sabato 28 settembre 2013

Per Riflettere

La croce di Gesù è la parola con cui Dio ha risposto al male del mondo. 
(Papa Francesco)
-----

Preghiera all'Angelo Custode

Grazie, Signore, per avermi posto accanto e a guida l'Angelo Custode, affinché io non devii mai dalla retta via e cammini lungo la via della luce. 
Grazie a te, amico Angelo Custode, per gli amici che hai posto intorno a me. 
Grazie per il conforto e per l'amore che mi dai. 
Grazie, perché oggi la mia preghiera non è più un monologo, ma un dialogo, perché so che tu sei veramente presente accanto a me. 
Maria M.
----

Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato

Lc 9,43-45 
E tutti restavano stupiti di fronte alla grandezza di Dio. Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini ». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento. 

Gesù annuncia chiaramente, per la seconda volta, la sua morte, ma i discepoli non capiscono e non vogliono capire ciò che egli dice. Hanno appena assistito al miracolo della guarigione dell’epilettico-indemoniato e preferiscono rimanere in questa atmosfera trionfalistica di successo che entrare in previsioni disastrose per il Maestro e, di conseguenza, disastrose e funeree anche per loro. 
La sua azione vittoriosa sul demonio ha suscitato ammirazione, la sua passione suscita incomprensione. 
Il comportamento degli apostoli, che preferiscono non sapere e non vedere, piuttosto che rendersi conto e affrontare le situazioni scomode, è una tattica troppo frequente anche nella nostra vita e all’interno della Chiesa. Si preferiscono le cose sbalorditive e le situazioni trionfalistiche invece dell’annuncio dell’umiliazione di Cristo fatto obbediente fino alla morte di croce (cf. Fil 2,8). 
Bisognerebbe invece fare nostre le parole di Paolo apostolo: «Quanto a me, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6,14). Cristo morto per amor nostro sulla croce è la notizia più sbalorditiva e più beatificante: ci rivela che Dio ha voluto più bene a noi che a sé stesso. Davanti alla passione di Cristo bisogna uscire dall’ambiguità. O si diventa realmente discepoli credenti, accettando la vera grandezza di Dio che è la sua umiltà e piccolezza che si manifesta nel consegnarsi a noi totalmente indifeso, o ci chiudiamo alla fede rifiutandoci di comprendere il mistero della sofferenza e della morte di Dio. 
Gesù ci dice: «Mettetevi bene in mente queste parole». Vuole che ci piantiamo nelle orecchie «queste parole». Queste parole non riguardano la sua azione, ma la sua passione, la sua passione d’amore. Dio è l’Amore infinito che si fa infinitamente piccolo per consegnarsi nelle nostre mani, per rivelarci la sua passione d’amore per noi. 
Se non si capisce l’impotenza di Dio che si consegna nelle mani degli uomini, non si può capire di che genere sia la potenza di Dio e, meno ancora, il suo «silenzio» e la sua «assenza» nella storia dell’umanità. L’amore non è dare cose, ma sé stessi. 
E' il dono totale di sé stessi, il «consegnarsi» totalmente all’altro, mette in stato di assoluta povertà e impotenza. Ecco perché sono necessari la povertà e l’umiltà, l’impotenza e il «consegnarsi» di Dio nelle nostre mani: perché «Dio è amore» (1Gv 4,8.16). Il verbo «consegnare» indica l’azione del Padre che ci consegna il Figlio, l’azione del Figlio che si consegna a noi, l’azione di Giuda che lo consegna al sommo sacerdote e al sinedrio, l’azione del sommo sacerdote e del sinedrio che lo consegnano a Pilato, l’azione di Pilato che lo consegna perché sia crocifisso, e, per finire in bellezza, l’azione di Gesù che consegna la sua vita nelle mani del Padre. 
Un unico verbo costituisce il più grande male dell’uomo che tradisce il Figlio di Dio, e il sommo bene di Dio che, in questa consegna di sé stesso, manifesta la sua passione segreta, il suo amore infinito per l’uomo. La rivelazione di Gesù in croce ci salva, perché ci porta a conoscere e a credere all’amore che Dio ha per noi (1Gv 4,16). 
Padre Lino Pedron
----

venerdì 27 settembre 2013

Un pizzico di Vangelo/66

Da a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. 
Lc.6,30
----

Benedetta Vergogna

Il confessionale non è né una «tintoria» che smacchia i peccati, né una «seduta di tortura» dove si infliggono bastonate. La confessione infatti è l’incontro con Gesù e si tocca con mano la sua tenerezza. Ma bisogna accostarsi al sacramento senza trucchi o mezze verità, con mitezza e con allegria, fiduciosi e armati di quella «benedetta vergogna», la «virtù dell’umile» che ci fa riconoscere peccatori. È alla riconciliazione che Papa Francesco ha dedicato l’omelia della messa celebrata lunedì mattina, 29 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Tra i concelebranti, il cardinale Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), con il segretario monsignor Luigi Mistò, l’arcivescovo Francesco Gioia, presidente della Peregrinatio ad Petri Sedem, l’arcivescovo nigeriano di Owerri, monsignor Anthony Obinna, e il procuratore generale dei verbiti, Gianfranco Girardi. Ha concelebrato anche monsignor Eduardo Horacio García, vescovo ausiliare e pro-vicario generale di Buenos Aires. Tra i presenti, le suore Pie Discepole del Divin Maestro che prestano servizio in Vaticano e un gruppo di dipendenti dell’Apsa.

Il Papa ha aperto l’omelia con una riflessione sulla prima Lettera di san Giovanni (1,5-2,2), nella quale l’apostolo «parla ai primi cristiani e lo fa con semplicità: “Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna”. Ma “se diciamo di essere in comunione con Lui”, amici del Signore, “e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità”. E a Dio bisogna adorarlo in spirito e in verità».

«Cosa significa — si è chiesto il Papa — camminare nelle tenebre? Perché tutti noi abbiamo delle oscurità nella nostra vita, anche momenti dove tutto, anche nella propria coscienza, è buio, no? Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso. Essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre!». E, ha proseguito, «quando uno va avanti su questa strada delle tenebre, non è facile tornare indietro. Perciò Giovanni continua, forse questo modo di pensare lo ha fatto riflette: “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi”. Guardate ai vostri peccati, ai nostri peccati: tutti siamo peccatori, tutti. Questo è il punto di partenza».

«Ma se confessiamo i nostri peccati — ha spiegato il Pontefice — Egli è fedele, è giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. E ci presenta, vero?, quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona. Quando il Signore ci perdona fa giustizia. Sì, fa giustizia prima a se stesso, perché Lui è venuto per salvare e  quando ci perdona  fa giustizia a se stesso. “Sono salvatore di te” e ci accoglie». Lo fa nello spirito del salmo 102: «“Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono”, verso quelli che vanno da Lui. La tenerezza del Signore. Ci capisce sempre, ma anche non ci lascia parlare: Lui sa tutto. “Stai tranquillo, vai in pace”, quella pace che soltanto Lui dà».

È quanto «succede nel sacramento della riconciliazione. Tante volte — ha detto il Santo Padre — pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria. Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria». La confessione è «un incontro con Gesù che ci aspetta come siamo. “Ma, Signore, senti, sono così”. Ci fa vergogna dire la verità: ho fatto questo, ho pensato questo. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana. La capacità di vergognarsi: non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono sinvergüenza. Questo è “uno senza vergogna”, perché non ha la capacità di vergognarsi. E vergognarsi è una virtù dell’umile».

Papa Francesco ha quindi ripreso il passo della lettera di san Giovanni. Sono parole, ha detto, che invitano ad aver fiducia: «Il Paràclito è al nostro fianco e ci sostiene davanti al Padre. Lui sostiene la nostra debole vita, il nostro peccato. Ci perdona. Lui è proprio il nostro difensore, perché ci sostiene. Adesso, come dobbiamo andare dal Signore, così, con la nostra verità di peccatori? Con fiducia, anche con allegria, senza truccarci. Non dobbiamo mai truccarci davanti a Dio! Con la verità. In vergogna? Benedetta vergogna, questa è una virtù».

Gesù aspetta ciascuno di noi, ha ribadito citando il vangelo di Matteo (11, 25-30): «“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi”, anche del peccato, “e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile nel cuore”. Questa è la virtù che Gesù chiede a noi: l’umiltà e la mitezza».

«Umiltà e mitezza — ha proseguito il — sono come la cornice di una vita cristiana. Un cristiano va sempre così, nell’umiltà e nella mitezza. E Gesù ci aspetta per perdonarci. Possiamo fargli una domanda: allora andare a confessarsi non è andare a una seduta di tortura? No! È andare a lodare Dio, perché io peccatore sono stato salvato da Lui. E Lui mi aspetta per bastonarmi? No, con tenerezza per perdonarmi. E se domani faccio lo stesso? Vai un’altra volta, e vai e vai e vai. Lui sempre ci aspetta. Questa tenerezza del Signore, questa umiltà, questa mitezza».

Il Papa ha infine invitato ad aver fiducia nelle parole dell’apostolo Giovanni: «Se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito verso il Padre». E ha concluso: «questo ci dà respiro. È bello, eh? E se abbiamo vergogna? Benedetta vergogna, perché quella è una virtù. Il Signore ci dia questa grazia, questo coraggio di andare sempre da Lui con la verità, perché la verità è luce. E non con la tenebra delle mezze verità o delle bugie davanti a Dio».

© www.osservatoreromano.va - 30 aprile 2013

----

Preghiera del mattino 27/IX/2013

"Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidarmi, mi portino al tuo monte santo e alle tue dimore" (Sal 43,3). 
Era già una preghiera del tuo salmista. Signore, tu ci hai insegnato, nella vita e tramite la vita del tuo Figlio diletto, che su questa montagna fu eretta una croce e che il cammino che porta ad essa è pieno di sofferenze. 
Concedici, Signore, la luce della tua verità, affinché essa ci illumini in mezzo alle menzogne e alle tentazioni del mondo e vinca le nostre debolezze, perché possiamo percorrere il cammino che conduce a te senza cadute e senza tradimenti.
-----

giovedì 26 settembre 2013

Gloriosi Medici Cosma e Damiano

Gloriosi Medici Cosma e Damiano, Martiri della chiesa di Dio, decoro e vanto della città di Bitonto, all'inizio di questa giornata ed in questo tempio in cui si venerano le vostre sacre e miracolose immagini, eleviamo a Dio l'umile ma ardente preghiera perché vengano esauditi i bisogni spirituali e temporali nostri e di tutti i devoti che fanno incessante ricorso al vostro potente patrocinio. 
Voi constatate in quanti, sofferenti nel corpo e nell'anima, vi si rivolgono con fiducia da ogni parte affinché possiate intercedere con sollecitudine presso il Signore per la guarigione dalla malattia e per la piena salute dello spirito. 
Così come la vostra scienza medica ha guarito dal male fisico, così vi esortiamo con intensità di cuore affinché la vostra carità lenisca oggi le piaghe dell'anima e restituisca ad ognuno il dono della grazia divina. 

Insigni, Santi Fratelli, ottenete per tutti, in questa giornata, celesti e consolanti benedizioni. Ma in modo speciale fate che esse discendano sulla Chiesa, sul Papa, sul nostro Vescovo, sulle nostre famiglie, sui devoti tutti e su quanti generosamente concorrono, con la preghiera e col sostegno materiale, ad edificare il Santuario intitolato ai vostri nomi e a testimoniare, in forme sempre nuove e consone ai tempi, la carità verso i fratelli affinché possano così essere celebrati, nel tempo imperituri, la vostra memoria e il memoriale di Cristo, cui avete voluto generosamente conformarvi a maggior gloria di Dio. 
Amen
----

Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?

Lc 9,7-9 
Il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elia», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti». Ma Erode diceva: «Giovanni, l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». 

E cercava di vederlo. Erode, come tutti coloro che non vogliono cambiare, si fa le domande e si dà anche le risposte. Così alla fine ne sa quanto prima. Perché a parlare non si impara niente; ad ascoltare, invece, si può imparare qualcosa. 
Se poi si ascolta il Cristo, allora si impara tutto quello che serve per avere la vita e averla in abbondanza (cf. Gv 10,10). Ma Erode non vuole ascoltare perché non vuole cambiare le sue convinzioni di comodo. 
Egli vive per il potere e strumentalizza tutto per mantenere il potere. O Gesù serve al suo potere, o lo elimina. Egli cerca Gesù per ucciderlo (Lc 13,31) e lo vedrà per deriderlo, nientificarlo e mandarlo a morte (Lc 23,11). 
 Era stato chiamato a conversione dal Battista, ma aveva preferito spegnere la parola di Dio, ucciderla, piuttosto che convertirsi. Leggiamo nel libro dei Proverbi 15,32: «Chi ascolta il rimprovero, acquista senno». 
Ma Erode è giunto al livello ultimo del male, la stupidità, in cui non si distingue più il bene dal male: è la cecità totale. Quando essa è cosciente, è il peccato contro lo Spirito santo. Per Erode, Gesù è un concorrente da conoscere bene per eliminarlo più facilmente. 
Padre Lino Pedron
----

mercoledì 25 settembre 2013

Messaggio di Medjugorje a Marja del 25/9/2013

Cari figli! 
Anche oggi vi invito alla preghiera. Il vostro rapporto con la preghiera sia quotidiano. 
La preghiera opera miracoli in voi e attraverso di voi perciò figlioli la preghiera sia gioia per voi. 
Allora il vostro rapporto con la vita sarà più profondo e più aperto e comprenderete che la vita è un dono per ciascuno di voi. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
----

Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi

Lc 9,1-6 
Convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi. Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro». Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni. 

Gesù non dà agli apostoli il potere di assoggettare gli uomini, ma di servirli, liberandoli dai loro mali fisici, morali e spirituali. 
Il male è il primo nemico dell’uomo: il cristiano deve combatterlo e vincerlo. 
Il comando di non portare nulla con sé richiede agli apostoli povertà di mezzi, prontezza e disponibilità. Gesù non ricorda loro l’oggetto dell’annuncio perché dovrebbe essere ovvio: il regno di Dio udito e visto in Gesù, ossia Gesù stesso. 
Ciò che non è ovvio, e su cui Gesù insiste, è il «come» deve vivere e presentarsi colui che l’annuncia. Egli non deve contraddire con la vita ciò che annuncia con la bocca. Se è vero che chi annuncia la parola di Dio non ha il potere di renderla credibile, è pur sempre vero che ha il potere di renderla poco credibile o del tutto incredibile. 
Questo «come» riguarda la povertà, l’umiliazione che ne consegue e l’insuccesso. Se non rispettiamo questo «come» nell’evangelizzazione, non lavoriamo alle dipendenze di Cristo, ma del diavolo, che usa sempre i mezzi dell’avere, del potere e dell’apparire. 
La povertà è necessaria per amare. Perché chi ha cose è tentato di dare solo cose; chi non ha nulla, dà sé stesso, cioè ama. La povertà è la vittoria sul dio denaro che tutti cercano, è fede in Dio, è libertà da sé e dalle cose, è la condizione indispensabile per accogliere l’azione di Dio ed essere riempiti della sua grazia. 
 Se con il denaro si ottiene tutto, Dio non serve più a nulla. Per avere fiducia in Dio, bisogna perdere la fiducia nel denaro. I veri apostoli, obbedendo alla parola del Signore, non hanno «argento e oro», ma hanno «il nome di Gesù» nel cui potere operano la salvezza (cfr At 3,6). 
Padre Lino Pedron
-----

Preghiera del mattino 25/IX/2013

Il nostro cuore è assetato della tua parola, Signore. 
Tu hai dato agli apostoli il compito esaltante di proclamare la tua parola e quello di condurci al tuo regno. 
Questa mattina, concedici la grazia che le nostre orecchie siano attente e i nostri cuori sensibili, affinché nessuna delle tue parole si perda. 
Fa' che l'insegnamento da esse proclamato cada nel terreno delle nostre anime e vi produca frutti spirituali, garanzie di eternità.
-----

martedì 24 settembre 2013

San Pio da Pietrelcina

Tieni nel tuo cuore Gesù Cristo crocifisso e tutte le croci del mondo ti sembreranno rose. 
San Pio da Pietrelcina
-----

Era vergine non solo di corpo, ma di spirito

24 settembre – Notre Dame de la Merci – Haiti, Cozumel, premier sanctuaire marial (1518) 

Era vergine, non solo di corpo, ma di spirito E che dire delle sue altre virtù? Era vergine, non solo di corpo, ma di spirito, lei di cui mai le astuzie del peccato hanno alterato la purezza :: umile di cuore, riflessiva nei suoi propositi, prudente, avara di parole, avida di letture; metteva la sua speranza non nell'incertezza delle sue ricchezze, ma nella preghiera dei poveri; applicata nel lavoro, riservata, prendeva per giudice della sua anima non l'uomo, ma Dio; non ferendo mai nessuno, benevola con tutti, piena di rispetto per i vecchi, senza gelosia per quelli della sua età, fuggiva l'arroganza, seguiva la ragione, amava la virtù. 
Quando offese mai i suoi genitori, nemmeno col suo atteggiamento? Quando la si vide in disaccordo con i suoi vicini? Quando respinse l'umile con disdegno, si burlò del debole, evitò il miserabile? 
Sant’Ambrogio (339-397) Tratto da De Virginibus, 
dedicato nel 377 da sant’Ambrogio a sua sorells Marcellina, religiosa a Roma. 
P.L., 16, col. 209 et ss.
-----

Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica

Lc 8,19-21 
E andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti». Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica». 

Noi ora non possiamo vedere Dio, ma possiamo in ogni momento ascoltare la sua parola. Per mezzo di Gesù la parola di Dio è venuta nel mondo, ha compiuto la sua corsa vittoriosa lungo i secoli ed è giunta fino a noi. Nella parola di Dio è racchiusa tutta l’opera di salvezza compiuta da Gesù: è presente egli stesso come Salvatore. 
La Parola ci genera (Gc 1,18), ci santifica (1Tm 4,5), ci salva (At 13,26), ci dà la vita eterna (Gv 6,68). Chi ascolta la parola di Dio e la mette in pratica, diventa madre e fratello di Gesù. L’onore di essere madre e fratello di Gesù è possibile a tutti: basta ascoltare e mettere in pratica la parola di Dio. La vera parentela con Gesù nasce solo dall'ascolto della sua parola e dall'attuazione di essa nella pratica. 
Questa è una buona notizia per tutti gli estranei, i peccatori e i lontani, i quali sono chiamati ad essere familiari di Dio nella sua misericordia. Ma questa buona notizia è sempre stata uno scandalo per i giusti che accampano privilegi e pretendono di avere l’esclusiva di Dio. Questa parola è stata paragonata al seme, forza che genera la vita di sua natura. I credenti sono stati generati «non da seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna» (1Pt 1,23). Gesù è la parola-seme che produce in noi la vita di Dio. Il credente, nei confronti del mondo, è investito della duplice responsabilità di Maria: accogliere e generare il Cristo. 
In Maria troviamo le varie tappe da percorrere: 
1. «Ecco la serva del Signore: avvenga a me secondo la tua parola» (Lc 1,38). È l’apertura ad accogliere Dio e la sua parola: è la semina, l’accoglienza della fede. 
2. «Beata colei che ha creduto» (Lc 1,45). È la beatitudine e la gioia che nasce come primo frutto della fede che accoglie la parola di Dio. 
3. «Maria conservava queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). La parola di Dio deve essere conservata, perché è chiamata a crescere ed è destinata a realizzarsi (Ap 1,3; 22, 7,20). 
Essa è come un seme. «Il seme caduto in terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con il cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza» (Lc 8,15). L’accoglienza fruttuosa della parola di Dio fa diventare il credente come Maria. 
La sua beatitudine di madre nella fede (cf. Lc 1,45) è estesa a chiunque ascolta la parola di Dio e la mette in pratica. 
Padre Lino Pedron
-----

lunedì 23 settembre 2013

Pietre dell’eterno edificio

Con ripetuti colpi di salutare scalpello e con diligente ripulitura l’Artista divino vuole preparare le pietre con le quali costruire l’edificio eterno. Così canta la nostra tenerissima madre, la santa Chiesa Cattolica, nell'inno dell’ufficio della dedicazione della chiesa. E così è veramente.
Molto giustamente si può affermare che ogni anima destinata alla gloria eterna è costituita per innalzare l’edificio eterno. Un muratore che vuole edificare una casa innanzi tutto deve ben ripulire le pietre che vuole usare per la costruzione. Cosa che ottiene a colpi di martello e scalpello. Allo stesso modo si comporta il Padre celeste con le anime elette, che la somma sapienza e provvidenza fin dall'eternità ha destinate ad innalzare l’edificio eterno. Dunque, l’anima destinata a regnare con Gesù Cristo nella gloria eterna deve essere ripulita a colpi di martello e di scalpello, di cui l’Artista divino si serve per preparare le pietre, cioè le anime elette. Ma quali sono questi colpi di martello e di scalpello? Sorella mia, sono le ombre, i timori, le tentazioni, le afflizioni di spirito e i tremori spirituali con qualche aroma di desolazione e anche il malessere fisico.
Ringraziate, quindi, l’infinita pietà dell’eterno Padre che tratta così la vostra anima perché destinata alla salvezza. Perché non gloriarsi di questo trattamento amoroso del più buono di tutti i padri? Aprite il cuore a questo celeste medico delle anime e abbandonatevi con piena fiducia tra le sue santissime braccia. Egli vi tratta come gli eletti, affinché seguiate Gesù da vicino sull'erta del Calvario. Io vedo con gioia e con vivissima commozione dell’animo come la grazia ha operato in voi. 

Dalle lettere di san Pio da Pietrelcina, sacerdote (Edizione 1994: II, 87-90, n. 8)
-----

La lampada si pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce

Lc 8,16-18 
Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c'è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere». 

L’ascolto della parola di Dio è una luce che accende il discepolo perché faccia luce a chi è ancora nelle tenebre. Chi ha realmente accolto la parola, la trasmette agli altri; chi è luminoso, illumina. 
La missionarietà della Chiesa è un fatto naturale come per la luce illuminare. Se non illumina, non è luce; se non evangelizza, non è la Chiesa di Cristo. La lampada simboleggia il vangelo, che non può essere tenuto nascosto, ma deve espandersi e illuminare il mondo. 
Ogni cristiano ha preso in mano la fiaccola del vangelo e deve tenerla in alto, in modo che sia più visibile a coloro che vogliono entrare nella comunità cristiana. La comunità cristiana è il luogo aperto a tutti, la casa sul monte, ben visibile anche ai lontani, la casa della luce. 
Il richiamo al comportamento insensato di chi pone la lampada sotto il vaso o sotto il letto, non è assolutamente fuori luogo. La luce del vangelo può essere tenuta nascosta per non lasciarsi coinvolgere nel suo chiarore, per dormire sonni tranquilli, per non alzarsi dalle situazioni di pigrizia spirituale o di peccato. 
Quando la luce che promana dal Cristo e dal suo vangelo illumina, risveglia, mette a nudo situazioni di peccato e scopre la nostra pigrizia e infingardaggine, si preferisce nasconderla o, addirittura, spegnerla. San Giovanni ha scritto: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie» (Gv 3,19). Il testo di oggi è un invito e un ammonimento ad essere lampade accese, luminose per i membri della comunità e per tutti. «Non c’è nulla di nascosto che non deva essere manifestato, nulla di segreto che non deva essere conosciuto e venire in piena luce» (v. 17). Questa frase è un’allusione al mistero inesauribile di Cristo. Ci sarà sempre qualcosa di nascosto, che deve essere scoperto o riscoperto nella persona di Cristo e nel suo vangelo. La conoscenza del Signore non sarà mai perfetta, esauriente, definitiva. Gesù ha detto: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 
Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che ha udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16,12-13). «Fate attenzione a come ascoltate» (v. 18). Questa frase ci richiama la spiegazione della parabola del seminatore (vv.11-14). «Come ascoltate» significa: con quale atteggiamento, disponibilità, prontezza il cristiano si mette all’ascolto della parola. Il vangelo trova sempre buona accoglienza in quelli che sono già ben disposti, viene rifiutato sovente da quelli che sono lontani dalla verità. 
Quasi nessuno rifiuta la verità per partito preso, ma perché è convinto di averla già in sé; perché è convinto che la sua verità è più vera di quella che gli altri gli annunciano. Ma, come ci insegna il vangelo, il rifiuto dell’ascolto della parola di Dio può produrre amare sorprese. 
Padre Lino Pedron
------

sabato 21 settembre 2013

Richiesta di preghiera 19/9/2013

Cari fratelli e sorelle in Cristo e nel Cuore Immacolato di Maria, supplico preghiere di guarigione, secondo al volontà di nostro Signore, per Barbara, ammalata di cancro. 
Ha finito l’ultima chemio. 
Con la speranza nell'anima e con la fede rivolgiamoci al nostro Creatore a cui nulla è impossibile. 
Grazie a tutti. 
Che Dio vi benedica. 
Vi abbraccio nel suo nome. Sergio.
-----

Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori

Mt 9,9-13 
Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». 

In questo testo Gesù appare come un profeta, un missionario itinerante che passando annuncia la parola di Dio. La potenza della sua parola si rivela anche nelle trasformazioni che opera interiormente, nel cuore degli uomini. Questo brano ci insegna quale dev'essere l'atteggiamento, la disponibilità dell'uomo davanti a Cristo. 
L'uomo chiamato da Dio, in questo caso, è un appaltatore di imposte, un uomo lontano, per professione, dai problemi religiosi e malvisto da tutti, evitato come peccatore pubblico e persona di malavita. Gesù, invece, lo sceglie e lo invita a far parte del gruppo dei suoi discepoli. La lezione della chiamata di Matteo viene ribadita e convalidata dal banchetto di addio per i suoi amici, in casa sua; tutta gente della sua categoria e reputazione a cui Gesù si associa volentieri. La scena del banchetto in casa di Matteo viene turbata dall'intervento dei farisei (v. 11). 
Ma Gesù giustifica il suo atteggiamento prima col proverbio:" Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati" (v. 12), poi con una citazione biblica: "Misericordia io voglio, e non sacrifici" (Os 6,6). Gesù si rivolge di preferenza ai peccatori perché hanno più bisogno della sua presenza e assistenza, come i malati hanno bisogno del medico più dei sani. I peccatori sono degli ammalati, cioè persone moralmente malferme e infelici, bisognose di cure e di guarigione. La citazione di Osea 6,6 ripresenta il nucleo centrale della volontà di Dio: la misericordia. La carità, dunque, ha il primato su tutte le altre leggi. 
Anzi, Gesù la antepone allo stesso culto di Dio (v. 13). 
Il tempio di Dio è l'uomo (cfr 1Cor 3,16), non l'edificio di pietra. L'invito di Gesù a lasciare l'offerta davanti all'altare per andare a ricercare il fratello offeso, ci impartisce lo stesso insegnamento (cfr Mt 5,24). L'uomo è importante come Dio, con un particolare non trascurabile: che Dio sta bene e può aspettare, l'uomo sta male e ha bisogno immediato di soccorso. San Vincenzo de Paoli insegnava: "Il servizio dei poveri dev'essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell'ora dell'orazione avete da portare una medicina o un soccorso al povero, andatevi tranquillamente. Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. 
Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Dio, ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa". Se non si tiene conto del prossimo, il culto diventa un falso servizio a Dio e si rivolge contro il prossimo. La presunta giustizia dei farisei li rende ingiusti col prossimo. Il loro presunto amore per Dio li autorizza a odiare il prossimo. Gesù non è venuto a chiamare i giusti o a frequentare gli ambienti puliti: è venuto a convertire i peccatori e a pulire gli ambienti. Egli invita i farisei a confrontarsi con le Scritture (Os 6,6) per capire se il comportamento giusto è il loro o il suo. Il confronto, naturalmente, è a favore di Gesù. Solo lui compie in modo perfetto la parola di Dio e la beatitudine dei misericordiosi (Mt 5,7). 
 La battuta finale: "Non sono venuto a chiamare i giusti" (v. 13) sembra contenere una venatura di "cristiana" ironia nei confronti dei farisei di allora, che si ritenevano giusti. Essa vale anche per i farisei di oggi. 
Padre Lino Pedron
-----

Preghiera del mattino 21/IX/2013

Beato apostolo Matteo, dicci cosa è avvenuto tra te e Gesù, perché alla sua chiamata hai lasciato tutto per seguirlo subito, parlaci del suo sguardo, che ti ha convinto più delle sue parole. 
Prega il Figlio di Davide perché noi possiamo incontrarlo come tu l'hai incontrato, perché ci mettiamo sempre al suo seguito e gli proviamo il nostro amore nella radicalità delle esigenze evangeliche. 
Dio è venuto alla tua tavola, e certamente era quella dei peccatori, ma era soprattutto la tua anima peccatrice che egli si è degnato di visitare, mangiando e comunicando con te. 
Intercedi presso Dio clementissimo perché noi incontriamo la misericordia, e perché, cessando di allinearci con quelli che si scandalizzano, non esitiamo più ad andare incontro all'umanità più peccatrice, più reietta, più malata, per annunciarle che il medico delle nostre anime è vivo.
-----

venerdì 20 settembre 2013

Preghiera 20/9

Vergine Maria volgi il Tuo sguardo misericordioso su tutto il mondo. 
Accogli sotto il tuo mantello le persone che non hanno più speranza, asciuga le lacrime dei sofferenti. 
Ave o Maria
---

Un pizzico di Vangelo/65

Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui. 
Gv. 14,23
----

C’erano con lui i Dodici e alcune donne che li servivano con i loro beni.

Lc 8,1-3 
In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni. 

Gesù è un viandante instancabile. La sua vita si svolge sulla strada. Egli passa attraverso le località grandi e piccole. 
Il vangelo deve camminare sulle vie del mondo. 
Nel suo peregrinare lo accompagnano gli apostoli, che sono il primo nucleo del popolo di Dio. Ma anche le donne fanno parte del seguito di Gesù. Queste accompagnatrici, collaboratrici, benefattrici di Gesù svolgono nei confronti del Cristo e del gruppo degli apostoli un’azione assistenziale: mettono a disposizione i loro beni e il loro lavoro. 
La caratteristica comune di queste donne che seguono Gesù è l’esperienza della cura che Gesù si è preso di loro. Hanno fatto l’esperienza del dono e del perdono: si sono sentite amate e per questo amano. L’amore si manifesta nel servire l’altro liberandolo dalle sue necessità. 
Questo amore si manifesta più con i fatti che con le parole. Lo spirito di servizio di queste donne le porterà fino ai piedi della croce e davanti al sepolcro, le farà entrare in esso e diventeranno le prime testimoni del Risorto. Gli apostoli e queste donne sono il piccolo gregge al quale il Padre si è compiaciuto di donare il suo regno (Lc 12,32), cioè Gesù Cristo Signore. 
Caratteristica di questi primi cristiani: ascoltano Gesù e stanno con lui. Questo ascoltare Gesù e stare con lui è la qualifica più bella e più profonda del discepolo: sottolinea l’aspetto personale d’amore che lo lega al suo Signore. 
 Attraverso l’annuncio della parola e i miracoli che Gesù compie, la gente fa esperienza della bontà, della misericordia e della grazia di Dio nei loro riguardi. Il regno di Dio (v. 1) è il nuovo contesto sociale e religioso in cui tutti sono chiamati a vivere liberi dalla paura di Dio, dalle reciproche inimicizie e da ogni forma di male. 
Padre Lino Pedron
----

giovedì 19 settembre 2013

Madonna de La Salette

La Madonna lungo i secoli è apparsa molte volte, lasciando messaggi, incitando alla preghiera ed al pentimento dei peccati. 
Per lo più Essa è apparsa a veggenti o persone di umili condizioni e di animo innocente, quasi a garanzia della veridicità degli eventi che si verificavano; così fu per l’apparizione nel 1531 di Guadalupe in Messico a S. Juan Diego Cuauhtiotatzin, un indio analfabeta; a Lourdes nel 1858 a S. Bernadette Soubirous; a Fatima nel 1917 ai tre pastorelli Giacinta, Francesco e Lucia, per citarne alcune fra le più famose. 
Ma dodici anni prima delle apparizioni di Lourdes, così conosciute nel mondo, la Madonna era già apparsa nella stessa Francia a La Salette, località del dipartimento dell’Isère, nel cuore del circo delle Alpi francesi, in cui scorre il fiume Drac, a circa 1800 metri di altezza. 
 E come succederà in seguito per altre apparizioni, la Madonna si incontra anche qui con due pastorelli, Mélanie Calvat di circa 15 anni e Maximin Giraud di 11 anni; nessuno dei due era mai andato a scuola, né al catechismo; non sapevano né leggere né scrivere; molto poveri economicamente, sia di cultura, sia di affetti.
----

Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato

Lc 7,36-50 
Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l'aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di' pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!». 

Nella casa del fariseo, dove era stato invitato, Gesù imbandisce il banchetto nuziale per la peccatrice inopportuna e indesiderata. Il fariseo tronfio della sua giustizia non può partecipare alla danza dell’amore se prima non piange il suo peccato. Il racconto serve per persuadere il giusto di peccato di prostituzione perché vuole meritare l’amore di Dio che è gratuito. Questo peccato di «meretricio», di prostituzione è l’unico peccato diretto contro Dio che è amore. 
Questa donna è figura del vero popolo di Dio che si riconosce peccatore e bisognoso di perdono; è il simbolo dell’umanità peccatrice che ritorna al suo sposo, Dio. La presenza della peccatrice che ama, mostra al giusto il suo peccato profondo, quello di non saper amare. 
Dalla festa dell’amore resta escluso solo il giusto, che non ama perché non si sente amato, perché crede di non aver bisogno di essere amato. 
Ma anche il giusto può partecipare al banchetto della vita nella misura in cui si riconosce prostituto, adultero e peccatore. 
Il peccato tipico del giusto è quello di comprarsi l’amore di Dio con la moneta sonante delle proprie buone opere. È il peccato «naturale» di tutte le religioni, che suppongono un Dio cattivo da imbonire. Gesù, in casa del fariseo, mostra a tutti la sua bontà: accetta e ama la donna che peccò di prostituzione con gli uomini, accetta e ama il fariseo che pecca di prostituzione nei confronti di Dio. 
Nei vv. 40-42 Gesù racconta una parabola che mette in gioco tutti. È la parabola dei due debitori. Ogni uomo è debitore a Dio di tutto. 
Il vero peccato è quello di non accettare di essere debitori, ma voler restituire sotto forma di prestazioni di vario tipo, in modo di pareggiare il nostro conto con Dio, per sentirci liberi e indipendenti da lui a cui abbiamo dato tutto il dovuto, per sentirci nostri e non suoi. 
È il tentativo di non essere più creature, ma di emanciparci dal Creatore per essere Dio come Dio, senza Dio e in contrapposizione a Dio. 
È il peccato originale dell’uomo. 
Questa è la prostituzione religiosa, frutto della non conoscenza di Dio, che produce tutti i peccati dei giusti e degli ingiusti. 
Il dono di Dio, al quale tutto dobbiamo, è un amore gratuito da accettare e a cui rispondere con altro amore gratuito. 
Il contenuto della parabola è nelle due espressioni «fare grazia» da parte del creditore e «amare di più» da parte del debitore graziato. Il più avvantaggiato in questa situazione è chi ha il debito maggiore, perché riceve un dono maggiore. 
Chi riceve un dono maggiore, un perdono maggiore fa esperienza di un amore più grande. Davanti a un Dio che riempie gratis del suo amore è una disgrazia essere pieni di sé. Gesù dà come modello al fariseo la peccatrice perdonata che ama, colei che egli aveva giudicata e condannata, e che avrebbe voluto escludere dalla sua casa. 
Padre Lino Pedron
-----

Preghiera del mattino del 19/IX/2013

Questa mattina mi inviti a non trascurare il dono della grazia che è in me. 
Grazia del battesimo, grazia della cresima, grazia di tante riconciliazioni e comunioni, grazia di pietre vive della Chiesa, miei fratelli, grazia della tua parola fecondatrice, infinite grazie segrete che solo il Re conosce e dono ricevuto per mezzo dei profeti. 
Tu vuoi che tutti si accorgano dei miei progressi. 
Dio, preservami dalla tiepidezza! 
Fammi riprendere slancio affinché i tuoi doni copiosi possano svilupparsi, raggiungendo una pienezza finora sconosciuta.
----

mercoledì 18 settembre 2013

L’apparizione e il messaggio di La Salette

Carissimi Innamorati di Maria, festeggiamo l'apparizione approvata di La Salette (Francia), avvenuta il 19 settembre 1846. 
 Riflettiamo insieme sul messaggio ancora attuale che la Mamma Celeste ci ha voluto donare in quell'occasione. 


Una bella Signora appare a Melania e Massimino, due ragazzini di 15 e 11 anni che pascolano le mucche su una montagna a 1800 metri d’altezza. Si tratta di una donna seduta, con i gomiti sulle ginocchia ed il viso nascosto tra le mani: sta piangendo. La bella Signora porta sul suo petto una croce con sopra un Cristo splendente. Ai lati della traversa orizzontale della croce, sono posti gli strumenti della passione: a destra un paio di tenaglie e a sinistra un mar­tello. La Signora piange a dirotto…e, mentre le lacrime scendono copiose, prende a parlare con quelle parole che sono giunte fino a noi: 
"Venite avanti, bambini miei; non abbiate paura; io sono qui per annunziarvi una grande notizia. Se il mio popolo non vuole sottomettersi, sono costretta a lasciar cadere il braccio di mio Figlio; esso è così grave e così pe­sante che non posso più sostenerlo! Da quanto tempo io soffro per voi! Se voglio che mio Figlio non vi abbandoni, io devo pregarlo continuamente, e voi non ci fate caso. Voi avrete un bel pregare, un bel fare; mai potrete com­pensarmi della pena che mi sono presa per voi! Vi ho dato sei giorni per lavorare, mi sono riservato il settimo, e non me lo si vuole concedere... Coloro che conducono i carri non sanno smettere di bestemmiare il nome di Mio Figlio. Queste sono le due cose che appe­santiscono tanto il braccio di mio Figlio! Se il raccolto va a male, è soltanto per colpa vostra. Ve l'ho fat­to vedere l'anno scorso con le patate... voi non ci avete fatto caso. Anzi, quando ne trovavate guaste, voi bestemmiavate il nome di Mio Figlio! Esse continueranno a marcire, e quest'anno a Natale non ve ne saranno più! Se avete del grano, non bisogna seminarlo, perché tutto quello che seminerete sarà mangiato dagli insetti, e quello che verrà cadrà in polvere quando lo batterete. Sopraggiungerà una grande carestia, ma prima che essa venga, i bimbi al di sotto dei sette anni saranno colti da un tremore e morran­no tra le braccia di coloro che li terranno. I grandi invece faranno peni­tenza per la fame. Le uve marciranno e le noci diventeranno cattive."
La conversazione tra la Signora e i veggenti prosegue con l’affidamento di un segreto. Quindi la Mamma Celeste continua con una promessa: 
"Se invece si convertiranno, le pietre e le rocce si tramuteranno in mucchi di grano e le patate si troveranno seminate da loro stesse!." 
Quindi confidenzialmente e maternamente la Vergine dice ai due piccoli: "Dite bene le vostre preghiere, bambini miei?" "non molto, Signora..." rispondono. "Ah! Bambini miei, - riprende la Madonna - bisogna farle bene, sera e mattina. Quando non avrete tempo, dite almeno un Pater e un 'Ave Maria; e, quando lo potete, ditene di più. A messa non vanno che alcune donne già anziane. Gli altri la­vorano di domenica tutta l'estate e, l'inverno, quando non sanno che fare, non vanno alla messa che per burlarsi della religione. In Quaresima vanno in macelleria come dei cani! Non avete mai veduto del grano guasto, bambini miei?" "no, Signora!" rispondono. 
Ora la Signora si rivolge a Massimino: "Ma tu, bimbo mio, tu ne devi aver ben visto una volta, vicino a Coin, con tuo padre. Il padrone del podere disse a tuo padre: "Ve­nite a vedere il mio grano guasto". Voi ci siete andati tutti e due. Prendeste due o tre spighe di grano nelle vostre mani, le avete stro­finate, e tutto andò in polvere. In seguito voi siete ritornati. Quan­do non eravate più che una mezz'ora distanti da Corps, tuo padre ti diede un pezzo di pane, dicendoti: "Prendi, bambino mio, man­gia ancora del pane quest'anno; non so chi ne mangerà l'anno ven­turo, se il grano continua ancora a guastarsi in questo modo".." 
"Oh sì, Signora, ora ricordo. Prima non me lo ricordavo più..." Il colloquio con la Vergine ha termine con un accorato appello: "Ebbene, bambini miei, voi lo farete sapere a tutto il mio po­polo..." 
La Signora passa davanti ai pastorelli, attraversa il pic­colo ruscello, posando i piedi su una pietra che emerge a metà e, giunta a due o tre metri dall'altro lato, ripete senza voltarsi né fermarsi: 
"Su, bambini miei, fate dunque sapere ciò a tutto il mio popolo!" 
Detto ciò si eleva da terra e, lentamente si solleva: è raggiunta dagli sguardi attoniti di Massimino e Melania che vedono la Sua figura dileguarsi e confondersi con la luce di cui è avvolta, quindi scompare anche la luce. 

Facciamo attenzione al "costume" con cui Maria si presenta, al luogo geografico da Lei scelto, alla condizione so­ciale dei veggenti, al momento storico dell' apparizione. Tutto ha la sua importanza per comprendere il vero signi­ficato del messaggio di Maria. 
A La Salette Maria è addolorata per i nostri peccati, fa vedere le sue lacrime e mostra i segni della passione di Gesù Cristo. Esorta a evitare i peccati di omissione e com­missione (santificare la domenica, seguire le norme della Quaresima e non bestemmiare), bene espressi dalle tenaglie e dal martello, strumenti materiali della crocifissione di Gesù. Fa vedere Gesù sulla cro­ce per strapparci il pentimento sincero dei nostri peccati, vera causa della morte di suo Figlio. 
 La Madre Celeste ci fa notare come il comportamento spirituale delle anime è strettamente legato ai flagelli della natura: carestie e malattie mortali sono le conseguenze dei nostri peccati, mentre la provvidenza di Dio ci aiuta se viviamo santamente: "Se invece si convertiranno, le pietre e le rocce si tramuteranno in mucchi di grano e le patate si troveranno seminate da loro stesse!." "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" Mt 6,33. 

Guardiamoci intorno e vedremo anche oggigiorno gli stessi avvertimenti. Come porrre rimedio? La fede e la storia ci dicono che la Vergine Maria ci ha sem­pre avvisati e soccorsi, non ci ha abbandonati mai. Ha uno stile dav­vero materno, che le apparizioni degli ultimi secoli ci hanno ancora una volta dimostrato. Maria è sempre madre di Dio e madre nostra, avvocata, aiuto dei cristiani e ri­fugio dei peccatori. Ascoltiamola e viviamo cio' che ci chiede: Rosario, Digiuno, Eucarestia, lettura della Bibbia, Confessione. 

PREGHIERA: 
Ricordati o Nostra Signora di La Salette, delle lacrime che hai versato per noi sul Calvario. Ricordati anche della continua sollecitudine che hai per noi, tuo popolo, affinché nel nome di Cristo Gesù ci lasciamo riconciliare con Dio. Confortàti dalla tua tenerezza, o Madre, noi Ti supplichiamo, malgrado le nostre infedeltà e ingratitudini. Accogli le nostre preghiere, o Vergine Riconciliatrice, e converti i nostri cuori al tuo Figlio. Ottienici la grazia di amare Gesù sopra ogni cosa e di consolare anche Te con una vita dedicata alla gloria di Dio e all'amore dei nostri fratelli. AMEN
-----

Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto

Lc 7,31-35 
A chi dunque posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile?  È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: «Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!». È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: «È indemoniato».  È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e voi dite: «Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!».  Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli». 

La gente del tempo di Gesù rifiuta il gioco di Dio e contrasta il suo disegno. Dio li chiama alla conversione e alla serietà per mezzo di Giovanni il Battista e non accettano perché lo ritengono pazzo. Li chiama alla gioia e alla festa per mezzo di Gesù e non accettano perché vogliono un Dio severo. Sono persone adulte che si comportano come bambini capricciosi. 
In realtà chi non accetta il messaggio di conversione proposto da Giovanni il Battista, riconoscendosi peccatore, non può accogliere l’invito alla gioia proposto da Gesù. Gli umori capricciosi dei giudei di allora si rivelano nel giudizio che essi danno di Giovanni e di Gesù. 
Il Battista è troppo severo, e lo definiscono pazzo. Gesù è poco santo, molto mondano; coltiva amicizie con gente poco raccomandabile, con scomunicati e peccatori. 
Luca si è compiaciuto di ricordarci che Gesù è amico dei pubblicani e delle prostitute, rivelandoci così, che le compagnie preferite da Gesù non erano proprio le più onorate e le più raccomandabili. 
Una domanda pertinente: la scelta delle nostre amicizie assomiglia a quella di Gesù? Per quanto misteriose possano sembrare le vie di Dio nella storia della salvezza, esse sono sempre determinate dalla sua sapienza. 
E la sapienza di Dio può essere riconosciuta come tale solo da chi è generato, trasformato e compenetrato da lei; da chi pensa e giudica come pensa e giudica lei. 
L’uomo per poter riconoscere in Giovanni e in Gesù due inviati di Dio, deve possedere la sapienza divina e rinunciare a una logica puramente umana. Deve convertirsi e cambiare mentalità; non prendere più sé stesso, ma Dio, come misura delle cose: deve uscire da sé e lasciarsi illuminare dalla parola di Dio. Deponendo la sua sapienza umana, deve farsi piccolo e povero, perché Dio annuncia il suo vangelo ai piccoli e ai poveri. 
Padre Lino Pedron
-----

Preghiera del mattino del 18/IX/2013

Sii benedetto per la tua Chiesa indivisa, "colonna e sostegno della verità". In essa la nostra fede è confortata, la speranza ravvivata, la carità infiammata. 
In essa riceviamo il Corpo e il Sangue prezioso dell'Agnello, che ci preservano dal portare amari frutti e riempiono invece la nostra vita della realtà gioiosa della risurrezione. 
Chiesa, Corpo di Cristo, fonte inesauribile di gioia, Chiesa senza macchie né difetti, Chiesa uscita dal Cuore dell'Unigenito, in te io respiro profondamente; di te io dico senza reticenza che sei santa e bella e che nel tuo grembo materno io ricevo il puro dono venuto dal cielo, lo Spirito Santo.
-----

martedì 17 settembre 2013

Un pizzico di Vangelo/64

Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete ? 
Lc.6,32
-----

Un pizzico di Vangelo/63

Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. 
Gv. 6,27
-----

Preghiera del mattino del 17/IX/2013

Signore, degnati di rinnovare nella loro elezione coloro che tu hai scelto come papa, cardinali, vescovi, sacerdoti, diaconi, così come ogni responsabile di comunità, affinché, ben provvisti di guide, possiamo servirti con animo pacificato e gioioso. 
Per mezzo della spada della tua parola, si ergano contro gli abusi e vigilino perché nessuno sia tratto in errore. 
Ricreino delle vie alla pace e all'unità. 
Ricoprili della tua unzione, così come Eliseo ricevette il mantello d'Elia e i due terzi del suo spirito. 
O Spirito Santo, guida la tua Chiesa!
--------

lunedì 16 settembre 2013

Non vive da cristiano chi non conosce i suoi vicini

Il messaggio è uno schiaffo all'indifferenza tra gli uomini. «A volte si può vivere senza conoscere i vicini di casa: questo non è vivere da cristiani», twitta Bergoglio. A Buenos Aires il suo vicinato erano i «cartoneros»,uomini e donne che fino alla devastante crisi economica del 2001 avevano un lavoro regolare e tutele sociali e che dall'oggi al domani si sono ritrovati a vivere frugando nelle immondizie alla ricerca di cartone, metallo e cibo. Da sei mesi in Vaticano sono i sacerdoti-convittori che alla foresteria di Santa Marta condividono con lui vitto e alloggio. Spazi e sensibilità in comune. «Per motivi psichiatrici non voglio isolarmi nell'appartamento pontificio», scherza il Papa con chi gli chiede perché abbia preferito al Palazzo Apostolico la stanza 201, cioè la coabitazione in una residenza per il clero. 
«Non conoscere il proprio dirimpettaio nega la fraternità su cui si basa la convivenza umana e cristiana - commenta il cardinale di Curia José Saraiva Martins - Malgrado facciamo parte della stessa famiglia, la perdita dei valori morali impone nella società occidentale un pericoloso isolamento. Più si è ricchi, più ci si distacca dagli altri, meno si è felici. Il Papa, provenendo da un Paese più povero rispetto all'Europa, avverte qui la mancanza di coesione e di prossimità». 
Uno schiaffo all'indifferenza. «È un richiamo alla responsabilità personale: la comunità non si costruisce da sola, nasce dall'impegno di creare legami positivi di vicinanza e di accoglienza- afferma monsignor Dario Viganò, direttore del Centro televisivo vaticano - Come la pace richiede un cuore che sappia perdonare, così la comunione si edifica a partire dai vicini. È illusorio voler bene ai lontani quando si ignora chi ci è accanto». Da soli non ci si salva. «Francesco testimonia che la vita, come la verità, è relazione - osserva Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant'Egidio - La malattia dell’Occidente contemporaneo è l’individualismo e il Pontefice esorta a prendersi cura gli uni degli altri mettendo al centro le periferie umane e urbane. Accorciare le distanza è l’inizio della guarigione: senza il vicino svanisce il senso della vita». Alla solitudine da condominio, il «buon vicino» Bergoglio contrappone l’empatia da pianerottolo, il sorriso della condivisione.
Giacomo Galazzi   CdV
-----

Richiesta di preghiera 16/9/2013

Cari fratelli e sorelle in Cristo e nel Cuore Immacolato di Maria, 
porto alla vostra attenzione due casi: 
- Cosmo, ammalato di uveite agli occhi, piuttosto grave; 
 - Elisa, ricoverata all'ospedale per la seconda volta in seguito a rigonfiamento, prima delle gambe, poi ora al braccio sinistro. Pare che stavolta la causa possa essere qualcosa che c’è nella vena del braccio: Trombosi? Dimenticanza di una cannula della flebo? Non si sa, intanto viene sottoposta a terapia antibiotica e ad accertamenti. 
Grazie per le preghiere che rivolgiamo alla nostra Mamma celeste e a nostro Signore Gesù. 
Un abbraccio a tutti voi. Sergio.
-----

Neanche in Israele ho trovato una fede così grande

Lc 7,1-10 
Quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l'aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede - dicevano -, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di' una parola e il mio servo sarà guarito. Anch'io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: «Va'!», ed egli va; e a un altro: «Vieni!», ed egli viene; e al mio servo: «Fa' questo!», ed egli lo fa». All'udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito. 

Nei racconti del capitolo settimo del vangelo di Luca, Gesù presenta l’immagine del Padre, annunciata in 6, 27-38: benevolo e misericordioso verso tutti. 
Gesù è il volto del Padre, la sua immagine perfetta: nella sua persona rivela il mistero profondo di Dio. 
Il cammino d’Israele, di cui Pietro è il rappresentante, parte dalla fede nella parola di Gesù: «Sulla tua parola caleròle reti» (5,5) e passa attraverso il senso del peccato: «Allontanati da me, Signore, perché sono peccatore» (5,8). Anche il cammino dei pagani, rappresentati dal centurione, parte dalla fede nella parola di Gesù e passa attraverso il senso di indegnità (7,6-7). Dopo la risurrezione del Signore, la Chiesa si aprirà ai pagani proprio in casa di un altro centurione (cf. At 10). 
L’episodio del centurione deve ravvivare nel lettore la fede. La Parola è efficace solo per chi l’accoglie con fede. «Tutto è possibile per chi crede» (Mc 9,23). Chi crede ha la stessa potenza di Dio, perché lascia agire Dio nella sua vita. 
Il centurione è il tipo del vero credente, umile, generoso, sollecito del bene del prossimo. Dio non prende eccessivamente in considerazione le opinioni che gli uomini hanno sul suo conto, ma è attento ai loro comportamenti verso i bisognosi: è qui, soprattutto, che egli si trova in sintonia con gli uomini. 
La fede non passa attraverso le ideologie o le teologie, ma attraverso il buon cuore e le opere di carità. Sono credenti quelli che sentono e agiscono come Dio. 
Padre Lino Pedron
----

domenica 15 settembre 2013

Un pizzico di Vangelo/62

Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. 
Gv.8,12
-----

Un pizzico di Vangelo/61

Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. 
Gv.20,21
----------

Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte

Lc 15,1-32 
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta». Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto». Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati ». Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». 

I destinatari dell’insegnamento sono gli scribi e i farisei. Le parabole sono un invito ai giusti perché si convertano dalla propria giustizia che condanna i peccatori, alla giustizia del Padre che li giustifica. Mentre il peccatore sente il bisogno della misericordia di Dio, il giusto non la vuole né per sé né per gli altri, anzi si irrita grandemente con Dio, come Giona (Gio 4,29). 
In questo modo rifiuta Dio, che è misericordia, in nome della propria giustizia. 
La contrapposizione tra uno e tutti sottolinea la condizione di precedenza di chi è fuori strada, malato e infelice rispetto a chi è al sicuro, in salute e nella gioia. Nell’Antico Testamento il pastore è Dio (Ger 23,1-6; Ez 34,12-16; Sal 23; ecc.), nel Nuovo è Gesù (Gv 10,11ss). 
Il cuore del Padre si rivolge tutto verso l’unico figlio che manca. Non basta la presenza di tutti gli altri per consolarlo. Egli ha un amore totale per ognuno. La sofferenza per la perdita di uno solo ci rivela quanto valore ha ognuno di noi ai suoi occhi di Padre. L’atteggiamento del Padre si rivela nel comportamento di Gesù che cerca l’uomo perduto e invita gli amici e i vicini perché condividano la gioia del ritrovamento. 
L’iniziativa della salvezza è di Dio che non attende il ritorno del peccatore smarrito, ma gli va incontro e lo porta a casa sua. La gioia di Dio per il ritorno del peccatore sta nel vedere riconosciuta e accolta la sua misericordia. 
La gioia di Dio sarà piena quando tutti, anche i giusti, si convertiranno. 
Secondo Paolo il punto di arrivo della storia è la conversione d’Israele (Rm 11,25-36). La gioia di Dio per la salvezza di uno solo lascia intravedere la sofferenza divina del Padre fino a quando non vede tutti i suoi figli nella sua casa. In realtà la pecora non si è convertita. Non siamo noi che ritorniamo a Dio, ma è lui che viene a cercarci. 
Convertirsi è volgere il nostro sguardo dal proprio io a Dio, dalla nostra nudità all’occhio di colui che da sempre ci guarda con amore. 
Nella parabola della pecora perduta il protagonista era un uomo, figura di Dio, pastore d’Israele. 
Nella parabola della dracma perduta è una donna, figura dell’amore materno di Dio. Dio mi è più madre di mia madre: è lui infatti che mi ha tessuto nel seno di mia madre (Sal 139,13). 
Egli ama ciascuno di amore pieno e totale. Se ne manca uno solo, la sua casa è vuota. Perché ama ogni figlio più di sé stesso. Dio non ci ama in questo modo infinito perché siamo bravi, ma perché siamo suoi figli. E il fatto che siamo peccatori, pecore perdute e dracme smarrite, ci rende oggetto di un amore più grande (Lc 5,32; 19,10). Il valore di ogni cosa e di ogni persona si rivela nella sua perdita; il nostro valore si è rivelato nella morte stessa di Dio che si è perduto per ritrovarci. Il nostro valore è infinito, pari all’amore di Dio che l’ha portato a dare la vita per noi. 
Il Signore dice ad ogni uomo: «Tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stimai e ti amo» (Is 43,4). La dracma mantiene tutto il suo valore anche quando è perduta o ritrovata tra la spazzatura: l’uomo è il tesoro di Dio anche quando si perde e viene ritrovato nella spazzatura del peccato e della degradazione. 
La parabola del Padre misericordioso e del figlio perduto e ritrovato rivela il centro del vangelo: Dio come Padre di tenerezza e di misericordia. Egli prova una gioia infinita quando vede tornare a casa il figlio da lontano, e invita tutti a gioire con lui. 
Gesù fin dall’inizio mangia con i peccatori (cf. Lc 5,27-32). Ora invita anche i giusti. Attaccato da essi con cattiveria, li contrattacca con la sua bontà, perché vuole convertirli. Ma la loro conversione è più difficile di quella dei peccatori. Non vogliono accettare il comportamento di Dio Padre che ama gratuitamente e necessariamente tutti i suoi figli: la sua misericordia non è proporzionata ai meriti, ma alla miseria. 
I peccatori a causa della loro miseria sentono la necessità della misericordia. I giusti, che credono di essere privi di miseria, non accolgono la misericordia. Questo brano è rivolto al giusto perché occupi il suo posto alla mensa del Padre: deve partecipare alla festa che gli fa per il proprio figlio perduto e ritrovato. 
Questa parabola non parla della conversione del peccatore alla giustizia, ma del giusto alla misericordia. La grazia che Dio ha usato verso di noi, suoi nemici, deve rispecchiarsi nel nostro atteggiamento verso i nemici (cf. Lc 6,27-36) e verso i fratelli peccatori (cf. Lc 6,36-38). 
Il Padre non esclude dal suo cuore nessun figlio. Si esclude da lui solo chi esclude il fratello. Ma Gesù si preoccupa di ricuperare anche colui che, escludendo il fratello, si esclude dal Padre. Nel mondo ci sono due categorie di persone: i peccatori e quelli che si credono giusti. I peccatori, ritenendosi senza diritti, hanno trovato il vero titolo per accostarsi a Dio. Egli infatti è pietà, tenerezza e grazia: per sua natura egli ama l’uomo non in proporzione dei suoi meriti, ma del suo bisogno. 

La conversione è scoprire il volto di tenerezza del Padre, che Gesù ci rivela, volgersi dall'io a Dio, passare dalla delusione del proprio peccato, o dalla presunzione della propria giustizia, alla gioia di esser figli del Padre. 
Radice del peccato è la cattiva opinione sul Padre: e questa opinione è comune ai due figli. Il più giovane, per liberarsi del Padre, si allontana da lui con le degradazioni della ribellione, della dimenticanza, dell’alienazione atea e del nihilismo. L’altro, per imbonirselo, diventa servile. 
Ateismo e religione servile, dissolutezza e legalismo, nihilismo e vittimismo scaturiscono da un’unica fonte: la non conoscenza di Dio. Questi due figli, che rappresentano l’intera umanità, hanno un’idea sbagliata sul conto del Padre: lo ritengono un padre-padrone. Questa parabola ha come primo intento di portare il fratello maggiore ad accettare che Dio è misericordia. 
Questa scoperta è una gioia immensa per il peccatore e una sconfitta mortale per il giusto. È la conversione dalla propria giustizia alla misericordia di Dio. La conversione consiste nel rivolgersi al Padre che è tutto rivolto a noi e nel fare esperienza del suo amore per tutti i suoi figli. Per questo il giusto deve accettare un Dio che ama i peccatori. 
Per accettare il Padre bisogna convertirsi al fratello. 
Padre Lino Pedron
-----

sabato 14 settembre 2013

Cristo Re del mondo Crocifisso per amor

La Croce è il centro del mondo dove "pulsa" il Cuore traboccante dell'Amore di Dio. 
Maria M.
-----

Festa dell'Esaltazione della Santa Croce

La Chiesa cattolica, molti gruppi protestanti e gli ortodossi celebrano la festa dell'Esaltazione della Santa Croce il 14 settembre: anniversario della consacrazione della Chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme; in essa si commemora la croce sulla quale fu crocifisso Gesù.
Celebrata la prima volta nel 335, nei secoli successivi questa festività incluse anche la commemorazione del recupero della Vera Croce, fatto dall'imperatore Eraclio nel 628, dalle mani dei Persiani. Della Croce trafugata quattordici anni prima dal re persiano Cosroe Parviz, durante la conquista della Città santa, si persero definitivamente le tracce nel 1187, quando venne tolta al vescovo di Betlem che l'aveva portata nella battaglia di Hattin.


La celebrazione odierna assume un significato ben più alto del leggendario ritrovamento da parte della santa madre dell'imperatore Costantino, Elena. Nell'usanza gallese, a partire dal VII secolo, la festa della Croce si teneva il 3 maggio. Secondo l'Enciclopedia Cattolica, quando le pratiche gallesi e romane si combinarono, la data di settembre assunse il nome ufficiale di Trionfo della Croce nel 1963, ed era usato per commemorare la conquista della Croce dai Persiani mentre la data in maggio fu mantenuta come ritrovamento della Santa Croce.
In Occidente ci si riferisce spesso al 14 settembre come al Giorno della Santa Croce; la festività in maggio è stata rimossa dal calendario della forma ordinaria del rito romano in seguito alla riforma liturgica del 1970.
Gli ortodossi commemorano ancora entrambi gli eventi il 14 settembre, una delle dodici grandi festività dell'anno liturgico, e il primo Agosto festeggiano la Processione del venerabile Legno della Croce, il giorno in cui le reliquie della Vera Croce furono trasportate per le strade di Costantinopoli per benedire la città.
La Chiesa cattolica compie la formale adorazione della Croce durante gli uffici del Venerdì Santo, mentre gli ortodossi celebrano un'ulteriore venerazione della Croce la terza domenica della Grande Quaresima. In tutte le chiese greco-ortodosse, durante il Giovedì Santo, una copia della Croce viene portata in processione affinché la gente la possa venerare.


La Festa dell'Esaltazione della Santa Croce è la principale festa dell'Arcidiocesi di Lucca. La festa inizia dai vespri del 13 settembre e comprende la giornata del 14: è celebre soprattutto per la processione notturna a lume di candela detta "La Luminara".
La Festa dell'Esaltazione della Santa Croce nella Parrocchia di Medugorje si chiama "Križevac" e tradizionalmente si celebra la prima domenica dopo la Festa della Natività di Maria. In onore dell'Anno Santo della Redenzione 1933/34, incitati dall'allora parroco Fra Bernardin Smoljan, i parrocchiani di Medugorje - nonostante la loro povertà - hanno costruito sulla collina sopra Medugorje una Croce monumentale alta 8,5 metri e larga 3,5. Reliquie della vera Croce di Gesù, ricevute da Roma per l'occasione, sono inserite nell'asta della Croce stessa.


"Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me", dice Gesù (Mt 10,38). Ci chiede che gli imitiamo, che lo seguiamo, prendendo ogni giorno la nostra croce. In questo possiamo gloriarci, diceva Francesco, se portiamo "alle nostre spalle ogni giorno la santa croce del nostro Signore Gesù Cristo", giacché, dice Pietro, "Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme" (1Pt 2,21).
Sappiamo che non è facile essere cristiano. Lo aveva predetto Gesù stesso: "Voi avrete tribolazioni nel mondo" (Gv 16,33), giacché "se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me" (Gv 15,18).
Ma siamo sicuri: "...chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà" (Mt 10,39).
Non dobbiamo avere paura delle opposizioni, delle persecuzioni, di niente. Lo ha detto Gesù a ciascuno di noi: "...abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!" (Gv 16,33).
Arriveremo alla santità, dice il Concilio, se seguiamo "Cristo povero, umile e caricato con la croce, per meritare la partecipazione alla sua gloria" (LG 41).
--------