domenica 25 gennaio 2015

Messaggio di Medjugorje del 25 gennaio 2015

Cari figli! 
Anche oggi vi invito: vivete nella preghiera la vostra vocazione. 
Adesso, come mai prima, Satana desidera soffocare con il suo vento contagioso dell’odio e dell’inquietudine l’uomo e la sua anima. 
In tanti cuori non c’è gioia perché non c’è Dio né la preghiera. 
L’odio e la guerra crescono di giorno in giorno. 
Vi invito, figlioli, iniziate di nuovo con entusiasmo il cammino della santità e dell’amore perché io sono venuta in mezzo a voi per questo. 
Siamo insieme amore e perdono per tutti coloro che sanno e vogliono amare soltanto con l’amore umano e non con quell’immenso amore di Dio al quale Dio vi invita. 
Figlioli, la speranza in un domani migliore sia sempre nel vostro cuore. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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domenica 11 gennaio 2015

Richiesta di preghiere 10/1/2015

Cari fratelli e sorelle in Cristo e nel cuore Immacolato di Maria, supplico un vostro intervento di preghiera per Simona, madre di un bimbo di 4 anni, vedova, ammalata di tumore all'intestino. 
Grazie a tutti coloro che si renderanno disponibile alla preghiera. 
Vi abbraccio nel nome di Gesù. Sergio.
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La voce del Padre nel Giordano

San Marco sintetizza, in brevi parole, due grandi avvenimenti della vita di Gesù Cristo; il suo battesimo nel Giordano e la sua tentazione nel deserto. Avendo parlato della voce che gridava nel deserto per preparare la via del Signore, è attratto dal ricordo della voce del Padre che risuonò sul Giordano, e accenna appena alla voce di satana che tentò troncare la missione del Redentore. Una voce la preparava, una voce la proclamava, una voce tentava arrestarla. Le circostanze di questi fatti sono quasi accidentali, e l’evangelista vi si trattiene poco. Giovanni aveva detto che il Redentore avrebbe battezzato nello Spirito Santo, e Gesù Cristo volle consolarlo, iniziando quel battesimo proprio per le mani di lui. 
Andò a ricevere il battesimo della penitenza per accogliere su di sé i nostri peccati, e andò a santificare le acque con la sua presenza e con quella del Padre e dello Spirito Santo, perché si fossero mutate in lavacro di rigenerazione e di grazia. Scese nelle acque come novello Mosè, e aprì il mare della divina misericordia con la sua potenza d’amore, attraendo sulla terra lo sguardo del Padre; i cieli si aprirono e discese visibilmente lo Spirito Santo, come discese al principio del mondo sulle acque per fecondarle nella vita; si compiva solennemente quello che era stato un lontano e misterioso annuncio nella creazione, poiché il Verbo fatto uomo discendeva nell'acqua per rigenerare tutto in Lui, lo Spirito Santo discendeva sul Verbo fatto Vittima, per fecondare l’opera sua, e il Padre faceva sentire la sua voce, compiacendosi del Figlio divino che lo amava, e amandolo nella fiamma dell’infinito Amore. 
Fu un momento solenne, nel quale la gloria della Santissima Trinità illuminò nuovamente la terra; il Redentore si umiliò discendendo nell'acqua e, in quell'atto di umiliazione, riconobbe la gloria di Dio, esaltandolo sopra tutte le cose; alla voce del suo amore si aprirono i cieli, cioè sparirono quasi nella immensa luce che si diffondeva, e dalle profondità luminosissime venne come una candida fiamma che sembrava una colomba; era l’infinito Amore che rispondeva all'Amore del Verbo Incarnato, era la compiacenza del Padre che spirava col Verbo l’infinito Amore, era la testimonianza del Cielo che si univa a quella della terra, e confermava la voce di Giovanni. Si deve notare che l’evangelista descrive la scena in poche parole, perché essa fu quasi come un lampo di luce sfolgorante; in un attimo avvolse tutta la terra, poiché per tutta la terra si diffuse la voce placida e potente della divina Bontà che abbracciò le sue creature, rappresentate dal Redentore, oggetto della sua infinita compiacenza. Nel mondo, però, satana non era stato ancora sconfitto, e nella gloriosa manifestazione del Giordano aveva dovuto sogghignare beffardamente, perché aveva ancora la preda fra gli artigli, e si riprometteva, nel suo orgoglio, di non farsela sfuggire. 
Ecco perché subito lo Spirito Santo che aveva santificato tutta l’umanità del Redentore con nuovi doni, lo spinse nel deserto perché avesse dato a satana la prima sconfitta, digiunando e ricacciandolo nell'abisso. San Marco non racconta minutamente la tentazione di satana: non aveva bisogno di farlo; gli importava opporre al primo Adamo il secondo, al peccatore il Riparatore, al ricercatore del godimento il Penitente divino che, spinto dall'amore per il Padre, va nel deserto invece che nell'Eden; digiuna invece di appetire il frutto proibito; ricaccia satana che lo tenta invece di farsi lusingare dalla sua voce infernale; rimane con le fiere invece di cercare il seducente sorriso di Eva, come fece Adamo, compiacendola, e fu servito dagli angeli, perché, proprio in questo, elevò la natura umana, rendendola compagna degli angeli di Dio. 
Ecco tracciato il nostro cammino di resistenza allo spirito infernale. Dobbiamo umiliarci, riconoscendoci peccatori, sottomettendoci agli altri, e cercando unicamente la gloria di Dio. Dobbiamo offrire al Signore un cuore puro, perché la grazia dello Spirito Santo lo inondi e lo renda compiacenza di Dio. Quello che impedisce l’effondersi della grazia in noi è proprio l’impurità, figlia dell’orgoglio e l’orgoglio maledetto della carne. Non è necessario cadere nel baratro per essere chiusi alla grazia, bastano anche quelle miserie volontarie che distraggono vanamente l’anima nelle creature. La curiosità morbosa che ci ferma esternamente nell'ammirazione della forma estetica, e che internamente ci attrae al senso con vane compiacenze e con desideri di male spesso semicoscienti, è una barriera che si frappone tra noi e la grazia, e può da sola renderci infecondi spiritualmente, e sospingerci verso gli abissi del male. Ritiriamoci nel deserto con la modestia degli sguardi, e formiamo in noi la solitudine, impedendo che il mondo ci si avvicini attraverso quegli spettri che si formano in noi per gli sguardi dissipati. 
Non crediamo che sia poi un male, magari, il non vedere un oggetto che ci può sembrare d’arte; non ci facciamo illudere dalla necessità di osservare o dal bisogno di ammirare ciò che è bello; tutte queste scuse non impediscono di respirare l’aria mefitica della carne, e ci attraggono pesantemente nelle sfere dei sensi. Quando l’aeroplano gira su se stesso, si avvita – come si dice in termine tecnico –, e quando si avvita fa precipitare nel vortice della morte; similmente, quando ci rivolgiamo su di noi o sulle creature, la carne ci avvita, e precipitiamo facilmente nella mota, dove la divina Colomba non può fermarsi. Andiamo nella solitudine, appartandoci da tutto ciò che è vano e curioso, da tutto ciò che ci distrae nell'ansietà di voler vedere, osservare, ammirare; lo diciamo proprio per la salvezza e la santificazione delle anime, e per renderle oggetto di compiacenza innanzi a Dio; amiamo la solitudine interiore, facciamolo almeno per prova; rifuggiamo dagli sguardi che fanno giungere a noi le voci di satana, alimentiamo l’anima nelle placide visioni del Cielo, e sentiremo nel cuore e nei sensi una libertà dolcissima che ci farà volare fino a Dio, e ci farà conversare con gli angeli. 
Padre Dolindo Ruotolo
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lunedì 5 gennaio 2015

Ricostruire dalle rovine

Condivido con voi questo prezioso monologo tra Monsignor Enrico Bartoletti e Cristo. Leggetelo attentamente e ne trarrete benefici, perché tutti se ci convertiamo possiamo ricostruire le proprie rovine. Un bacio. Maria M.

Signore, parlo con Te. 
Non sei un'idea: sei il Vivente, Cristo, mio Dio. Sei il Cristo, che gli uomini hanno avvicinato e amato, come si ama un altro uomo. Sei la realtà vera a cui è legata tutta la mia vita, il mio lavoro, i miei ideali. 
Torno a Te, Cristo Signore, per sentirmi ancora qualcuno, per ricostruirmi. O, lo sai bene, non ti porto un edificio ben lavorato, un'opera compiuta; ma un ordigno prezioso, divenuto briciole, anche se briciole d'oro. Lo riporto a Te perché lo ricostruisca in unità. 
Che cosa ho fatto, Signore, da un pezzo in qua?...” Verba, verba, praetereaque nihil” (1). Eppure Tu mi sei passato accanto tante volte; e mi hai messo nel cuore, vivo insistente, il bisogno tormentoso di Te. La morte mi ha sfiorato, e ho sentito pungente il desiderio di finirla con gli uomini e le cose, e ricongiungermi a Te. Ma poi, tornato alla vita, son diventato ancora una volta mediocre, terreno, sciocco. Ho dimenticato Te. Son diventato nell'intimo uno dei tanti. 
Quante anime mi si sono avvicinate! E mi hanno chiesto appassionatamente di portarle a Te, di sacrificarti la loro giovinezza, di imparare ad amare. Ed io le ho mandate innanzi, le ho spinte verso la suprema generosità del dono di sé; mi son sentito padre e fratello con loro. Ma poi le ho tradite, perché la mia vita, tornata solitaria, ha rivisto tutte, ad una ad una, le mie meschinità. 
Gli altri non sanno; ma tu vedi e tu sai, o Signore! Mi hai chiesto il sacrificio, facendomi capire che “vi sono dei momenti in cui si ha la voglia di farla finita con gli uomini; e non c'è che due maniere per farla finita: o amare o morire”. 
Ed io ho accettato : ho chiesto che la vita fosse davvero un silenzioso dolore, tutta volta al dare e non al chiedere, perché è “meglio che ricevere”. Ma poi, quando è venuto il dolore mi sono abbattuto, e l'ho sciupato, manifestandolo, come si sciupa una bottiglia di vino vecchio, stappandola. Ho cercato me; ho voluto la poesia del dolore, non il dolore soltanto. 
Soprattutto, o Signore, ho sciupato la mia vita interiore, ho spezzato la mia vita di prete: nessuna importanza all'Opus Dei, perdendo anche la viva coscienza del mio dovere. Quante volte mi sono addormentato senza aver terminato l'Ufficio! E la lettura spirituale? E le pratiche di pietà ordinarie?...E' vero: molto si è salvato, perché in fondo ho parlato di Te e vissuto di Te...Ma a lungo andare, mi espongo all'esaurimento; corro (il) pericolo di far rovinare l'edificio soprannaturale e con quello anche la coscienza morale dell'uomo puro e semplice. 
Mio Dio, pietà. Sono ancora e soprattutto ora il figliol prodigo che ritorna a Te! Uno sguardo di compassione, Cristo mio Dio, sulla mia miseria e mediocrità: un tuo sguardo profondo e indagatore, come inesorabile giudice, sul mio rovinio interiore. Da Te lo prendo volentieri, Signore, anche se punge, e sconvolge; perché so che è uno sguardo vivificatore. Mi metto, dunque, Signore, alla tua presenza, per ascoltarti e parlare; per piangere e agire: per ritornare. Lo fo per me, Signore; ché non posso più vivere in questa continua menzogna vitale, in questo alterno contrasto del fare e del dire; lo fo per i miei ragazzi, che aspettano, fuori, affollandosi coi loro intimi contrasti e bisogni. E son babbo per loro; e non posso dare uno scorpione per un uovo, un serpente per un pesce. Lo fo per Te, Cristo mio Dio, perché sono e voglio essere tuo: tua gloria, Signore, tua conquista, tua corona. ” Apostoli gloria Christi” (2)
Perché per me è ormai il giuoco dell'ultima carta, quello che gioco nella vita, con Te. Ascolto, Gesù. Parla e ricostruisci. 
3 gennaio 1945 
Monsignor Enrico Bartoletti 
1) " Parole, parole e nient'altro" 
2) " Sono gli apostoli delle Chiese e la gloria di Cristo" 

Tratto da : In Spe Fortitudo Diario Spirituale 1933 – 1975 di Enrico Bartoletti
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Il Verbo e il Logos

Commento al Vangelo – II Domenica dopo Natale 2015 (Gv 1,1-18) 

L’evangelista intende stabilire bene il fondamento della nostra fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, affinché non si fosse potuto formare un Cristo arbitrario né si fosse potuto confondere il Verbo eterno, consustanziale al Padre con la povera ombra intuita da Platone nel tentare, con i lumi della sola ragione, di scrutare le profondità di Dio. 
San Giovanni scrisse il suo Vangelo ad Efeso, centro di cultura, dove era conosciuto il famoso logos di Platone, prima, lontana intuizione imperfetta del Verbo di Dio, avuta da Platone certamente per un lume di grazia naturale, quasi per preparare le menti alla sublime rivelazione della fede. Platone, considerando Dio come infinitamente intelligente, lo chiamò mente, e la sua intellezione la chiamò logos, cioè idea della mente divina, secondo la quale Egli creò tutte le cose, e ne rifletté in sé l’ardore, perché creò il mondo per amore di sé, onde quel detto famoso del filosofo che sembra un’ombra lontana della Trinità. 
Il logos di Platone era ben lungi dalla concezione del Verbo di Dio, consustanziale al Padre e Persona distinta da Lui, ma san Giovanni designò il Verbo eterno con la stessa parola, sia perché gli eretici avevano dovuto già cominciare ad abusarne, e sia perché non si fosse confuso con l’idea di Platone; per questo, dopo aver detto che il Verbo era eterno, era Persona distinta dal Padre, era Dio Egli stesso, soggiunge che Egli era nel principio presso Dio, cioè non era solo un’intellezione transeunte della mente di Dio, come è transeunte un atto della nostra mente, ma era eterna conoscenza del Padre, eternamente presso il Padre, cioè sussistente ed eternamente distinto da Lui. Non era solo un’idea della mente divina, secondo la quale furono create le cose, ma era onnipotente come il Padre e per Lui furono fatte tutte le cose, e senza di Lui nulla fu fatto di ciò che è stato fatto. 
Il Verbo era presso Dio, in greco omoúsion, cioè uguale al Padre; non era, dunque, il logos di Platone, concepito come prima creatura di Dio, ma era Dio come il Padre, Dio onnipotente e Creatore, per cui furono fatte tutte le cose, e senza di Lui nulla fu fatto di ciò che è stato fatto o, secondo il greco, neppure una cosa di ciò che è stato fatto; Egli non era la creatura prima fra le creature, secondo il concetto di Platone che presiedeva alla creazione delle altre; era il Verbo eterno per cui tutto fu fatto. Non era ministro della creazione, ma ne era causa col Padre e lo Spirito Santo. L’evangelista dice che tutto fu fatto per mezzo di Lui, perché nel Verbo eterno sono i prototipi di tutte le cose create. L’artefice fa tutto per la sua idea, per la sapienza che ha e per il concetto che si forma di ciò che vuol fare, cioè fa tutto attraverso il Verbo della sua mente; Dio crea secondo i prototipi della sua mente infinita, e i prototipi sono nel Verbo a Lui consustanziale, sua conoscenza sussistente, Figlio suo generato da Lui ab aeterno. Il Verbo riceve dal Padre, con l’essenza divina, l’onnipotenza e l’azione, la stessa del Padre, col quale e con lo Spirito Santo crea tutto. 

Dall’eternità al tempo 
San Giovanni passa perciò dall’eternità al tempo, e accenna alla creazione di tutto attraverso l’eterna e increata sapienza. Mosè disse: In principio Dio creò il cielo e la terra, e non poté sondare il grande mistero nella sua fonte, ma udì la parola creatrice di Dio che popolava il tempo e lo spazio di meraviglie; san Giovanni penetrò più in fondo l’arduo mistero e, in quella Parola onnipotente che risuonò prima sul vuoto del nulla e poi sulla informe massa del caos, ravvisò l’infinita potenza creatrice di Dio che, attraverso il suo Verbo, creava tutte le cose. Chi può scrutare quell'arcano momento nel quale venne fuori la creazione, e chi può intendere la grandiosa, immensa poesia di quella settimana di giorni, di anni, di secoli, di miliardi di secoli che vide sorgere ad una ad una tutte le meraviglie dell’universo? Chi può, anche lontanamente, intuire che cosa grande fu il passaggio repentino dal non essere all'essere? Ne abbiamo un’idea nella potenza delle parole della Consacrazione eucaristica, poiché il Verbo Incarnato le dice, attraverso il sacerdote, sul pane e sul vino, realizzando, con poche parole, il più grande miracolo, ma i nostri sensi non ne percepiscono nulla. La Chiesa, nel suo ammirabile linguaggio, quasi dimentica della parola dogmatica che designa questo arcano prodigio d’amore, transustanziazione, lo riguarda, per così dire, come una nuova formazione del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, e fa dire al sacerdote: Ego volo celebrare Missam, et confìcere Corpus et Sanguinem Domini nostri Jesu Christi. 
Il sacerdote non produce certo il Corpo e il Sangue di Gesù, ma produce la transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo; le sacre parole, perciò, hanno una potenza produttiva che dà un’idea della potenza creatrice del Verbo di Dio nell’atto in cui chiamò all’essere e all’ordine le creature. In Dio, tutto è in atto, poiché Egli è Atto purissimo, tutto è presente perché Egli è eterno; la creazione era già tutta nei prototipi della sua mente infinita e, diremmo con frase ardita, Egli, nel diffondere la sua bontà, anziché accrescerla di una grandiosa manifestazione della sua potenza, della sua sapienza e del suo amore, dovette quasi ridurla amorosamente, per proporzionarla alle creature alle quali voleva dare l’essere. Avrebbe potuto e può creare milioni e miliardi di mondi e di meraviglie, ma limitò la sua creazione secondo i fini di gloria e di amore che, nei suoi arcani disegni, voleva raggiungere nelle creature. Il Verbo eterno, sua glorificazione infinita, diffuse la sua bontà per partecipare la vita e la felicità alle creature, per renderle glorificazione del Padre, e per effondere in esse la sua stessa voce di glorificazione; ma, nel diffondere l’infinita bontà, limitò il numero delle creature. Ad extra produsse un’immensa armonia di glorificazione ma, nella profondità di Dio, Egli fu solo voce d’infinita glorificazione, e per questo volle effondere questa voce di gloria in tutte le creature; e riparò la deficienza di quelle senz’anima e le miserie di quelle ragionevoli, incarnandosi. Si fece uomo e si donò all’uomo, arricchendolo di preziosissimi doni, perché egli avesse potuto lodare Dio degnamente, attraverso le stesse opere della creazione. Per questo san Giovanni soggiunge che in Lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. Il momento della creazione è un mistero che dà le vertigini; ma l’evangelista ci dà in mano la chiave per vederlo almeno in sintesi, dicendo: Per mezzo di Lui furono fatte tutte le cose. Elèvati anima mia in alto e contempla. Ecco Dio, ecco Dio, Uno e Trino, tutto in sé, tutto compiaciuto di sé, in umiltà divina, oserei dire, perché se l’umiltà è verità, nessuna umiltà è più profonda quanto quella della verità eterna che conosce Se stessa infinitamente, generando l’eterno Verbo. 
Conoscendosi, Dio si ama, infinitamente si ama, e l’amor suo è sussistente, è Persona distinta, è diffusione infinita del Padre al Figlio e del Figlio al Padre, è Fiamma d’eterno ardore che, unendo il Padre al Figlio e il Figlio al Padre, rende Dio tutto fiamma d’amore, lo rende carità: Deus charitas est. Dio, conoscendo se stesso, conosce la sua onnipotenza, e conosce i prototipi della sua infinita mente, secondo i quali la sua onnipotenza può diffondersi ad extra, li conosce nel Verbo che è sussistente conoscenza di sé. È una conoscenza semplicissima e tutta in atto, ma noi dobbiamo immaginarla come successiva per averne una lontana idea, dobbiamo paragonarla, per lontana analogia, alla mente di un artista che contempla in sé gli ideali che ha, e che li vede quasi in atto nel suo pensiero. 
 Dio solo compie le sue opere secondo i suoi prototipi, le vede e se ne compiace, perché sono buone: Vidit Deus quod esset bonum; e anche quando esse, per la malizia della creatura ragionevole, si disordinano, Egli cava dal disordine una nuova armonia, e dalle rovine una nuova fioritura di bene. Egli, quindi, non fallisce mai nei suoi disegni, pur lasciando alle sue creature la piena libertà; Egli tutto prevede e ordina le sue opere a quello che vuole. 
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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venerdì 2 gennaio 2015

Messaggio di Medjugorje a Mirjana del 2 gennaio 2015

Cari figli, 
sono qui in mezzo a voi come Madre che vuole aiutarvi a conoscere la verità. 
Mentre vivevo la vostra vita sulla terra, io avevo la conoscenza della verità e con ciò un pezzetto di Paradiso sulla terra. 
Perciò per voi, miei figli, desidero la stessa cosa. 
Il Padre Celeste desidera cuori puri, colmi di conoscenza della verità. 
Desidera che amiate tutti coloro che incontrate, perché anch'io amo mio Figlio in tutti voi. 
Questo è l’inizio della conoscenza della verità. 
Vi vengono offerte molte false verità. Le supererete con un cuore purificato dal digiuno, dalla preghiera, dalla penitenza e dal Vangelo. 
Questa è l’unica verità ed è quella che mio Figlio vi ha lasciato. 
Non dovete esaminarla molto: vi è chiesto di amare e di dare, come ho fatto anch'io. 
Figli miei, se amate, il vostro cuore sarà una dimora per mio Figlio e per me, e le parole di mio Figlio saranno la guida della vostra vita. 
Figli miei, mi servirò di voi, apostoli dell’amore, per aiutare tutti i miei figli a conoscere la verità. 
Figli miei, io ho sempre pregato per la Chiesa di mio Figlio, perciò prego anche voi di fare lo stesso. 
Pregate affinché i vostri pastori risplendano dell’amore di mio Figlio. 
Vi ringrazio!
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Commento al Vangelo del 2-1-2015

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni (1,19-28)
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Chi sei tu?». Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Che cosa dunque? Sei Elia?». Rispose: «Non lo sono». «Sei tu il profeta?». Rispose: «No». Gli dissero dunque: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia». Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. 

« Io non sono il Messia » 
Onoriamo con rispetto la compassione di un Dio venuto a salvare e non a giudicare il mondo. Giovanni, il precursore del Maestro, che fino a quel momento non conosceva questo mistero, gridò a quanti venivano per farsi battezzare da lui: "Razza di vipere (Mt 3,6), perché mi guardate con tanta insistenza? Non sono io il Cristo. 
Sono un servo e non il Padrone. Sono un suddito e non il re. Sono una pecora, e non il pastore. Sono un uomo e non un Dio. 
Ho guarito la sterilità di mia madre, venendo al mondo, ma non le ho lasciato la sua verginità. Sono stato tirato dal basso, non sono venuto dall'alto. Ho sciolto la lingua di mio padre (Lc 1,20), non ho elargito la grazia divina. …Sono spregevole e piccolo, ma dopo di me viene uno che era prima di me (Gv 1,30). 
Viene dopo, nel tempo; prima era nella luce inaccessibile e ineffabile della divinità. «Viene uno che è più forte di me e io non sono degno neanche di portagli i sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,11). Io sono sottomesso; lui è libero. Io sono assoggettato al peccato; lui ha distrutto il peccato. Io insegno la legge; lui porta la luce della grazia. 
Io predico da schiavo; lui detta la legge da maestro. Io come giaciglio, ho il suolo, lui il cielo. Io battezzo con un battesimo di conversione; lui dona la grazia dell'adozione. "Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco". Perché venerarmi? Io non sono il Cristo." 
Discorso attribuito a Sant'Ippolito di Roma (?-ca 235), sacerdote e martire Omelia del 4° secolo per l’Epifania, la Santa Teofania; PG 10, 852
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