domenica 28 febbraio 2010

Pensieri 123

La prima parola del mistico è Dio, conosciuto ed esperimentato come amore. E l’approdo dell’esperienza mistica cristiana è la conoscenza di Dio come Trinità. È caratteristico dei mistici innalzarsi fino alla Trinità e cantare il mistero di Dio Amore, la natura divina come fuoco incandescente di carità (J. Castellano Cervera, “Mistica e ontologia trinitaria”, in Abitando la Trinità. Per un rinnovamento dell’ontologia, a cura di P. Coda – L. Zák, Città Nuova, Roma 1998, 255-279, qui 261).

Gli studi trinitari sono quelli che hanno prodotto di recente maggiori novità per il pensiero e la vita del cristianesimo. Sono stati fatti notevoli sforzi per rinnovare la teologia trinitaria e per ripensare tutta la teologia alla luce della Trinità. Tuttavia, il fenomeno più rilevante è la forza con la quale si va riscoprendo la imitabilità e la praticabilità della vita trinitaria nella storia. Appare infatti costantemente, nei testi e negli ambienti cristiani, l’affermazione che nella Trinità si trova non soltanto l’origine e il fine, ma anche la radice, lo spazio, il “modello” della società umana (E. Cambón, Trinità modello sociale, Città Nuova, Roma 1999, 16).

Dobbiamo vedere nella Trinità non il Dio astratto della metafisica classica e scolastica, ma il Dio vicino che si compromette con gli uomini, fino ad abbracciare anche fisicamente la loro storia.

Per Gregorio di Nazianzo l’analogia e l’immagine di Dio trino appaiono sulla terra con la cellula originaria familiare costituita da Adamo, Eva e Set. Non dunque l’individuo in sé, ma quella cellula originaria della comunità umana è il corrispondente del Dio trino. Di fatto queste tre persone sono una stessa carne e uno stesso sangue, formano una unica famiglia. Nella originaria comunità umana costituita da uomo, donna e figlio si riconosce il Dio trino. […] Per quanto riguarda l’immagine sulla terra del Dio trino, ne deriva che non è solo l’essere umano nella sua qualità di persona, ma la stessa comunità a dover essere conforme al Dio trino. Dio intende riconoscersi nella comunità autenticamente umana. Quale sarà? Una comunità conforme al Dio trino è quella i cui membri condividono tutto e hanno tutto in comune, con la sola eccezione delle loro qualità personali: “mettevano tutto in comune” e “nessuno tra di loro era indigente” [At 4,32ss] (J. Moltmann, “La potenza riconciliatrice della Trinità”, 37-38).

Il nostro Dio, nel suo mistero più intimo, non è solitudine, ma famiglia (Giovanni Paolo II, papa).

La comunione che si deve costruire fra gli uomini è una comunione che abbraccia l’essere fin nelle sue radici del loro amore e deve manifestarsi in tutta la vita, anche economica, sociale e politica. Prodotta dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo, essa è la comunicazione della loro propria comunione trinitaria (L. Boff, “ La Trinità ” in Ellacuria I. – Sobrino J., Mysterium liberationis. Concetti fondamentali della teologia della liberazione, Borla, Roma 1992, 435).

Il mistero trinitario orienta verso forme sociali dove si valorizzano le relazioni tra le persone e le istituzioni, in maniera egualitaria, fraterna e rispettosa delle differenze. Solo così si possono superare le oppressioni e la vita e la libertà potranno trionfare (L. Boff, Trinità: la migliore comunità, Cittadella, Assisi 1990, 106).

Quando leggiamo nella Bibbia che Dio comanda di uccidere tutti i cananei, noi dobbiamo intendere bene questa affermazione; chi ha scritto quelle parole pensava che Dio volesse che gli ebrei facessero fuori i cananei; era una credenza dello scrittore, una sua convinzione profonda (G. Barbaglio, Amore e violenza. Il Dio bifronte, Pazzini, Villa Verrucchio (RN) 2006, 18).

Quando i cristiani dimenticano lo spirito del quale devono vivere, la Chiesa ha la tendenza ad essere il riflesso puro e semplice della cultura dominante e la vecchia opposizione tra i sessi comincia a riapparire. Le donne sono considerate creature inferiori che minacciano l’integrità dell’uomo; eliminarle dalle strutture ecclesiastiche si rivela più comodo di una ricerca onerosa per una comprensione e una collaborazione mutua nel servizio di Dio (E. Gibson, Femmes et ministères dans l’Église, Casterman 1971, 47).

Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di
tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.

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Non voler essere adulto. —Bambino, bambino sempre

Non voler essere adulto. —Bambino, bambino sempre, anche se stessi per morire di vecchiaia. —Quando un bambino inciampa e cade, nessuno si sorprende...: suo padre si affretta a rialzarlo. Quando a inciampare e cadere è un adulto, il primo moto è il riso. —A volte, passato quel primo impulso, il ridicolo cede alla pietà. —Ma gli adulti devono rialzarsi da soli. La tua triste esperienza quotidiana è piena di ostacoli e di cadute. Che sarebbe di te se non fossi sempre più bambino? Non voler essere adulto. —Bambino, e, quando inciampi, ti risollevi la mano di tuo Padre-Dio. (Cammino, 870)

La devozione che nasce dalla filiazione divina è un atteggiamento profondo dell'anima, che finisce per informare tutta l'esistenza: è presente in tutti i pensieri, in tutti i desideri, in tutti gli affetti. Non avete visto che in famiglia i figli, pur senza rendersene conto, imitano i genitori, ne ripetono i gesti, le abitudini, e concordano con loro in tanti atteggiamenti?
Lo stesso succede nel comportamento di un buon figlio di Dio: si arriva — senza sapere come, né per quale via — a un meraviglioso deificarsi, che ci permette di inquadrare gli avvenimenti col rilievo soprannaturale della fede; si arriva ad amare tutti gli uomini come li ama il nostro Padre del Cielo e — cosa ancora più importante — si acquista nuovo brio nel nostro sforzo quotidiano di avvicinarci al Signore. Non contano le miserie — ripeto — perché ci sono le braccia amorose di Dio nostro Padre per rialzarci. (Amici di Dio, 146)
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Posso solo tentare

Signore, non riesco a pregare, non riesco a ringraziare, non riesco a credere.
Posso solo tentare di mostrare il mio amore ad ogni essere umano che ha bisogno di me,
e cercare la verità e la giustizia: questa è la mia preghiera.
Posso solo tentare di stare accanto al mio fratello che gli uomini disprezzano,
per essere disprezzata insieme a lui:questo è il mio grazie.

Posso solo, instancabilmente, continuare a cercare l’anima perdutasi sotto le macerie di ciò
che avrebbe dovuto essere la tua immagine: questa è la mia fede.
Signore, se mi ascolti, dammi la forza di pregare così, di ringraziare così, di credere così!

BRIGITTA WOLF
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Beato Timoteo Trojanowski

Sacerdote O.F.M. Conv. , Martire del nazismo

Timoteo Trojanowski (al secolo Stanislaw Antoni) nacque il 29 luglio 1908 nel villaggio di Sadlowo, nella diocesi di Plock, dai genitori Ignacy e Franciszka Zebkiewicz.

Le precarie condizioni familiari lo portarono a lavorare sin dalla tenera età. Ciò comportò una ridotta frequenza alla scuola primaria.
Il 5 marzo 1930 entrò nel convento dei Frati Minori Conventuali a Niepokalanów ed il 6 gennaio 1931 poté iniziare il noviziato con il nome di Timoteo (Tymoteusz).

Fece la professione semplice il 2 febbraio 1932 e quella solenne l’11 febbraio 1935.
Tutta la sua vita religiosa si svolse a Niepokalanów, lavorando nel reparto di spedizione del periodico “Cavaliere dell’Immacolata”, nel magazzino di rifornimento e nell’infermeria, ove si dedicava ai confratelli malati.

Il 3 maggio 1937 comunicò al suo superiore il desiderio di recarsi in missione “ovunque e in qualsiasi momento, a disposizione della volontà di Dio”. Frate disciplinato e fedele alla sua vocazione, godeva di grande fiducia da parte del suo celebre superiore, padre (san) Massimiliano Maria Kolbe.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939, preferì restare a Niepokalanów.
Il 14 ottobre 1941 venne arrestato dalla Gestapo con sei confratelli e rinchiuso in prigione a Varsavia. In prigione poté dedicare molto tempo alla preghiera, infondendo coraggio agli altri ed offrendosi sempre per i lavori più pesanti.

L’8 gennaio 1942 fu nuovamente deportato nel campo di concentramento di Auschwitz-Oswincim, Germania (oggi Polonia) con il numero 25431. Inizialmente fu destinato al trasporto dei materiali da costruzione, poi allo scavo ed al trasporto della ghiaia ed infine alla raccolta del ravizzone. Sopportò sempre con estremo coraggio la fame, il freddo ed il duro lavoro. Non si perse mai d’animo, incoraggiando addirittura gli altri coprigionieri esortandoli a confidare nella protezione di Dio.

Il freddo gli causò una polmonite che lo portò alla morte nell’ospedale del lager il 28 febbraio 1942.

Timoteo Trojanowski, insieme ad altri 107 martiri polacchi, è stato beatificato, a Warszawa (Polonia) il 13 giugno 1999, dal Servo di Dio Giovanni Paolo II.

Significato del nome Timoteo : “colui che onora Dio” (greco)

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Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, parlavano con lui della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme

Anastasio Sinaita (? - dopo 700), monaco
Discorso sulla Trasfigurazione

Oggi, sul monte Tabor, ci viene misteriosamente manifestata la condizione della vita futura e del Regno della gioia. Oggi, in un modo stupendo, gli antichi messaggeri dell'Antica e della Nuova Alleanza sono radunati intorno a Dio sul monte, portatori di un mistero pieno di paradosso. Oggi, sul monte Tabor si profila il mistero della croce che, oltrepassata la morte, dona la vita : come Cristo fu crocifisso in mezzo a due uomini sul monte Calvario, così egli è innalzato nella sua divina maestà tra Mosè e Elia. E la festa di oggi ci mostra quest'altro Sinai, monte molto più prezioso dell'antico Sinai, per le sue meraviglie e gli eventi che vi accadono : con la sua teofania, supera le visioni divine, figurate ed oscure.

Rallegrati, o Creatore di ogni cosa, Cristo Re, Figlio di Dio, tutto splendente di luce, tu che hai trasfigurato a tua immagine tutta la creazione e l'hai ricreata in un modo migliore. Rallegrati, o immagine del Regno celeste, monte santissimo del Tabor, tu che superi in bellezza tutti i monti ! Monte del Gòlgota e monte degli Ulivi, cantate insieme l'inno di lode e rallegratevi ; con voce unanime, cantate Cristo sul monte Tabor e celebratelo tutti insieme !
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sabato 27 febbraio 2010

Siamo tutti fratelli !

L'Apostolo ha anche scritto che «non c'è distinzione tra gentile e giudeo, tra circonciso e incirconciso, tra barbaro e scita, tra schiavo e libero, ma Cristo è tutto ed è in tutti». Queste parole valgono oggi come ieri: di fronte al Signore, non esistono differenze di nazione, di razza, di classe, di stato... Ognuno di noi è rinato in Cristo, per essere una nuova creatura, un figlio di Dio: siamo tutti fratelli, e da fratelli ci dobbiamo comportare. (Solco, 317)

Dinanzi alla fame di pace, noi ripetiamo con san Paolo: Cristo è pax nostra, la nostra pace. Dinanzi all'anelito di verità, dobbiamo ricordare che Cristo è la via, la verità e la vita. Chi aspira all'unità, deve porsi di fronte a Cristo che prega affinché siamo consummati in unum, perfetti nell'unità. La sete di giustizia deve guidarci alla sorgente da cui scaturisce la concordia fra gli uomini: l'essere e il sapersi figli del Padre, e quindi fratelli. Pace, verità, unità, giustizia.

Come sembra difficile, a volte, la missione di superare le barriere che impediscono la convivenza umana; eppure noi cristiani siamo chiamati a operare il grande miracolo della fraternità; a ottenere, con l'aiuto della grazia divina, che gli uomini si comportino cristianamente, portando gli uni i pesi degli altri, vivendo il comandamento dell'amore, che è vincolo di perfezione e riassume tutta la legge. (E' Gesù che passa, 157)

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Gesù ha scritto i vostri nomi nel Suo Cuore in maniera indelebile

Cuore amatissimo di Gesù, Cuore degno di tutto il mio amore e di tutta la mia adorazione, mosso dal desiderio di riparare edi cancellare le offese così gravi e numerose fatte contro di te, e per evitare che io stesso mi macchi della colpa di ingrato, ti offro e ti consacro interamente il mio cuore, i miei affetti, il mio lavoro e tutto me stesso....
Per quanto siano poveri i miei meriti, o Gesù, ti offro le mie preghiere, i miei atti di penitenza, di umiltà, di obbedienza e delle altre virtù che praticherò oggi e durante l'inteera mia vita, fino all'ultimo respiro.

Propongo di fare ogni cosa a gloria tua, per tuo amore e per consolare il Tuo Cuore, ti supplico di accettare la mia umile consacrazione per le mani purissime di Maria, Madre tua e Madre mia.

Disponi di me e delle mie cose, o Signore, secondo il beneplacito del tuo Cuore. Amen

(Leone Dehon)

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San Gabriele dell'Addolorata

Accolito della Congregazione della Passione

Gabriele dell'Addolorata, al secolo Francesco Possenti, undicesimo di tredici figli, nacque il 1° marzo 1838 ad Assisi, città di cui il padre Sante era governatore e che allora faceva parte dello Stato pontificio retto la Pp Pio IX. Fu battezzato il giorno stesso della sua nascita nella stessa fonte in cui lo fu S. Francesco d’Assisi, di cui gli venne imposto il nome.

Francesco conduceva una vita normale per un giovane. Era noto per la sua personalità affettuosa ed estroversa, il suo amore per il ballo, la caccia ed il teatro. Rischiò più volte la vita nelle sue spedizioni di caccia.

Durante la processione dell'icona della Madonna dell’Addolorata, Francesco capì che la felicità non l'avrebbe trovata nel matrimonio ma bensì nella vita sacerdotale e a 18 anni salutò il padre e i fratelli (la madre, Agnese Frisciotti, era morta quando Francesco aveva quattro anni) e partì per Morrovalle (MC) per seguire il noviziato presso i Padri Passionisti assumendo il nome di Gabriele dell'Addolorata.
La scelta della vita religiosa per lui fu radicale fin dall'inizio. Aveva trovato finalmente la sua felicità. Scriveva ai familiari: "La mia vita è una continua gioia. Non cambierei un quarto d'ora di questa vita".

Durante il noviziato coltivò un grande amore per il Cristo Crocifisso e la Madonna Addolorata. Infatti, oltre al voto di diffondere la devozione al Cristo Crocifisso, comune a tutti i Passionisti, Gabriele prese anche quello di diffondere la devozione per la Madonna dell'Addolorata.

Venne presto colpito dalla tubercolosi, ma mantenne tutte le sue forme abituali di mortificazione del corpo, implorò di essere portato alla Messa, e mantenne la sua abituale allegria, al punto che gli altri novizi erano desiderosi di passare il tempo al suo capezzale.

Prima che potesse venire ordinato sacerdote, Gabriele morì, all'età di 24 anni, nel convento passionista di Isola del Gran Sasso (TE) stringendo al petto un'immagine della Madonna Addolorata.

Gabriele dell’Addolorata è stato canonizzato da Pp Benedetto XV il 13 maggio 1920 e, successivamente, dichiarato patrono della gioventù cattolica.

Il Beato Giovanni XXIII lo ha nominato, nel 1959, patrono dell'Abbruzzo, dove passò gli ultimi due anni della sua vita. La Chiesa invoca la sua protezione anche per gli studenti, i seminaristi, i novizi e gli ecclesiastici.

Ogni anno numerosi pellegrini si recano nel Santuario di S. Gabriele ad Isola del Gran Sasso per visitare la sua tomba ed il convento dove visse gli ultimi anni. Il culto di S. Gabriele è diffuso soprattutto fra i giovani cattolici italiani; emigranti italiani ne hanno diffuso il culto anche negli USA, in America Centrale e Meridionale.
Il culto di S. Gabriele viene diffuso anche dall'ordine Passionista. Numerose persone hanno riferito di miracoli ottenuti attraverso la sua intercessione.
Santa Gemma Galgani sostenne che l'intercessione di S. Gabriele l’aveva curata dalla malattia e l'aveva condotta ad una vocazione passionista.

Ogni anno, quando mancano 100 giorni all'inizio dell'esame di stato delle scuole medie superiori, migliaia di studenti dell'Abruzzo si recano al santuario per assistere alla messa e pregare per il buon esito dell'esame.

Significato del nome Gabriele: “uomo di Dio” (assiro), “fortezza di Dio” (ebraico)

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Fà sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni

Sant’Isacco Siriano (7o secolo), monaco nella regione di Ninive (nell’Iraq attuale)
Discorsi, 2a parte, 38, 5 e 39, 3

Presso il Creatore non c’è cambiamento, né intenzione che sia anteriore o posteriore ; nella sua natura, non c’è né odio, né risentimento, né posto più grande o più piccolo nel suo amore, né dopo né prima nella sua conoscenza. Infatti se tutti credono che la creazione abbia iniziato come una conseguenza della bontà e dell’amore del Creatore, sappiamo che questo motivo non cambia né diminuisce nel Creatore in seguito al corso disordinato della sua creazione.

Sarebbe odiosissimo e proprio blasfemo pretendere che esistano in Dio l’odio o il risentimento – nemmeno verso i demoni – o immaginarsi alcun’altra debolezza o passione… Al contrario, Dio agisce sempre con noi attraverso vie che ci sono vantaggiose, siano per noi cause di sofferenza o di sollievo, di gioia o di tristezza, siano insignificanti o gloriose. Tutte sono orientate verso gli stessi beni eterni.
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Voglio darmi a Te senza riserve

Gli dice Pietro: Signore! Tu lavare i piedi a me?
E Gesù risponde: quello che io faccio, tu adesso non lo comprendi; lo comprenderai più avanti. Pietro insiste: i piedi a me tu non li laverai mai. Gesù gli replica: se io non ti laverò, non avrai parte con me. Simon Pietro si arrende: Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e la testa.
Di fronte alla chiamata a una donazione totale, completa, senza esitazioni, molte volte opponiamo una falsa modestia, come quella di Pietro...
Magari fossimo anche noi uomini di cuore, come l'Apostolo! Pietro non permette a nessuno di amare Gesù più di lui.
Questo amore porta a reagire così: eccomi qui, lavami mani, testa, piedi! purificami del tutto!, perché io voglio darmi a Te senza riserve. (Solco, 266)

venerdì 26 febbraio 2010

Santa Paola di S. Giuseppe Calasanzio

Vergine, fondatrice della Congregazione Figlie di Maria Religiose delle Scuole Pie

La vita di Paola, al secolo Paula Montal Fornés, di San Giuseppe Calasanzio, feconda e profetica, quasi centenaria, si svolse in un contesto storico ampio (1799-1889), un periodo di crisi dell'agitato XIX secolo spagnolo, che si dibatteva tra i postulati dell'Antico Regime e le nuove correnti liberali, con ripercussioni socio-politiche, culturali e religiose assai note.
Quattro furono le città specialmente rappresentative nella sua vita, ben radicata nella sua terra e nel suo ambiente storico:
Ad Arenys de Mar (Barcellona), visse la sua infanzia e la sua gioventù (1799-1829). Città della costa, aperta sul mare, cosmopolita ed industriale, lì nacque alla vita, l'11 ottobre del 1799, e nel pomeriggio di quello stesso giorno alla vita della grazia. Si formò in un ambiente familiare cristiano e molto semplice. Partecipò alla vita spirituale della parrocchia. Si distinse per il suo amore verso la Vergine Maria. Da quando aveva 10 anni conobbe la durezza del lavoro per aiutare sua madre, vedova con cinque figli dei quali era la maggiore. In questo periodo, per esperienza propria, constatò che le bambine, le giovani, le donne avevano scarse possibilità di accesso all'educazione, alla cultura... e si sentì chiamata da Dio a svolgere questo compito.

Figueras (Gerona), fu la sua meta. Città di frontiera con la Francia e bastione militare con il suo famoso castello di armi. Accompagnata dalla sua fedelissima amica Inés Busquets, nel 1829, si trasferì nella capitale dell'Ampurdán per aprire la prima scuola femminile, con vasti programmi educativi che superavano abbondantemente il sistema pedagogico per bambini. Si trattava di una scuola nuova. A Figueras, iniziò, quindi, in modo esclusivo, il suo apostolato educativo con le bambine. Lì nacque un carisma nuovo nella Chiesa, un'Opera Apostolica orientata verso l'educazione integrale umana e cristiana delle bambine e delle giovani, verso l'educazione della donna, per salvare le famiglie e trasformare la società. Le sue seguaci si distingueranno perché fanno professione di un quarto voto di insegnamento.

Sabadell (Barcellona), fu la città dove avvenne il trapianto della sua opera educativa nelle Scuole Pie. Sappiamo che almeno a partire dal 1837, si sentì del tutto identificata con il carisma di San Giuseppe Calasanzio e volle vivere la spiritualità e le regole calasanziane. Spinta da questo fine, dopo la fondazione della seconda scuola nella sua città natale (Arenys de Mar, 1842) dove entrò in contatto diretto con i Padri Scolopi di Mataró, aprì una terza scuola a Sabadell nel 1846. E fu provvidenziale la presenza dei Padri Scolopi, Jacinto Felíu ed Agustín Casanovas, nel collegio di Sabadell. Con il loro orientamento ed il loro aiuto, in breve tempo, riuscì ad ottenere la struttura canonica scolopica della sua nascente Congregazione.
Il 2 febbraio del 1847, fece professione di Figlia di Maria Scolopia, insieme alle sue prime tre compagne, Inés Busquets, Felicia Clavell e Francisca de Domingo. Nel Capitolo generale, svoltosi a Sabadell, il 14 marzo del 1847, non fu eletta né superiora generale, né assistente generale.
Nel periodo 1829-1859, svolse un'intensa attività, e fondò personalmente 7 scuole: Figueras (1829), Arenys de Mar (1842), Sabadell (1846), Igualada (1849), Vendrell (1850), Masnou (1852) e Olesa de Montserrat (1859). Ispirò ed aiutò la fondazione di altre 4: Gerona (1853), Blanes (1854), Barcelona (1857) e Sóller (1857). Inoltre fu formatrice delle prime 130 Scolopie della Congregazione, che attraversava un periodo di grande attività di vita e di profetismo.

Olesa de Montserrat (Barcellona), 1859: la sua ultima fondazione personale. Un piccolo e povero paese, ai piedi del Monastero della Vergine di Montserrat, per la quale sentì sempre una grande devozione. Fu la sua fondazione prediletta, in cui rimase fino alla morte (15 dicembre 1859-26 febbraio 1889).
Furono 30 anni di grazia per le bambine e per le giovani olesane, che godettero della sua testimonianza cristiana e del suo magistero fecondo; per la città di Olesa di Montserrat, arricchita dall'esempio della sua vita totalmente dedicata e santa: "Le volevano bene tutti e la veneravano...."; e per la Congregazione Scolopica: un sì totale a Dio; la pedagogia scolopica in azione ed il vissuto delle virtù che devono caratterizzare l'educatrice scolopica; ed il tramonto di una via in Dio.

Il tracciato della fisionomia spirituale di Madre Paula Montal comprende due sfaccettature: la sua partecipazione alla spiritualità calasanziana ed il suo particolare carisma educativo, orientato verso la formazione umana e cristiana integrale della donna.

Alla sua morte, la Congregazione delle Figlie di Maria Religiose delle Scuole Pie, da lei fondata, era formata da 346 Scolopie che vivevano il carisma educativo scolopico, ereditato dalla loro Fondatrice, in 19 collegi, siti in tutta la geografia spagnola.

Il processo canonico per la sua Beatificazione iniziò a Barcellona, il 3 maggio del 1957. Il Papa Giovanni Paolo II la beatificò a Roma il 18 aprile del 1993.
Il miracolo per la sua Canonizzazione, compiuto nel settembre del 1993, a Blanquizal, un quartiere molto emarginato e violento di Medellín (Colombia), a favore della bambina di 8 anni Natalia García Mora, fu approvato da Papa Giovanni Paolo II il 1 luglio del 2000.

Paola di S. Giuseppe Calasanzio è stata canonizzata dal Servo di Dio Giovanni Paolo II il 25 novembre 2001 insieme ai beati
Giuseppe Marello, Léonie Françoise de Sales Aviat e Maria Crescentia Höss.

Alla nostra società, lacerata da molte tensioni, e dove il tema dell'educazione integrale per tutti, la promozione della donna, la famiglia, la gioventù, sono temi spinosi ed attuali, spesso irrisolti, la Santa dirige il messaggio della sua vita e della sua opera educativa, messaggio d'amore e di servizio. Il suo carisma nel XIX secolo, è stato annuncio di amore e speranza, specialmente per la donna, che scopre in lei la madre e la maestra della gioventù femminile. Ed oggi continua ad essere urgente e piena di attualità, come lo fu allora.

L'opera educativa di Madre Paula Montal Fornés di San Giuseppe Calasanzio, continua oggi nella Chiesa, in particolare attraverso oltre 800 Religiose Scolopie, distribuite in 112 comunità, che educano circa 30.000 alunni in 19 nazioni dei quattro continenti, per la promozione della donna, in modo che "la civiltà dell'amore" diventi una realtà.
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Se ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te

Sant’Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorsi, 357

“Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45). Dio dunque mostra al momento pazienza e rimanda la manifestazione della sua potenza. Così anche tu valuta il tempo e non eccitare questi occhi gonfi, infiammati: aumenteresti il loro malessere. Sei amico della pace? Allora sta' interiormente tranquillo... Elimina i litigi. Volgiti alla preghiera. Non respingere dunque l'ingiuria con l'ingiuria ma prega per chi la fa.

Vorresti ribattere, parlare a lui, contro di lui. Invece parla a Dio di lui. Vedi che non è esattamente il silenzio che t'impongo. Si tratta di scegliere un interlocutore diverso; quello al quale tu puoi parlare tacendo: a labbra chiuse ma col grido nel cuore. Dove il tuo avversario non ti vede, lì sarai efficace per lui. A chi non ama la pace e vuol litigare rispondi così con tutta pace: " Di' quello che vuoi, odia quanto vuoi, detesta quanto ti piace, sempre mio fratello sei"...

“Fratello mio, puoi odiarmi, puoi detestarmi finché vuoi, sei sempre mio fratello. Riconosci in te il segno di mio Padre, che è la parola del nostro Padre. Per quanto fratello cattivo, per quanto fratello litigioso, mio fratello sempre sei, perché anche tu dici, come dico io: Padre nostro che sei nei cieli. Il nostro linguaggio è uguale. Perché non ci manteniamo uniti in lui? Ti prego, fratello, riconosci il senso di quello che dici insieme a me e condanna quello che fai contro di me... Dato che siamo uniti con una stessa voce davanti al Padre, perché non dobbiamo essere uniti in una stessa pace? "
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giovedì 25 febbraio 2010

Fare della vita quotidiana una testimonianza di fede

Molte realtà materiali, tecniche, economiche, sociali, politiche, culturali..., abbandonate a sé stesse, o in mano di chi è privo della luce della nostra fede, diventano ostacoli formidabili per la vita soprannaturale: formano come un recinto chiuso e ostile alla Chiesa. Tu, in quanto cristiano - ricercatore, letterato, scienziato, politico, operaio... -, hai il dovere di santificare queste realtà. Ricorda che tutto l'universo scrive l'Apostolo sta gemendo come nei dolori del parto, aspettando la liberazione dei figli di Dio. (Solco, 311)

Di questo tema abbiamo parlato molto in altre occasioni, ma permettetemi di insistere ancora una volta sulla naturalezza e la semplicità della vita di Giuseppe, che non si teneva distante dai suoi vicini e non innalzava barriere superflue.Pertanto, anche se forse conviene farlo in taluni momenti o situazioni, generalmente non mi piace parlare di operai cattolici, di medici cattolici, di ingegneri cattolici e così via, come per indicare una specie all'interno di un determinato genere, come se i cattolici formassero un gruppetto separato dagli altri uomini, perché così si dà la sensazione che esista un fossato tra i cristiani e il resto dell'umanità. Rispetto l'opinione contraria, ma penso che sia molto più appropriato parlare di operai che sono cattolici o di cattolici che sono operai, di ingegneri che sono cattolici o di cattolici che sono ingegneri. Perché l'uomo che ha fede ed esercita una professione — intellettuale, tecnica o manuale — è e si sente unito agli altri, uguale agli altri, con gli stessi diritti e gli stessi obblighi, con lo stesso desiderio di migliorare e lo stesso slancio per affrontare e risolvere i problemi comuni. Il cattolico, accettando tutto ciò, saprà fare della sua vita quotidiana una testimonianza di fede, di speranza, di carità; testimonianza semplice e spontanea che, senza manifestazioni vistose, ma attraverso la coerenza di vita, dà rilievo alla costante presenza della Chiesa nel mondo: giacché tutti i cattolici sono essi stessi Chiesa, membri a pieno diritto dell'unico Popolo di Dio.(E' Gesù che passa, 53)
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Bussate e vi sarà aperto

Giovanni Taulero (circa 1300-1361), domenicano a Strasburgo
Discorsi, 54

Ogni cosa in cui l’uomo cerchi il suo riposo e che non sia esclusivamente Dio, puro, è tarlata. Ogni cosa in cui l’uomo si riposi con godimento e sia ritenuta da lui il suo bene proprio, è tarlata. L’unica cosa che importa è immergersi semplicemente in questo bene puro, semplice, inconoscibile, ineffabile e misterioso che è Dio, rinnegando se stesso. In Dio solo devi mettere il tuo riposo, senza cercare né diletto, né illuminazione.

« Ho fissato la mia dimora nel dominio del Signore » (cfr. Si 24,7). Abbiamo un doppio dominio nel quale dobbiamo dimorare. Uno è temporale, e lì dobbiamo abitare ora. È la mirabile vita e passione del Nostro Signore. L’altro dominio, l’aspettiamo ; è la gloriosa eredità della deliziosissima divinità. Ci è stato promesso che saremo stati i coeredi del suo dominio, e che saremo con lui in eterno.

Tutte le piaghe del Nostro Signore sono guarite, eccetto le cinque piaghe sacre che devono stare aperte fino all’ultimo giorno. Lo splendore della divinità che sgorga da esse e la felicità che gli angeli e i santi ricevono da esse, tutto questo è inesprimibile. Queste cinque porte devono essere, quaggiù, la nostra eredità del dominio di nostro Padre. Il dolce custode di queste porte è lo Spirito Santo. Il suo amore dolcissimo, purché bussiamo, è sempre pronto ad introdurci e lasciarci giungere, attraverso queste porte, all’eredità eterna di nostro Padre. Infatti certamente l’uomo che passa attraverso queste porte, come gli conviene, non può perdersi lungo la strada.
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SS. Luigi Versiglia e Callisto Caravario


Martiri in Cina

Luigi Versiglia (quello con la barba bianca nel ritratto) nacque a Oliva Gessi, in provincia di Pavia, il 5 Giugno 1873.
Fin da piccolo serviva alla messa, tanto che la gente lo prospettava sacerdote, ma Luigi non voleva sentirne parlare, perché desiderava fare il veterinario.

Fu accolto dodicenne da don Bosco, che lo affascinò a tal punto da fargli cambiare idea. Nel 1888, poco dopo la morte del santo, Luigi fu molto colpito dalla cerimonia di consegna del crocifisso a sette missionari e decise di diventare salesiano, con la speranza di andare in missione.

Presa la laurea in filosofia, fu ben presto pronto per l’ordinazione sacerdotale, che avvenne nel 1895.
Don Rua (beatificato il 29 ottobre 1972), primo successore di don Bosco, lo nominò maestro dei novizi a soli 23 anni a Genzano di Roma, cosa che fece per dieci anni con bontà, fermezza e pazienza.

Richiesti con insistenza dal vescovo di Macao, nel 1906 sei salesiani arrivarono in Cina, guidati da don Versiglia. Realizzarono così una ripetuta profezia di don Bosco.

Stabilita a Macao la "casa madre" salesiana, si aprì anche la missione di Heungchow.
Don Luigi animò il territorio alla maniera di don Bosco, costituendo una banda musicale apprezzatissima, aprì orfanotrofi e oratori.

Nel 1918 i salesiani ricevettero, dal Vicario apostolico di Canton, la missione di Shiuchow, nella regione del Kwangtung, nel sud della Cina, e il 9 gennaio 1921 don Versiglia ne fu consacrato Vescovo.
Saggio, instancabile e povero, viaggiava in continuazione per visitare e incoraggiare i confratelli e i cristiani del territorio. Al suo arrivo i villaggi erano in festa, soprattutto i bambini.

Fu un vero pastore, tutto dedito al suo gregge. Diede al Vicariato una solida struttura con un seminario, case di formazione, progettando egli stesso varie residenze e ricoveri per anziani e bisognosi.
Curò con convinzione la formazione dei catechisti. Scrive nei suoi appunti: “Il missionario che non sia unito a Dio è un canale che si stacca dalla sorgente”. “Il missionario che prega molto, farà anche molto”. Come don Bosco era un esempio di lavoro e temperanza.

Intanto in Cina la situazione politica era diventata molto tesa, soprattutto nei confronti dei cristiani e dei missionari stranieri. Iniziarono le persecuzioni.

Il 13 febbraio 1930, insieme a don Callisto Caravario (nato a Courgné il 18 giugno 1903 e ordinato sacerdote nel 1929), il vescovo è a Shiuchow per la visita pastorale nella missione di Linchow. Li accompagnano anche alcuni ragazzi e ragazze, che hanno studiato a Shiuchow.

Il 25 febbraio un gruppo di pirati di orientamento bolscevico ferma la barca del vescovo, cercando di prendere le ragazze. Il vescovo e don Caravario lo impediscono con tutte le loro forze. Vengono picchiati con forza e infine fucilati.

Essi furono uccisi insieme il 25 febbraio 1930 a Li-Thau-Tseul. Prima di essere uccisi riuscirono a confessarsi a vicenda. Il loro ultimo respiro fu per le anime della loro amata Cina.

Il Servo di Dio Paolo VI li ha dichiarati martiri nel 1976. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II li ha beatificati il 15 maggio 1983 e canonizzati il 1° ottobre 2000.

Significato dei nomi :
Luigi : "combattente valoroso" (franco-tedesco);
Callisto : "bellissimo" (greco)


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mercoledì 24 febbraio 2010

Non c'è motivo di scontro tra la Chiesa e lo Stato

Non è vero che vi sia opposizione tra l'essere buon cattolico e il servire fedelmente la società civile. Non c'è motivo di scontro tra la Chiesa e lo Stato, nel legittimo esercizio della loro rispettiva autorità, di fronte alla missione che Dio ha loro affidato. Mentono proprio così: mentono quelli che affermano il contrario. Sono gli stessi che, in ossequio a una falsa libertà, vorrebbero «amabilmente» che noi cattolici tornassimo nelle catacombe. (Solco, 301)

Dovete diffondere dappertutto una vera mentalità laicale, che deve condurre a tre conclusioni: a essere sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle proprie responsabilità; a essere sufficientemente cristiani da rispettare i fratelli nella fede che propongono - nelle materie opinabili - soluzioni diverse da quelle che sostiene ciascuno di noi; e a essere sufficientemente cattolici da non servirsi della Chiesa, nostra Madre, immischiandola in partigianerie umane.E' evidente che, in questo terreno, come in tutti, voi non potreste realizzare questo programma di vivere santamente la vita ordinaria, se non fruiste di tutta la libertà che vi viene riconosciuta sia dalla Chiesa che dalla vostra dignità di uomini e di donne creati a immagine di Dio. La libertà personale è essenziale nella vita cristiana. Ma non dimenticate, figli miei, che io parlo sempre di una libertà responsabile.Interpretate quindi le mie parole per quello che sono: un appello all'esercizio - tutti i giorni! e non solo nelle situazioni di emergenza - dei vostri diritti; e all'esemplare compimento dei vostri doveri di cittadini - nella vita politica, nella vita economica, nella vita universitaria, nella vita professionale - addossandovi coraggiosamente tutte le conseguenze delle vostre libere decisioni, assumendo la responsabilità dell'indipendenza personale che vi spetta. E questa cristiana mentalità laicale vi consentirà di evitare ogni intolleranza e ogni fanatismo, ossia - per dirlo in modo positivo - vi farà convivere in pace con tutti i vostri concittadini e favorire anche la convivenza nei diversi ordini della vita sociale.(Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 117)
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Non c'è motivo di scontro tra la Chiesa e lo Stato

Non è vero che vi sia opposizione tra l'essere buon cattolico e il servire fedelmente la società civile. Non c'è motivo di scontro tra la Chiesa e lo Stato, nel legittimo esercizio della loro rispettiva autorità, di fronte alla missione che Dio ha loro affidato. Mentono proprio così: mentono quelli che affermano il contrario. Sono gli stessi che, in ossequio a una falsa libertà, vorrebbero «amabilmente» che noi cattolici tornassimo nelle catacombe. (Solco, 301)

Dovete diffondere dappertutto una vera mentalità laicale, che deve condurre a tre conclusioni: a essere sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle proprie responsabilità; a essere sufficientemente cristiani da rispettare i fratelli nella fede che propongono - nelle materie opinabili - soluzioni diverse da quelle che sostiene ciascuno di noi; e a essere sufficientemente cattolici da non servirsi della Chiesa, nostra Madre, immischiandola in partigianerie umane.E' evidente che, in questo terreno, come in tutti, voi non potreste realizzare questo programma di vivere santamente la vita ordinaria, se non fruiste di tutta la libertà che vi viene riconosciuta sia dalla Chiesa che dalla vostra dignità di uomini e di donne creati a immagine di Dio. La libertà personale è essenziale nella vita cristiana. Ma non dimenticate, figli miei, che io parlo sempre di una libertà responsabile.Interpretate quindi le mie parole per quello che sono: un appello all'esercizio - tutti i giorni! e non solo nelle situazioni di emergenza - dei vostri diritti; e all'esemplare compimento dei vostri doveri di cittadini - nella vita politica, nella vita economica, nella vita universitaria, nella vita professionale - addossandovi coraggiosamente tutte le conseguenze delle vostre libere decisioni, assumendo la responsabilità dell'indipendenza personale che vi spetta. E questa cristiana mentalità laicale vi consentirà di evitare ogni intolleranza e ogni fanatismo, ossia - per dirlo in modo positivo - vi farà convivere in pace con tutti i vostri concittadini e favorire anche la convivenza nei diversi ordini della vita sociale.(Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 117)
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Echi di un viaggio


Mosso da curiosità e dal desiderio di vedere un fenomeno che da anni coinvolge molte persone, questa estate mi sono recato a Medjugorie.Come tanti sapranno in questo paese della Bosnia Erzegovina dal 24 giugno 1981 la Madonna si è (per qualcuno si sarebbe) mostrata ad un gruppo di persone del luogo, identificando nel breve giro di tempo una cerchia di sei persone definite col titolo di veggenti, ai quali, in diversi tempi e modi, appare tutt’oggi.Il “fenomeno” Medjugorie è una delle realtà che ancora oggi, dentro l’opinione pubblica che si rifà a diverso titolo alla esperienza di fede, suscita pareri contrastanti e divergenti.Ci sono persone scettiche e dubbiose sulla veridicità delle apparizioni, altri che senza giri di parole le bollano come false e volte a mirare al vantaggio economico e a dividere la Chiesa. Al contrario si sentono e si vedono invece persone che da quel luogo tornano entusiaste e trasformate.
Personalmente, per mia formazione ed educazione, ho sempre visto con sospetto gli spiritualismi e le manifestazioni del sacro che sfociano nel sentimentalismo e peggio ancora nell’area della superstizione. Ho sempre ritenuto che una vera esperienza di fede non debba mai disgiungere la libertà dell’individuo e l’uso corretto della ragione. E inizialmente questo fenomeno di Medjugorie non mi aveva attratto, ero ancora molto giovane quando iniziarono le apparizioni, senza trovarmi tuttavia restio o avverso.Semplicemente constatavo, che la Madonna che appare è sempre la stessa, cioè Maria di Nazareth, e che dopo il Vangelo che ci è stato donato come Rivelazione non dobbiamo attenderci altre verità da credere se non quelle contenute nella Parola di Dio e trasmesse dal credo della Chiesa. E questo è quello che vale anche per le apparizioni mariane riconosciute dalla Chiesa come Lourdes o Fatima.Ma nel tempo questa realtà di Medjugorie anziché andare affievolendosi si è rafforzata, e ho notato, essendo già sacerdote, via via sempre più persone che tornando da questo luogo vivevano una vita di preghiera e di fede intensa e sincera, mentre prima erano, se non “freddi”, almeno un po’ “tiepidini”.
Fedele al principio di lasciarmi provocare dalla realtà quando questa si manifesta come prospettiva di bene, ho iniziato a cercare di capire meglio. Negli ultimi tempi ho letto alcuni libri che parlano di Medjugorie, con osservazioni molto approfondite e pertinenti. Ma il semplice leggere non mi bastava. Ho deciso allora di recarmi in loco.Non intendo dare il diario della mia permanenza a Medjugorie, ma semplicemente condividere alcuni semplici punti.Quello che più di tutto mi ha colpito è stato il vedere quanta gente in questo luogo prega e si affida a Dio attraverso la Madonna.Una sera ho partecipato alla Adorazione Eucaristica, dove c’erano almeno cinquemila persone, e ho notato il clima di silenzio e di preghiera che era presente. Non ho visto manifestazioni “strane”, semplicemente gente che andava a Gesù presente nell’Eucarestia, in silenzio pregava. Anche le S. Messe celebrate nella parrocchia, quindi celebrate con il permesso delle autorità ecclesiastiche, non avevano nulla di artificioso e di “magico” ma erano ben curate, e molto partecipate.
Sono stato per due pomeriggi a disposizione qualche ora per le confessioni presso la chiesa parrocchiale. Quanta gente che si confessava! Tanta e desiderosa di autentica conversione. Sono rimasto commosso da diverse confessioni, fatte veramente con il cuore aperto alla Grazia di Dio. Ho visto tanta gente, anche giovani, che davanti al sacramento della Riconciliazione si disponevano con fede, attendendo anche per più di due ore il loro turno (per quanto ci fossero diversi sacerdoti, la fila dei penitenti era veramente impressionante) .Sono rimasto colpito anche da alcuni incontri fatti con persone che tramite Medjugorie hanno cambiato la loro vita. I giorni di permanenza sono stati caratterizzati da questi incontri con persone che hanno offerto la loro testimonianza. Giovani che dopo una vita trascorsa nella lontananza da Dio e presi da vizi e trasgressioni, hanno incontrato Cristo grazie a persone che per loro hanno pregato e li hanno aiutato a guardare nella giusta direzione. Gli incontri con Roland e la comunità del Divino Amore, e con Suor Gabriella sono stati molto toccanti. È stato mostrato come la preghiera veramente possa toccare i cuori, e muoverli al riconoscimento della verità che il Buon Dio ci pone di fronte. È stato indicato il Rosario come strumento di preghiera per arrivare a Cristo tramite Maria, e per chiedere attraverso di esso la conversione del cuore.
Anche la collina del Podbordo, dove la Madonna è apparsa agli inizi, e il monte Krizevac, meta della Via Crucis, sono luoghi dove la gente si raduna in preghiera e raccoglimento.Ad essere sincero non mancano persone che magari si lasciano prendere dalla emotività o dalla ricerca del sensazionale, ma in questo campo Medjugorie non è l’unico luogo dove questo accade. Dove c’è tanta gente si può sempre trovare chi si pone una ottica non adeguata a ciò che ha davanti.Da questo viaggio cosa ho portato a casa? Non soltanto immagini e ricordi ma anche una esperienza che mi ha toccato. Non intendo sostituirmi alla Chiesa nel dare approvazioni e autenticazioni, semplicemente constato ciò che ho visto: gente che prega, che vive i Sacramenti della Eucarestia e della Confessione, che desidera convertirsi.Se vale il detto: “Dai frutti potete riconoscere l’albero”, i frutti che ho visto sono buoni.La prudenza della Chiesa, non va intesa solo come sospetto ma anche come ricerca di comprendere la verità. Se la gente è toccata nel suo cuore a credere e a vivere una sincera esperienza di fede, la madonna allora c’è e opera a Medjugorie come a Cavallasca, come negli altri posti.Un sincero grazie va a chi ha aiutato a realizzare questo pellegrinaggio e alle persone che vi hanno partecipato, per la loro compagnia, amicizia, fede e simpatia.
Don Luca

Beato Tommaso Maria Fusco

Sacerdote e fondatore : « Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue »

Tommaso Maria Fusco, settimo di otto figli, nacque a Pagani (SA), in diocesi di Nocera-Sarno, il 1° dicembre 1831, dal farmacista dott. Antonio, e dalla nobildonna Stella Giordano, genitori di integra condotta morale e religiosa che seppero formarlo alla pietà cristiana e alla carità verso i poveri. Fu battezzato lo stesso giorno della nascita nella Parrocchia di San Felice e Corpo di Cristo.

Ben presto rimase orfano della madre, vittima dell'epidemia colerica nel 1837 e, pochi anni dopo, nel 1841, perdette anche il padre. D'allora si occupò della sua formazione don Giuseppe, lo zio paterno, il quale gli fu maestro negli studi primari. Fin dal 1839, anno della canonizzazione di Sant'Alfonso Maria de' Liguori, il piccolo Tommaso aveva sognato la chiesa e l'altare e finalmente nel 1847 entrò nel Seminario diocesano di Nocera, dal quale nel 1849 uscirà consacrato sacerdote il fratello Raffaele.

Il 1° aprile 1851 Tommaso Maria ricevette il Sacramento della Cresima e il 22 dicembre 1855, dopo la formazione seminaristica, fu ordinato sacerdote dal Vescovo Agnello Giuseppe D'Auria.
In questi anni di esperienze dolorose, per la perdita di persone care alle quali si aggiungeva quella dello zio (1847) e del giovane fratello Raffaele (1852), si sviluppa in Tommaso Maria una devozione già cara a tutta la famiglia Fusco: quella al Cristo paziente e alla sua SS. Madre Addolorata, come viene ricordato dai biografi: “Era devotissimo del Crocifisso e tale rimase sempre”.

Fin dall'inizio del ministero curò la formazione dei fanciulli, per i quali, in casa sua, aprì una Scuola mattinale, e ripristinò la Cappella serotina, per i giovani e gli adulti presso la chiesa parrocchiale di San Felice e Corpo di Cristo con lo scopo di promuovere la loro formazione umana e cristiana.
Essa fu un autentico luogo di conversioni e di preghiera, come lo era stata nell'esperienza di Sant'Alfonso, venerato e onorato a Pagani per il suo apostolato.

Nel 1857 fu ammesso alla Congregazione dei Missionari Nocerini, sotto il titolo di San Vincenzo de' Paoli, con la immissione in una itineranza missionaria estesa specialmente alle regioni dell'Italia meridionale.

Nel 1860 fu nominato cappellano del Santuario della Madonna del Carmine, detta delle Galline, in Pagani, dove incrementò le associazioni cattoliche maschili e femminili, e vi eresse l'altare del Crocifisso e la Pia Unione per il culto al Preziosissimo Sangue di Gesù.

Per l'abilitazione al ministero del confessionale, nel 1862 aprì nella sua casa una Scuola di Teologia morale per i Sacerdoti, infiammandoli all'amore del Sangue di Cristo: nello stesso anno istituì la « Compagnia (sacerdotale) dell'Apostolato Cattolico » per le missioni popolari; nel 1874 ebbe l'approvazione dal Papa Pio IX, oggi beato.

Profondamente colpito dalla disgrazia di un'orfana, vittima della strada, il 6 gennaio giorno dell'Epifania del 1873, dopo attenta preparazione nella preghiera di discernimento, don Tommaso Maria fondò la Congregazione delle « Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue ». L'Opera ebbe inizio nella Chiesa della Madonna del Carmine, alla presenza del Vescovo Raffaele Ammirante il quale, con la consegna dell'abito alle prime tre Suore, benedisse il primo Orfanotrofio per sette orfanelle povere del paese. Sulla nascente famiglia religiosa e sull'Orfanotrofio, dietro sua richiesta, non tardò a scendere anche la benedizione del Papa.

Don Tommaso Maria continuò a dedicarsi al ministero sacerdotale con predicazione di esercizi spirituali e di missioni popolari; e su questa itineranza apostolica nacquero le numerose fondazioni di case e orfanotrofi che segnarono la sua eroica carità, ancora più intensa specialmente nell'ultimo ventennio della sua vita (1870-1891).

Agli impegni di Fondatore e Missionario Apostolico associò anche quelli di Parroco (1874-1887) presso la Chiesa Matrice di San Felice e Corpo di Cristo, in Pagani, di confessore straordinario delle monache di clausura in Pagani e Nocera, e, negli ultimi anni di vita, di padre spirituale della Congrega laicale nel Santuario della Madonna del Carmine.

Ben presto don Tommaso Maria, divenuto oggetto d'invidia per il bene operato col suo ministero e per la vita di sacerdote esemplare, affronterà umiliazioni, persecuzioni fino all'infamante calunnia nel 1880, da un confratello nel sacerdozio. Ma egli sostenuto dal Signore, portò con amore quella croce che il suo Vescovo Ammirante, al momento della fondazione, gli aveva preconizzato: “Hai scelto il titolo del Preziosissimo Sangue? Ebbene, preparati a bere il calice amaro”.
Nei momenti della durissima prova sostenuta in silenzio, ripeteva: “L'operare e il patire per Dio sia sempre la vostra gloria e delle opere e patimenti che sostenete sia Dio la vostra consolazione in terra e la vostra mercede in cielo. La pazienza è come la salvaguardia e il sostegno di tutte le virtù”.

Consumato da una patologia epatica, don Tommaso Maria chiuse piamente la sua esistenza terrena il 24 febbraio 1891, pregando col vecchio Simeone: “Nunc dimittis servum tuum, Domine, secundum verbum tuum, in pace // Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola”. (Lc 2, 29).

La testimonianza evangelica della sua vita, nota a tutti, fu compendiata così nel manifesto emesso dal Comune di Pagani il 25 febbraio 1891: « Tommaso Maria Fusco, Missionario Apostolico, Fondatore delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue, Sacerdote esemplare d'invitta fede, di ardente carità, in nome del Sangue Redentore lavorò infaticabilmente per la salvezza delle anime: Visse amando i poveri, morì perdonando i nemici ».

Iniziato il Processo di Beatificazione nel 1955, decretato l'esercizio eroico delle virtù cristiane il 24 aprile 2001, il 7 luglio 2001 fu riconosciuto l'aspetto prodigioso della guarigione della signora Maria Battaglia, guarigione avvenuta a Sciacca (AG) il 20 agosto 1964 per intercessione di don Tommaso Maria Fusco.

Domenica 7 ottobre 2001, don Tommaso Maria fu beatificato dal Servo di Dio Giovanni Paolo II che lo presentò come esempio e guida di santità ai sacerdoti, al popolo di Dio, alle sue figlie spirituali, le «Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue »

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Il segno di Giona

Sant’Ireneo di Lione (circa130-circa 208), vescovo, teologo e martire
Contro le eresie III, 20,1 ; SC 34, 339

Generoso fu Dio il quale, venendo meno l’uomo, preordinò la vittoria che gli avrebbe resa per mezzo del Verbo. Infatti, poiché « la potenza trionfava nella debolezza » (2 Cor 12,9), il Verbo mostrava la bontà e la magnifica potenza di Dio.

Infatti, come fu per il profeta Giona, è stato lo stesso per l’uomo. Dio ha permesso che costui fosse inghiottito dal mostro marino, non perché scomparisse e perisse totalmente, bensì affinché, dopo esser stato rigettato dal mostro, fosse maggiormente sottomesso a Dio e glorificasse maggiormente colui che gli concedeva tale salvezza insperata. Era anche per condurre gli abitanti di Ninive ad un fermo pentimento e convertirli a colui che poteva liberarli dalla morte, essendo stati loro stessi colpiti dal segno compiuto nella persona di Giona… Allo stesso modo, fin dal principio, Dio ha permesso che l’uomo fosse inghiottito dal grande mostro, autore della disubbidienza, non perché scomparisse e perisse totalmente, bensì perché Dio stava preparando in anticipo la salvezza compiuta dal suo Verbo per mezzo del « segno di Giona ». Questa Salvezza è stata preparata per coloro che avrebbero avuto per Dio gli stessi sentimenti di Giona, e li avrebbero confessati negli stessi termini : « Sono il servo del Signore e venero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra » (Gn 1,9).Dio ha voluto che l’uomo, avendo ricevuto da lui una salvezza insperata, risuscitasse dai morti e glorificasse Dio dicendo con Giona : « Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito ; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce » (Gn 2,3).

Dio ha voluto che l’uomo rimanesse sempre fedele a glorificarlo e a rendergli grazie incessantemente per la salvezza ricevuta da lui.
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martedì 23 febbraio 2010

tempo di speranza - mi dici - , e vivo di questo tesoro

«È tempo di speranza - mi dici -, e vivo di questo tesoro. Non è una bella frase, Padre, è una realtà». Allora..., il mondo intero, tutti i valori umani che ti attraggono con una forza enorme - amicizia, arte, scienza, filosofia, teologia, sport, natura, cultura, anime... -, tutto questo riponilo nella speranza: nella speranza di Cristo. (Solco, 293)

Lì, dove già siamo, il Signore ci esorta: «Vigilate!». Di fronte a questa richiesta di Dio, alimentiamo nelle nostre coscienze — traducendoli in opere — desideri pieni di speranza di santità. Figlio mio, dammi il tuo cuore [Pro 23, 26], ci suggerisce all'orecchio. Smetti di costruire castelli in aria e deciditi ad aprire la tua anima a Dio, perché solo nel Signore troverai un fondamento reale per la tua speranza e per fare del bene agli altri. Quando non si lotta contro se stessi, quando non si respingono con vigore i nemici che si annidano nel nostro castello interiore — orgoglio, invidia, concupiscenza della carne e degli occhi, spirito di autosufficienza, stolta avidità di libertinaggio —, quando non esiste la lotta interiore, i più nobili ideali inaridiscono come fiore d'erba. Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l'erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce [Gc 1, 10-11]. Allora, alla minima occasione, germoglieranno lo sconforto e la tristezza, come piante nocive e invadenti.Gesù non si accontenta di un'adesione titubante. Esige — ne ha il diritto — che noi camminiamo con decisione, senza tentennare davanti alle difficoltà. Chiede passi fermi, concreti; infatti, ordinariamente, i propositi generici servono poco. Quei propositi poco definiti mi sembrano illusioni fallaci, con cui cerchiamo di mettere a tacere le chiamate divine che arrivano al cuore; fuochi fatui che non bruciano né danno calore, e che scompaiono con la stessa fugacità con cui sono sorti.Perciò, mi persuaderò che le tue intenzioni di raggiungere la meta sono sincere se ti vedo camminare con decisione. Opera il bene, rivedendo il tuo atteggiamento abituale di fronte ai compiti di ogni momento; pratica la giustizia, proprio negli ambienti che frequenti, anche se lo sforzo ti fa barcollare; alimenta la felicità di coloro che ti circondano, servendoli con gioia — dal tuo posto, nel lavoro che ti sforzerai di portare a termine con la maggior perfezione possibile —, con spirito di comprensione, col sorriso, col contegno cristiano. E tutto per Dio, pensando alla sua gloria, con lo sguardo in alto, anelando alla Patria definitiva, perché è questo il solo fine che valga la pena. (Amici di Dio, 211)
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San Policarpo

Vescovo e martire

È stato istruito nella fede da "molti che avevano visto il Signore", e "fu dagli Apostoli stessi posto vescovo per l’Asia nella Chiesa di Smirne". Così scrive di lui Ireneo, suo discepolo e vescovo di Lione in Gallia (oggi Francia).

Policarpo, nato da una famiglia benestante di Smirne, viene messo a capo dei cristiani del luogo verso l’anno 100. Nel 107 è testimone di un evento straordinario: il passaggio per Smirne di Ignazio, vescovo di Antiochia, che va sotto scorta a Roma dove subirà il martirio, decretato in una persecuzione locale. Policarpo lo ospita durante la sosta; più tardi Ignazio gli scrive una lettera che tutte le generazioni cristiane conosceranno, lodandolo come buon pastore e combattente per la causa di Cristo.

Nel 154 Policarpo dall’Asia Minore va a Roma, in tutta tranquillità, per discutere con Pp Aniceto (di origine probabilmente siriana) sulla data della Pasqua. E da Lione un altro figlio dell’Asia Minore, Ireneo, li esorta a non rompere la pace fra i cristiani su questo problema. Roma celebra la Pasqua sempre di domenica, e gli orientali sempre il 14 del mese ebraico di Nisan, in qualunque giorno della settimana cada. Aniceto e Policarpo non riescono a mettersi d’accordo, ma trattano e si separano in amicizia.

Periodi di piena tranquillità per i cristiani sono a volte interrotti da persecuzioni anticristiane, per lo più di carattere locale. Una di quelle, appunto, scoppia a Smirne dopo il ritorno di Policarpo da Roma, regnando l’imperatore Antonino Pio. Undici cristiani sono già stati uccisi nello stadio quando un gruppo di facinorosi vi porta anche il vecchio vescovo (ha 86 anni), perché il governatore romano Quadrato lo condanni. Quadrato vuole invece risparmiarlo e gli chiede di dichiararsi non cristiano, fingendo di non conoscerlo. Ma Policarpo gli risponde tranquillo: "Tu fingi di ignorare chi io sia. Ebbene, ascolta francamente: io sono cristiano". Rifiuta poi di difendersi di fronte alla folla, e si arrampica da solo sulla catasta pronta per il rogo. Non vuole che lo leghino; verrà poi ucciso con la spada: è il 23 febbraio 155, verso le due del pomeriggio.
Lo sappiamo dal “Martyrium Polycarpi”, scritto da un testimone oculare in quello stesso anno. È la prima opera cristiana dedicata unicamente al racconto del supplizio di un martire. E anzi è la prima a chiamare “martire” (testimone) chi muore per la fede.
Tra le lettere di Policarpo alle comunità cristiane vicine alla sua, si conserverà quella indirizzata ai Filippesi, in cui il vescovo ricorda la Passione di Cristo: "Egli sofferse per noi, affinché noi vivessimo in Lui. Dobbiamo quindi imitare la sua pazienza... Egli ci ha lasciato un modello nella sua persona".

Dalla “Lettera della chiesa di Smirne sul martirio di S. Policarpo”:
«... levando gli occhi al cielo disse: “Signore, Dio onnipotente, Padre del tuo diletto e benedetto Figlio Gesù Cristo, per mezzo del quale ti abbiamo conosciuto; Dio degli Angeli e delle Virtù, di ogni creatura e di tutta la stirpe dei giusti che vivono al tuo cospetto: io ti benedico perché mi hai stimato degno in questo giorno e in quest’ora di partecipare, con tutti i martiri, al calice del tuo Cristo, per la risurrezione dell’anima e del corpo nella vita eterna, nell’incorruttibilità per mezzo dello Spirito Santo. Possa io oggi essere accolto con essi al tuo cospetto quale sacrificio ricco e gradito, così come tu, Dio senza inganno e verace, lo hai preparato e me l’hai fatto vedere in anticipo e ora l’hai adempiuto. Per questo e per tutte le cose io ti lodo, ti benedico, ti glorifico insieme con l’eterno e celeste sacerdote Gesù Cristo, tuo diletto Figlio, per mezzo del quale a te e allo Spirito Santo sia gloria ora e nei secoli futuri. Amen”.»

Significato del nome Policarpo : "che dà molti frutti" (greco)
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Il Padre nostro e l’Eucaristia

Santa Teresa Benedetta della Croce [Edith Stein] (1891-1942), carmelitana, martire, compatrona d’Europa
La preghiera della Chiesa

Tutto quello di cui abbiamo bisogno per essere ricevuti nella comunione degli spiriti beati è contenuto nelle sette domande del Padre nostro che il Signore ha pregato, non a suo nome, bensì affinché fosse per noi un esempio. Lo diciamo prima della santissima comunione e, ogni volta che lo preghiamo in piena sincerità e con tutto il cuore e riceviamo la santissima comunione nella disposizione di spirito di un’anima retta, essa ci porta a veder esaudite di tutte le nostre domande.

Tale comunione ci libera dal male perché ci purifica da ogni offesa commessa e ci dà la pace del cuore che toglie il suo pungiglione ad ogni altro male. Ci porta il perdono dei peccati (veniali) commessi e ci consolida contro le tentazioni. È il pane di vita, di cui abbiamo bisogno ogni giorno, per crescere finché non sraemo entrati nella vita eterna. Fa dalla nostra volontà uno strumento docile della volontà di Dio. Perciò, pone le fondamenta del Regno di Dio in noi e purifica le nostre labbra e il nostro cuore perché possiamo glorificare il santo Nome di Dio .
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lunedì 22 febbraio 2010

Mamma, sei la nostra speranza

Mamma Santa che vivi in Cielo, purificaci con il tuo amore materno e riscaldaci con il tuo calore.

Tu sei la nostra Madre e non ci abbandoni mai nonostante la nostra profonda ingratitudine.
Proteggici dalla morsa di Satana coprendoci con il tuo Manto...
Infondi col tuo amore sulla terra pace e salute nello spirito e nel corpo e fà in modo che coloro che vivono nella prosperità tendano la mano ai fratelli meno fortunati.

Libera i nostri cuori dall'apatia e dall'invidia e spezza le catene dell'egoismo che ci legano a noi stessi facendoci trascurare il nostro prossimo.
Accresci la Fede nei tiepidi e falla sorgere nei cuori di quelli che non credono, non sperano e non amano...

Aiutaci Madre, nell'immenso deserto della nostra vita, ad esercitare sempre la virtù della speranza.

(di Maria Maistrini)



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Sono con Lui nel tempo della tribolazione

Impegnato! Quanto mi piace questa parola! Noi figli di Dio ci vincoliamo — liberamente — a vivere dedicati al Signore, facendo sì che Egli domini, in modo sovrano e completo, nella nostra vita. (Forgia, 855)

E quando ci tende l'agguato, violenta, la tentazione dello scoraggiamento, la prova dei contrasti, della lotta, della sofferenza, di una nuova notte nell'anima, il salmista ci pone sulle labbra e nell'intelligenza queste parole: Sono con Lui nel tempo della tribolazione [Sal 90, 15]. Che vale, Gesù, la mia croce, di fronte alla tua? Che cosa sono le mie graffiature, di fronte alle tue ferite? Che vale, di fronte al tuo Amore immenso, puro e infinito, il piccolo peso che Tu hai caricato sulle mie spalle? E i vostri cuori, e il mio, si riempiono di santa bramosia, mentre gli confessiamo — con le opere — che moriamo d'Amore [Cfr Ct 5, 8]
Nasce una sete di Dio, un intimo desiderio di comprendere le sue lacrime, di vedere il suo sorriso, il suo volto... Penso che il modo migliore di esprimermi sia ripetere ancora, con le parole della Scrittura: Come il cervo anela alle fonti delle acque, così anela l'anima mia a te, o Dio [Sal 41, 2]. E l'anima procede in Dio 'deificata': il cristiano diventa allora il viandante assetato che finalmente schiude le labbra sull'acqua della fonte.In questa donazione, lo zelo apostolico si accende, aumenta di giorno in giorno, contagiando agli altri questo desiderio, — perché il bene è diffusivo. È impossibile che la nostra povera natura, così vicina a Dio, non arda della brama di seminare in tutto il mondo la gioia e la pace, di irrigare tutto con le acque redentrici che sgorgano dal costato aperto di Cristo [Cfr Gv 19, 34] di cominciare e portare a termine per Amore tutti i doveri.Prima ho parlato di dolore, di sofferenze, di lacrime. Non mi contraddico se ora affermo che, per un discepolo che cerca amorosamente il Maestro, il sapore delle tristezze, delle pene, delle afflizioni, è molto diverso: spariscono quando accettiamo davvero la Volontà di Dio, quando compiamo volentieri i suoi progetti, come figli fedeli, benché i nervi sembrino sul punto di spezzarsi e il supplizio appaia insopportabile. (Amici di Dio, nn. 310-311)
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Cattedra di San Pietro Aposto

Dalla catechesi di Benedetto XVI (22 febbraio 2006)

Cari fratelli e sorelle!

La Liturgia latina celebra oggi la festa della Cattedra di San Pietro. Si tratta di una tradizione molto antica, attestata a Roma fin dal secolo IV, con la quale si rende grazie a Dio per la missione affidata all'apostolo Pietro e ai suoi successori. La "cattedra", letteralmente, è il seggio fisso del Vescovo, posto nella chiesa madre di una Diocesi, che per questo viene detta "cattedrale", ed è il simbolo dell'autorità del Vescovo e, in particolare, del suo "magistero", cioè dell'insegnamento evangelico che egli, in quanto successore degli Apostoli, è chiamato a custodire e trasmettere alla Comunità cristiana. Quando il Vescovo prende possesso della Chiesa particolare che gli è stata affidata, egli, portando la mitra e il bastone pastorale, si siede sulla cattedra. Da quella sede guiderà, quale maestro e pastore, il cammino dei fedeli, nella fede, nella speranza e nella carità.

Quale fu, dunque, la "cattedra" di san Pietro? Egli, scelto da Cristo come "roccia" su cui edificare la Chiesa (cfr Mt 16, 18), iniziò il suo ministero a Gerusalemme, dopo l'Ascensione del Signore e la Pentecoste. La prima "sede" della Chiesa fu il Cenacolo, ed è probabile che in quella sala, dove anche Maria, la Madre di Gesù, pregò insieme ai discepoli, un posto speciale fosse riservato a Simon Pietro. Successivamente, la sede di Pietro divenne Antiochia, città situata sul fiume Oronte, in Siria, oggi in Turchia, a quei tempi terza metropoli dell'impero romano dopo Roma e Alessandria d'Egitto. Di quella città, evangelizzata da Barnaba e Paolo, dove "per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani" (At 11, 26), dove quindi è nato il nome cristiani per noi, Pietro fu il primo vescovo, tanto che il Martirologio Romano, prima della riforma del calendario, prevedeva anche una specifica celebrazione della Cattedra di Pietro ad Antiochia. Da lì, la Provvidenza condusse Pietro a Roma. Quindi abbiamo il cammino da Gerusalemme, Chiesa nascente, ad Antiochia, primo centro della Chiesa raccolta dai pagani e ancora unita con la Chiesa proveniente dagli Ebrei. Poi Pietro si recò a Roma, centro dell'Impero, simbolo dell'"Orbis" - l'"Urbs" che esprime l'"Orbis" la terra - dove concluse con il martirio la sua corsa al servizio del Vangelo. Per questo la sede di Roma, che aveva ricevuto il maggior onore, raccolse anche l'onere affidato da Cristo a Pietro di essere al servizio di tutte le Chiese particolari per l'edificazione e l'unità dell'intero Popolo di Dio.

La sede di Roma, dopo queste migrazioni di San Pietro, venne così riconosciuta come quella del successore di Pietro, e la "cattedra" del suo Vescovo rappresentò quella dell'Apostolo incaricato da Cristo di pascere tutto il suo gregge. Lo attestano i più antichi Padri della Chiesa, come ad esempio sant'Ireneo, Vescovo di Lione, ma che veniva dall'Asia Minore, il quale, nel suo trattato Contro le eresie, descrive la Chiesa di Roma come "più grande e più antica, conosciuta da tutti; ... fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo"; e aggiunge: "Con questa Chiesa, per la sua esimia superiorità, deve accordarsi la Chiesa universale, cioè i fedeli che sono ovunque" (III, 3, 2-3). Tertulliano, poco più tardi, da parte sua, afferma: "Questa Chiesa di Roma, quanto è beata! Furono gli Apostoli stessi a versare a lei, col loro sangue, la dottrina tutta quanta" (La prescrizione degli eretici, 36). La cattedra del Vescovo di Roma rappresenta, pertanto, non solo il suo servizio alla comunità romana, ma la sua missione di guida dell'intero Popolo di Dio.
Celebrare la "Cattedra" di Pietro, come facciamo oggi, significa, perciò, attribuire ad essa un forte significato spirituale e riconoscervi un segno privilegiato dell'amore di Dio, Pastore buono ed eterno, che vuole radunare l'intera sua Chiesa e guidarla sulla via della salvezza. Tra le tante testimonianze dei Padri, mi piace riportare quella di san Girolamo, tratta da una sua lettera scritta al Vescovo di Roma, particolarmente interessante perché fa esplicito riferimento proprio alla "cattedra" di Pietro, presentandola come sicuro approdo di verità e di pace. Così scrive Girolamo: "Ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un Apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo. Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa" (Le lettere I, 15, 1-2).

Cari fratelli e sorelle, nell'abside della Basilica di S. Pietro, come sapete, si trova il monumento alla Cattedra dell'Apostolo, opera matura del Bernini, realizzata in forma di grande trono bronzeo, sorretto dalle statue di quattro Dottori della Chiesa, due d'occidente, sant'Agostino e sant'Ambrogio, e due d'oriente, san Giovanni Crisostomo e sant'Atanasio. Vi invito a sostare di fronte a tale opera suggestiva, che oggi è possibile ammirare decorata da tante candele, e pregare in modo particolare per il ministero che Iddio mi ha affidato. Alzando lo sguardo alla vetrata di alabastro che si apre proprio sopra la Cattedra, invocate lo Spirito Santo, affinché sostenga sempre con la sua luce e la sua forza il mio quotidiano servizio a tutta la Chiesa. Di questo, come della vostra devota attenzione, vi ringrazio di cuore.

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Ti chiamerai Pietro

Sant’Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorso 190

« Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa ». Questo nome di Pietro gli viene dato perché, per primo, egli pose fra le nazioni le fondamenta della fede e perché è la roccia indistruttibile sulla quale poggiano le basi e l’edificio intero di Gesù Cristo. A motivo della sua fedeltà viene chiamato Pietro, mentre il Signore riceve lo stesso nome a motivo della sua potenza, secondo la parola di San Paolo : « Bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era Cristo » (1 Cor 10,4).
Davvero, meritava di condividere uno stesso nome con Cristo, l’apostolo scelto per essere il collaboratore della sua opera. Insieme, hanno costruito lo stesso edificio. Pietro ha piantato, il Signore ha fatto crescere, il Signore ha mandato coloro che avrebbero dovuto irrigare (cfr 1 Cor 3,6s).

Lo sappiate, fratelli carissimi, proprio a partire dalle sue colpe, nel momento in cui il suo Salvatore stava soffrendo, il beato Pietro è stato innalzato. Dopo aver rinnegato il Signore, è divenuto presso di lui il primo. Reso più fedele dalle lacrime versate sulla fede che aveva tradita, ha ricevuto una grazia più grande ancora di quella che aveva persa.
Cristo gli ha affidato il suo gregge affinché lo conducesse come il buon pastore e, lui che era stato tanto debole, è divenuto il sostegno di tutti. Occorreva che colui che, interrogato sulla sua fede fosse caduto, per stabilire gli altri sulle fondamenta incrollabili della fede. Per questo è chiamato pietra fondamentale della pietà delle Chiese.
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domenica 21 febbraio 2010

Amiamo appassionatamente questo mondo

Il mondo ci aspetta. Sì!, amiamo appassionatamente questo mondo perché Dio ce l'ha insegnato: «Sic Deus dilexit mundum...» - Dio ha tanto amato il mondo- ; e perché è il nostro campo di battaglia - una bellissima guerra di carità- , affinché tutti raggiungiamo la pace che Cristo è venuto a instaurare. (Solco, 290)

Ho insegnato incessantemente, con parole della Sacra Scrittura, che il mondo non è cattivo: perché è uscito dalle mani di Dio, perché è creatura sua, perché Jahvè lo guardò e vide che era buono. Siamo noi uomini a renderlo cattivo e brutto, con i nostri peccati e le nostre infedeltà. Siatene pur certi, figli miei: qualsiasi specie di evasione dalle realtà oneste di tutti i giorni significa per voi uomini e donne del mondo, il contrario della volontà di Dio.Dovete invece comprendere adesso - con una luce tutta nuova - che Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un'università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c'è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire.A quegli universitari e a quegli operai che mi seguivano verso gli anni trenta, io solevo dire che dovevano saper materializzare la vita spirituale. Volevo allontanarli in questo modo dalla tentazione - così frequente allora, e anche oggi - di condurre una specie di doppia vita: da una parte, la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall'altra, come una cosa diversa e separata, la vita famigliare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene. (Colloqui con Mons. Escrivá, n. 114)
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San Pier Damiani

Cardinale, Dottore della Chiesa
Dal discorso di Benedetto XVI ai docenti e agli studenti dell'università degli studi di Parma (Aula della Benedizione - 1° dicembre 2008):

«Oggi vorrei soffermarmi brevemente a considerare con voi la “lezione” che ci ha lasciato san Pier Damiani, cogliendone alcuni spunti di particolare attualità per l’ambiente universitario dei nostri giorni.
Lo scorso anno, in occasione della memoria liturgica del grande Eremita, il 20 febbraio, ho indirizzato una lettera all’Ordine dei monaci Camaldolesi, nella quale ho messo in luce come sia particolarmente valida per il nostro tempo la caratteristica centrale della sua personalità, vale a dire la felice sintesi tra la vita eremitica e l’attività ecclesiale, l’armonica tensione tra i due poli fondamentali dell’esistenza umana: la solitudine e la comunione (cfr
Lettera all’Ordine dei Camaldolesi, 20 febbraio 2007). Quanti, come voi, si dedicano agli studi a livello superiore – per l’intera vita oppure nell’età giovanile – non possono non essere sensibili a questa eredità spirituale di San Pier Damiani. » © Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

Fonte principale per la ricostruzione della sua vita è la biografia realizzata dal discepolo prediletto Giovanni da Lodi, monaco e suo segretario personale, particolarmente erudito da essere soprannominatoGrammaticus, poi divenuto suo successore come priore di Fonte Avellana e successivamente eletto vescovo di Gubbio. Numerosi accenni autobiografici sono poi rinvenibili tra le sue molte lettere.

Pier Damiani nacque a Ravenna tra la fine del 1006 o più probabilmente l’inizio del 1007. Se ne conosce con relativa precisione l'anno di nascita, fatto piuttosto raro per quei tempi, perché egli stesso riferisce in una delle sue numerose lettere di essere nato 5 anni dopo la morte dell'imperatore Ottone III.
La sua famiglia era probabilmente, o era stata, di illustri origini, ma quando nacque Pietro non era di condizione agiata.

Orfano di padre e ultimo di sette figli, venne tirato su dal fratello maggiore, Damiano, e ciò ne spiegherebbe l'appellativo di "Damiani". Dopo aver studiato a Ravenna, Faenza e Padova e insegnato all'università di Parma, entrò nel monastero camaldolese di Fonte Avellana, che divenne il centro della sua attività riformatrice. Ma la Chiesa, dilaniata internamente da discordie e scismi, conseguenza di quel grave malanno che prende il nome di simonia, compravendita di cariche ecclesiastiche, e dalla leggerezza con cui il clero risolveva il problema del celibato, aveva bisogno di uomini integri e preparati come il colto e austero Pier Damiani. Novello Girolamo, fu al fianco di sei papi come "commesso viaggiatore della pace" e in particolare collaborò con Ildebrando, il grande riformatore divenuto Pp col nome di Gregorio VII.

Dopo varie peregrinazioni nella diocesi di Milano, in Francia e in Germania, Pp Stefano IX lo nominò (1057/1058) cardinale e vescovo di Ostia, cioè uno dei sette Cardinali Lateranensi a più stretto contatto col Papa. Stando ai suoi scritti, Pier Damiani non accolse la nomina con favore: si sentiva portato alla vita eremitica, implicante solitudine, silenzio, penitenza, preghiera. Si trasferì per obbedienza a Roma, a stretto contatto col Papa e con la corte pontificia, dove rivestì un ruolo di primissimo piano.

Pier Damiani fu tra gli scrittori latini più fecondi ed eleganti del Medioevo.
Lasciò un vasto corpus di scritti teologici di vario genere:
· oltre settecento manoscritti contenenti le sue opere, segno della sua grande autorità e diffusione;
· 180 lettere (alcune tanto ampie da essere dei veri e propri trattati, nonostante la forma epistolare);
· varie opere liturgiche ed eucologiche;
· sermoni da lui tenuti in varie occasioni;
· agiografie, cioè vite di santi (tra cui spicca la Vita Romualdi).

Già vecchio, fu chiamato da Ravenna, la sua città natale, per ricomporre il dissidio fomentato dai seguaci di un antipapa. La morte lo colse nel 1072 a Faenza, di ritorno dall'ultima missione di pace.

Trovò dapprima sepoltura nella chiesa di Santa Maria foris portam (oggi conosciuta come Santa Maria Vecchia); in seguito le sue ossa furono traslate nella cattedrale di Faenza, dove sono conservate tutt'ora. Le ossa del volto e delle mani sono ricoperte da ricostruzioni d'argento, il resto dello scheletro è ricoperto di paramenti sacri.

Venerato subito come santo, ebbe riconosciuto il suo culto ufficialmente il 1° ottobre 1828, da Pp Leone XII, che lo proclamò anche Dottore della Chiesa per i suoi numerosi scritti di contenuto teologico.

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Allora, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo

Sant’Ambrogio (circa 340-397), vescovo di Milano e dottore della Chiesa
Commento al vangelo di Luca, IV, 7-12 ; PL 15,1614

Bisogna ricordarti come il primo Adamo è stato cacciato fuori dal paradiso nel deserto, perché la tua attenzione sia richiamata sul modo in cui il secondo Adamo torna dal deserto al paradiso. Vedi infatti come la prima condanna viene sciolta nello stesso modo in cui era stata legata, e come i benefici divini sono ristabiliti sulle tracce degli antichi. Adamo viene da una terra vergine, Cristo viene dalla Vergine ; quello è stato fatto a immagine di Dio, questo è l’Immagine di Dio (Col 1,15). Quello è stato posto sopra tutti gli animali senza ragione, questo al di sopra di ogni essere vivente. Mediante una donna è venuta la stoltezza, mediante una vergine, la sapienza ; la morte è venuta da un albero, la vita dalla croce. Uno, spogliato del vestito spirituale, si è tessuto una tunica con le foglie di un’albero ; l’altro, spogliato del vestito di questo mondo, non ha più voluto nessun vestito materiale (Gv 19,23).

Adamo è stato cacciato nel deserto, Cristo viene nel deserto : infatti sapeva dove trovare il condannato che sarebbe stato ricondotto al paradiso, liberato dalla sua colpa… Senza guida, come avrebbe potuto ritrovare nel deserto la strada smarrita, colui che nel paradiso aveva perso per mancanza di una guida, la strada che stava seguendo ?

Là, le tentazioni sono numerose, lo sforzo verso la virtù difficile, e facili i passi falsi nell’errore… Seguiamo quindi Cristo secondo la Scrittura : « Seguirete il Signore vostro Dio, e gli resterete fedeli » (Dt 13,5)… Seguiamo dunque le sue orme, e potremo tornare dal deserto al paradiso.
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sabato 20 febbraio 2010

Non chiudere la tua porta allo straniero perché rischi di chiuderla all'Angelo del Signore

Arrivava da non si sa dove; lui stesso non se lo ricordava. Aveva camminato tanto e per tanto tempo, a giudicare dal suo sguardo fisso, dalle sue labbra secche e dalla sua barba lunga di più giorni.
I suoi vestiti erano neri di polvere e la sua pelle ancor più sporca. Non camminava più, ma ondeggiava di qua e di là. Non aveva più sembianze. Solo lui conosceva il bruciore che gli torceva lo stomaco, tanto aveva fame... i crampi che gli mordevano i polpacci, tanto aveva camminato... il dolore che gli rompeva la testa, tanto il sole gliela aveva picchiata. Non aveva dormito da giorni e notti ormai, aveva mangiato qualcosa a malapena, bevuto un po'...
Ora, davanti a lui un paese: si augurava di trovare un cuore compassionevole.
Entrò nel negozio di un fruttivendolo e domandò la "carità" di una arancia o di una mela.- Hai i soldi?- No, signore, ma sto morendo di fame...- Niente soldi, niente frutta! Qui, non si fa credito. Vai a cercare altrove!
Bussò alla porta di una casa privata. La proprietaria, vedendo quella specie di accattone, non aprì la porta... tantomeno il cuore!
Si stava facendo notte, anche per la sua speranza. Come ultimo tentativo andò a suonare all'ufficio parrocchiale. .. più e più volte. Finalmente, una donna aprì prudentemente la porta e, senza lasciar tempo a parole, gli disse:- Mi dispiace, signore, non riceviamo più nessuno, l'ora d'ufficio è passata. Se volete qualcosa ripassate domani all'ora indicata sulla targhetta.
Non ebbe il tempo di rispondere che la porta era di già sbarrata.
- Possibile che la carità sia programmata? ...si disse tra sé e sé.
Proprio vicino alla casa parrocchiale c'era una villa con un grande portico ombreggiato e una signora che si dondolava beatamente al fresco:
- Signora, avreste qualcosa da mangiare e un angolo in casa vostra per dormire?Non aveva ancora finito di domandare, che si sentì folgorare dallo sguardo:
- Sappiate, signore, che io non faccio la carità a tipi come voi! Andate via a lavarvi! E poi andate a lavorare come fan tutti! A parte questo, io ho già le mie buone opere da fare, i miei poveri. Sono una donna buona, io, e una buona cristiana!
Capì che anche lì non avrebbe ottenuto niente.
Ma il cervello si arrovellava: ma che razza di cristiani fabbrica questo paese...
Riprese la sua strada trascinando i piedi: era troppo affaticato e... scoraggiato. Non ci sarebbe stato proprio nessuno su questa terra a dargli vitto e alloggio?Avanzava lentamente, sentiva il cuore stringersi, e le lacrime tiepide rigargli le gote...
All'improvviso si sentì chiamare:- Ehi, tu! Come sei conciato! Si direbbe che hai camminato per tutta la terra, senza mangiare, senza lavarti e senza riposarti! Mi fai un po' pena! Dai, fermati, entra da me e lasciati vedere!
Non credeva alle sue orecchie. La speranza gli diede la forza di alzare gli occhi e guardare chi lo aveva apostrofato: Dio mio, chi poteva essere? E adesso, che fare?...
Capelli neri, ricci come il mantello di un montone, maschera di cipria, trucco pesante, mascara agli occhi... labbra laccate di rosso, una camicetta abbondantemente scollata e una mini-minigonna!
Capì subito che aveva a che fare con la "maddalena" del villaggio. Senza nemmeno rendersi conto, si ritrovò a tavola, davanti ad una minestra e ad una bistecca saporita mentre dalla stanza gli arrivavano effluvi di incenso e chissà quanti altri profumi e unguenti: come era bello mangiare dopo così tanto tempo! Appena finito, si ritrovò sapone e asciugamano in mano e sentì gorgogliare l'acqua tiepida nella vasca da bagno. Ah! che bello sentirsi finalmente pulito!
Lei gli infilò una camiciola uscita da chissà dove e lo mandò a dormire dopo avergli preparato una tisana. Sprofondò in un sonno di piombo.
Mentre dormiva, la "Maddalena" si accese la ventesima sigaretta e vuotò il sesto bicchiere di cognac...
In lei, pensieri diversi la paralizzavano per la sorpresa:- Poveretto, faceva davvero pena! Non lo potevo lasciar passare, bisognava che facessi qualcosa... Ho dato quello che potevo. Tu, Gesù, che dall'alto del tuo paradiso sai tutto, hai visto quello che è successo questa sera. Spero che te lo ricorderai quando alla fine della vita, sarò davanti a te... Certo, io non vado alla Messa: i devoti si scandalizzerebbero. Le mie "buone opere" non sono nel catalogo delle "signore perbene"! I benpensanti non passano davanti alla mia casa, molti entrano da dietro! Però tu sai che in fondo in fondo ti voglio bene, e io so che tu mi ami, come hai amato una come me che ti ha asciugato i piedi tanto tempo fa. So che un giorno tu mi cambierai cuore e vita. Questa sera ho fatto solo della carità ad un poveruomo: l'ho nutrito, lavato, ospitato ed ascoltato; ebbene, buon Gesù è a te e per te che l'ho fatto!Tirò l'ultimo sbuffo di fumo di sigaretta dalle narici, scolò il bicchiere già vuoto e si alzò per andare a letto: l'animo era tranquillo come non mai.
Si addormentò del sonno dei giusti.La sua era stata veramente una buona giornata!
(Jules Beaulac, (liberamente tradotto))

Mt 25,35: "Ero forestiero e mi avete ospitato".
Eb 13,2: "Non chiudere la tua porta allo straniero perché rischi di chiuderla all'Angelo del Signore".
Gv 21,7: "Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «E' il Signore!»"
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