lunedì 31 marzo 2014

Va’, tuo figlio vive

Gv 4,43-54
43 Trascorsi due giorni, partì di là per la Galilea. 44 Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. 45 Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch'essi infatti erano andati alla festa. 46 Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. 47 Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. 48 Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». 49 Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». 50 Gesù gli rispose: «Va', tuo figlio vive». Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. 51 Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». 52 Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un'ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». 53 Il padre riconobbe che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. 54 Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea. 

Nel racconto del secondo segno di Cana il protagonista è un pagano. I giudei, i samaritani e i pagani erano le tre categorie che formavano l’umanità. Questi tre gruppi sono valutati in base alla loro fede in Gesù. I giudei non credono nel loro messia: Nicodemo con il suo scetticismo ne è il tipico rappresentante (Gv 3,1-12). Gli eretici samaritani invece accettano la testimonianza di una donna e soprattutto quella di Gesù, pur non avendo visto alcun prodigio (Gv 4,1-41). Il pagano crede alla parola di Gesù, ancor prima di vedere il segno (Gv 4,46-50). La seconda visita di Gesù a Cana si riallaccia alla prima, in occasione delle nozze (Gv 2,1ss). I due miracoli di Cana costituiscono una grande inclusione di questa prima parte del vangelo di Giovanni. In essa Giovanni descrive la prima rivelazione di Gesù nelle tre principali regioni della Palestina: la Galilea, la Giudea e la Samaria, e alle tre categorie di persone che le abitavano: gli israeliti ortodossi, gli eretici samaritani e i pagani. Dalla Samaria Gesù ritorna in Galilea perché non era stato accolto a Gerusalemme, nonostante avesse operato numerosi prodigi. Il funzionario regio di Cafàrnao era al servizio di Erode Antipa, il tetrarca della Galilea. 
Il viaggio da Cafàrnao a Cana è abbastanza disagiato: 26 chilometri in salita. Gesù richiama subito il centurione alla fede vera, fondata sulla sua parola e non sui segni. Come i samaritani, anche questo pagano crede prontamente alla parola di Gesù e diventa, in tal modo, modello di fede per i discepoli. Egli è tanto in ansia per la salute del figlio che non si preoccupa dell’ammonimento di Gesù, ma gli ripete con insistenza di scendere a Cafàrnao prima che suo figlio muoia. In antitesi con i giudei che non credono alle parole di Gesù, questo pagano crede immediatamente. 
Nell’apprendere che il figlio era guarito nell’ora nella quale Gesù gli aveva parlato, il funzionario credette, e con lui tutta la sua famiglia. Nelle scelte, anche importanti, della nostra vita non dobbiamo cercare dei segni per credere. La parola di Gesù può bastarci per le decisioni grandi e anche per le scelte quotidiane. Dio ci ha già detto tutto in Gesù. In caso di malattia cerchiamo ansiosamente medici, medicine, ospedali, interventi chirurgici. Gesù, Signore della vita e della morte, ha qualche significato e qualche peso nella nostra lotta contro il male e la morte? 
Padre Lino Pedron
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Gospa Maika Moja

La Madonna che è Madre dell' umanità,ci ama di un amore unico, un amore incondizionato...il suo amore è talmente grande che cerca di salvare anche questi figli che non credono, non sperano, non amano ed impedire la loro dannazione eterna. 
Ed è per questo che Ella chiede aiuto a noi che adoriamo Gesù e viviamo ogni giorno nell'amore di Dio, ci definisce "apostoli dell' amore", per essere di esempio ai nostri fratelli che brancolano nelle tenebre, affinché si convertano. 
Il nostro amore per il Signore deve essere tanto fulgido e luminoso da contagiare chi non crede: in questo consiste il nostro aiuto alla Madonna. 
Ella indica nel digiuno e nella preghiera le nostre " armi" per trovare la forza per compiere la missione che ci ha affidato. 
Ave Maria! 
Maria M.
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domenica 30 marzo 2014

Andò, si lavò e tornò che ci vedeva

Gv 9,1-41 
1 Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2 e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3 Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4 Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5 Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6 Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7 e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. 8 Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». 9 Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10 Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11 Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va' a Sìloe e làvati!». Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12 Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so». 13 Condussero dai farisei quello che era stato cieco:14 era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15 Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16 Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. 17 Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». 18 Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di co lui che aveva ricuperato la vista. 19 E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20 I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21 ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». 22 Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23 Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!». 24 Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26 Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27 Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28 Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29 Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30 Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31 Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32 Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33 Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34 Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. 35 Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». 36 Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37 Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38 Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. 39 Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40 Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». 41 Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: «Noi vediamo», il vostro peccato rimane». 

La domanda dei discepoli, se il cieco potesse aver peccato prima della nascita, a noi sembra assurda. Ma per i giudei il feto partecipava al peccato dei suoi genitori. In alcuni passi dell’Antico Testamento si fa riferimento esplicito allo stato di miseria e di peccato della creatura ancor prima della nascita (Gb 14,4; Sal 51,7). La risposta di Gesù risolve il quesito dei discepoli, elevando il loro pensiero alla considerazione del piano divino; la cecità di quest’uomo ha una finalità di salvezza: la rivelazione delle opere di Dio in lui. Una risposta simile Gesù la darà in occasione della malattia di Lazzaro: "Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato" (Gv 11,4). Il tempo della manifestazione delle opere di Dio è chiama to giorno, in contrapposizione alla notte durante la quale nessuno può operare. Il giorno di Gesù è il tempo della sua rivelazione salvifica. L’immagine della notte pre- lude la fine della sua vita terrena, che inizia con la notte del tradimento di Giuda (Gv 13,30). Gesù deve compiere le opere di Dio prima che sopraggiun ga questa notte tenebrosa. Egli, infatti, finché vive nel mondo è la luce del mondo. In questo brano Gesù dimostra la verità delle sue affermazioni donando la vista a un cieco dalla nascita e illuminandolo con la sua parola perché aderisca con la fede alla sua persona divina. Nel racconto della guarigione del cieco Giovanni accentua mo lto il fatto che Gesù fece del fango; ne parla quat- tro volte (vv. 6.11.14.15). Il fango fatto con la saliva pot rebbe avere valore simbolico in riferimento alla creazione del primo uomo; se così fosse, alluderebbe alla nuova crea zione operata dal Padre per mezzo del Figlio incarnato. La piscina di Sìloe era collocata nell’estremità meridionale della valle del Tiropeon, ai piedi del monte Sion. Es- sa raccoglieva le acque dell’acquedotto sotterraneo costruito dal re Ezechìa verso l’anno 700 a.C. Il nome della pi- scina è derivato dal participio attivo ebraico del verbo inviare ( shalach ), che andrebbe tradotto "inviante", ossia pi- scina che invia l’acqua. L’evangelista però lo traduce con un participio passivo per darle un significato cristologico: l’inviato per eccellenza è Gesù (Gv 6,29; 10,36; ecc.). Quindi la piscina di Sìloe simboleggia il Figlio di Dio incarna- to nel quale i ciechi si lavano per riacquistare la vista, cioè gli uomini che vivono nelle tenebre dell’incredulità otten- gono la luce della fede andando da Gesù. Il cieco ottiene da Gesù, luce del mondo, la vista fisica e quella spirituale della fede. In questo punto del cammino della fede, Gesù è per il cieco un semplice uomo, anche se straordinario. Tra bre- ve riconoscerà in Gesù il profeta messia nico (v. 17) che viene da Dio (v.33) e il Figlio dell’uomo nel quale si rivela il Padre (v. 35ss). Anche la folla dimostra interesse per Gesù: vuole sapere dove sia. Il fatto che la guarigione sia avvenuta di sabato mette Ge sù nuovamente in contrasto con i farisei che erano i ri- gidi tutori della legge. Per essi Gesù non può essere in viato da Dio proprio perché viola il sabato (Gv 5,9; 9,16), quindi è un peccatore (v. 24). Il miracolato fa la sua deposizione in piena assemblea, davanti ai farisei, sintetizzando al massimo gli elementi del miracolo. Secondo alcuni farisei Gesù non è da Dio, ma il cieco guarito li contraddice dicendo che se Gesù non fosse da Dio non potrebbe far nulla (v. 33). La professione di fede del miracolato nell’origine divina di Gesù sarà la causa della sua scomunica, della sua espulsione dalla sinagoga (v. 34). A motivo del dissenso tra i due gruppi di farisei, qualcuno si rivolge al cieco guarito per ascoltare il suo parere. Egli fa prontamente la sua professione di fede: "È un profeta!" (v.17). Nel suo c uore si sta accendendo la luce della fede. Da questo punto in poi gli inquisitori sono i giudei, ment re nella parte precedente si parlava di farisei. Sono chiamati giudei perché chiudono gli occhi alla luce della fede. Come abbiamo già detto precedentemente, la parola "giudei", nel vangelo di Giovanni, significa "increduli" e sta ad indicare tutti coloro che non credono in Gesù. I genitori riconoscono nel miracolato il loro figlio e affe rmano che è nato cieco, ma non si pronunciano sul come abbia ottenuto la vista, né tanto meno su chi ha oper ato tale miracolo. La freddezza dei genitori ha dell’inverosimile: non una manifestazione di gioia, di riconoscenza o di qualche altro genere per la guarigione del figlio. Il terrore dei giudei e dell’espulsione dalla sinagoga ha letteralmente paralizzato i loro sentimenti più sponta- nei. Il figlio, invece, con semplicità e franchezza, tiene te sta ai dotti giudei, mostrando loro, con la prova dei fatti, che Gesù è l’inviato di Dio, e per tale confe ssione, è cacciato dalla sinagoga (vv. 30-34). I giudei non solo rifiutano la messianicità di Gesù, ma so no convinti che egli è un peccatore e vogliono indurre il cieco guarito a negare l’evidenza dei fatti. Essi tentano di abbindolare quest’uomo semplice, ma intelligente, osten- tando tutta la loro scienza: per due volte es si proclamano "noi sappiamo" (vv. 24.29). I giudei convocano il cieco guarito una seconda volta e lo esortano a riconoscere il suo errore. La frase "dà glo- ria a Dio!" (v. 24) è un’espressi one biblica con la quale si esorta alla sinc erità, riconoscendo la propria colpa. Il cie- co guarito mette fuori gioco la loro scienza con un’osservazione semplicissima: al "noi sappiamo" dei giudei con- 26 trappone il suo "una cosa so"; nessuno può mettere in dubbio il prodigio straordinario compiuto da Gesù, e contro i fatti non valgono gli argomenti. Il cieco guarito si è accorto che i giudei vogliono trov are un pretesto per condannare Gesù; per questo li provo- ca, per costringerli a smascherare le loro intenzioni. Ed es si reagiscono con insulti. Nell a loro risposta è contenuto tutto il disprezzo per Gesù: non si degnano neppure di chia marlo per nome, lo indicano con il pronome "quello". E ostentano la loro fierezza di essere discepoli di Mosè. Il cieco guarito contesta l’affermazione dei giudei che Gesù sia un peccatore. Non solo Gesù non è un peccato- re, ma è un uomo religioso che compie in tutto la volontà di Dio: il segno inaudito di aver aperto gli occhi di un cieco dimostra eloquentemente che egli è da Dio. I giudei, non potendo controbattere le ragioni del cieco guari to, nella loro stupidità passano agli insulti e ai casti- ghi, facendo uso dispotico della loro autorità (v. 34). La fras e "sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?" (v. 34) indica la disgrazia della cecità fisica e richiama l’inizio del brano (vv. 1-2) con cui forma un’inclusione. L’espulsione del testimone di Cristo dalla sinagoga completa il peccato dei giudei e prepara la confessione e- splicita del cieco guarito nel Figlio dell’uomo (v. 35ss) e la seguente rivelazione sul buon Pastore, che chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori dal recinto del giudaismo, cioè fuori dalla comunità ebraica (Gv 10). Il cieco guarito è stato espulso dalla comunità giudaica a motivo della sua testimonianza alla verità. Ma non sa- rà lasciato solo, perché Gesù lo accoglie nel suo gregge. Il buon Pastore va in cerca di lui e prima di introdurlo nel suo ovile esige una professione di fede esplicita: "Tu credi nel Figlio dell’uomo?... Ed egli disse: Io credo, Signore!" (v. 38). La prostrazione davanti al Figlio dell’uomo indica chiaramente il riconoscimento della sua divinità. Questa ado- razione del Cristo costituisce il vertice dell’intero racconto. Credendo nel Signore, il ci eco è stato illuminato nel sen- so più pieno e perfetto: non solo ha acquistato la vista, ma ha ottenuto la luce della fede. In antitesi con il cieco guarito stanno i giudei. Il miracolo operato da Gesù e la testimonianza semplice e intelli- gente del guarito hanno aumentato le tenebre della loro incredulità. Per questo Gesù, al centro della scena finale, proclama di essere venuto in questo mondo per un giudizio (v. 39). Egli è causa di vita o di morte: chi sceglie l’incredulità rifiuta la salvezza, chi si lascia illuminare da lla sua parola ottiene la luce della vita (Gv 8,12). I farisei, presenti al dialogo tra Gesù e il cieco guarito, capiscono la chiara allusione alla loro cecità spirituale e gli chiedono di spiegarsi meglio. La risposta di Gesù non lascia dubbi. La presunzione dei giudei di non essere cie- chi aumenta la loro colpa e perciò il loro peccato rimane. I giudei chiudono volontariamente gli occhi alla luce, perci ò muoiono nel loro peccato di incredulità (Gv 8,21-24). Essi sono schiavi del peccato (Gv 8,34) e non vogliono essere liberati dal Figlio di Dio (Gv 8,36). Essi continuano a vivere nel loro peccato (v. 41) e si stanno preparando a morire nell’ostinato rifiuto della luce della vita. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 30/III/2014

Fa' che io apra i miei occhi per diventare capace di vedere mia sorella e mio fratello. 
Fa' che io apra il mio cuore perché osi amare mia sorella e mio fratello. 
Fammi il dono della parola giusta affinché io riesca a difendere la tua causa.
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sabato 29 marzo 2014

Sali sulla mia barca, Signore !

Tante volte ho avuto l'impressione
che la mia vita
sia come una notte trascorsa
in una pesca fallita.

Allora mi assale la delusione,
mi prende il senso dell'inutilità.

Sali sulla mia barca Signore,
per dirmi da che parte
devo gettare le reti,
per dare fiducia ai miei gesti,
per capire che non devo
lavorare da solo,
per convincermi che il mio lavoro
vale niente senza di Te,
senza la Tua presenza.

Sali sulla mia barca Signore,
per donare calma e serenità.
Prendi Tu il timone:
accetto di essere tuo pescatore.

Insieme pescheremo, Signore,
e giungeremo sicuri
al porto della vita.

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Angelo Custode/103

Tu non hai ancora abbastanza amore per i poveri smarriti. 
Non dimenticare che la dignità di ogni essere umano si trova nella sua creazione a immagine di Dio. 
Certi la tradiscono, spesso inconsciamente; non perdono tuttavia la loro vocazione alla beatitudine divina. 
Sii pieno di misericordia per questi figliol prodighi (cfr. Lc 15, 11-31). 
Imita il Padre. 
Accederai così alla perfezione della carità.
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Madre Teresa di Calcutta/91

Lavoro in un’Impresa che è l’opera di Dio. 
Sono una piccola matita nelle sue mani, Egli pensa, Egli traccia le linee, mentre la matita non ha niente a che fare con la progettazione. 
La matita deve solo ricevere il permesso di essere usata.
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Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo

Lc 18,9-14 
Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo». Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». 

In questo brano abbiamo due modelli di fede e di preghiera. Da una parte il fariseo che sta davanti al proprio io. Egli è sicuro della sua bontà, giustifica sé stesso e condanna gli altri. Dall’altra il pubblicano che, sentendosi lontano da Dio e non potendo confidare in sé, si accusa e invoca il perdono. Il fariseo non sta davanti a Dio, ma a sé stesso, non parla con Dio, ma con sé stesso. La sua preghiera non è un dialogo, ma un monologo. 
Essa sembra un ringraziamento a Dio, ma in realtà è una strumentalizzazione di Dio per il proprio autocompiacimento. Egli si appropria dei doni di Dio per lodare sé stesso invece del Padre e per disprezzare i fratelli invece di amarli. Se la preghiera non è umile, è una separazione diabolica dal Padre e dai fratelli. 
È lo stravolgimento massimo: in essa si usa Dio per cercare il proprio io. È il peccato allo stato puro. Il fariseo accusa gli altri di essere rapaci proprio mentre lui sta cercando di appropriarsi della gloria di Dio. Accusa gli altri di essere ingiusti, ossia di non fare la vo lontà di Dio, mentre lui trasgredisce il più grande dei comandamenti: l’amore per Dio e per il prossimo. Accusa gli altri di essere adulteri mentre lui si prostituisce all’idolo del proprio io, invece di amare Dio. La religiosità che egli vive è solo esteriore; dentro c’è presunzione, ma anche molta grettezza, cattiveria, arroganza che lo spinge a giudicare con disprezzo il fratello peccatore che ha preso posto in lontananza. Matteo scrive che i farisei assomigliano ai sepolcri imbiancati, belli all’esterno, ma pieni di putridume all’interno (23,27). 
All'esterno il fariseo è un perfetto credente, ma, dentro, i suoi pensieri e i suoi sentimenti sono totalmente diversi da quelli di Dio, che ama tutti indistintamente e in primo luogo i peccatori. Il nostro fariseismo esce proprio tutto e bene quando preghiamo. La preghiera è lo specchio della verità: ci fa vedere che abbiamo dentro tutto il male che vediamo negli altri. 
Non c’è preghiera vera senza umiltà, e non c’è umiltà senza la scoperta del proprio peccato, anche del peggiore: quello di considerarsi giusti. 
La preghiera del pubblicano è quella dell’umile: penetra le nubi (cfr Sir 35,17). È simile a quella dei lebbrosi e del cieco (cfr Lc 17,13; 18,38); è la preghiera che purifica e illumina. È una supplica con due poli: la misericordia di Dio e la miseria dell’uomo. L’umiltà è l’unica realtà capace di attirare Dio: fa di noi dei vasi vuoti che possono essere riempiti da Dio. 
La fede che giustifica viene dall’umiltà che invoca la misericordia. La presunzione della propria giustizia non salva nessuno. Il giusto non è giustificato finché non riconosce il proprio peccato. 
Senza umiltà non c’è conoscenza vantaggiosa né di sé né di Dio, e si rimane sotto il dominio del maligno. Se il peccato è la superbia e il peccatore è il superbo, l’umiltà che il vangelo richiede ad ogni credente è quella di riconoscere la propria umili ante realtà di fariseo superbo. 
L’autore dell’Imitazione di Cristo sintetizza perfettamente l’insegnamento di questa parabola: "A Dio piace più l’umiltà dopo che abbiamo peccato che la superbia dopo che abbiamo fatto le opere buone". 
Padre Lino Pedron — con Claudia Barbonaglia
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Preghiera del mattino 28/III/2014

O Maria Maddalena, tu hai incontrato nel giardino il tuo amatissimo Gesù, e hai annunciato agli apostoli la notizia della sua risurrezione. 
O tu, apostolo degli apostoli, guidaci fino alle gioie delle feste pasquali, poiché il peccato ti aveva lacerato e l'amore ti ha guarito, tu, colpevole di tante prostituzioni come un tempo Israele, diventi la sposa dell'Agnello immacolato. 
Poiché la sua venuta è più certa di quella dell'aurora, guidaci fino al mattino di Pasqua nel giardino dell'intimità ritrovata, nell'alba odorosa del profumo dell'offerta.
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giovedì 27 marzo 2014

Grazie Signore

Anche questo giorno si sta spegnendo. Signore che dirti: solo grazie per tutto ciò che mi hai donato, Per tutte le volte che mi hai abbracciato ed io nemmeno me ne so accorto. 
Grazie Signore per tutti i sorrisi delle persone che ho incontrato oggi sulla mia strada e perdonami se a qualcuno non ho sorriso. 
Fa che i miei problemi non siano mai d'impedimento a regalare a chi incontro una parola buona, un sorriso, uno sguardo di tenerezza. 
Grazie Signore per ogni attimo della mia vita.
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La gente, chi dice che io sia?

Tu Signore, sei il Cristo.... 
Colui che ha versato il suo sangue e ha dato la sua carne per la nostra carne, la sua vita per la nostra vita. 
Non c'è amore più grande di colui che dà la sua vita per la persona amata. (Gv 15,13). 
(maria m.)
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mercoledì 26 marzo 2014

Richiesta di preghiere 26/3/2014

Carissimi oggi mio figlio Gabriele compie 47 anni. 
Lo affido alle vostre preghiere affinché il Signore lo protegga, lo aiuti a ritrovare la fede e gli dia forza per sostenere la moglie Tiziana ricaduta in una forma di depressione ansiosa e lo aiuti ad educare le due figlie Annalisa e Laura. Grazie.
ardea da Trieste
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Preghiera del mattino 26/III/2014

Mio Dio, la tua legge è santa e i tuoi comandamenti sono santi, giusti e buoni. 
Tu non hai voluto posare sulle mie spalle un giogo che non potessi portare, tu hai voluto insegnarmi a camminare sulla tua strada, passo dopo passo come si fa con un bambino. 
Ma ad ogni passo, ad ogni tuo precetto ho incespicato. 
Tu non vuoi la morte del peccatore, ma che egli viva, così ti sei caricato tu stesso del giogo della legge, o amico degli uomini, e hai portato a compimento il disegno d'amore del Padre, che apre una sorgente inesauribile di perdono strappando il velo del tempio della tua carne.
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martedì 25 marzo 2014

Messaggio di Medjugorje del 25 marzo 2014

Cari figli! 

Vi invito di nuovo: iniziate la lotta contro il peccato come nei primi giorni, andate a confessarvi e decidetevi per la santità. 

Attraverso di voi l'amore di Dio scorrerà nel mondo e la pace regnerà nei vostri cuori e la benedizione di Dio vi riempirà. 
Io sono con voi e davanti al mio Figlio intercedo per tutti voi. 

Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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Preghiera del mattino 25/III/2014

Padre misericordioso, quando hai mandato fra noi tuo Figlio, nella pienezza dei tempi, per legarci a te con un amore eterno, tu hai guardato con amore particolare la Vergine di Nazareth. 
Tu l'hai fatta nascere e crescere perché fosse la tua figlia prediletta, la Madre di tuo Figlio e il Tempio del tuo Spirito Santo. 
Maria ha scoperto la meraviglia del tuo essere comunione di Persone infinite, così come ha appreso la verità altrettanto meravigliosa per cui le tre Persone aprivano ora la loro unità per accogliere lei con il resto dell'umanità. 
Padre amoroso, ispiraci anche solo una parte della fede di Maria. 
Per mezzo dello Spirito Santo, apri i nostri cuori di nuovo a Gesù, tuo Figlio e nostro Salvatore, perché in essi possa nascere, crescere e raggiungere la piena maturità.
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lunedì 24 marzo 2014

Gesù come Elìa ed Elisèo è mandato non per i soli Giudei

Lc 4,24-30 
Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. 

Invece di aprirsi nella fede e lasciarsi coinvolgere nel dono di Dio, i suoi compaesani si bloccano e si irritano. Il messaggio viene accolto, ma il messaggero viene rifiutato. Il rifiuto nasce perché il messaggero pretende di essere ascoltato come inviato da Dio. 
La patria di Gesù lo rifiuta perché è un cittadino qualunque e non porta prove per sostenere la sua pretesa di essere l’Inviato da Dio. Gli abitanti di Nazaret vogliono un segno che dimostri che Gesù è veramente il Salvatore promesso; pretendono che Dio dimostri la missione del suo profeta in un modo che piaccia a loro: in altre parole, tentano Dio. Ma l’agire di Gesù non è influenzato da ciò che gli uomini pretendono: fa soltanto ciò che Dio vuole. Il profeta non agisce di sua iniziativa, ma è a disposizione solamente di Dio che l’ha mandato. Nell'Antico Testamento Dio ha disposto che Elia ed Eliseo non portassero il loro aiuto miracoloso ai loro connazionali, ma a dei pagani stranieri. 
A Gesù non è concesso di compiere miracoli nella sua città, ma a Cafàrnao. Dio distribuisce la sua salvezza secondo la sua insindacabile volontà, perché la salvezza è grazia e non può essere pretesa per nessun motivo. Gesù non dà prova di sé con i miracoli; per questo gli abitanti di Nazaret si sentono in diritto, o addirittura obbligati, a condannarlo a morte come bestemmiatore. La punizione della bestemmia si iniziava spingendo all’indietro il colpevole, per mezzo dei primi testimoni, il fino a farlo cadere da un’altura. 
Tutta l’assemblea della sinagoga di Nazaret giudica Gesù, lo condanna e cerca di eseguire immediatamente la sentenza. Si preannuncia l’insuccesso di Gesù in mezzo al suo popolo. Egli verrà escluso dalla comunità del suo popolo, condannato come bestemmiatore e ucciso. Ma l’ora della sua morte non è ancora giunta. 
Della sua vita e della sua morte dispone Dio. 
Nazaret viene abbandonata per sempre. Gesù prende la strada verso altre terre. I testimoni delle sue grandi opere non saranno i suoi concittadini, ma gli estranei, i pagani. Dio può suscitare figli di Abramo dalle pietre del deserto. Il modo in cui Gesù ha scandalizzato i "suoi" di allora è identico a quello con cui scandalizza i "suoi" di oggi. 
La tentazione di addomesticare Cristo è di tutti e di sempre, ma Gesù non si lascia intrappolare: o lo si accoglie nel modo giusto o se ne va.
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Preghiera del mattino 24/III/2014

Naaman il Siro è sceso nelle acque fangose del Giordano e tu, Verbo fatto carne, tu non hai temuto di scendere nel fango dei miei peccati. 
Ero straniero come Rut la Moabita e come la vedova di Zarepta, e tu sei venuto proprio da me. 
Non lasciarmi, Signore, come sei partito da Nazareth; io ti grido che non sono degno di accoglierti sotto il mio tetto, ma voglio riconoscere l'inaudito miracolo della tua misericordia e dirti: Resta con noi, Signore, poiché la notte dell'odio e della disperazione già ricopre il mondo.
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domenica 23 marzo 2014

Gesù incontra la samaritana

Camminando, Gesù giunse in una città chiamata Sicar, identificata oggi con Askar, non lontana da Sichem, chiamata Napoli, capitale della Samaria, e si fermò presso il pozzo famoso, scavato da Giacobbe, nella tenuta lasciata in eredità al figlio Giuseppe. Sedette così, alla buona, come indica il testo greco, dissimulando la sua maestà, umilmente, preso da un sentimento di compassione per le anime. Era quasi l’ora sesta, nota l’evangelista, cioè quasi mezzogiorno. Per questa circostanza di tempo, e per le altre particolarità del racconto, alcuni suppongono che san Giovanni sia stato presente alla scena. Gli altri discepoli, però, erano andati in città per comprare qualcosa da mangiare, ed erano certamente assenti.
Mentre Gesù stava pensoso e raccolto nei pressi del pozzo, ecco una donna samaritana, con l’anfora in testa, che veniva ad attingere. Veniva da lontano perché l’acqua fresca e sorgiva del pozzo l’attirava, e molto più l’attirava la grazia che con delicata disposizione d’amore la spingeva ad andare là dove avrebbe trovato la salvezza.
Gesù Cristo le rivolse la parola e le disse: Dammi da bere. Dal vestito che indossava e dalla pronuncia delle parole, la donna si accorse subito che Egli era un Giudeo e, meravigliandosi che le domandasse da bere, perché i Giudei aborrivano i Samaritani, gli disse: Come mai tu che sei un Giudeo, chiedi da bere a me che sono samaritana? Psicologicamente, non osò dire la frase opposta: Come posso darti da bere se tu sei un Giudeo? perché sentiva, inconsciamente, la propria inferiorità innanzi a Gesù, e perché quel volto divino e bellissimo, dai lineamenti regali e dall’occhio splendentemente ceruleo, l’aveva già conquisa. Proprio perché peccatrice, la poveretta aveva un profondo senso di umiliazione interiore che le facilitò il non considerare Gesù col solito disprezzo dei Samaritani, e il guardarlo con rispettosa venerazione.
Era ancora lontana dal supporre chi Egli fosse, ma si accorse subito di trovarsi innanzi ad un giusto. La santità spirava da Lui, ed ella si sentì meschina. Dimenticando quindi la fierezza con la quale i Samaritani sprezzavano i Giudei, si stupì piuttosto che quel Giudeo le domandasse da bere. È una sottigliezza psicologica che ci fa capire il processo misericordioso della grazia nel convertirla.
Gesù le rispose con infinita amabilità: Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è Colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto, ed Egli ti avrebbe dato l’acqua viva. Con queste parole cercò rendere cosciente il sentimento subcosciente di devozione e di umiltà che era sorto nella donna, e volle cominciare a farle intendere che ella si trovava innanzi ad un essere non semplicemente buono, ma straordinario. La donna prese le parole alla lettera, e vedendo che Gesù mancava dell’anfora o hauritorium che portavano i viaggiatori per poter attingere acqua lungo il cammino, avendola portata con loro gli apostoli, rispose: Signore, tu non hai come attingere, e il pozzo è profondo; dove hai tu dunque l’acqua viva? Gli Ebrei chiamavano acqua viva l’acqua di sorgente, in contrapposizione all’acqua stagnante; la donna, però, aveva sentito nell’anima, in quella promessa dell’acqua viva, qualche cosa che non era propriamente l’acqua del pozzo; inconsciamente e forse anche coscientemente, aveva sentito che si trattava di un dono e non dell’acqua. Essendo molto scaltra, però, come si rileva da tutto il racconto, volle indagarlo senza mostrare d’averlo capito, affinché Gesù stesso glielo avesse spiegato. Perciò lo pose in contrapposizione col patriarca Giacobbe che aveva scavato quel pozzo, e gli domandò, dissimulando la propria impressione: Sei tu forse di più di Giacobbe nostro Padre, il quale diede a noi questo pozzo, e ne bevve egli stesso, i suoi figli e il suo bestiame?
La donna porta spesso nei suoi atti una sconcertante vanità, anche quando si trova in momenti penosi della sua vita. Se si osserva, per esempio, un drappello di donne reclutate per la guerra, esse hanno nelle loro movenze, nei loro gesti, nel loro sguardo qualche cosa che pretende d’interessare.
Questa vanità nasce o dalla presunzione del suo ingegno o da quella della sua bellezza o, peggio, dalla persuasione di poter sconcertare una testa più o meno di zucca.
La samaritana, avendo avuto cinque mariti, e convivendo con uno che non le apparteneva, aveva dovuto essere un tipo interessante dal punto di vista materiale, ed era abituata a sentirsi corteggiata. Non è improbabile che, almeno inconsciamente, le sia passato nell’animo che quel forestiero giudeo cercasse modo d’intavolare un discorso con lei, per passatempo; perciò Gesù la sollevò subito ad un pensiero di cielo, mostrandole così che parlava per un fine spirituale:Chi beve di quest’acqua  disse tornerà ad aver sete, chi invece beve dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno; anzi l’acqua che gli darò, diventerà in lui una sorgente d’acqua zampillante fino alla vita eterna.
Un accenno così improvviso all’eterno orizzonte dei cieli, per una donna di facili costumi, era una stonatura. «Dove andava il suo interlocutore – dovette pensare –, col suo discorso? Che cos’è l’acqua spirituale che disseta e porta al Cielo, se viviamo di senso e ci dissetiamo solo ai piaceri?». Perciò prendendo in giro il suo interlocutore, rispose con evidente ironia, per stornare il discorso da un argomento che la scottava: Signore, dammi di quest’acqua, affinché io non abbia più sete né venga più ad attingerne. Parlò così per evitare un discorso spirituale che le suscitava rimorsi, e Gesù con un lampo divino di luce la richiamò proprio alla considerazione dello stato deplorevole della sua vita disordinata, dicendo: Va’, chiama tuo marito e torna qua. La donna ne fu sconcertata, perché la parola di Gesù le penetrò in fondo all’anima; ma, dissimulando il suo turbamento, rispose con aria indifferente: Io non ho marito. E Gesù, mostrando di conoscere appieno la vita di lei, soggiunse: Hai detto bene: Non ho marito, perché hai avuto cinque mariti, e quello che hai adesso non è tuo marito; in questo hai detto il vero. Se aveva detto il vero allora, è chiaro che prima, domandando l’acqua dissetante, aveva mentito, ed aveva parlato solo per ironia.
Signore, vedo che sei un profeta,
ma… la questione del tempio…
Il discorso aveva preso per la donna una piega sconcertante; ella, scaltramente, cercò di deviarlo, portando Gesù su un argomento che per un giudeo doveva essere scottante, e doveva attrarne tutta l’attenzione. Ella, però, non poté trattenersi da un’espressione di meraviglia per quello che le aveva detto e, per non mostrarsi inceppata o confusa, esclamò, quasi per fargli un complimento: Signore, vedo che sei un profeta. Era un’espressione ambigua, con la quale non affermava né negava quello che Gesù le aveva detto; era una lode che poteva pure significare: «Tu parli come un profeta, vuoi indovinare ciò che è in me, vuoi scrutarmi». Per una samaritana, infatti, un profeta non era che un indovino, poiché quel popolo viveva di superstizioni. Se ella avesse avuto un vero sentimento di stima soprannaturale per Gesù, e se fosse stata compunta nel suo cuore, avrebbe domandato perdono dei propri peccati, e lo avrebbe supplicato ad ottenerglielo da Dio.
Sviando dunque il discorso, la donna soggiunse: I nostri padri hanno adorato Dio su questo monte, e voi dite che il luogo dove bisogna adorare è Gerusalemme. Dicendo questo, ella, inconsciamente, prendeva una rivincita per l’umiliazione subita nel vedersi svelate le proprie colpe. Non domandò, infatti, a Gesù la soluzione della gravissima questione, ma parlò come chi è sicuro di aver ragione, quasi per dire: «Ecco, voi dite che bisogna adorare in Gerusalemme, mentre i nostri padri hanno adorato qui il Signore».
A poca distanza di là, a Sichem, Abramo aveva eretto al Signore della promessa e della rivelazione un altare (cf Gen 12,6-7); Giacobbe vi aveva pregato, e Giosuè aveva eretto un altare sulla cima del monte Ebal, immolandovi numerose vittime (cf Gs 8,30). Sul monte Garizim, poi che sorge presso il pozzo di Giacobbe, al tempo di Neemia, i Samaritani, visto rifiutato dai Giudei il loro concorso all’edificazione del tempio di Gerusalemme, ne edificarono un altro, distrutto poi dal sommo sacerdote Giovanni Ircano I, e da allora riguardarono sempre il Garizim come centro del loro culto.
La samaritana, perciò, lungi dal domandare a Gesù la soluzione del problema, credé di poter affermare che l’opinione dei suoi connazionali era fondata su valide ragioni, e che i Giudei erravano.
Adorerete il Padre in spirito e verità
Il Signore, aprendole un nuovo orizzonte, rispose con grande maestà:Credimi, o donna, che è venuta l’ora in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene il tempo, anzi è proprio ora, in cui veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Tali adoratori, infatti, il Padre ricerca. Dio è spirito e quelli che l’adorano lo debbono adorare in spirito e verità.
Questo discorso non era solo per quella donna ma per tutti quelli ai quali sarebbe stato annunciato, e troncava dalle fondamenta la questione tra Samaritani e Giudei. Non era il luogo, infatti che poteva dar valore all’adorazione fatta a Dio da un’anima, ma era lo spirito col quale si faceva.
Per adorare Dio bisogna conoscere la verità, accettarla, crederla, praticarla, e proclamarne la gloria. Andare al Garizim o a Gerusalemme non significava conoscere, apprezzare e amare Dio.
I Samaritani, infatti, accettavano solo il Pentateuco e rifiutavano il resto dei Libri Sacri; avevano una rivelazione incompleta, e ignoravano Colui che adoravano; i Giudei riconoscevano, invece, tutte le Scritture, e avevano, almeno teoricamente, tutto il sacro patrimonio. Essi, poi, soprattutto, erano eredi della grande promessa del Redentore che da essi doveva nascere. L’argomento era fortissimo e non ammetteva repliche: se i Giudei avevano tutta la rivelazione e da essi doveva nascere il Redentore, i Samaritani non potevano presumere di essere ad essi superiori, e tanto meno che possedessero il privilegio unico di adorare Dio.
Ma v’è di più – soggiunse Gesù –, poiché non si tratta neppure di vedere se si debba adorare in un luogo o in un altro né di attribuire ad un popolo solo il privilegio della conoscenza e dell’adorazione di Dio; è venuto già il tempo del regno universale di Dio su tutta la terra, il tempo nel quale si adorerà Dio come Padre di tutti gli uomini, in spirito e verità, cioè con adorazione interna, oltre che esterna, fondata non su di un semplice rito, ma sulla verità, poiché questo solo onora Dio che è spirito infinitamente esistente, infinita verità e infinito amore. Finisce l’adorazione simbolica e figurata, in altri termini, fatta con riti che annunciavano solo il futuro e figuravano la vera Vittima, e comincia l’adorazione vera, fondata sul compimento delle figure, dei simboli e della grande promessa.
Gesù Cristo non voleva condannare il culto esterno – com’è evidente dal contesto –, ma voleva contrapporre, al culto divino puramente esterno e simbolico, quello interno e reale, ai riti freddamente legali l’adorazione fatta per mezzo di Lui, eterna sapienza, e dello Spirito Santo, eterno Amore. Dio è Spirito infinito – volle dire Gesù –, e l’adorazione che richiede e gli è proporzionata è quella che gli viene per il Verbo Incarnato e per lo Spirito Santo; non bisogna, dunque, credere che il Garizim o Gerusalemme possano avere il privilegio di essere unici centri di adorazione, ma bisogna unirsi al Redentore e con Lui nello Spirito Santo, adorare Dio.

Il modo come Gesù parlò fu così solenne e luminoso che la donna cominciò a vedere in Lui un essere straordinario. Anche i Samaritani aspettavano il Messia, da essi chiamato il Taheb, cioè colui che ristabilisce e a lei venne il sospetto che potesse essere proprio Lui; per accertarsene disse, quasi nel tono indifferente di chi chiude una discussione: Io so che viene il Messia; quando, dunque, Egli verrà ci annuncerà ogni cosa. Gesù le disse in un fulgore di luminosa verità che dava alle sue parole l’accento della certezza più assoluta: Sono io che ti parlo

Don Dolindo Ruotolo
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Quale sete abita nel tuo cuore?

Un salmista nella sua preghiera diceva: "di te ha sete l'anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz'acqua". 
Anch'io come la Samaritana ho incontrato Gesù presso quel pozzo, ed è li che mi ha rivelato la Sua sete...quella sete che apre le porte al mistero di Dio. Gesù si è fatto assetato per dissetarmi...povero per arricchirmi. 
La Sua è sete d'amore, sete di fede...ed in questa sete ho trovato me stessa...nutrendo Cristo con il mio amore e la mia fede ho nutrito la mia anima...ho salvato me stessa e la mia vita. 
Presso quel pozzo avvenne il miracolo che portò il Divino nel mio cuore aprendolo a nuovi e sconosciuti orizzonti di amore. Fu allora che lasciai la mia brocca piena di crepe ai piedi di Gesù e mi aprii felice verso gli altri. Ora nel mio cuore abita una sola sete, quello di pormi all'ascolto della Sua Parola, abbeverarmi all'unica fonte dove sgorga acqua viva, che disseta, nutre, istruisce e guida. Ecco perché ho abbandonato la brocca...non ne ho più bisogno...ho trovato un'altra acqua: "l'acqua viva" dello Spirito Santo che rigenera l'uomo facendolo rinascere a nuova vita. "Chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete"(Gv 4,14). 
E' così che la fede si fa contagiosa, l'incontro con i testimoni di Cristo è solo il primo passo. La vera fede sorge quando si incontra personalmente il Cristo, come la samaritana. 
Tutti noi dovremmo essere umili e chiedere al Signore il dono dell'acqua che sgorga dal Suo Cuore e che ha il potere di renderci felici per la vita eterna. Sono certa che nella misura in cui ci impegneremo nella ricerca di quest'acqua, il Signore Gesù ci ricompenserà, anzi, ci darà molto di più di quanto osiamo sperare, come ci ricorda l'Apostolo Paolo: "Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18). 
Signore aiutami ad essere una donna fervente, una Tua vera testimone, una fontana zampillante. 
Maria M.
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Preghiera del mattino 23/III/2014

Anche se fa notte, io so bene dove si apre la fonte eterna che scorre nascosta. 
Anche se fa notte, la fede mi mostra questa fonte fresca, chiarezza straordinaria nelle tenebre di questa vita. 
Anche se fa notte, io so che qualsiasi luce non può che venire da essa, i suoi flutti scorrono nello splendore dell'eternità. 
Anche se fa notte, io so che la potenza della sua corrente è tale che essa irriga gli inferni, il cielo e i popoli.
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sabato 22 marzo 2014

Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita

Lc 15,1-3.11-32 
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»». 

Questa parabola rivela il centro del vangelo: Dio come Padre di tenerezza e di misericordia. Egli prova una gioia infinita quando vede tornare a casa il figlio da lontano, e invita tutti a gioire con lui. Gesù fin dall'inizio mangia con i peccatori (cfr Lc 5,27-32). Ora invita anche i giusti. Attaccato da essi con cattiveria, li contrattacca con la sua bontà, perché vuole convertirli. 
Ma la loro conversione è più difficile di quella dei peccatori. 
Non vogliono accettare il comportamento di Dio Padre che ama gratuitamente e necessariamente tutti i suoi figli: la sua misericordia non è proporzionata ai meriti, ma alla miseria. I peccatori a causa della loro miseria sentono la necessità della misericordia. I giusti, che credono di essere privi di miseria, non accolgono la misericordia. 
Questo brano è rivolto al giusto perché occupi il suo posto alla mensa del Padre: deve partecipare alla festa che egli fa per il proprio figlio perduto e ritrovato. 
Questa parabola non parla della conversione del peccatore alla giustizia, ma del giusto alla misericordia. La grazia che Dio ha usato verso di noi, suoi nemici, deve rispecchiarsi nel nostro atteggiamento verso i nemici (cfr Lc 6,27-36) e verso i fratelli peccatori (cfr Lc 6,36-38). 
Il Padre non esclude dal suo cuore nessun figlio. Si esclude da lui solo chi esclude il fratello. Ma Gesù si preoccupa di ricuperare anche colui che, escludendo il fratello, si esclude dal Padre. 
Nel mondo ci sono due categorie di persone: i peccatori e quelli che si credono giusti. I peccatori, ritenendosi senza diritti, hanno trovato il vero titolo per accostarsi a Dio. Egli infatti è pietà, tenerezza e grazia: per sua natura egli ama l’uomo non in proporzione dei suoi meriti, ma del suo bisogno. I destinatari della parabola sono gli scribi e i farisei, che si credono giusti. Gesù li invita a convertirsi dalla propria giustizia che condanna i peccatori, alla misericordia del Padre che li giustifica. 
Mentre il peccatore sente il bisogno della misericordia di Dio, il giusto non la vuole né per sé né per gli altri, anzi, come Giona (4,9), si irrita grandemente con Dio perché usa misericordia. 
La conversione è scoprire il volto di tenerezza del Padre, che Gesù ci rivela, volgersi dall'io a Dio, passare dalla delusione del proprio peccato, o dalla presunzione della propria giustizia, alla gioia di esser figli del Padre. Radice del peccato è la cattiva opinione sul Padre: e questa opinione è comune ai due figli. Il più giovane, per liberarsi del Padre, si allontana da lui con le degradazioni della ribellione, della dimenticanza, dell’alienazione atea e del nichilismo. L’altro, per imbonirselo, diventa servile. 
Ateismo e religione servile, dissolutezza e legalismo, nichilismo e vittimismo scaturiscono da un’unica fonte: la non conoscenza di Dio. Questi due figli, che rappresentano l’intera umanità, hanno un’idea sbagliata sul conto del Padre: lo ritengono un padre-padrone. 
Questa parabola ha come primo intento di portare il fratello maggiore ad accettare che Dio è misericordia. Questa scoperta è una gioia immensa per il peccatore e una sconfitta mortale per il giusto. È la conversione dalla propria giustizia alla misericordia di Dio. 
La conversione consiste nel rivolgersi al Padre che è tutto rivolto a noi e nel fare esperienza del suo amore per tutti i suoi figli. Per questo il giusto deve accettare un Dio che ama i peccatori. Per accettare il Padre bisogna convertirsi al fratello. 
Padre Lino Pedron
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Padre di bontà

Padre di bontà, 
sii benedetto per la tua fiducia
e sii benedetto per la tua grazia;
a te solo appartiene la gloria! 
Ci chiami alla vita, 
perché sia manifesta la tua vita. 

Per grazia tua, 
ecco che crediamo e parliamo. 

Tu sei la fedeltà senza difetti. 

Nelle ore in cui la prova ci pesa, 
tu fai in modo che non ci schiacci. 

Nelle ore in cui la strada ci sembra sconfinata, 
tu ci fai arrivare alla meta. 

Nelle ore in cui il peccato ci perseguita, 
sei presente e non ci abbandoni. 

Nelle ore in cui tutto si scatena contro di noi, 
la tua vita non si allontana da noi! 
Sì, Signore, noi crediamo e parliamo:
tu sei il Signore fedele per sempre.
PIERRE GRIOLET

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Madre Teresa di Calcutta/90

“Si può pregare mentre si lavora. Il lavoro non impedisce la preghiera e la preghiera non interrompe il lavoro”.
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Angelo Custode/102

Per la tua fede, partecipi all'eterna giovinezza del Regno di Dio. E il mondo attorno a te ad essere vecchio; solo il cristiano può irradiare la pace e la gioia del Cristo, segni esteriori della giovinezza del cuore. Quella del corpo non è molto importante; questo corpo corruttibile resusciterà in corpo spirituale. Non lasciarti mai dominare dalla “carne ‘venduta’ al potere del peccato” (Rom 7,14). Che la tua linea di condotta in tutte le cose non obbedisca mai alla carne corruttibile, ma allo spirito incorruttibile.
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Preghiera del mattino 22/III/2014

"Mi leverò e andrò da mio Padre". 
Liberaci dall'orgoglio della vita che ci impedisce di rialzarci dal fango nel quale il peccato ci ha trascinati. 
Salvaci dall'accecamento suicida che non riconosce la misericordia nella ostinazione e nell'indurimento del cuore. 
O Cristo, tu hai aperto le porte del Paradiso; là non vi è più l'angelo che ne vietava l'ingresso e per mezzo della tua voce il Padre chiama di nuovo Adamo, che aveva cacciato. 
Ero piegato, abbattuto dalle mie turpi colpe, ero prostrato e rifiutavo la consolazione, ma ti ho sentito e mi alzerò e andrò da mio Padre.
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venerdì 21 marzo 2014

Signore, sei la vita

O Signore, ti scopro ovunque; la tua presenza brilla
come la trasparenza di un mattino di primavera.
Ha la forza e l'evidenza di una roccia che si slancia verso il cielo.

Il mondo, segno della tua presenza,
è sicuro perchè Tu lo sostieni con la tua forza, da sempre.
Però, o Signore, vedo attorno a me anche il male...
il mio male che mi travolge, mi impaurisce, mi scoraggia.

Quello degli altri, che cancella e copre ogni traccia della tua bontà,
e così sono incapace di riconoscerti negli uomini.
Ho scoperto anche un male grande come il dolore del mondo
che non finisce mai di far sentire la sua voce,
e così sono incapace di riconoscerti nel mondo.

Ma ho scoperto anche che il male non ce la fa a coprire la tua voce,
a raggiungerti e a distruggere la tua presenza.
Rimane sempre qualcosa di Te in me, negli uomini,
nel mondo pronto a rinascere. 
Sei la Vita! 
Amen! 

Padre Giuseppe Ceriani

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Costui è l’erede. Su, uccidiamolo!

Mt 21,33-43.45 
Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. 

Gesù interpella di nuovo i capi del popolo facendo loro capire che è il momento dei frutti, il momento nel quale Dio chiede conto della sua vigna. L’applicazione è chiara: dopo aver rifiutato i profeti, i responsabili d’Israele possono ancora cogliere l’ultima occasione per pentirsi: accogliere il Figlio, l’erede. La parabola presenta la morte del Figlio come un crimine premeditato. Dopo aver chiesto ai suoi interlocutori di tirare essi stessi le conclusioni della parabola (nel senso di Is 5,5-7), Gesù rende esplicito il loro giudizio. 
A chi sarà tolto il regno di Dio? Non a Israele, rappresentato dalla vigna, ma ai sommi sacerdoti e ai farisei, i quali "capirono che parlava di loro" (v. 45). E a chi sarà dato questo regno? "A un popolo che lo farà fruttificare" (v. 43). Per Matteo si tratta ancora di Israele, ma trasfigura to attraverso la presenza del Cristo risuscitato che adempie l’alleanza di Dio con gli uomini e fa loro produrre i suoi frutti. I servitori mandati dal padrone della vigna sono i profeti. Ricordiamo due passi dell’Antico Testamento: "Il Signore inviò loro profeti perché li facessero ritornare a lui. Essi comunicarono loro il proprio messaggio, ma non furono ascoltati" (2Cr 24,19); "Da quando i vostri padri uscirono dal paese d’Egitto fino ad oggi, ho mandato a voi in continuazione tutti i servitori, i profeti. Ma non fui ascoltato e non mi si prestò orecchio; anzi rimasero ostinati e agirono peggio dei loro padri" (Ger 7,25-26). Neemìa 9,26 constata in sintesi: "I tuoi profeti li ammonirono, ma essi li uccisero e commisero grandi iniquità". 
Il Messia umiliato e ucciso diventerà, dal giorno della sua risurrezione, la pietra angolare della Chiesa, il suo fondamento incrollabile. Fin dall’inizio la parabola ha richiamato la nostra attenzio ne sui frutti. I frutti del regno di Dio coincidono con la fedeltà nell’amore attivo, che è la sintesi della volontà di Dio. Alla fine il giudizio sarà in base ai frutti dell’amore fedele e attivo e non sull'appartenenza a Israele o alla Chiesa. 
Padre Lino Pedron
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Madre Teresa di Calcutta/89

Dobbiamo rendere grazie a Dio perché i nostri genitori ci hanno amato. Immaginatevi: se mia madre non mi avesse amata, sono convinta che non avreste alcuna Madre Teresa. 
Non starei qui a rivolgervi la parola, se mia madre non mi avesse amata.
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Angelo Custode/101

Come sono felice di accompagnarti il mattino a messa, alla mensa del Signore! 
Sono in adorazione con te a questo preludio del “pasto di nozze dell’Agnello” (Ap 19,9), al quale parteciperemo insieme nell'aldilà. 
Resta fedele a questa santa abitudine attraverso la quale raggiungi la sorgente e la vetta della vita cristiana.
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Preghiera del mattino 21/III/2014

Fra tutti i popoli della terra scegliesti una vigna, Israele, alla quale donasti una terra in cui facesti scorrere latte e miele. 
La mia vigna non l'ho custodita, le volpi devastatrici l'hanno invasa. 
Ti ho già respinto abbastanza, Signore, vieni ora a prendere possesso del tuo bene. 
Nelle mie vene scorre il sangue del Figlio che i vignaiuoli assassini uccisero. 
Fa' che la linfa del ceppo trasmetta la vita sino all'estremità dei tralci. 
Voglio recare un frutto abbondante che persista, e accetto il torchio della croce affinché la mia vita serva a nutrire la tua gloria.
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giovedì 20 marzo 2014

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali....

Lc 16,19-31 
C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». Ma Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento». Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»». 

Questo brano illustra in forma negativa Lc 16,9: "Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne". È un ammonimento a usare giustamente l’ingiusta ricchezza. La vita terrena è un ponte gettato sull'abisso tra la perdizione e la salvezza. Lo si attraversa indenni esercitando la misericordia verso i bisognosi. 
L’alleanza con il Signore passa sempre attraverso l’amore per il fratello povero (cfr Es 2,20-26; 23,6-11; Lv 5,1-17; ecc.). La Lettera di Giacomo la sintetizza così: "Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo" (1,27). 
Il ricco nella Bibbia è l’ateo pratico che ha fatto di sé il centro di tutto e si è messo al posto di Dio. Il povero è colui che attende l’aiuto di Dio: Lazzaro significa "Dio aiuta". Egli non desidera ciò che è necessario al ricco, ma il superfluo. I cani sono più compassionevoli dei ricchi. La comunità cristiana a cui si rivolgeva Luca aveva bisogno dell’ammonimento che anche Giacomo aveva rivolto ai cristiani: "Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi? ... 
Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio" (2,5-7.12-13). In questa parabola le scene si susseguono come in un film . Le situazioni del povero e del ricco si capovolgono al momento della morte. Essa non livella tutti, come la falce pareggia le erbe del prato, ma li distingue e li divide: il ricco diventa povero e il povero ricco. 
Nell’altra vita il ricco diventa mendicante, e le sue richieste rimangono inascoltate come erano rimaste inascoltate da lui quelle di Lazzaro. Egli che mangiava e beveva a piacimento, non dispone neppure di una goccia d’acqua. Al posto dei vari piaceri di cui era ricolma la sua vita, ha il cruccio di un fuoco che lo divora senza ucciderlo. I "beni" sono stati per lui occasione di rovina, come per Lazzaro i "mali" sono stati motivo di salvezza. 
L’unica preoccupazione del ricco era concentrata su sé stesso, e per questo aveva lasciato da parte Dio e il prossimo. La ricchezza, che è sempre un dono di Dio all’uomo, può diventare occasione di male. Al contrario la povertà è un bene, perché tiene lontano l’animo dall’egoismo e dai piaceri distrattivi della vita. L’intento della parabola non è quello di terrorizzare i ricchi senza misericordia e gli atei, ma di esortarli alla misericordia mentre sono ancora in questa vita. La Legge e i Profeti si sintetizzano nel comandamento dell’amore del prossimo (cfr Rm 13,10). 
Il vero problema è quindi credere alla parola di Dio. Finché siamo vivi siamo chiamati ad ascoltare seriamente il Cristo (cfr Lc 9,35) e ad evitare il comportamento dei farisei che erano attaccati al denaro e ascoltando tutte queste cose si beffavano di Gesù (cfr Lc 16,14). 
Solo la parola di Dio che penetra nel profondo dell’uomo ci fa discernere se siamo dei poveri-beati o dei ricchi infelici. 
Padre Lino Pedron
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