e dispensate su tutti gli uomini. Esse dimorano in te, Signore, che nella tua compassione per tutti gli uomini sei andato loro incontro. Con la tua morte, hai aperto loro i tesori delle tue misericordie… Il tuo essere profondo infatti è nascosto alla vista degli uomini, ma abbozzato nei loro minimi movimenti. Le tue opere ci procurano lo schizzo del loro Autore, e le creature ci indicano il loro Creatore (Sap 13,1 ; Rm 1,20), perché noi potessimo toccare colui che si sottrae alla ricerca intellettuale, ma si lascia vedere nei suoi doni. È difficile giungere ad essergli presenti faccia a faccia, ma è facile avvicinarsi a lui.

Le nostre azioni di grazie non bastano, ma ti adoriamo in ogni cosa per il tuo amore verso tutti gli uomini. Tu distingui ognuno di noi, nel fondo del nostro essere invisibile, mentre siamo tutti uniti fondamentalmente mediante l’unica natura di Adamo… Adoriamo te, che hai posto ognuno di noi in questo mondo, che ci hai affidato tutto ciò che vi si trova, e che ce ne separerai, nell’ora che non conosciamo. Adoriamo te, che hai messo la parola sulla nostra bocca perché potessimo presentarti le nostre richieste. Ti acclama Adamo, che riposa nella pace, e anche noi che siamo la sua posterità, perché siamo tutti beneficiari della tua grazia. I venti ti lodano,… la terra ti loda,… i mari ti lodano,… gli alberi ti lodano,… anche le piante e i fiori ti benedicono… Tutte le cose si raccolgano e uniscano la loro voce per lodarti, rivaleggiando in azioni di grazie per tutte le tue bontà, e unite nella pace per benedirti ; tutte le cose alzino insieme per te un’opera di lode.

Spetta a noi tendere verso di te ogni nostra volontà, e spetta a te riversare su di noi un po’ della tua pienezza, perché la tua verità ci converta e così scompaia la nostra debolezza che, senza la tua grazia, non può giungere a te, Maestro di ogni dono.
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Settimana di preghiera per unità cristiani - giorno 4

Deuteronomio 6, 3-9 Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo!
Salmo 34(33), 1-23 Benedirò il Signore in ogni tempo
Atti 4, 32-35 La comunità dei credenti viveva unanime e concorde
Luca 24, 17-21 Noi speravamo...


Commento:
Abbiamo un enorme debito di gratitudine verso coloro la cui fede ha dato fondamento alla nostra vita cristiana oggi. Numerosi uomini e donne, attraverso la preghiera, la testimonianza e il culto, hanno assicurato che la fede venisse tramandata alle generazioni successive. La storia del cristianesimo in Scozia è rimarchevole: ricordiamo, ad esempio, san Niniano nel IV secolo, san Colombano nel VI, e molti santi celtici la cui fede era radicata nell’amore a Dio e nell’ammirazione per la sua creazione. La fede del popolo scozzese può esser attestata anche dall’importante ruolo avuto durante la Riforma nel XVI secolo e nel modo in cui questo spirito è stato saldamente mantenuto da allora.

Le letture di oggi affermano l’importanza di sostenere la comunità di fede per assicurare la diffusione della parola di Dio. Il brano del Deuteronomio ci offre la bellissima preghiera che le nostre sorelle e i nostri fratelli Ebrei usano ogni giorno per glorificare il Signore. Il salmo ci invita a rendere testimonianza con la lode di quanto abbiamo ricevuto come credenti, per mostrare la nostra fede attraverso la glorificazione e il rendimento di grazie. Il brano degli Atti descrive una comunità unita nella fede e nella carità. Il brano evangelico ci mostra Gesù al centro della fede che abbiamo ricevuto. Mentre ci uniamo ai nostri fratelli e alle nostre sorelle nella preghiera per l’unità in questa Settimana, accogliamo la ricca varietà dell’eredità cristiana. Preghiamo che la consapevolezza di questa comune eredità possa unirci maggiormente, mentre cresciamo sempre più nella fede.

Preghiera:
Signore Dio Padre,ti rendiamo grazie per tutte le persone e le comunità che hanno comunicato il messaggio dell’evangelo a noi,e ci hanno perciò dato oggi un solido fondamento per la nostra fede.

Ti preghiamo perché anche noi possiamo, insieme, testimoniare la nostra fede, cosicché altri possano conoscerti e accogliere con fiducia la verità della salvezza offerta in Gesù Cristo per la vita del mondo.
Amen.

Domande per la riflessione personale

1. Chi ti ha ispirato nella fede?
2. Quali sono gli aspetti della fede che ti stimolano di più nella vita di ogni giorno?
3. Quali pensi siano stati gli insegnamenti più importanti che ti sono stati tramandati?
4. In quale modo puoi riconoscere Dio che opera in te nel trasmettere la fede alle generazioni future?

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mercoledì 20 gennaio 2010

Preghiera a San Sebastiano

O glorioso San Sebastiano, Patrono dei Vigili Urbani d'Italia,
Tu, che nella vita hai mostrato l'autentica espressione del dovere verso Dio e l'Autorità,
Tu che hai anteposto il bene del popolo Tuo, con l'affrontare la morte pur di non negare la Tua fedeltà a Dio e al bene dei fratelli,
Ti preghiamo affinché con la Tua protezione possiamo adempiere al difficile compito affidatoci di custodi della legge,
di fedeltà al dovere e il coraggio nell'odierna testimonianza.
Aiutaci nella nostra quotidiana fatica, aiutaci ad essere suscitatori di concordia e di pace nella turbinosa vita che corre nel mondo.
Ti preghiamo, inoltre, di darci fermezza nella scelta, comprensione nelle difficoltà, gentilezza nei modi, carità e amore per il prossimo affinché, ognuno di noi, al termine della giornata possa come Te essere sereno nella propria coscienza di avere ubbidito a Dio e alla legge.Preservaci da ogni male e, quando verrà l'estrema ora, rendici forti nella fede affinché, come Te, soldati di Cristo, potremo riunirci nella Luce.

Settimana di preghiera per unità cristiani - giorno 3

Testimoniare consapevolmente

1 Samuele 3, 1-10 Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta
Salmo 23(22), 1-6 Il Signore è il mio pastore
Atti 8, 26-40 Allora Filippo [...] gli annunziò chi era Gesù
Luca 24, 13-19 Essi però non lo riconobbero, perché i loro occhi erano come accecati

Commento:
Crescere nella fede è un cammino complesso. Molte persone oggi, nel mondo, vivono di mille impegni, pressioni e responsabilità. Più ci circondiamo di pressanti attività, maggiore è poi la possibilità di travisare ciò che in effetti è davanti ai nostri occhi. Come i due discepoli nel vangelo, anche noi talvolta pensiamo di conoscere che cosa è reale, e cerchiamo di spiegare la nostra vita agli altri, ma invece non siamo coscienti dell’intera verità. Nel mondo di oggi siamo invitati a scorgere Dio anche negli eventi della vita più sorprendenti e improbabili.
Nell’odierna lettura dall’Antico Testamento ascoltiamo come Dio chiama Samuele e lo invita a rendere testimonianza. Samuele deve, anzitutto, ascoltare la sua parola. Ascoltare richiede un’aperta disposizione e una volontà di prestare attenzione a Dio. Questo desiderio di ascoltare la parola di Dio è anche presente nella lettura degli Atti, nell’episodio di Filippo e l’Etiope. Essi testimoniano la loro fede rispondendo a quanto viene loro chiesto in quel preciso momento storico. Essi ascoltano con attenzione e rispondono appropriatamente. Il salmo del buon pastore riflette la quieta fiducia di colui che è consapevole della tenera cura di Dio, che raduna il gregge e lo conduce a verdi pascoli.
Durante questa Settimana di preghiera cerchiamo di riconoscere Dio nelle nostre esperienze e nei nostri incontri di ogni giorno. Incontriamo continuamente persone familiari e altre che sono sconosciute, e possiamo imparare dalle esperienze spirituali gli uni degli altri tanto da acquisire una nuova visione della realtà di Dio. Questa consapevolezza della presenza di Dio ci sprona a lavorare per l’unità dei cristiani.

Preghiera:
O Signore Gesù, buon pastore, Tu ci vieni incontro e rimani in noi nella vita di tutti i giorni.
Ti preghiamo: donaci la grazia di essere consapevoli di tutto ciò che Tu fai per noi.
Ti chiediamo di prepararci ad essere aperti a tutto quanto Tu ci offri e di ricondurci tutti insieme. Amen.

Domande per la riflessione personale
1. Quando ti sei accorto della presenza di Dio nella tua vita?
2. Sei consapevole delle celebrazioni e delle tragedie globali? In quale modo le nostre chiese potrebbero, insieme, rispondere ad esse?
3. Esserne consapevoli è sufficiente, oppure si potrebbe far qualcosa di più per testimoniare la nostra fede?
4. In quale modo ti accorgi della presenza di Dio, anche quando non corrisponde alle tue aspettative?

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Non ti dia pena essere niente

Non dolerti se vedono le tue mancanze; l'offesa a Dio e lo scandalo che tu potresti cagionare: questo deve addolorarti. —Quanto al resto, lascia che sappiano come sei e ti disprezzino. —Non ti dia pena essere niente, perché così è Gesù che dovrà darti tutto. (Cammino, 596)

Dio nessuno l'ha mai visto — scrive san Giovanni Evangelista —; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato [Gv 1, 18], presentandosi allo sguardo attonito degli uomini: dapprima, come un neonato, a Betlemme; poi, come un bambino uguale agli altri; più tardi, nel tempio, come un adolescente assennato e sveglio; e, alla fine, con la figura amabile e attraente del Maestro, che faceva breccia nei cuori delle folle che lo seguivano con entusiasmo.
Basta rievocare pochi tratti dell'Amore di Dio che si incarna, e subito la sua generosità ci tocca l'anima, ci accende, ci spinge dolcemente a un dolore di contrizione per il nostro comportamento, così spesso meschino ed egoista. Gesù Cristo non esita ad abbassarsi per elevare noi dalla miseria alla dignità di figli di Dio, di fratelli suoi. Tu e io, invece, sovente ci inorgogliamo stoltamente per i doni e i talenti ricevuti, facendoli diventare un piedistallo per imporci sugli altri, come se il merito di certe azioni, portate a termine con relativa perfezione, dipendesse esclusivamente da noi: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto? [1, Cor 4, 7].Nel considerare la dedizione di Dio e il suo annichilimento — lo dico perché lo meditiamo, e ciascuno pensi a sé — la vanagloria, la presunzione del superbo rivelano la loro natura di peccati orrendi, proprio perché collocano la persona all'estremo opposto del modello che Gesù Cristo ci ha offerto col suo comportamento. Pensateci bene: Egli, che era Dio, umiliò se stesso. L'uomo, orgoglioso del proprio io, pretende a ogni costo di esaltare se stesso, non riconoscendo di essere fatto di rozza terraglia. (Amici di Dio, nn. 111-112)
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