giovedì 28 febbraio 2013

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali...

Lc 16,19-31 
C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti,alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». Ma Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento».Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»». 

Questo brano illustra in forma negativa Lc 16,9: "Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne". 
E' un ammonimento a usare giustamente l'ingiusta ricchezza. 
La vita terrena è un ponte gettato sull'abisso tra la perdizione e la salvezza. Lo si attraversa indenni esercitando la misericordia verso i bisognosi. L'alleanza con il Signore passa sempre attraverso l'amore per il fratello povero (cfr Es 2,20-26; 23,6-11; Lv 5,1- 17; ecc.). 
La Lettera di Giacomo la sintetizza così: "Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo" (1,27). 
Il ricco nella Bibbia è l'ateo pratico che ha fatto di sé il centro di tutto e si è messo al posto di Dio. 
Il povero è colui che attende l'aiuto di Dio: Lazzaro significa "Dio aiuta". Egli non desidera ciò che è necessario al ricco, ma il superfluo. 
I cani sono più compassionevoli dei ricchi. 
La comunità cristiana a cui si rivolgeva Luca aveva bisogno dell'ammonimento che anche Giacomo aveva rivolto ai cristiani: "Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi? ... Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio" (2,5-7.12-13). 
In questa parabola le scene si susseguono come in un film. Le situazioni del povero e del ricco si capovolgono al momento della morte. Essa non livella tutti, come la falce pareggia le erbe del prato, ma li distingue e li divide: il ricco diventa povero e il povero ricco. Nell'altra vita il ricco diventa mendicante, e le sue richieste rimangono inascoltate come erano rimaste inascoltate da lui quelle di Lazzaro. Egli che mangiava e beveva a piacimento, non dispone neppure di una goccia d'acqua. Al posto dei vari piaceri di cui era ricolma la sua vita, ha il cruccio di un fuoco che lo divora senza ucciderlo. I "beni" sono stati per lui occasione di rovina, come per Lazzaro i "mali" sono stati motivo di salvezza. L'unica preoccupazione del ricco era concentrata su sé stesso, e per questo aveva lasciato da parte Dio e il prossimo. 
La ricchezza, che è sempre un dono di Dio all'uomo, può diventare occasione di male. Al contrario la povertà è un bene, perché tiene lontano l'animo dall'egoismo e dai piaceri distrattivi della vita. 
L'intento della parabola non è quello di terrorizzare i ricchi senza misericordia e gli atei, ma di esortarli alla misericordia mentre sono ancora in questa vita. La Legge e i Profeti si sintetizzano nel comandamento dell'amore del prossimo (cfr Rm 13,10). 
Il vero problema è quindi credere alla parola di Dio. Finché siamo vivi siamo chiamati ad ascoltare seriamente il Cristo (cfr Lc 9,35) e ad evitare il comportamento dei farisei che erano attaccati al denaro e ascoltando tutte queste cose si beffavano di Gesù (cfr Lc 16,14). 
Solo la parola di Dio che penetra nel profondo dell'uomo ci fa discernere se siamo dei poveri-beati o dei ricchi infelici Padre Lino Pedron

Preghiera del mattino del 28/II/2013

Salvami, Signore, come attraverso il fuoco del più esigente degli amori, da questo mondo presente, affinché io sfugga alle fiamme eterne. 
Non rinunciare a correggermi come un figlio prediletto; fa' che impari a vivere secondo il tuo cuore a immagine di Davide, al quale perdonasti tutti i suoi peccati. 
Concedi che la porta della mia anima si apra alla chiamata del povero e di colui che ha bisogno di tempo, di attenzione o di aiuto materiale. 
Fa' che io mi serva di una misura eccessiva per servire i miei signori, i poveri, nei quali tu vieni a visitarmi.
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mercoledì 27 febbraio 2013

Epistolario di san Pio/12

49) Fa che la pace di Gesù torni nel tuo cuore e sia duratura. 

50) Devi parlare Gesù anche col cuore, oltre che col labbro, anzi in certi momenti devi parlargli soltanto col cuore. 

51) Ricordami a Gesù che mi dia più forza e mi faccia fare sempre la sua volontà. 

52) Il gaudio del Divino Spirito informi sempre il tuo cuore e quello di tutte le anime che vogliono essere fedeli alla sua santa grazia.
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Preghiera del mattino del 27/II/2013

Signore, vorrei seguirti proprio come la roccia che si spostava nel deserto, vorrei bere al tuo costato ferito, vorrei succhiare il sangue prezioso dell'amore. 
Come l'apostolo, vorrei essere sempre con te e solo con te, anche se dovessi versare il mio sangue nell'estrema testimonianza. 
Voglio seguirti sulla terra ed entrare con te nelle regioni celesti. 
Non ho rifiutato il calice che il Padre mi ha dato da bere, perciò ricordati di me, Signore, quando verrai nel tuo Regno.
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martedì 26 febbraio 2013

Le croci della vita

Un uomo viaggiava, portando sulle spalle tante Croci, pesantissime! 
Era ansante, trafelato, oppresso e, passando un giorno davanti ad un Crocifisso, se ne lamentò con il Signore così: "Ah! Signore, io ho imparato, nel Catechismo, che tu ci hai creato per conoscerti, amarti e servirti... Ma, invece, mi sembra di essere stato creato soltanto per portare le Croci! Me ne hai date tante, e così pesanti, che io non ho più la forza di portarle!". 
Il Signore, però, gli disse: "Vieni qui, figlio mio! Posa queste Croci per terra, ed esaminiamole un poco... Ecco, questa è la più grossa, e la più pesante; guarda che cosa c'è scritto sopra!". 
Quell'uomo guardò, e lesse questa parola: sensualità. "Lo vedi?", disse il Signore. "Questa Croce non te l'ho data io, ma te la sei fabbricata da solo! Hai avuto troppa smania di godere, sei andato in cerca di piaceri, di golosità, di divertimenti... Hai pensato che nella vita bastasse questo, per essere felice, ed invece hai trovato il vuoto, la povertà e i rimorsi!". 
"Purtroppo, è vero!", soggiunse l'uomo. "Questa Croce l'ho fabbricata io... È giusto che io la porti!". 
Sollevò da terra quella Croce, e se la pose di nuovo sulle spalle. 
Il Signore continuò: "Guarda quest'altra Croce! C'è scritto sopra: ambizione. Anche questa l'hai fabbricata tu, non te l'ho data io! Hai avuto troppo desiderio di salire in alto, di occupare i primi posti, di stare al di sopra degli altri... E, di conseguenza, hai avuto odio, persecuzione, calunnie, disinganni!".
"È vero, è vero! Anche questa Croce l'ho fabbricata io! È giusto che io la porti!". 
Sollevò da terra quella seconda Croce, e se la mise sulle spalle. 
Il Signore additò altre Croci, e disse: "Leggi! Su questa, c'è scritto: gelosia; su quell'altra: avarizia; su quest'altra...". 
"Ho capito, ho capito, Signore! È troppo giusto, quello che tu dici!". E, prima che il Signore avesse finito di parlare, il povero uomo aveva raccolto da terra tutte le sue Croci, e se l'era poste sulle spalle. 
Per ultima, era rimasta per terra una "Crocetta", piccola piccola, e, quando l'uomo la sollevò, per porsela sulle spalle, esclamò: "Oh! Com'è piccola, questa! E pesa poco!". 
Guardò quello che c'era scritto sopra, e lesse queste parole:"La Croce di Gesù". Vivamente commosso, sollevò lo sguardo verso il Signore, ed esclamò: "Quanto sei buono!". Poi, baciò quella Croce, con grande affetto... 
E il Signore gli disse: "Vedi, figlio mio, questa piccola Croce te l'ho data io, ma te l'ho data con amore di Padre; te l'ho data, perché voglio farti acquistare merito, con la pazienza; te l'ho data, perché tu possa somigliare a me, e starmi vicino, per giungere al Cielo; perché io l'ho detto: «Chi vuole venire dietro a me, prenda la sua Croce, ogni giorno, e mi segua!». Ma ho detto anche: «Il mio giogo è soave, e il mio peso è leggero!»". 
L'uomo delle Croci riprese, silenzioso, il cammino della vita; fece ogni sforzo per correggersi dei suoi vizi, e si diede con ogni premura a conoscere, amare e servire Dio... 
Le Croci più grosse e più pesanti caddero, una dopo l'altra, dalle sue spalle, e gli rimase soltanto quella di Gesù! 
Questa se la tenne stretta al cuore, fino all'ultimo giorno della sua vita, e, quando arrivò al termine del viaggio, quella Croce gli servì da chiave, per aprire la porta del Paradiso! 
"A volte, ci lamentiamo, delle Croci della Vita! Ma, spesso, queste Croci, le costruiamo noi...". 
Medito con voi e porto la croce con voi, in abbraccio 
Maria M.
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Dicono e non fanno

Mt 23,1-12 
Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato. 

Ogni pagina del vangelo è scritta per la Chiesa. 
Gli scribi e farisei siamo noi, invitati a riconoscerci in loro. 
Il problema presentato da questo brano è sempre lo stesso: al centro di tutto poniamo Dio o il nostro io? 
Gesù critica gli scribi e i farisei, e noi con loro, perché fanno tutto per essere visti e lodati: "Fanno tutte le loro opere per essere visti dagli uomini" (v. 5). Si preoccupano di recitare la parte dell'uomo pio e devoto più che di vivere un sincero rapporto con Dio. 
La falsità è abbinata ovviamente a una buona dose di vanità e di orgoglio. 
In un mondo in cui la religione è tenuta in considerazione le persone religiose acquistano automaticamente la massima reputazione. 
Esse occupano, quasi per convenzione comune, il posto di onore dovuto a Dio. Difatti gli scribi e i farisei con la loro pietà simulata hanno posti di riguardo nelle sinagoghe e nei conviti, e quando appaiono in pubblico ricevono da ogni parte inchini, ossequi e saluti nei quali vengono scanditi con esattezza i loro titoli onorifici. 
Anche i discepoli di Gesù sono esortati a rifuggire da questi comportamenti segnalati nei farisei e negli scribi. 
I titoli onorifici e le rivendicazioni di potere sono fuori luogo perché essi sono tutti fratelli, figli dello stesso Padre (v. 8) e sono guidati dallo stesso Cristo presente in loro (v. 10). 
Nella comunità cristiana i più grandi sono gli ultimi e l'unico primato che conta è quello dell'abbassamento e del servizio (v. 11). In essa non devono nemmeno circolare gli appellativi che indicano distinzione e discriminazione che mettono in evidenza un preteso diritto di controllo e di dominio di alcuni sugli altri. 
Spesso succede che il nostro Signore, al quale diamo del tu, è predicato da signori ai quali diamo del lei. Alla fine Gesù deve ricorrere ai comandi (sia vostro servo: v. 11) e alle minacce per abbassare chi si era elevato al di sopra degli altri (v. 12). 
Matteo sta mettendo a confronto due immagini di Chiesa. L'una farisaica, pomposa, appariscente e vuota, dominata da capi avidi di onore e di potere; l'altra cristiana, costituita da amici e da fratelli. Quest'ultima non è anarchica, perché è guidata direttamente da Cristo e dal Padre, di cui tutti sono ugualmente figli. 
Coloro che vi esercitano funzioni o incarichi sono chiamati a testimoniare con le opere più che con le parole (cfr v. 3) la presenza invisibile del Padre, non a sostituirla. Perché egli non è mai assente. 
La Chiesa di Cristo è una comunità di uguali, una fraternità che ha come criterio di discernimento il servizio. In essa esiste una diversità di ruoli e di responsabilità, che però devono essere svolti come servizio. 
Questo stile ha come modello Gesù stesso, il quale è venuto per servire (cfr Mt 20,26). 
La logica dei rapporti che deve regolare la comunità cristiana è quella dell'umiltà. 
La condizione dettata da Gesù: "se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 18,3) è l'atteggiamento esattamente opposto a quello dell'autoesaltazione degli scribi e dei farisei. Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 26/II/2013

"Contempla, o anima mia, Isacco offerto in olocausto, contempla il nuovo Isacco legato sul legno della croce, nuova vittima offerta in mistero per il peccato del mondo. 
Signore, tu non hai ignorato il sacrificio di Isacco, accogli in sacrificio il mio spirito affranto, poiché tu non disprezzi un cuore affranto e spezzato". 
Guarda le mie mani legate dal peccato e il legno della maledizione sulla mia schiena, a frenare il mio cammino verso di te. 
Ti rendo grazie, o mio Salvatore, poiché il coltello s'era avvicinato alla mia gola e per il tuo sacrificio. 
Agnello senza macchia, tu hai allontanato da me la condanna.
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lunedì 25 febbraio 2013

Messaggio di Medjugorje a Marja del 25/2/2013

Cari figli! 
Anche oggi vi invito alla preghiera.
Il peccato vi attira verso le cose terrene ma io sono venuta per guidarvi verso la santità e verso le cose di Dio ma voi lottate e sprecate le vostre energie nella lotta tra il bene e il male che sono dentro di voi.

Perciò figlioli, pregate, pregate, pregate affinché la preghiera diventi gioia per voi e la vostra vita diventerà un semplice cammino verso Dio. 

Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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Non c'è motivo di scontro tra la Chiesa e lo Stato

Non è vero che vi sia opposizione tra l'essere buon cattolico e il servire fedelmente la società civile. Non c'è motivo di scontro tra la Chiesa e lo Stato, nel legittimo esercizio della loro rispettiva autorità, di fronte alla missione che Dio ha loro affidato. Mentono proprio così: mentono quelli che affermano il contrario. Sono gli stessi che, in ossequio a una falsa libertà, vorrebbero «amabilmente» che noi cattolici tornassimo nelle catacombe. (Solco, 301)

Dovete diffondere dappertutto una vera mentalità laicale, che deve condurre a tre conclusioni: a essere sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle proprie responsabilità; a essere sufficientemente cristiani da rispettare i fratelli nella fede che propongono - nelle materie opinabili - soluzioni diverse da quelle che sostiene ciascuno di noi; e a essere sufficientemente cattolici da non servirsi della Chiesa, nostra Madre, immischiandola in partigianerie umane.
E' evidente che, in questo terreno, come in tutti, voi non potreste realizzare questo programma di vivere santamente la vita ordinaria, se non fruiste di tutta la libertà che vi viene riconosciuta sia dalla Chiesa che dalla vostra dignità di uomini e di donne creati a immagine di Dio. La libertà personale è essenziale nella vita cristiana. Ma non dimenticate, figli miei, che io parlo sempre di una libertà responsabile.
Interpretate quindi le mie parole per quello che sono: un appello all'esercizio - tutti i giorni! e non solo nelle situazioni di emergenza - dei vostri diritti; e all'esemplare compimento dei vostri doveri di cittadini - nella vita politica, nella vita economica, nella vita universitaria, nella vita professionale - addossandovi coraggiosamente tutte le conseguenze delle vostre libere decisioni, assumendo la responsabilità dell'indipendenza personale che vi spetta. E questa cristiana mentalità laicale vi consentirà di evitare ogni intolleranza e ogni fanatismo, ossia - per dirlo in modo positivo - vi farà convivere in pace con tutti i vostri concittadini e favorire anche la convivenza nei diversi ordini della vita sociale. (Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 117)

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La famiglia, "via della Chiesa", cuore del magistero di Benedetto XVI

Tante le famiglie presenti ieri all'Angelus in Piazza San Pietro. Più volte nel corso del suo pontificato il Papa ha evidenziato il ruolo prioritario della famiglia nella società, chiedendo leggi a tutela del matrimonio tra un uomo e una donna. “L’amore a cui le famiglie sono chiamate è l’unica forza capace di trasformare ilmondo”. Ripercorriamo il magistero di Benedetto XVI sulla famiglia 

Via della Chiesa, protagonista della nuova evangelizzazione, fondamento indispensabile della civiltà, ma nonostante ciò, oggi più che mai, realtà sotto assedio. E’ così che Benedetto XVI ha definito la famiglia innumerevoli volte durante il suo pontificato chiedendo per essa a politici e legislatori un attenzione prioritaria. Non è possibile rimanere indifferenti di fronte agli attacchi rivolti a questa cellula fondamentale della società in primis in Europa dove – ha segnalato il Papa – vanno diffondendosi “false ideologie” sull'amore e “una secolarizzazione che porta all'emarginazione di Dio dalla vita e ad una crescente disgregazione della famiglia”. Siamo chiamati – ha esortato - a contrastare tale mentalità: 

“Nel nostro tempo, come già in epoche passate, l’eclissi di Dio, la diffusione di ideologie contrarie alla famiglia e il degrado dell’etica sessuale appaiono collegati tra loro. E come sono in relazione l’eclissi di Dio e la crisi della famiglia, così la nuova evangelizzazione è inseparabile dalla famiglia cristiana”. 

Le famiglie cristiane, piccole chiese domestiche, – spiega il Pontefice – sono chiamate urgentemente ad un nuovo protagonismo nella società, ad essere “soggetto di evangelizzazione” per manifestare nel mondo l’amore e la presenza di Cristo. Il Papa indica come: dall'affermazione della vita umana dal concepimento al suo termine naturale alla dedizione reciproca dei coniugi, dalla procreazione generosa e responsabile alla cura ed educazione dei figli, dall'impegno civile a quello nel “lavoro”. A tal proposito Benedetto XVI invoca politiche a tutela della conciliazione famiglia-lavoro specie per quanto riguarda le donne: 

“E’ necessario sostenere concretamente la maternità, come pure garantire alle donne che svolgono una professione la possibilità di conciliare famiglia e lavoro. Troppe volte, infatti, esse sono poste nella necessità di scegliere tra i due”. 

Una mancata conciliazione tra questi ambiti porta a vedere il figlio come un problema e non come un dono, constata il Papa che, guardando ai Paesi in cui vanno affermandosi a livello giuridico nuove forme di famiglia e genitorialità, aggiunge: “Difendere la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna non è retrogrado, ma profetico perché promuove la persona umana creata ad immagine e somiglianza di Dio. Impegnarsi per famiglia e matrimonio – ha aggiunto – vuol dire impegnarsi per l’uomo, la realtà più preziosa tra quelle create da Dio”:
“E’ proprio la famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, l’aiuto più grande che si possa offrire ai bambini. Essi vogliono essere amati da una madre e da un padre che si amano, ed hanno bisogno di abitare, crescere e vivere insieme con ambedue i genitori, perché le figure materna e paterna sono complementari nell'educazione dei figli e nella costruzione della loro personalità e della loro identità. E’ importante, quindi, che si faccia tutto il possibile per farli crescere in una famiglia unita e stabile”.
“La vocazione all'amore familiare è l’unica forza che può veramente trasformare il mondo” , – rileva il Papa – ma essere famiglia non è facile. Lo dimostrano i tanti divorzi:
“Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza”.
Dove, dunque, i genitori possono imparare quell'amore duraturo, generoso e fedele, così necessario allo sviluppo armonico di un bambino e al benessere della società? Alla scuola della Santa Famiglia di Nazareth, spiega Benedetto XVI. Qui le famiglie divengono piccole scuole di preghiera, formano i cittadini del domani affinchè siano responsabili e onesti. Tuttavia – nota il Papa – in questa prolungata crisi economica, oggi per le nuove generazioni il futuro è pieno di incognite:
“È urgente che, pur nel difficile momento, si faccia ogni sforzo per promuovere politiche occupazionali, che possano garantire un lavoro e un sostentamento dignitoso, condizione indispensabile per dare vita a nuove famiglie".

Se molti Paesi hanno retto alla crisi è stato grazie alle famiglie. A queste il Papa chiede di mostrare il volto umano che l’economia deve avere:
“E’ primariamente nella famiglia che si apprende come il giusto atteggiamento da vivere nell'ambito della società, anche nel mondo del lavoro, dell’economia, dell’impresa, deve essere guidato dalla ‘caritas’, nella logica della gratuità, della solidarietà e della responsabilità gli uni per gli altri”.
Per contrastare una dilagante mentalità individualistica – evidenzia il Papa – è necessario poi valorizzare il ruolo dei nonni, non un peso, ma un “tesoro che non si può strappare alle nuove generazioni:
“Ritornino i nonni ad essere presenza viva nella famiglia, nella Chiesa e nella società. Per quanto riguarda la famiglia, i nonni continuino ad essere testimoni di unità, di valori fondati sulla fedeltà ad un unico amore che genera la fede e la gioia di vivere”. 
Tutelare la famiglia, evitarne il disgregamento, vuol dire anche consentire ai suoi membri di avere uno spazio e un tempo di incontro. Di qui il forte appello levato di fronte ad oltre un milione di persone, lo scorso giugno nel parco di Bresso a Milano, in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie, perché sia tutelata la domenica:
“E’ il giorno della famiglia, nel quale vivere assieme il senso della festa, dell’incontro, della condivisione, anche nella partecipazione alla Santa Messa. Care famiglie, pur nei ritmi serrati della nostra epoca, non perdete il senso del giorno del Signore! E’ come l’oasi in cui fermarsi per assaporare la gioia dell’incontro e dissetare la nostra sete di Dio”.

Ed è sempre nell'incontro di Milano che Benedetto XVI ha voluto condividere il prezioso ricordo della sua famiglia di origine, caratterizzata da rapporti di fiducia e immagine dell’amore del Padre:
“Sono stati momenti indimenticabili … eravamo un cuore e un’anima sola … anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà … Ma questo amore reciproco che c’era tra di noi, questa gioia anche per le cose semplici era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose. Mi sembra che questo sia molto importante: che anche cose piccole hanno dato gioia … perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli. E per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà il Paradiso, penso al tempo della mia giovinezza, della mia infanzia … In questo senso spero di andare ‘a casa’, quando andrò nell'aldilà …”.
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Preghiera del mattino del 25/II/2013

Tu hai fatto di noi, Signore, un regno di sacerdoti, un sacerdozio regale, e noi stiamo di fronte a te con le mani alzate: non giudicare il mondo secondo le sue colpe, ricordati dei figli del giusto Abramo che intercedette per Sodoma, ma anche dei figli di Noè, dell'alleanza e della promessa che facesti con questo patriarca al tempo del diluvio. 
Non disprezzare l'opera delle tue mani. 
È da parte del mondo intero che noi veniamo verso di te con tutto il cuore, ed è per ogni creatura che noi facciamo penitenza. 
Noi piangiamo per coloro che non piangono, affinché abbondi in loro la consolazione.
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sabato 23 febbraio 2013

Siate perfetti come il Padre vostro celeste.

Mt 5,43-48 
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. 

Il comandamento dell'amore, esteso indistintamente a tutti, è il supremo completamento della Legge (v. 17). A questa conclusione Gesù è arrivato lentamente dopo aver parlato dell'astensione dall'ira e dell'immediata riconciliazione (vv. 21-26), del rispetto verso la donna (vv. 27-30) e la propria moglie (vv. 31-32), della verità e sincerità nei rapporti interpersonali (vv. 33-37), fino alla rinuncia alla vendetta e alle rivendicazioni (vv. 38-42). 
Il principio dell'amore del prossimo è illustrato con due esemplificazioni pratiche: pregare per i nemici e salutare tutti senza discriminazione. 
La più grande sincerità di amore è chiedere a Dio benedizioni e grazie per il nemico. Questo vertice dell'ideale evangelico si può comprendere solo alla luce dell'esempio di Cristo (cfr Lc 23,34) e dei suoi discepoli (cfr At 7,60). Colui che prega per il suo nemico viene a congiungersi con lui davanti a Dio. In senso cristiano la preghiera è la ricompensa che il nemico riceve in cambio del male che ha fatto. 
Il precetto della carità non tiene conto delle antipatie personali e dei comportamenti altrui. Il prossimo di qualsiasi colore, buono o cattivo, benevolo o ingrato dev'essere amato. Il nemico è colui che ha maggiormente bisogno di aiuto: per questo Gesù ci comanda di offrirgli il nostro soccorso. Il comandamento dell'amore dei nemici rivoluziona i comportamenti tradizionali dell'uomo. 
La benevolenza cristiana non è filantropia ma partecipazione all'amore di Dio. La sua universalità si giustifica solo in questa luce: "affinché siate figli del Padre vostro (v. 45), e "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli" (v 48). Il cristiano esprime nel modo più sicuro e più vero la sua parentela con Dio amando indistintamente tutti. 
L'amore del nemico è l'essenza del cristianesimo. Sant'Agostino ci insegna che "la misura dell'amore è amare senza misura", ossia infinitamente, come ama Dio. In quanto figli di Dio i cristiani devono assomigliare al loro Padre nel modo di essere, di sentire e di agire. L'amore verso i nemici è la via per raggiungere la sua stessa perfezione. La perfezione di cui parla Matteo è l'imitazione dell'amore misericordioso di Dio verso tutti gli uomini, anche se ingiusti e malvagi. Il cristiano è una nuova creatura (cfr 2Cor 5,17) e non può più agire secondo i suoi istinti e capricci, ma conformemente alla vita nuova in cui è stato rigenerato. Gesù pone come termine della perfezione l'agire del Padre, che è un punto inarrivabile. L'imitazione del Padre, e conseguentemente di Gesù, è l'unica norma dell'agire cristiano, l'unica via per superare la morale farisaica. 
Essere perfetti come il Padre è in concreto imitare Cristo nella sua piena ed eroica obbedienza alla volontà del Padre, e nella sua dedizione ai fratelli. 
E' perciò diventando perfetti imitatori di Cristo, che si diventa perfetti imitatori del Padre. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 23/II/2013

Chi ci farà comprendere l'immenso amore con cui Dio ci ha amati? 
Chi ci farà penetrare questa follia che è saggezza infinita, chi ci farà accettare l'inaccettabile e credere all'incredibile misericordia divina, pronta con tutte le forze ad amare, a dimenticare, a perdonare? 
Quando capiremo che Dio ci chiama ad essere suoi figli; immagini perfette, immagini rassomigliantissime del suo amore verso gli uomini? 
Quando ameremo come tu ami, Signore, dicendo di coloro che ci perseguitano: "Padre, perdonali, non sanno quello che fanno"?
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venerdì 22 febbraio 2013

Epistolario di san Pio/11

45)Rassegnati a veder scendere la notte senza intimorirti. Tieniti ferma che niuna cosa ti rimuova. E' ancora notte ma si avvicina il giorno, no non tarderà a comparire. 

46) Il nostro e carissimo e dolcissimo Gesù ci dia la forza nel sostenere la dura prova alla quale ci assoggetta la sua santa provvidenza. 

47) Gesù regni sempre sovrano su i nostri cuori e ci assista sempre con la sua vigile grazia. 

48) Il Signore richiederebbe da voi più uniformità ai suoi voleri specie nelle cose avverse che avvengono a voi e in voi.
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Preghiera del mattino del 22/II/2013

Preghiamo lo Spirito Santo affinché la Chiesa sia pronta su questa terra ad offrire la sua vita per gli uomini e a lasciarsi ferire come ha fatto il Signore. 
Pronta ad offrirsi per la miseria del mondo; affinché venga il regno di Dio. 
Noi ti preghiamo: fa' che giunga presto il giorno in cui potremo indirizzarti le nostre preghiere e servirti d'un solo cuore e d'un solo spirito nella pace e nell'amore del corpo di Cristo.
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giovedì 21 febbraio 2013

Amiamo appassionatamente questo mondo

Il mondo ci aspetta. Sì!, amiamo appassionatamente questo mondo perché Dio ce l'ha insegnato: «Sic Deus dilexit mundum...» - Dio ha tanto amato il mondo- ; e perché è il nostro campo di battaglia - una bellissima guerra di carità- , affinché tutti raggiungiamo la pace che Cristo è venuto a instaurare. (Solco, 290) 

Ho insegnato incessantemente, con parole della Sacra Scrittura, che il mondo non è cattivo: perché è uscito dalle mani di Dio, perché è creatura sua, perché Jahvè lo guardò e vide che era buono. Siamo noi uomini a renderlo cattivo e brutto, con i nostri peccati e le nostre infedeltà. Siatene pur certi, figli miei: qualsiasi specie di evasione dalle realtà oneste di tutti i giorni significa per voi uomini e donne del mondo, il contrario della volontà di Dio. 
Dovete invece comprendere adesso - con una luce tutta nuova - che Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un'università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c'è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire. 
A quegli universitari e a quegli operai che mi seguivano verso gli anni trenta, io solevo dire che dovevano saper materializzare la vita spirituale. Volevo allontanarli in questo modo dalla tentazione - così frequente allora, e anche oggi - di condurre una specie di doppia vita: da una parte, la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall'altra, come una cosa diversa e separata, la vita famigliare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene. (Colloqui con Mons. Escrivá, n. 114)
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Chiunque chiede, riceve

Mt 7,7-12 
Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti. 

Il cristiano è colui che vuole essere come Cristo. 
Nella preghiera la vita di Dio diventa la nostra vita. L'unica condizione per riceverla è volerla e chiederla. 
San Giacomo scrive: "Se qualcuno manca di sapienza, la domandi a Dio che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all'onda del mare mossa e agitata dal vento, e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore un uomo che ha l'animo oscillante e instabile in tutte le sue azioni" (Gc 1,5-8). E aggiunge: "Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male" (Gc 4,2-3). 
La preghiera è infallibile se chiediamo ciò che è conforme alla volontà di Dio, con una fiducia che desidera tutto e non ritiene impossibile nulla, con un'umiltà che tutto attende e nulla pretende. La preghiera non è un importunare Dio per estorcergli ciò che vogliamo, ma l'atteggiamento di un figlio che chiede ciò che il Padre vuole donare. 
Chiedete, cercate, bussate sono degli imperativi presenti che ci comandano di continuare a chiedere, a cercare e a bussare, senza stancarci mai (cfr Lc 18,1). La condizione dell'efficacia della preghiera non è solo la fede dell'uomo, ma soprattutto la bontà di Dio. 
Dio è molto migliore di qualsiasi padre. Ciò che vale tra padre e figlio, vale incomparabilmente di più tra Dio e l'uomo che lo invoca. Il v. 12 è chiamato solitamente "la regola d'oro". 
Gesù afferma che la perfezione cristiana consiste nella perfezione dell'amore del prossimo. Tutto l'insegnamento evangelico si riassume nel servizio prestato all'altro, anche a prezzo del proprio interesse, perché l'altro è il proprio fratello. 
L'imperativo "fate" richiede un amore concreto e operoso. L'amore cristiano è più di una semplice comprensione o benevolenza verso i bisognosi e i deboli: è considerare l'altro come parte integrante del proprio essere. Per questo il peccato più grande è l'egocentrismo, e la virtù più importante è l'impegno sociale e comunitario. 
La "regola d'oro" consiste soprattutto nella "regola dell'immedesimazione" o, più prosaicamente, "nel sapersi mettere nei panni degli altri", nella capacità di trasferirsi con amore e fantasia nella situazione dell'altro (anche del nemico). La mancanza di fantasia è mancanza d'amore. 
Nel processo di Majdanek risultò evidente che questa mancanza di immedesimazione negli altri può avere conseguenze disastrose. 
Gli accusati di questo orribile campo di concentramento dimostrarono la quasi totale incapacità di trasferirsi nella situazione delle loro vittime. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 21/II/2013

Eccomi, Signore, solo come Ester quando venne il tempo di intercedere per la salvezza del suo popolo; eccomi solo come Maria nei giorni terribili della Passione e della sua passione per la redenzione del mondo; eccomi solo nel Getsemani della mia anima, poiché di questo giardino dell'Eden, nel quale tu venivi a conversare con me, ho fatto un luogo di solitudine e di angoscia. 
Liberaci, Signore, dalla solitudine mortale dell'essere che non si sa amato e che, nel rimpicciolirsi del suo cuore, rifiuta di dare amore. 
Restituisci alla mia anima la sua antica bellezza affinché commuova, come Ester, il cuore del Re.
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mercoledì 20 febbraio 2013

Ricorriamo al buon pastore

Tu —pensi— hai molta personalità: i tuoi studi —le tue ricerche, le tue pubblicazioni, la tua posizione sociale— il tuo nome, le tue attività politiche, le cariche che occupi, il tuo patrimonio..., la tua età, non sei più un bambino!... Proprio per tutto questo hai bisogno, più degli altri, di un Direttore per la tua anima. (Cammino, 63) 

La sposa di Cristo ha sempre manifestato la sua santità — e oggi non meno di ieri — grazie all'abbondanza di buoni pastori. Non dimentichiamo però che la fede cristiana ci insegna a essere semplici, ma non ingenui. Ci sono dei mercenari che tacciono e altri che dicono parole che non sono di Cristo. Pertanto, se il Signore permette che restiamo nell'oscurità, sia pure in cose piccole, se sentiamo che la nostra fede è insicura, ricorriamo al buon pastore. Ritorniamo a colui che entra dalla porta, esercitando il suo diritto; a colui che, dando la sua vita per gli altri, vuole essere, nella parola e nella condotta, un'anima innamorata; a colui che è fors'anche un peccatore, ma un peccatore che confida sempre nel perdono e nella misericordia di Cristo. 
Se la coscienza vi rimprovera qualche mancanza — anche se non vi sembra grave — ricorrete, nel dubbio, al sacramento della Penitenza. Recatevi dal sacerdote che può aver cura di voi, che sa esigere da voi fede vigorosa, delicatezza d'animo, vera fortezza cristiana. Nella Chiesa esiste piena libertà di confessarsi da qualunque sacerdote che ne abbia ricevuto la facoltà; ma un cristiano di visione chiara ricorrerà — liberamente — a colui che riconosce come buon pastore, a colui che può aiutarlo a elevare lo sguardo e a ritrovare lassù la stella del Signore. (E' Gesù che passa, 34)
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A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona

Lc 11,29-32 
Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona. 

Non dobbiamo invidiare la generazione dei contemporanei di Gesù. 
Egli stesso la definisce "generazione malvagia" perché è ancora sotto lo spirito del maligno e chiede dei segni invece di convertirsi all'annuncio della sua parola. 
Egli si rifiuta di dare dei segni "fuorché il segno di Giona". Gesù sarà il segno della misericordia di Dio per tutti. 
Invece di chiedergli segni, bisogna convertirsi all'annuncio della sua morte e risurrezione. Se la fede è obbedire a Dio, il contrario della fede è la pretesa che Dio obbedisca a noi. 
E questo avviene quando si instaura con Dio un rapporto di ricatto, chiedendo sempre prove nuove e più grandi, senza decidersi a credere al suo amore. Dio ci concede dei segni per farci arrivare alla fede. 
Ma chi ne cerca ancora dopo essere arrivato alla fede, instaura con Dio un rapporto di ricatto invece che di fiducia. I segni che Dio ci dà rispettano sempre la nostra libertà, ossia non ci costringono mai a credere. Tutti i segni che Dio concede in Gesù si riassumono nel segno di Giona: egli fu segno di un Dio misericordioso e clemente, di grande amore, che si lascia impietosire (Gio 4,2). 
Gesù è il maestro di sapienza al quale i credenti possono rivolgersi sicuri di trovare maggior conforto di quanto ne ebbe la regina di Saba nell'ascoltare i responsi di Salomone. 
La salvezza dipende dalla nostra risposta all'annuncio di misericordia di colui che è più di Salomone e di Giona, al di sopra dei sapienti e dei profeti. 
Padre Lino Pedron
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martedì 19 febbraio 2013

Voi dunque pregate così

Mt 6,7-15 
Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome,  venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe. 

Gesù ci insegna la preghiera cristiana, che si contrappone alla preghiera dei farisei e dei pagani: il Padre nostro. E' un testo di grande importanza che ci aiuta a comprendere chi è il cristiano. 
Il Padre nostro è una parola di Dio rivolta a noi, più che una nostra preghiera rivolta a lui. E' il riassunto di tutto il vangelo. Non è Dio che deve convertirsi, sollecitato dalle nostre preghiere: siamo noi che dobbiamo convertirci a lui. Il contenuto di questa preghiera è unico: il regno di Dio. 
Ciò è in perfetta consonanza con l'insegnamento di Gesù: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33). 
Padre nostro. Il discepolo ha diritto di pregare come figlio. E sta in questo nuovo rapporto l'originalità cristiana (cfr Gal 4,6; Rm 8,15). La familiarità nel rapporto con Dio, che nasce dalla consapevolezza di essere figli amati dal Padre, è espressa nel Nuovo Testamento con il termine parresìa che può essere tradotto familiarità disinvolta e confidente (cfr Ef 3,11-12). L'aggettivo nostro esprime l'aspetto comunitario della preghiera. Quando uno prega il Padre, tutti pregano in lui e con lui. L'espressione che sei nei cieli richiama la trascendenza e la signoria di Dio: egli è vicino e lontano, come noi e diverso da noi, Padre e Signore. Il sapere che Dio è Padre porta alla fiducia, all'ottimismo, al senso della provvidenza (cfr Mt 6,26-33). 
Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà. 
Il verbo della prima invocazione è al passivo: ciò significa che il protagonista è Dio, non l'uomo. 
La santificazione del nome è opera di Dio. La preghiera è semplicemente un atteggiamento che fa spazio all'azione di Dio, una disponibilità. L'espressione santificare il nome dev'essere intesa alla luce dell'Antico Testamento, in particolare di Ez 36,22-29. 
Essa indica un permettere a Dio di svelare il suo volto nella storia della salvezza e nella comunità credente. Il discepolo prega perché la comunità diventi un involucro trasparente che lasci intravedere la presenza del Padre. La venuta del Regno comprende la vittoria definitiva sul male, sulla divisione, sul disordine e sulla morte. Il discepolo chiede e attende tutto questo. Ma la sua preghiera implica contemporaneamente un'assunzione di responsabilità: egli attende il Regno come un dono e insieme chiede il coraggio per costruirlo. La volontà di Dio è il disegno di salvezza che deve realizzarsi nella storia. Come in cielo, così in terra. Bisogna anticipare qui in terra la vita del mondo che verrà. La città terrestre deve costruirsi a imitazione della città di Dio. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. 
Il nostro pane è frutto della terra e del lavoro dell'uomo, ma è anche, e soprattutto, dono del Padre. Nell'espressione c'è il senso della comunitarietà (il nostro pane) e un senso di sobrietà (il pane per oggi). Il Regno è al primo posto: il resto in funzione del Regno. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Anche queste tre ultime domande riguardano il regno di Dio, ma dentro di noi. Il Regno è innanzitutto l'avvento della misericordia. 
Questa preghiera si apre con il Padre e termina con il maligno. L'uomo è nel mezzo, conteso e sollecitato da entrambi. Nessun pessimismo, però. Il discepolo sa che niente e nessuno lo può separare dall'amore di Dio e strappare dalle mani del Padre. 
Matteo commenta il Padre nostro su un solo punto, rimetti a noi i nostri debiti.... Ecco il commento: "Se voi, infatti, perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi...". Nel capitolo precedente Matteo aveva messo in luce l'amore per tutti. Ora mette in luce la sua concreta manifestazione: il perdono. 
Padre Lino Pedron
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Angelo Custode/11

“È da Dio e da Lui solo che ricevete la vita in Gesù Cristo” (1 Cor 1,30). 
Come lo si deve lodare per questo dono supremo! 
Ah, se tu conoscessi la potenza della tua lode! 
Essa produce miracoli. 
Offri a Dio, durante la giornata, una breve preghiera di lode, un semplice grido: “Grazie, Signore, per il dono della vita! 
Grazie, Signore, per questo istante di gioia!”. 
Ma anche: “Grazie, Signore, per questa prova
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Epistolario di san Pio/10

43)Il pensiero che ogni istante posso perdere Gesù mi dà un affanno che non so spiegare; solo quell'anima che ama sinceramente Gesù potrà saperlo. 

44) Gesù ti conforti e ti riempia di suoi celesti carismi. 
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Preghiera del mattino del 19/II/2013

"Ho offuscato la bellezza della mia anima, o Creatore; l'oscurità ha invaso il mio cuore e il mio desiderio si è legato alla terra, ho fatto a brandelli i vestiti originari che tu mi avevi tessuto. 
Ho contemplato la bellezza dell'albero del male e il mio spirito ne è stato sedotto. 
Mi sono trovato nudo e mi sono nascosto. 
Non ho risposto, Signore, quando mi chiamavi per nome". 
Ma oggi nel deserto di questa Quaresima ho di nuovo sentito la tua voce, e non chiuderò più il mio cuore; entra nella tenda della mia carne affinché da questo tempio spirituale si innalzi il sacrificio di una preghiera continua.
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lunedì 18 febbraio 2013

Io confido in Te, so che sei mio Padre

Gesù prega nell'orto: Pater mi (Mt 26, 39), Abba, Pater! (Mc 14, 36). Dio è mio Padre, anche se mi manda sofferenze. Mi ama con tenerezza, anche se mi ferisce. Gesù soffre, per compiere la Volontà del Padre... E io, che a mia volta voglio compiere la santissima Volontà di Dio, seguendo le orme del Maestro, potrò lamentarmi se trovo la sofferenza come compagna di strada? Sarà un segno certo della mia filiazione, perché Egli mi tratta come il suo divino Figlio. E, da allora, come Lui, potrò gemere e piangere solo nel mio Getsemani, ma. prostrato a terra, riconoscendo il mio nulla, salirà fino al Signore un grido sgorgato dall'intimo della mia anima: Pater mi, Abba, Pater,... fiat! (Via Crucis, 1ª Stazione, n. 1) 

Per motivi che non occorre ricordare — ma che ben conosce Gesù, che ci presiede dal Tabernacolo —, la vita mi ha condotto a sapere in modo tutto particolare di essere figlio di Dio, e ad assaporare la gioia di mettermi nel cuore di mio Padre, per rettificare, per purificarmi, per servirlo, per comprendere e scusare tutti, sul fondamento del suo amore e della mia umiliazione. 
Per questo desidero ora insistere sulla necessità per voi e per me di scuoterci, di ridestarci dal sonno molle che tanto facilmente ci intorpidisce, per tornare a percepire in modo più profondo e più immediato la nostra condizione di figli di Dio. 
L'esempio di Gesù e il suo peregrinare lungo le strade di Palestina ci aiutano a farci compenetrare da codesta verità. Se accettiamo la testimonianza degli uomini — leggiamo nell'Epistola —, la testimonianza di Dio è maggiore [1 Gv 5, 9]. In che consiste la testimonianza di Dio? La risposta è ancora in san Giovanni: Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! (...) Carissimi, noi fin da ora siamo figli di Dio [1 Gv 3, 1-2]. 
Nel corso degli anni, ho cercato senza cedimenti di fondarmi su questa gioiosa realtà. La mia orazione, in ogni circostanza, è stata la stessa, pur con toni differenti. Gli ho detto: «Signore, Tu mi hai messo qui; Tu mi hai confidato questa o quella cosa e io confido in Te. So che sei mio Padre e ho sempre visto i piccoli fidarsi pienamente dei loro genitori». L'esperienza sacerdotale mi conferma che l'abbandono nelle mani di Dio spinge le anime ad acquistare una pietà forte, profonda e serena che incoraggia a lavorare sempre con rettitudine di intenzione. (Amici di Dio, 143)
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Venite, benedetti del Padre mio

Dal Vangelo Matteo 25,31-46. 
Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna». 

Omelia attribuita a Sant'Ippolito di Roma ( ? - circa 235), sacerdote e martire 
Trattato sulla fine dei tempi 41-43 ; GCS I, 2, 305-307 
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Venite, voi che avete amato i poveri e i forestieri. Venite, voi che siete rimasti fedeli al mio amore, perché sono l'amore. Venite, voi che avete scelto in sorte la pace, perché sono la pace. Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi. Non avete onorato la ricchezza, ma avete fatto l'elemosina ai poveri. Avete soccorso gli orfani, aiutato le vedove, dato da bere agli assetati e da mangiare agli affamati. Avete ospitato i forestieri, vestito quelli che erano nudi, visitato i malati, riconfortato i carcerati, portato aiuto ai ciechi. Avete mantenuto intatto il sigillo della fede e siete stati pronti a riunirvi nelle chiese. Avete ascoltato le mie Scritture e desiderato udire le mie parole. Avete osservato la mia legge, notte e giorno (Sal 1,2) e preso parte alle mie sofferenze, come dei soldati coraggiosi, per trovar grazia presso di me, vostro re celeste. Venite, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Ecco il mio Regno è preparato e il mio cielo aperto. Ecco, la mia immortalità appare in tutta la sua bellezza. Venite tutti, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”.
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Preghiera del mattino del 18/II/2013

Signore, io non ho seguito la via dei giusti e dei patriarchi, non sono stato innalzato nella luce con Enoc, non sono salito con Noè nell'arca della salvezza. 
Ho seguito invece l'omicida Lamec e il fratricida Caino, li ho imitati nella durezza del cuore, perché non ho osservato quanto piace al Signore. 
Non sono riuscito a distinguere il volto del Figlio dell'uomo nel carcerato a cui nessuno fa visita, non ho considerato i più piccoli degli uomini come il vero tesoro della Chiesa. 
Non ho diviso i miei averi con colui che ha un misero salario; mi sono dunque allontanato da te pur continuando a cercarti, Cristo nostra salvezza.
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domenica 17 febbraio 2013

Epistolario di san Pio/9

39) L'umiltà e la carità sono le corde maestre, tutte le altre sono dipendenti da esse. 

40) Gesù vi ama sempre e quando Gesù vi ama di che dunque si deve temere? 

41) Ho tanta fiducia in Gesù, che se anche vedessi l'inferno aperto d'innanzi a me, mi trovassi sull'orlo dell'abisso, non diffiderei, non dispererei, confiderei in lui. 

42)Io ho fatto al Signore la seguente preghiera:Signore fatemi morire anziché trovarmi presente a coloro nell'atto che vi offendono.
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Il Signore ci vuole contenti!

Abìtuati a parlare cordialmente di tutto e di tutti; in particolare di quanti lavorano al servizio di Dio. E quando non è possibile, taci! Anche i commenti bruschi o superficiali possono sconfinare nella mormorazione o nella diffamazione. (Solco, 902) 

Rivolgi nuovamente lo sguardo alla tua vita, e chiedi perdono per questo e quel particolare che immediatamente saltano agli occhi della tua coscienza; per il cattivo uso che fai della lingua; per quei pensieri che girano continuamente intorno a te stesso; per il giudizio critico a cui acconsenti e che scioccamente ti preoccupa, provocandoti una perenne inquietudine, una continua agitazione... Convincetevi che potete essere molto felici! Il Signore ci vuole contenti, ebbri di gioia, camminando sugli stessi avventurosi sentieri da Lui percorsi. Ci sentiamo infelici soltanto quando ci impegniamo ad andare fuori strada, e imbocchiamo la via dell'egoismo e della sensualità; e avviene di peggio se ci immettiamo sul sentiero degli ipocriti. 
Il cristiano deve mostrarsi autentico, verace, sincero in tutte le sue opere. Il suo comportamento deve lasciar trasparire uno spirito: quello di Cristo. Se al mondo c'è qualcuno che deve mostrarsi coerente, questi è il cristiano, perché ha ricevuto in deposito, per farlo fruttificare [Cfr Lc 19, 23], il dono della verità che libera, che salva [Cfr Gv 8, 32]. Forse qualcuno mi domanderà: «Padre, ma come riuscirò a ottenere questa sincerità di vita?». Gesù Cristo ha consegnato alla sua Chiesa tutti i mezzi necessari: ci ha insegnato a pregare, a entrare in rapporto con il Padre suo che è nei Cieli; ci ha mandato il suo Spirito, il Grande Sconosciuto, che agisce nella nostra anima; e ci ha lasciato quei segni visibili della grazia che sono i sacramenti. Usali. Intensifica la tua vita di pietà. Fa' orazione tutti i giorni. E non sottrarre mai la tua spalla al dolce peso della Croce del Signore. 
E stato Gesù a invitarti a seguirlo da buon discepolo, perché tu possa compiere il tuo passaggio sulla terra seminando la pace e la gioia che il mondo non può dare. Per questo — ripeto — dobbiamo camminare senza paura della vita e senza paura della morte, senza rifuggire a ogni costo dal dolore, che per il cristiano è sempre mezzo di purificazione e occasione per amare davvero i fratelli, utilizzando le mille occasioni della vita quotidiana. (Amici di Dio, 141)
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Gesù fu guidato dallo Spirito nel deserto e tentato dal diavolo

Lc 4,1-13 
Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano; e anche: Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato. 

Questo racconto serve per far comprendere il messianismo di Gesù che rifiuta di prendere il potere politico (cfr Mc 6,45; Gv 6,15), di fare un segno divino per costringere tutti a credergli (cfr Lc 11,16; Mc 8,11) e di seguire una via satanica che gli facesse evitare la croce per ottenere il Regno (cfr Mc 8,31-33). Le tentazioni non sono da relegare solo all'inizio del ministero di Gesù. 
La sua vita fu tentazione e lotta fino alla fine. 
Gesù esce dal Giordano pieno di Spirito. 
Lo stesso Spirito riempie anche noi e ci conduce nel deserto di questa vita perché usciamo vittoriosi dalla prova. Il deserto è il simbolo della vita umana; è il cammino verso la terra promessa, verso Dio. E' figura della vita stessa del battezzato, con tutti i suoi pericoli e le sue paure attraverso i quali lo Spirito lo conduce. 
I quaranta giorni sono un'allusione ai quarant'anni trascorsi dal popolo d'Israele nel deserto. Il diavolo è colui per la cui invidia entrò la morte nel mondo (cfr Sap 2,24), colui che insinuò nel cuore di Adamo il sospetto e la sfiducia in Dio e lo portò a disubbidire e ad allontanarsi da lui (cfr Gen 3). 
E' il vero protagonista del male contro il quale Cristo lotta e vince. 
La radice con cui questo male si radica nell'uomo è l'egoismo. 
Il rimedio al male è la fede. Gesù è venuto nel mondo per mostrare il vero volto del Padre vivendo da Figlio. La tentazione continua dell'uomo è quella di non credersi creatura di Dio. 
La forza per vincere la tentazione è il ricorso alle Scritture, l'obbedienza alla parola di Dio. 
Il primo pane, la prima sorgente della vita è Dio stesso. Egli non si pone in antagonismo con l'uomo, ma in rapporto di priorità rispetto a tutto il resto: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33). 
Gesù non ottiene il Regno perché si abbassa a adorare il diavolo, ma proprio perché lo rifiuta radicalmente. E questa scelta lo porterà sulla croce. Proprio sulla croce Gesù inaugura il suo regno. Uno dei malfattori aggiunse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,42-43). 
Il regno di Dio sulla terra è l'adorazione del vero Dio perché è la libertà dell'uomo da ogni idolo. 
L'uomo, immagine di Dio, realizza sé stesso solo se si pone in adorazione davanti a Dio. 
Bisogna obbedire a Dio, non tentarlo. 
La nostra vita è salva se ci mettiamo nelle sue mani senza porre condizioni, vivendo radicalmente la preghiera insegnataci da Gesù: "Padre, ... sia fatta la tua volontà". Gesù supera ogni specie di tentazione. Così egli vince tutto il male dell'uomo e crea lo spazio di libertà dal maligno. 
Il "tempo fissato" per il ritorno del diavolo è evidentemente il momento della Passione, dove l'istigazione di satana si manifesterà attraverso i capi del giudaismo e perfino attraverso qualche discepolo. 
L'opposizione contro Gesù non è stata mossa da zelo religioso o da interesse per l'onore di Dio e dell'uomo, ma dall'attaccamento al proprio potere e al proprio prestigio. 
Luca vuole indicare in Gesù, vincitore delle tentazioni del demonio, un modello a cui i cristiani devono ispirarsi nelle lotte che sostengono per non tradire i propri impegni battesimali. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 17/II/2013

Manifestati a noi, Signore, in questo tempo di grazia affinché, trovandoti, il nostro giudizio si risvegli. 
Il nostro cuore non sia ingannato dalla capacità seduttrice del mondo, né intimidito dalla sua violenza. 
Fa' che conosciamo la tua vittoria sul nemico, perché, quando hai trionfato nel deserto, tutti gli uomini - che ti appartengono - hanno superato la prova. 
Fa' che viviamo con te per conoscere e poter scegliere in ogni momento il cammino che conduce alla libertà.
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sabato 16 febbraio 2013

Angelo Custode/10

“Non abbiamo che un solo Dio: il Padre da cui provengono tutte le cose, è per lui che noi esistiamo” (1 Cor 8,6). 
Questo Dio è tuo Padre, e tu sei suo figlio. 
Egli veglia sempre su di te, e ti conosce meglio di te stesso. 
Sforzati di diventare sempre più degno di Lui, supplicalo di farsi conoscere da un numero crescente di anime fino a che il mondo intero non brucerà d’amore per Lui, e in questo incendio risplenda la sua infinita maestà, nella sua misericordia e tenerezza.
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Angelo Custode/9

L’uomo spesso è diviso tra pensieri diritti e un cuore semplice e pensieri tormentosi, che meditano il male. 
I primi sono propri di un corpo abitato dalla grazia, gli altri di un corpo asservito al peccato. 
Come il giardiniere è afflitto dall'erbaccia cattiva che rischia di soffocare il giardino e il raccolto, così estirpa dal tuo cuore ogni pensiero tortuoso che vi potrebbe germogliare. 
Non mettere mai in pericolo lo Spirito Santo che vive in te. 
E' il tuo educatore, lasciati guidare da Lui. 
Egli lo fa con così tanto amore! 
La tua docilità gli fa mormorare dolcemente in te “Abba”. 
Cerca sempre la pienezza in Lui, solo così sarai un essere libero, poiché “dov'è lo Spirito del Signore, là è la libertà” (2 Cor 3,17). 
Lo Spirito Santo abita in te, non rattristarlo mai più.
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Angelo Custode/8

Leva dal tuo giardino interiore le pietre che lo deturpano, potrebbe cadervi della semenza divina ma il sole la seccherebbe. 
I grani portatori di vita devono poter crescere, e occorre loro una buona terra. A te il compito di vegliare che essa sia sempre pronta a ricevere la semenza divina, che “dona frutti a cento, a sessanta, o a trenta per uno” (Mt 13,8).
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Una volta battezzati, siamo tutti uguali

Affermi che stai comprendendo a poco a poco che cosa vuol dire «anima sacerdotale»... Non ti arrabbiare se ti rispondo che i fatti dimostrano che lo comprendi solo in teoria. Ogni giorno ti capita la stessa cosa: alla sera, al momento dell'esame, tanti desideri e propositi; al mattino e al pomeriggio, nel lavoro, tutte difficoltà e scuse. È così che vivi il «sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo»? (Solco, 499) 

Nella Chiesa c'è uguaglianza: i battezzati sono tutti uguali, perché tutti figli dello stesso Dio, nostro Padre. In quanto cristiani non c'è differenza alcuna fra il Papa e l'ultimo a essersi incorporato alla Chiesa. Però questa radicale uguaglianza non significa possibilità di cambiare la costituzione della Chiesa, in ciò che Cristo ha stabilito. Per esplicita volontà divina c'è diversità di funzioni, che comporta anche una differente idoneità, e un «carattere» indelebile conferito dal Sacramento dell'Ordine ai ministri consacrati. Al vertice di questo ordinamento c'è il successore di Pietro e, con lui e sotto di lui, tutti i vescovi, con la loro triplice missione di santificare, di governare e di insegnare. 
 Le verità di fede e di morale — permettetemi l'insistenza — non si stabiliscono a maggioranza di voti: esse formano il deposito — depositum fidei — dato da Cristo a tutti i fedeli e affidato, per quanto riguarda l'esposizione e l'insegnamento autorevole, al Magistero della Chiesa. 
 Sarebbe un errore pensare che, dal momento che gli uomini hanno acquisito maggior consapevolezza dei legami di solidarietà che li uniscono, si debba modificare la costituzione della Chiesa, per farla procedere con i tempi. I tempi non sono degli uomini, neppure degli uomini di Chiesa; i tempi sono di Dio, che è il Signore della storia. E la Chiesa può dare la salvezza alle anime soltanto se rimane fedele a Cristo nella sua costituzione, nei suoi dogmi, nella sua morale. (La Chiesa nostra Madre, 1993, punti: 14-15)
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Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano

Lc 5,27-32 
Dopo questo egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C'era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano». 

L'essenza del cristianesimo non è una dottrina, ma la persona di Gesù. 
Egli rivolge ad ogni uomo l'invito: "Seguimi" (v. 27). 
Levi lascia tutto e segue Gesù. 
Non è un atto di rinuncia fine a sé stesso. 
E' il gesto di uno che ha scoperto il vero tesoro nel campo della sua vita, di chi ha trovato la perla preziosa (cfr Mt 13). 
Gesù mangia con Levi e i suoi amici. Dio diventa nostro commensale e noi diventiamo un'unica famiglia con lui. 
Egli chiama a questo banchetto gli esclusi e i peccatori. 
La sua cena non è riservata ai "puri". 
Proprio per questo essi rifiutano di parteciparvi e brontolano. 
Gesù si immerge nel mondo dei peccatori per far sorgere in esso la conversione. 
La sua missione è di salvare i peccatori, come quella del medico è di guarire i malati. 
Il guaio dei farisei di tutti i tempi è di non voler capire che la salvezza è dono dell'amore di Dio e non merito dell'uomo. 
Ciò che salva l'uomo non è il suo amore per Dio, ma l'amore gratuito di Dio per lui. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 16/II/2013

Ho peccato più di Matteo il pubblicano, perché da sempre conosco il tuo Nome. 
Ma tu mi chiami di nuovo a seguirti. 
Come lui voglio alzarmi, rovesciare la tavola della mia vita quotidiana, carica di false ricchezze e di commercio con lo spirito del mondo; come Levi, io ti dico: Entra da me e che la tua saggezza immoli la vittima sull'altare della mia vita. 
Che io divenga l'ostia dell'azione di grazie per la vita ritrovata. 
O Gesù, per la tua bontà, degnati di chiamarmi con il mio nome.
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venerdì 15 febbraio 2013

Epistolario di san Pio/8

33) Non temete per le suggestioni di Satana, armatevi contro di esse con il disprezzo. 

34) Se dobbiamo aver pazienza a sopportare le miserie altrui, tanto piú dobbiamo sopportare noi stessi. Nelle tue quotidiane infedeltà umíliati, umíliati, umíliati sempre. Quando Gesú ti vedrà umiliato fino a terra, ti stenderà la mano e penserà lui stesso ad attirarti fino a sé. 

35) La grazia del Signore abbondi sempre più nel tuo cuore e ti renda sempre più degna e più accetta al suo divin Cuore. 

36) Quel Dio che ci siamo proposti di vedere e tener scolpito dinanzi alla nostra mente è sempre pronto a venirci in aiuto. 

37) Quante difficoltà si incontrano nel praticare il bene! Ma Gesù terrà conto di tutto. 

38) Gesù sia sempre tuo, ti assista sempre con la sua vigile grazia e ti renda sempre più degno dei suoi divini amplessi.
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Quando lo sposo sarà loro tolto, allora digiuneranno.

Mt 9,14-15 
Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno. 

Le parole di Gesù e le sue prese di posizione suscitano perplessità e dissenso nei farisei e nei discepoli di Giovanni. 
Essi digiunavano per affrettare la venuta del Messia e per disporsi ad accoglierlo. 
I discepoli di Gesù sono convinti che il Messia è già con loro e quindi vivono il tempo della festa, non del digiuno. 
Più tardi lo Sposo sarà loro tolto (allusione alla morte di Gesù) e allora digiuneranno. 
Il digiuno cristiano è rivolto al passato, in quanto commemora la morte di Gesù, ma è rivolto anche al futuro, in quanto attende l'avvento del regno di Dio. 
La comunità cristiana è radunata sotto la croce di Cristo in attesa di radunarsi con lui nella gloria della risurrezione e della vita eterna. 
Padre Lino Pedron
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