mercoledì 29 febbraio 2012

A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona

Lc 11,29-32
Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona.

Non dobbiamo invidiare la generazione dei contemporanei di Gesù. Egli stesso la definisce "generazione malvagia" perché è ancora sotto lo spirito del maligno e chiede dei segni invece di convertirsi all'annuncio della sua parola. Egli si rifiuta di dare dei segni "fuorché il segno di Giona". Gesù sarà il segno della misericordia di Dio per tutti. Invece di chiedergli segni, bisogna convertirsi all'annuncio della sua morte e risurrezione. Se la fede è obbedire a Dio, il contrario della fede è la pretesa che Dio obbedisca a noi. E questo avviene quando si instaura con Dio un rapporto di ricatto, chiedendo sempre prove nuove e più grandi, senza decidersi a credere al suo amore. Dio ci concede dei segni per farci arrivare alla fede. Ma chi ne cerca ancora dopo essere arrivato alla fede, instaura con Dio un rapporto di ricatto invece che di fiducia. I segni che Dio ci dà rispettano sempre la nostra libertà, ossia non ci costringono mai a credere. Tutti i segni che Dio concede in Gesù si riassumono nel segno di Giona: egli fu segno di un Dio misericordioso e clemente, di grande amore, che si lascia impietosire (Gio 4,2).
Gesù è il maestro di sapienza al quale i credenti possono rivolgersi sicuri di trovare maggior conforto di quanto ne ebbe la regina di Saba nell'ascoltare i responsi di Salomone. La salvezza dipende dalla nostra risposta all'annuncio di misericordia di colui che è più di Salomone e di Giona, al di sopra dei sapienti e dei profeti.
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 29/II/2012

"Dal ventre degli inferi, come Giona, grido nella miseria. 
Tu mi hai respinto nel profondo dei mari e i flutti mi hanno circondato; non respingermi, Signore, ritira la mia vita dall'abisso delle acque. 
Il diluvio del peccato mi inonda con i suoi flutti mortali.
Allunga su di me la tua mano come facesti per Noè, come facesti per Pietro sul mare scatenato". 
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Poiché io ti ho riconosciuto, o figlio di Dio, tu sei il mio Salvatore e sei il Salvatore di questa generazione perduta e già i miei occhi vedono il tuo corpo disegnare tra cielo e terra il regno della riconciliazione.
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martedì 28 febbraio 2012

Voi dunque pregate così

Mt 6,7-15
Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

Gesù ci insegna la preghiera cristiana, che si contrappone alla preghiera dei farisei e dei pagani: il Padre nostro. È un testo di grande importanza che ci aiuta a comprendere chi è il cristiano. Il Padre nostro è una parola di Dio rivolta a noi, più che una nostra preghiera rivolta a lui. È il riassunto di tutto il vangelo. Non è Dio che deve convertirsi, sollecitato dalle nostre preghiere: siamo noi che dobbiamo convertirci a lui. Il contenuto di questa preghiera è unico: il regno di Dio. Ciò è in perfetta consonanza con l'insegnamento di Gesù: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33).
Padre nostro. Il discepolo ha diritto di pregare come figlio. E sta in questo nuovo rapporto l'originalità cristiana (cfr Gal 4,6; Rm 8, 5). La familiarità nel rapporto con Dio, che nasce dalla consapevolezza di essere figli amati dal Padre, è espressa nel Nuovo Testamento con il termine parresìa che può essere tradotto familiarità disinvolta e confidente (cfr Ef 3,11-12). L'aggettivo nostro esprime l'aspetto comunitario della preghiera. Quando uno prega il Padre, tutti pregano in lui e con lui. L'espressione che sei nei cieli richiama la trascendenza e la signoria di Dio: egli è vicino e lontano, come noi e diverso da noi, Padre e Signore. Il sapere che Dio è Padre porta alla fiducia, all'ottimismo, al senso della provvidenza (cfr Mt 6,26-33).
Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà. Il verbo della prima invocazione è al passivo: ciò significa che il protagonista è Dio, non l'uomo. La santificazione del nome è opera di Dio. La preghiera è semplicemente un atteggiamento che fa spazio all'azione di Dio, una disponibilità. L'espressione santificare il nome dev'essere intesa alla luce dell'Antico Testamento, in particolare di Ez 36, 2-29. Essa indica un permettere a Dio di svelare il suo volto nella storia della salvezza e nella comunità credente. Il discepolo prega perché la comunità diventi un involucro trasparente che lasci intravedere la presenza del Padre.
La venuta del Regno comprende la vittoria definitiva sul male, sulla divisione, sul disordine e sulla morte. Il discepolo chiede e attende tutto questo. 
Ma la sua preghiera implica contemporaneamente un'assunzione di responsabilità: egli attende il Regno come un dono e insieme chiede il coraggio per costruirlo. La volontà di Dio è il disegno di salvezza che deve realizzarsi nella storia. Come in cielo, così in terra. Bisogna anticipare qui in terra la vita del mondo che verrà. La città terrestre deve costruirsi a imitazione della città di Dio.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano . Il nostro pane è frutto della terra e del lavoro dell'uomo, ma è anche, e soprattutto, dono del Padre. Nell'espressione c'è il senso della comunitarietà (il nostro pane) e un senso di sobrietà (il pane per oggi). Il Regno è al primo posto: il resto in funzione del Regno. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Anche queste tre ultime domande riguardano il regno di Dio, ma dentro di noi. Il Regno è innanzitutto l'avvento della misericordia. Questa preghiera si apre con il Padre e termina con il maligno. L'uomo è nel mezzo, conteso e sollecitato da entrambi. Nessun pessimismo, però. Il discepolo sa che niente e nessuno lo può separare dall'amore di Dio e strappare dalle mani del Padre. Matteo commenta il Padre nostro su un solo punto, rimetti a noi i nostri debiti.... Ecco il commento: "Se voi, infatti, perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi...".
Nel capitolo precedente Matteo aveva messo in luce l'amore per tutti. Ora mette in luce la sua concreta manifestazione: il perdono
Padre Lino Pedron
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Forti e pazienti: sereni

Se avendo fissato lo sguardo in Dio sai mantenerti sereno davanti alle preoccupazioni, se impari a dimenticare le piccolezze, i rancori e le invidie, ti risparmierai la perdita di molte energie, di cui hai bisogno per lavorare con efficacia, al servizio degli uomini. (Solco, 856).


Sa essere forte chi non ha fretta di ottenere i frutti della virtù, ma è paziente. La fortezza ci fa assaporare la virtù divina e umana della pazienza. Con la vostra pazienza salverete le vostre anime (Lc 21, 19). Il possesso dell'anima è posto nella pazienza che, in effetti, è la radice e la custodia di tutte le virtù. Noi possediamo l'anima per mezzo della pazienza perché, imparando a dominare noi stessi, cominciamo a possedere quello che siamo [San Gregorio Magno, Homiliae in Evangelia, 35, 4]. È la pazienza che ci spinge a essere comprensivi con gli altri, persuasi che le anime, come il vino buono, migliorano col tempo.
Forti e pazienti: sereni. Ma non la serenità di chi paga la propria tranquillità col disinteresse per i propri fratelli o per il grande compito, che riguarda tutti, di diffondere senza posa il bene nel mondo intero. Sereni, perché c'è sempre perdono, perché a tutto c'è rimedio, tranne che alla morte; ma, per i figli di Dio, la morte è Vita. Sereni, non fosse che per poter agire con intelligenza: chi conserva la calma è in grado di pensare, di studiare i pro e i contro, di esaminare giudiziosamente l'esito delle azioni previste. Poi, ponderatamente, potrà agire con decisione. (Amici di Dio, 79)
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lunedì 27 febbraio 2012

Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me

Mt 25,31-46
Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». Anch'essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me». E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

A proposito di questo brano si pongono numerosi problemi di interpretazione. Chi sono le genti adunate per essere collocate a destra e a sinistra? Sono tutti i popoli, senza distinzione, o solo i cristiani? Chi designa l'espressione "questi miei fratelli più piccoli": qualsiasi uomo bisognoso o solo i discepoli e specialmente i predicatori itineranti del vangelo? Questa parabola riprende il tema della venuta del Figlio dell'uomo. L'apparato glorioso del giudizio divino, che ricorda Zc 14,5 e il raduno di tutte le genti (cfr Mt 24,9.14; 28,19) davanti a Cristo, ci presenta un avvenimento importante: ogni uomo si trova alla presenza del re che dà il possesso dell'eredità del regno ai benedetti del Padre suo.
Il giudizio pronunciato su ciascuno sarà per tutti motivo di stupore: nessuno aveva coscienza di aver accolto o rifiutato il Signore stesso nei "piccoli". "Questi miei fratelli più piccoli" sono i discepoli di Gesù: chi accoglie loro, accoglie Cristo stesso (cfr Mt 10,40-42; 12,48-50; 18,6.10.14; 28,10).
Il giudizio decisivo pare così basarsi sull'accoglienza degli inviati di Cristo e, attraverso di loro, sull'accoglienza della sua stessa persona e del suo messaggio: nelle opere di misericordia e nella sollecitudine portata ai discepoli sofferenti si raggiunge Gesù stesso che si è fatto "piccolo", che è venuto per servire e per dare la vita in riscatto per tutti (cfr Mt 20,28). Egli si identifica totalmente con il suo inviato sofferente e "perseguitato per la giustizia" (cfr Mt 5,10; 10,17-18). Ma la parabola va certamente oltre. Gesù stesso si è chinato sui poveri e i sofferenti perché vedeva in essi dei discepoli in speranza e dei piccoli in crescita. Così l'apparente indeterminazione dell'espressione "questi miei fratelli più piccoli" vuol certamente designare tutti i bisognosi di amore concreto e fattivo, ossia tutti. Il messaggio di questo brano può essere riassunto in due parole: Dio nel fratello. I "benedetti" ricevono il regno perché hanno praticato la misericordia. Le opere di misericordia sono la porta che introduce nell'eternità. Il vangelo annuncia che la misericordia è sempre praticata nei confronti di Cristo. Poiché la misericordia è il criterio del giudizio, il testo diventa un imperativo pressante rivolto a tutti perché pratichino la misericordia. Il brano vuole incitare all'azione. Per i cristiani la misericordia praticata o rifiutata è la prova certa della loro fede. A tutti Gesù ripete il detto di Os 6, 6: "Misericordia io voglio e non sacrificio" (cfr Mt 9,13; 12,7). La beatitudine dei misericordiosi che otterranno misericordia costituisce un commento alla prima parte di questo brano. La parabola del servo senza misericordia (cfr Mt 18,21ss.) può illustrare la parte negativa di questo brano. Il giudizio di tutti avviene sulla base delle opere di misericordia. La fraternità è il senso per il quale è stato creato il mondo. Il mondo è salvo quando cerca e vive la fraternità. Solo chi comprende le esigenze del prossimo, comprende le esigenze di Gesù. La comunione umana, in particolare la comunione con i più bisognosi, ha un senso divino che la rimanda al di là di se stessa. Gli uomini e le donne sono immagini viventi del Dio della vita. San Clemente d'Alessandria ha scritto: "Quando vedi il tuo fratello, vedi il tuo Dio". È l'uomo che decide liberamente per la vita eterna o per il fuoco eterno. Questa decisione non è fatta a parole, ma con le opere di misericordia verso Cristo che si identifica con i bisognosi. È nella vita presente che decidiamo per Cristo o contro Cristo. E questa scelta si manifesta nell'amore operoso per il prossimo o nel rifiuto della nostra misericordia verso i miseri. C'è una sola via in cui tutti gli uomini si ritrovano uguali e discepoli di Cristo: quella delle buone opere.
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 27/II/2012

Signore, io non ho seguito la via dei giusti e dei patriarchi, non sono stato innalzato nella luce con Enoc, non sono salito con Noè nell'arca della salvezza.
Ho seguito invece l'omicida Lamec e il fratricida Caino, li ho imitati nella durezza del cuore, perché non ho osservato quanto piace al Signore.
Non sono riuscito a distinguere il volto del Figlio dell'uomo nel carcerato a cui nessuno fa visita, non ho considerato i più piccoli degli uomini come il vero tesoro della Chiesa. 
Non ho diviso i miei averi con colui che ha un misero salario; mi sono dunque allontanato da te pur continuando a cercarti, Cristo nostra salvezza.
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domenica 26 febbraio 2012

Voglio darmi a Te senza riserve

Gli dice Pietro: Signore! Tu lavare i piedi a me? E Gesù risponde: quello che io faccio, tu adesso non lo comprendi; lo comprenderai più avanti. Pietro insiste: i piedi a me tu non li laverai mai. Gesù gli replica: se io non ti laverò, non avrai parte con me. Simon Pietro si arrende: Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e la testa. Di fronte alla chiamata a una donazione totale, completa, senza esitazioni, molte volte opponiamo una falsa modestia, come quella di Pietro... Magari fossimo anche noi uomini di cuore, come l'Apostolo! Pietro non permette a nessuno di amare Gesù più di lui. Questo amore porta a reagire così: eccomi qui, lavami mani, testa, piedi! purificami del tutto!, perché io voglio darmi a Te senza riserve. (Solco, 266)


Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo (Mc 1, 15).
Tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava (Mc 2, 13).
Gesù vede quelle barche sulla riva e sale su una di esse. Con che naturalezza Gesù entra nella barca di ognuno di noi!
Quando ti avvicini al Signore, pensa che Egli sta sempre molto vicino a te, in te: regnum Dei intra vos est (Lc 17, 21). Lo troverai nel tuo cuore.
Cristo deve regnare innanzitutto nella nostra anima. Per farlo regnare in me ho un grande bisogno della sua grazia: soltanto così anche il mio palpito più nascosto, il sospiro impercettibile, lo sguardo più insignificante e la parola più banale, perfino la sensazione più elementare, tutto potrà tradursi in un osanna a Cristo, il mio Re.
«Duc in altum». – Prendi il largo! – Respingi il pessimismo che ti rende codardo. «Et laxate retia vestra in capturam» (Lc 5, 4-5) – e getta le tue reti per la pesca.
Dobbiamo aver fiducia nelle parole del Signore; dobbiamo salire sulla barca, mettere mano ai remi, issare le vele e lanciarci nel mare del mondo che Cristo ci affida come sua eredità.
«Et regni eius non erit finis» (Lc 1, 33). – Il suo Regno non avrà fine!
Non ti dà gioia lavorare per un regno così? (Santo rosario, Misteri Luminosi: L'annuncio del Regno di Dio).
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Preghiera del mattino 26/II/2012

Padre che sei nei cieli, al momento di incominciare, questa mattina, il nostro pellegrinaggio di Quaresima, fa' che il nostro spirito e il nostro cuore si concentrino su Gesù Cristo tuo Figlio.
Aiutaci a respingere le tentazioni e le numerose distrazioni che ci porterebbero a rivolgerci a cose materiali e a cercare soddisfazioni passeggere.
Questo tempo sacro della Quaresima sia per noi un periodo di rinnovamento nella fede e di progressiva presa di coscienza del fatto che Cristo è in noi.
La nostra preparazione alla Pasqua sia una riconciliazione completa con te, per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore.
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sabato 25 febbraio 2012

Messaggio di Medjugorje del 25/2/2012


Cari figli!


In questo tempo in modo particolare vi invito: pregate col cuore.

Figlioli, voi parlate tanto ma pregate poco.

Leggete, meditate la Sacra Scrittura e le parole scritte in essa siano per voi vita.

Io vi esorto e vi amo perchè in Dio troviate la vostra pace e la gioia di vivere.

Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano

Lc 5,27-32
Dopo questo egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C'era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».

L'essenza del cristianesimo non è una dottrina, ma la persona di Gesù. Egli rivolge ad ogni uomo l'invito: "Seguimi" (v.27). Levi lascia tutto e segue Gesù. Non è un atto di rinuncia fine a se stesso. È il gesto di uno che ha scoperto il vero tesoro nel campo della sua vita, di chi ha trovato la perla preziosa (cfr Mt 13). Gesù mangia con Levi e i suoi amici. Dio diventa nostro commensale e noi diventiamo un'unica famiglia con lui. Egli chiama a questo banchetto gli esclusi e i peccatori. La sua cena non è riservata ai "puri". Proprio per questo essi rifiutano di parteciparvi e brontolano. Gesù si immerge nel mondo dei peccatori per far sorgere in esso la conversione. La sua missione è di salvare i peccatori, come quella del medico è di guarire i malati. Il guaio dei farisei di tutti i tempi è di non voler capire che la salvezza è dono dell'amore di Dio e non merito dell'uomo. Ciò che salva l'uomo non è il suo amore per Dio, ma l'amore gratuito di Dio per lui.


Padre Lino Pedron
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Richiesta preghiere 25FEB12

chiedo vostre preghiere per un seminario di guarigine interiore. 
Affinchè lo Spirito Santo guarisca le ferite che la vita ha prodotto nel cuore dei suoi figli. 
La Vergine Madre interceda per noi lei che ha provato il dolore dell'Innocente. 
Dio ci benedica
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Preghiera del mattino 25/II/2012

Ho peccato più di Matteo il pubblicano, perché da sempre conosco il tuo Nome.
Ma tu mi chiami di nuovo a seguirti.
Come lui voglio alzarmi, rovesciare la tavola della mia vita quotidiana, carica di false ricchezze e di commercio con lo spirito del mondo; come Levi, io ti dico: Entra da me e che la tua saggezza immoli la vittima sull'altare della mia vita.
Che io divenga l'ostia dell'azione di grazie per la vita ritrovata. O Gesù, per la tua bontà, degnati di chiamarmi con il mio nome.
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venerdì 24 febbraio 2012

Richiesta di preghiere 6/2012

12) Rossella: Cari Fratelli, Pregate affinché J. possa chiudere al più presto con il suo passato, possa tornare a riconciliarsi con le persone che più lo amano. Pregate affinché questo fratello possa camminare in un sentiero di Luce, che la rabbia e la confusione abbandonino definitivamente il suo cuore e la sua mente. Che lo Spirito Santo lo protegga in questo momento di debolezza e che Maria Santissima possa intercedere per la sua definitiva liberazione. Grazie


13) Antonello: per Eugenio che deve essere operato in questi giorni ad un rene. Soprattutto per la sua conversione. Grazie
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Quando lo sposo sarà loro tolto, allora digiuneranno

Mt 9,14-15
Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno.


Le parole di Gesù e le sue prese di posizione suscitano perplessità e dissenso nei farisei e nei discepoli di Giovanni. Essi digiunavano per affrettare la venuta del Messia e per disporsi ad accoglierlo. I discepoli di Gesù sono convinti che il Messia è già con loro e quindi vivono il tempo della festa, non del digiuno. Più tardi lo Sposo sarà loro tolto (allusione alla morte di Gesù) e allora digiuneranno. Il digiuno cristiano è rivolto al passato, in quanto commemora la morte di Gesù, ma è rivolto anche al futuro, in quanto attende l'avvento del regno di Dio. La comunità cristiana è radunata sotto la croce di Cristo in attesa di radunarsi con lui nella gloria della risurrezione e della vita eterna.
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 24/II/2012

Ecco che è venuto il tempo del digiuno, perché lo Sposo mi è stato sottratto, io non avevo lavato il mio vestito per il banchetto, e poiché guardavo indietro ho trovato la stanza del banchetto nuziale chiusa.
Digiunerò, pregherò sino a quando si apriranno le porte della misericordia, fino a quando si illuminerà il volto di colui che il mio cuore ama, fino a quando potrò di nuovo contemplare la sua gloria.
Non ho riempito la mia lampada dell'olio dello Spirito Santo; spogliata di buone azioni, la mia nudità davanti a te mi rende vergognoso.
O mio Salvatore, salvami.
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giovedì 23 febbraio 2012

Chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà

Lc 9,22-25
«Il Figlio dell'uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?

Gesù è il Servo sofferente che si consegna al Padre. La croce è lo scandalo che esige conversione profonda e continua. La fede e la scelta di seguire Cristo si decidono sulla strettoia della croce. Gesù qui rivela il mistero del pensiero di Dio che l'uomo non può né pensare né accettare. Il problema non è tanto il riconoscere che Gesù è il Cristo di Dio, ma "come" è il Cristo di Dio. Gesù non è il Cristo dell'attesa umana, ma il Figlio dell'uomo che affronta il cammino del Servo sofferente di Dio. Questa è la prima autorivelazione piena di Gesù, il nocciolo della fede cristiana, il suo mistero di morte e risurrezione.
Il "bisogna" indica il compimento della volontà di Dio rivelata nella Scrittura. Questa volontà è il suo amore riversato su di noi peccatori. Dio "deve" morire in croce per noi, perché ci ama e noi siamo sulla croce. Il mistero di Gesù è la sofferenza del Servo di Dio che ama il Padre e i fratelli. La croce è il nostro male che lui si addossa perché ci ama.
Gesù non salva se stesso (cfr Lc 23,34-39), ma si perde per solidarietà con noi perduti: È il Dio-Amore, solidale con il nostro male, che ci dona il suo regno (cfr Lc 23,40-43). L'invito di Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro a me..." è una chiamata universale a entrare con lui nel suo cammino verso il Padre. Per condividere il destino di Gesù in cammino verso il Padre bisogna rinnegare se stessi e portare ogni giorno la propria croce. Rinnegare se stessi significa ricevere la propria vita come grazia di cui non si dispone da padroni, portare ogni giorno il peso del servizio ai fratelli e del dono della vita per gli altri, e addossarsi il fardello delle prove, delle contraddizioni e delle persecuzioni.
La via del Regno è quella della croce, sia per Cristo che per i cristiani.
L'unico problema fondamentale per l'uomo è salvare o perdere la vita. Quindi seguire Gesù e rinnegare se stessi è la questione fondamentale della vita: è questione di vita o di morte. L'uomo non può essere il salvatore di se stesso, non ha in sé la sorgente della propria vita: non è il Creatore, ma una creatura. La salvezza è accettare Dio che mi ama e pensa a me.
L'uomo si realizza amando. Amando Dio si realizza come Dio. Ma per amare bisogna essere amati. Il cristiano può amare Gesù e perdere la vita per lui perché Gesù per primo l'ha amato e ha dato se stesso per lui (cfr Gal 2,20). Il credente si affida a lui, nella vita e nella morte, perché Cristo è morto per tutti vincendo le barriere del male e della paura. "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde o rovina se stesso?" (v.25). Il primo tentativo dell'uomo per salvare se stesso è quello di accumulare dei beni. Insidiato dal suo limite, l'uomo si garantisce cibo e vita guadagnando, accumulando e divorando tutto. È la falsa sicurezza dei beni (cfr Lc 12,15-21; Sal 49): ciò che uno ha deve riempire il vuoto di ciò che non è. L'insaziabilità di beni è via alla perdizione: "L'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" (1Tm 6,10). Gli unici beni che troveremo nell'eternità saranno quelli che abbiamo donato per misericordia nella vita presente.


Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 23/II/2012

Da dove comincerò a confessare la miseria della mia vita, e quali saranno, o Cristo, i primi accenti di questo canto di dolore?
Concedimi, nella tua misericordia, la remissione dei miei peccati.
Ho seguito Adamo sul sentiero della trasgressione e ho rinunciato al mio Dio; mi sono privato del regno eterno e della mia gioia.
Sciagura a me, che ho voluto assomigliare a Eva, nostra madre, perché ho toccato l'albero della morte e mangiato avidamente il frutto della maledizione?
Abbi pietà di me, Signore, nella tua grande bontà.
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mercoledì 22 febbraio 2012

Quaranta giorni per crescere nell'amore di Dio e del prossimo

Cominciamo oggi i santi quaranta giorni di quaresima e conviene esaminare attentamente perché questa astinenza è osservata per quaranta giorni. Mosé, per ricevere la Legge la seconda volta, ha digiunato quaranta giorni (Gen 34,28). Elia, nel deserto, si è astenuto dal mangiare quaranta giorni (1Re 19,8). Il Creatore stesso, venendo tra gli uomini, non ha preso alcun cibo per quaranta giorni (Mt 4,2). Sforziamoci anche noi, per quanto possibile, di tenere a freno il nostro corpo con l'astinenza in questi santi quaranta giorni..., per divenire, secondo la parola di Paolo, «sacrificio vivente» (Rom 12,1). L'uomo è offerta vivente e al tempo stesso immolata (cfr Ap 5,6) quando, pur non lasciando questa vita, fa morire però in sé i desideri mondani.
E' soddisfare la carne che ci ha trascinato al peccato (Gen 3,6); la carne mortificata ci conduca al perdono. L'autore della morte, Adamo, ha trasgredito i precetti della vita mangiando il frutto proibito dell'albero. Bisogna dunque che noi, privati delle gioie del paradiso a causa del cibo, ci sforziamo di riconquistarle con l'astinenza.
Tuttavia nessuno creda che basti l'astinenza. Il Signore dice per bocca del profeta: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio? dividere il pane con l'affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne» (Is 58,7-8). Ecco il digiuno che Dio vuole...: digiuno attuato nell'amore del prossimo e impregnato di bontà. Dà quindi agli altri ciò di cui ti privi; così la penitenza del tuo corpo gioverà al benessere del corpo del prossimo che ne ha bisogno.
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San Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa
Omelia sul Vangelo, n° 16, 5
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Preghiera del mattino 22/II/2012

Noi ti benediciamo, o Dio, in questo giorno che comincia, per il periodo santo della Quaresima, che tu ci concedi in preparazione alla Pasqua.
Portaci, attraverso il digiuno, ad avere fame di te e a non essere schiavi delle creature.
Insegnaci, attraverso la pratica dell'astinenza, a dividere i nostri beni con coloro che ne hanno bisogno.
Aiutaci, attraverso la preghiera e il silenzio, a trovare nella croce di tuo Figlio il nostro riposo e la nostra gioia 
(Pensieri di Fenelon per la Quaresima).
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Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà

Mt 6,1-6.16-18
State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un'aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

Il discorso riprende l'enunciato di Mt 5,20; "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli". Il termine giustizia (sedaqah) è usato nella Bibbia per sintetizzare i rapporti dell'uomo con Dio, la pietà, la religiosità, la fede. I rapporti con Dio, nostro Padre, devono essere improntati alla fiducia, alla confidenza e soprattutto alla sincerità. L'autentica giustizia non ha come punto di riferimento gli uomini, ma va esercitata davanti al Padre che è nei cieli. Farsi notare dagli uomini è perdere ogni ricompensa presso il Padre.
Matteo sottolinea la vanità di un gesto puramente umano: gli ipocriti, che cercano l'approvazione, hanno già ricevuto la loro ricompensa. L'ipocrisia consiste nel fatto che un'azione, che ha Dio come destinatario, viene deviata dal suo termine. L'elemosina, la preghiera e il digiuno devono essere fatti per il Padre che vede nel segreto. Queste azioni fatte "nel segreto" non significano necessariamente azioni segrete: indicano ogni azione, anche pubblica, fatta per il Padre e non per essere visti dagli uomini. È l'intenzione profonda che conta perché la ricompensa si situa a questo livello: la ricompensa è l'autenticità del rapporto con il Padre. Il cristiano deve fare l'elemosina in modo da salvaguardare la rettitudine dell'aiuto prestato al fratello per amore del Padre.
La strumentalizzazione della preghiera è la deformazione più inspiegabile della pietà, perché mette a proprio servizio anche ciò che è essenzialmente di Dio.
Gesù nel suo intervento non si propone di modificare il rituale della preghiera giudaica, solo suggerisce un modo
più retto di compierla, evitando l'ostentazione, il formalismo, l'ipocrisia. Gli stessi rabbini insegnavano: "Colui che fa della preghiera un dovere, che ritorna a ora fissa, non prega con il cuore". Il richiamo di Gesù è sulla stessa linea della tradizione profetica e sapienziale e trova conferma nei suoi successivi insegnamenti e più ancora nella sua vita.
Il digiuno è un'altra importante pratica della vecchia e della nuova "giustizia". Esso è un atto penitenziale che completa e aiuta la preghiera. Gesù, come i profeti, non condanna il digiuno ma il modo nel quale era fatto. Invece di esprimere la propria umiliazione, esso diventava una manifestazione di orgoglio. Il digiuno cristiano, come l'elemosina e la preghiera, deve essere compiuto di nascosto. Il cristiano non deve fare ostentazione della sua penitenza; deve anzi nasconderla con un atteggiamento gioioso.
Il digiuno, come ogni altra sofferenza, è una fonte di gioia perché ottiene un maggior avvicinamento a Dio. L'invito di Gesù ad assumere un atteggiamento giulivo invece che tetro, sottolinea il significato definitivo della penitenza cristiana: poter soffrire è una grazia (cfr 1Pt 2,19).
Padre Lino Pedron
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martedì 21 febbraio 2012

Il Figlio dell’uomo viene consegnato. Se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti

Mc 9,30-37
Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro:«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Le vie di Gesù non sono quelle che solitamente percorrono gli uomini. Egli, sfuggendo alla folla, è deciso a percorrere il cammino di umiliazione tracciato per lui dal Padre. I suoi discepoli, preoccupati dell'onore, sognano e seguono altre strade, talmente estranee a quella di Gesù, che essi stessi ne avvertono il disagio. Mentre Gesù cammina verso la massima umiliazione, quella della croce, essi si preoccupano di essere i primi e i più grandi. Le parole di Gesù manifestano la sua disponibilità a vivere fino in fondo il suo destino di morte e risurrezione. I discepoli, invece, sembrano vivere in un altro mondo. Essi sanno già che seguire Gesù significa dimenticare se stessi, prendere la propria croce e seguirlo (Mc 8,34), ma hanno paura. Il loro non capire, in realtà, è un non voler capire. Questa istruzione che Gesù offre ai suoi apostoli è il centro del suo insegnamento e della rivelazione: è il mistero di Dio che si consegna nelle mani dell'uomo. La parola "consegnare" unisce i vari episodi del racconto della passione: Giuda lo consegna ai capi e ai soldati (Mc 14,10.44), i capi a Pilato (Mc 15,1) e Pilato ai crocifissori (15,15). Ma il paradosso è che lo stesso Padre lo consegna, e Gesù stesso si consegna a noi. Gesù che si dona a chi lo rifiuta e lo odia, sapendo che l'avrebbero torturato e ucciso, è la rivelazione totale e definitiva di un Dio che è amore incondizionato e nient'altro che amore incondizionato. Di fronte alla rivelazione di un amore così grande, di Dio in persona che si consegna nelle mani degli uomini che egli ama, i discepoli non compresero. Non compresero che Dio è un amore così grande, che sorpassa infinitamente ogni aspettativa e immaginazione umana. Le questioni di precedenza e di eccellenza, ovviamente, interessano e appassionano gli apostoli più dell'annuncio della passione, morte e risurrezione ripetuto da Gesù per la seconda volta. La sete di potere, l'arrivismo, il desiderio di essere primi, di sentirsi superiori agli altri e di dominarli è da sempre il cancro dell'umanità. Annunciare la Parola a persone immerse in queste faccende è come gettare il seme tra le spine: "Le preoccupazioni del mondo e l'inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie soffocano la Parola e questa rimane senza frutto" (Mc 4,19).
Non è male aspirare ai posti di governo nella Chiesa, anzi, può essere segno di un dono dello Spirito (cfr 1Cor 12,28). Ma è male fare della carica una questione di prestigio, di superbia: essa è unicamente una possibilità di servire di più e meglio. La sete di potere nella Chiesa rende tutti, capi o semplici fedeli, identici ai capi di questo mondo che scaricano sugli altri i pesi e i sacrifici (cfr Mt 23,4) e mandano sulla croce gli altri invece di andarvi loro, seguendo l'esempio di Cristo. Gente siffatta è del tutto incapace (e per nulla credibile) di testimoniare un vero annuncio della passione, morte e risurrezione di Cristo vissute in prima persona e sulla propria pelle.
I discepoli non comprendono la parola di Dio perché hanno in testa la parola del diavolo. La parola di Gesù è amore e umiltà, quella del demonio è egoismo e protagonismo. Chi cerca il proprio io, perde se stesso, gli altri e Dio. Dopo la prima predizione della sua passione, Gesù invitò ogni discepolo a portare la "propria" croce. Questa croce è il rinnegamento del proprio falso io (Mc 8,34), la lotta contro la stupidità e l'orgoglio, che portano all'autoaffermazione a spese di tutto e di tutti.
Gesù sa che ognuno vuole e deve affermarsi. Questo desiderio di grandezza l'ha posto Dio stesso nell'uomo.
Chi vi rinuncia, rinuncia ad essere uomo. Ma è proprio per questo che Gesù ci dà i criteri della vera realizzazione.
Alla brama di primeggiare nell'avere, nel potere e nell'apparire, egli sostituisce il desiderio di primeggiare nella povertà, nell'umiltà e nell'umiliazione: in altre parole, nel servire e nell'amare fino a morire per i propri amici e per i propri nemici.
Questa è la grandezza di Dio e questa dev'essere la grandezza dell'uomo fatto a sua immagine e somiglianza.
Egli è amore, e non afferma se stesso a spese dell'altro, ma lo fa crescere a sue spese; non si serve dell'altro, ma lo serve; non lo spoglia di quello che ha, ma spoglia se stesso a favore dell'altro: si spoglia anche della sua stessa vita, perché ama l'altro più che se stesso e lo considera il proprio tutto. Alla concorrenza per essere i più grandi, egli sostituisce il gareggiare per diventare i più piccoli (Rm 12,10; Fil 2,3).
Il protagonismo è il criterio supremo d'azione di chi non si sente amato, non si ama e non ama. Per questo protagonismo l'uomo sacrifica la sua vita agli idoli dell'avere, del potere e dell'apparire sempre di più, distruggendo la propria realtà di immagine di Dio. Quando Adamo volle occupare il posto di Dio, fece l'errore di ignorare che Dio non sta al primo posto, ma all'ultimo. E, così, si trovò fallito come uomo senza essere diventato Dio.
"Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti" (v.35): questa è la norma fondamentale del nuovo popolo di Dio. Il primato dell'amore soppianta quello dell'egoismo.
La libertà che ci rende simili a Dio, consiste nel diventare schiavi, liberamente e per amore, gli uni degli altri (Gal 5,13).
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 21/II/2012

Signore, abbiamo sentito le tue parole così spesso, che l'abitudine ne ha occultato la potenza. 
Noi tutti, battezzati nella tua morte e risurrezione, siamo capaci di capire l'annuncio della tua passione, che invece risultava incomprensibile ai tuoi discepoli. 
E, nonostante ciò, di che cosa parliamo lungo la via?
Mentre la tua agonia prosegue fino alla fine del mondo, mentre tu hai sete, mentre sei imprigionato, mentre sei insultato nell'infanzia infelice, a che cosa pensiamo?
Noi abbiamo dimenticato che tu hai rovesciato una volta per sempre la scala dei valori.
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lunedì 20 febbraio 2012

La ricchezza del Santo Rosario

Da una lettera scritta dal santo sacerdote Dolindo Ruotolo


Vi scrivo nella luce del santo Rosa­rio, preghiera che ci avvicina tanto al Signore, e che è l’oggetto di una festa liturgica della Chiesa. Alcuni si stupiscono come mai una preghie­ra possa diventare l’oggetto di una festa, sembrando loro che l’oggetto di una festa è Dio, Maria SS., o i Santi. Eppure questa preghiera è Maria santissima che viene incon­tro ai cristiani, come viene incontro loro a Lourdes, a Fatima, alla Tre Fontane. Anzi nel Rosario viene con tutta la ricchezza dei Misteri della Vita, della Passione e Morte del Redentore, e a Lourdes, a Fatima, alle Tre Fontane, e dovunque ap­paia, viene con la ricchezza del santo Rosario.


Gli uomini non fanno la festa del grano?
E il Rosario è tutto un granaio di grazie.
Gli uomini non fanno la festa del­l’uva?
E il Rosario è un vigneto che dà i grappoli per noi, e questi sono grap­poli di Gesù e di Maria. Che furono e che sono vigna di Dio e vita ine­briante di vita per noi.


Maria santissima ha voluto chiamar­si Rosario. Roseto, cioè, poichè come lo sbocciare delle rose avvie­ne nella bella stagione, e come vi sono rose di tutti i tempi, così il Rosario è, per il cristiano, il risbocciare della vita ed il roseto giornaliero che è donato a Dio nelle ore vespertine, come si offriva l’in­censo sull’Altare di oro.
La corona non è semplicemente un oggetto per contare una serie di Ave Maria, di Pater, di Gloria, ma è come un libro che il cristiano - anche il più ignorante - porta con sé e leg­ge; è un legame di amoroso ricordo che ci unisce a Gesù e a Maria; è una collana di perle celesti, perchè ogni granello è un tesoro di indul­genze e un pegno di misericordia per i meriti di Gesù e di Maria.


I grani del Rosario sono come lo svolgersi di una pellicola cinemato­grafica, perché ricordano i grandi Misteri della Redenzione e li ripre­sentano all’anima. L’anima è come lo schermo sul quale si riproduco­no, ed in quella visione essa si mantiene ancora fedele a Dio e alla Chiesa.
Senza il Rosario chi avrebbe più ri­cordato i Misteri della Redenzione? Eppure il loro ricordo è il segreto della vita interiore, ed è indispensa­bile perchè noi possiamo essere cristiani veri e portare il suggello di Gesù.
In mezzo alle disarmonie di questa nostra vita rilassata, il Rosario è stru­mento, arpa, salterio di dieci corde per ogni gruppo di armonie, che fa risuonare ancora la terra di canti d’amore, e nella vita materialissima che viviamo è come una lucida nube di spiritualità che si leva da ogni casa e da ogni cuore.
Chi suona l’arpa non riproduce una musica scritta da un genio musica­le? e non ricalca, colle dita sulle corde, dolcissime note che furono scritte dalla tenerezza di un cuore e furono stampate sotto la pressa di un torchio?
Ebbene, noi, recitando il Rosario ri­produciamo le note di Amore sgor­gate da Gesù e da Maria nei Misteri della loro vita, e sui grani della Corona cantiamo i cantici di quel­l’amore che ci redense.
Nell’anima risuonano le armonie di quest’amore e nella terra desolata si sente l’osannare di quella Carità che ci avvolse in un potente am­plesso di amore.


Come un esercito ha la sua vibran­te marcia che segna il passo ai militi della forza, così il Rosario è la sinfonia amorosa che segna il passo alla Chiesa militante. È come il fragore delle trombe che accompagnarono l’Arca nell’assedio di Gerico, e scossero le sue mura dalle fondamenta. Alla potenza di questo suono di fede non resistet­tero le armate dei Turchi, e furono sgominate; non resisteranno le ar­mate comuniste, peggiori di quelle, e saranno annientate.
Ecco la preghiera alla quale la Chie­sa dedica una festa solenne, per­ché sintesi di tutte le feste che sono un Rosario continuo nell’annuale ciclo liturgico.
Si intona questo mistico Rosario con l’Avvento, si chiude con le feste mariane d’ottobre, per ripigliarci di nuovo, fino a che la Chiesa militan­te sarà trionfante nella Gloria di tutti i suoi Santi.
Santissimo Rosario, timiama fatto da Maria santissima, profumo mescolato da Lei con arte di profumiera, poiché dai Misteri del Gaudio, della Passione e della Gloria si solleva la nube fragrante della preghiera…; oh, santissimo Rosario, fiorisci le deso­late aiuole della miscredenza, affinchè rifiorisca la Fede semplice e viva.
Sac. DOLINDO RUOTOLO
(Da una lettera del 3 ottobre 1948 Festa del santo Rosario)
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Credo, Signore; aiuta la mia incredulità

Mc 9,14-29
E arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro. E subito tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». E dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Egli allora disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». E glielo portarono. Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall'infanzia; anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!». Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più». Gridando e scuotendolo fortemente, uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi. Entrato in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».

Con questo episodio Marco ci istruisce su un'esigenza fondamentale per seguire Gesù: la preghiera. I discepoli, con tutta la loro buona volontà, non sono riusciti a scacciare il demonio da un ragazzo. Eppure Gesù li aveva scelti proprio perché "stessero con lui, per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni" (3,14-15). E quando erano andati in missione "predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni..." (6,12-13). Ma ora non riescono! Perché? Gesù risponde con una frase che illumina non solo la situazione in questione, ma anche molte pagine della storia della Chiesa: "Questa specie di demoni non si può scacciare in nessun modo, se non con la preghiera" (9,29).
Solo un cristiano che prega sarà in grado di superare vittoriosamente il potere di satana sul mondo.
Ai discepoli che chiedono il motivo della loro impotenza, Gesù ricorda l'importanza assoluta della preghiera. È solo con la preghiera fiduciosa che possiamo riempire la nostra debolezza con la potenza di Dio. Dobbiamo convincerci che la nostra preghiera è più potente di quanto pensiamo.
La terapia dei nostri mali e della nostra morte è lasciarci toccare da Gesù che è il medico e la medicina: e questo atteggiamento è la fede. Ma questa ci manca. Sia chi crede di credere, sia chi crede di non credere è invitato a ripetere l'invocazione del padre: "Aiuta la mia incredulità" (v.24).
La fede è onnipotente perché accoglie la forza di Dio che viene in nostro aiuto e ha compassione di noi.
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 20/II/2012

La vera saggezza è misericordiosa ed è feconda di opere buone.
Concedici, Signore, il dono della saggezza, affinché anche noi vediamo come vedi tu, pensiamo come pensi tu e soprattutto amiamo come ami tu.
Allora collaboreremo in modo più efficace all'opera della redenzione.
Sapremo cosa hai posto nel nostro cuore e, riconoscendo le nostre debolezze, ricorreremo di più a te, Sapienza eterna del Padre, e comprenderemo così che vi sono demoni che si scacciano solo con la preghiera, con un'unione completa con te.
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Richiesta di preghiere 5/2012

10) Antonella: Madonnina santa, ti supplico in ginocchio: ascolta la mia preghiera. Sono sconvokta per la morte di un amico di mio figlio Cosimo. Si chiamava Niccolo' 18 anni, si e' impiccato. Non si sanno le cause. Intercedi presso il Padre, perdonalo questo bambino!! Ti prego con tutto il cuore.


11) Carlo dalle Marche: Richiedo umilmente delle preghiere per mia madre che ha diversi problemi di salute. Mia sorella ed io viviamo nell'angoscia pensando che probabilmente dovrà essere ricoverata all'ospedale. Sto pregando tanto Gesù perché mia madre possa trascorrere gli ultimi anni della sua vita in salute, pace e serenità ma ora comincio ad avere dei dubbi che ciò potrà accadere. Vi prego, chiedete a Gesù di guarire mia madre. Grazie
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domenica 19 febbraio 2012

Signore, non so pregare!

Se davvero vuoi essere anima penitente - penitente e allegra -, devi difendere, al di sopra di tutto, i tuoi tempi quotidiani di orazione - di orazione intima, generosa, prolungata -, e devi fare in modo che questi tempi non siano a scappa e fuggi, ma a ora fissa, se possibile. Non cedere in questi particolari. Sii schiavo di questo culto quotidiano a Dio, e ti assicuro che ti sentirai sempre contento. (Solco, 994)


Quando vedo come taluni impostano la vita di pietà, il rapporto del cristiano con il Signore, presentandone un'immagine sgradevole, astratta, esteriore, infarcita di cantilene senz'anima che favoriscono l'anonimato invece del colloquio personale, a tu per tu, con Dio nostro Padre — l'autentica orazione vocale non è mai anonimato —, mi torna alla mente l'ammonimento del Signore: Pregando, poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate [Mt 6, 7-8]. Un Padre della Chiesa commenta: Mi sembra che con queste parole Cristo condanni le lunghe preghiere; lunghe, non per la loro durata, ma per la moltitudine delle parole, per l'infinità dei discorsi. (...) Quando Gesù ci propone l'esempio di quella vedova che piegò, con l'insistenza delle sue preghiere, quel giudice crudele e spietato (cfr Lc 18, 1-8), oppure quello dell'uomo che andò a trovare il suo amico nel mezzo della notte e lo fece alzare dal letto quando già era addormentato, non tanto per effetto dell'amicizia quanto per la sua insistenza (cfr Lc 11, 5-8), vuol dare a noi tutti un comando: noi dobbiamo, cioè, supplicarlo continuamente, non offrendogli una preghiera lunga, fatta di mille parole, ma esponendogli semplicemente le nostre necessità [San Giovanni Crisostomo, In Matthaeum homiliae, 19, 4].
In ogni caso, se avete cominciato la vostra meditazione e non riuscite a concentrare l'attenzione per conversare con Dio, ma vi sentite aridi e vi sembra che la testa non sia capace di esprimere neppure un'idea, o i vostri affetti rimangono insensibili, vi consiglio quello che io stesso ho cercato di fare sempre in tali circostanze: mettetevi alla presenza di vostro Padre e ditegli almeno: «Signore, non so pregare, non mi viene in mente nulla da raccontarti!...». Siate sicuri che in quello stesso istante avete incominciato a fare orazione. (Amici di Dio, 145)
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Preghiera del mattino 19/II/2012

O Dio, nostro creatore e redentore, attraverso il tuo continuo perdono a coloro che si smarriscono nei tuoi sentieri, tu accordi anche la vita dell'anima e del corpo.
Stendi la tua mano su di noi, poveri paralitici colmi di errori.
Così il tuo perdono ci condurrà di nuovo a te, la nostra persona tumefatta riprenderà vigore, e noi potremo camminare verso la gloria che tu ci prometti.
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sabato 18 febbraio 2012

Fu trasfigurato davanti a loro

Mc 9,2-13
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. E lo interrogavano: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». Egli rispose loro: «Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Io però vi dico che Elia è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui».

Nella narrazione della trasfigurazione ritroviamo i tre testimoni della risurrezione della figlia di Giàiro: Pietro, Giacomo e Giovanni. Li troveremo anche nel Getsémani. C'è uno stretto legame tra questi tre episodi.
Il primo manifesta il potere di Gesù sulla morte. La trasfigurazione è un'anticipazione della gloria della risurrezione. L'agonia, che è il contrasto totale con i primi due episodi, mostra in qual modo Gesù cammina verso la gloria: accettando di entrare totalmente nelle vedute del Padre (cf. 14,36).
Anche qui, come nel battesimo, si fa sentire la voce del Padre che parla dalla nube. Ma questa volta non si rivolge soltanto a Gesù (cf. 1,11), ma ai tre discepoli. Il titolo di "Figlio mio prediletto" che richiama allo stesso tempo la regalità del Messia (cf. Sal 2,7) e il destino del Servo di Dio (cf. Is 42,1), conferma la verità di ciò che Pietro non ha ancora accettato: che la glorificazione del Messia si realizza attraverso la sofferenza. In più, alla rivelazione fa seguito un comando: "Ascoltatelo!". La parola del Padre viene ad appoggiare l'insegnamento di Gesù sulla sua passione e risurrezione. In questa prospettiva, la trasfigurazione appare come l'anticipata manifestazione della gloria di Cristo. Dal racconto della trasfigurazione dobbiamo imparare che solo nella luce della risurrezione si comprende il mistero della croce. La trasfigurazione, e non la sfigurazione, è il punto di arrivo dell'uomo e dell'universo. Il nostro volto non è quello disfatto dallo sfacelo della morte, ma quello trasfigurato della risurrezione. La trasfigurazione corrisponde alla vita nuova che il battesimo ci conferisce attraverso la croce: un'esistenza pasquale, passata dall'egoismo all'amore, dalla tristezza alla gioia, dall'inquietudine alla pace. Sul nostro volto deve brillare il riflesso del volto del Risorto, che è il volto stesso del Padre. Rispondendo alla domanda sulla venuta di Elia (v. 11), Gesù riconduce i suoi discepoli alla prospettiva realistica della passione, che questa scena della trasfigurazione illumina, ma non attenua in nessun modo. Chi vuole intendere la risurrezione di Gesù, deve entrare prima nel mistero della sua passione. La sofferenza del giusto sconfitto, che a noi fa problema, per Gesù è la soluzione del problema: il male lo vince chi non lo fa e porta su di sé il male degli altri.


Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino 18/II/2012

Concedi a noi, o Signore, durante questa giornata di poter vedere i segni della Tua presenza per camminare con passo più lieto e più sicuro verso l'incontro con Te.
Amen.
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venerdì 17 febbraio 2012

Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà

Mc 8,34-9,1
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi». Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».

Seguire Cristo è una scelta libera perché è una scelta d'amore; e non vi può essere amore senza libertà. Ma seguire Gesù è anche una scelta scandalosa: significa croce assicurata per tutti, indistintamente. Ed è su questo punto centrale e decisivo che avviene lo scontro tra la vera fede o il rifiuto di essa.
La vocazione definitiva del cristiano è la partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo per la salvezza propria e altrui. Pietro aveva proclamato che Gesù era il Cristo e sembrava quindi un credente; in realtà non accettava il significato più profondo della messianicità di Cristo: la croce. La fede è un modo di vivere, non di teorizzare; un modo di vivere e di morire come Cristo. Ed è la morte il vertice della vita, perché liberandoci completamente dall'egoismo, ci rende capaci del più grande e definitivo atto d'amore per Dio.
La croce che dobbiamo prendere e portare è la lotta continua contro la nostra falsa autoaffermazione. La croce è il supplizio degli schiavi. Il cristiano, come il Cristo, deve vivere come servo di tutti e padrone di nessuno.
Rinnegare se stessi è la piena realizzazione di se stessi; significa vincere il falso io, l'egoismo, radice di tutti i mali. L'uomo sentendosi piccolo, insignificante e stupido, vuole affermarsi facendosi ricco, potente e orgoglioso. Ma è un inganno. Egli infatti si realizza solo quando diventa come il suo Dio, di cui è immagine. E Dio è amore, dono, servizio, povertà, umiltà.
La salvezza dalla morte dipende dalla nostra presa di posizione nei confronti di Gesù e del suo vangelo. Il nostro destino eterno è legato alla nostra fedeltà o infedeltà alla sua parola. Prendere la propria croce significa fare proprio il destino di Gesù e renderlo visibile di fronte agli uomini: un destino di morte e risurrezione. Salvare la propria vita significa "vergognarsi di Gesù e delle sue parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice" (v.38): rinnegare lui anziché rinunciare a se stessi, preferire la propria vita alla sua, i propri progetti e interessi personali all'impegno per il suo vangelo e per il suo Regno. La vita è il bene supremo dell'uomo: non ha prezzo (vv.36-37). Ora chi ama la propria vita veramente, deve metterla al sicuro in Gesù. "Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita" (1Gv 5,11-12). Tra gli ostacoli che impediscono all'uomo di prendere la sua decisione in favore di Cristo c'è la vergogna. La vergogna è la paura di essere derisi, emarginati e odiati (cfr Gv 15,18-25; 16,20). Il cristiano autentico deve avere il coraggio di essere "diverso dal mondo" per essere "simile a Dio". Il giorno del giudizio finale tutti saranno giudicati secondo il vangelo di Cristo e non secondo le massime del mondo. San Paolo ci ricorda: "Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà" (2Tim 2,11-12). "E diceva loro: 'In verità vi dico: vi sono alcuni dei presenti che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza' " (9,1). Non è una promessa di sfuggire alla morte fisica, ma una certezza data al discepolo che, dopo aver condiviso con Cristo la sofferenza e la morte, sperimenterà in modo decisivo la potenza della sua risurrezione: "Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione" (Rm 6,5).
Padre Lino Pedron
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giovedì 16 febbraio 2012

Tu sei il Cristo… Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire

Mc 8,27-33
Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

L'episodio comincia con una domanda:" Chi dice la gente che io sia?". Le risposte che danno i discepoli corrispondono a quello che pensa e dice la gente. Sono risposte positive, che esprimono rispetto e stima per Gesù, ma rimangono incomplete perché cercano di spiegare il mistero di Gesù accostandolo ad altri personaggi pur grandi della storia della salvezza. Tutte queste risposte non riescono ad esprimere la novità e l'unicità della persona del Cristo. Gesù pone ai discepoli una seconda domanda, diretta, personale:" E voi, chi dite che io sia?". Risponde Pietro: "Tu sei il Cristo". La risposta corrisponde a verità, ma va chiarita nel suo contenuto. È per questo che Gesù proibisce ai discepoli di parlare di lui alla gente e inizia a svelare loro la sua vera messianicità: quella del Cristo che deve soffrire e morire. Egli non è il liberatore nel senso voluto dai giudei, ma il Salvatore nel senso voluto da Dio. Il Cristo "deve" percorrere il cammino che lo porterà alla croce (v.31) per fare il sacrificio della propria vita per la salvezza di tutti. Gesù è il Figlio dell'uomo incamminato verso la croce. Da questo punto in avanti, il tema della croce e della risurrezione è, in un certo modo, l'unico tema trattato, perché tutto gira attorno ad esso. Gesù è il Messia sofferente, il Servo di Dio disprezzato, abbandonato dagli uomini e destinato ad una morte infame (cfr Is 53).
Siccome l'idea che i discepoli hanno sul Messia è insufficiente, Gesù incomincia un nuovo insegnamento, una nuova rivelazione (vv.31-32). E proprio Pietro, che aveva proclamato con sicurezza: "Tu sei il Cristo", si oppone violentemente alla nuova rivelazione di Gesù. Il Messia che lui e i suoi compagni attendono è uno che all'occorrenza uccide gli altri, non uno che mette nel suo programma la propria sconfitta e la propria morte. Ma Gesù è il Cristo come lo vuole Dio, non come lo vorrebbero gli uomini. Egli è venuto per cambiare il mondo, e questo richiede, come prima cosa, il capovolgimento del modo di pensare degli uomini e il cambio di direzione per ritornare a Dio (cfr Mc 1,15). E qui viene spontanea una considerazione. Opponendosi alla passione e morte di Gesù, Pietro crede di fare il vero bene di Gesù e di tutti, di dimostrargli un amore grande e di dargli un consiglio eccezionale. Di fatto, però, svolge il ruolo di satana che tenta di distogliere Gesù dall'obbedienza al Padre. Il diavolo tentatore prova nuovamente il colpo che non gli era riuscito nel deserto (cfr Mc 1,12-13): Gesù, che non aveva ceduto alla tentazione del nemico, forse cederà alle insistenze del miglior amico. Ma Gesù resiste a viso aperto. Quante azioni sataniche si compiono "a fin di bene, per amore,...", ma in direzione opposta a quella insegnata e percorsa da Gesù! La teoria del vangelo è molto chiara. Dio è amore che dona la vita e giunge alla risurrezione attraverso la povertà, l'umiltà e l'umiliazione della morte in croce. L'uomo è egoismo che cerca di salvarsi e produce morte attraverso la ricerca dell'avere, del potere e dell'apparire. Questi due modi di essere e di comportarsi sono inconciliabili tra loro. Quando il cristiano, "a fin di bene", vuole costruire il regno di Dio con il materiale scartato dal Cristo (avere, potere, apparire), in realtà costruisce il regno di satana. Indossa la divisa di Cristo, ma gioca nella squadra avversaria e, in questo modo, gli è più facile far vincere il suo vero padrone, il diavolo. Anche su questo Gesù ci ha preavvisati:"Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci" (Mt 7,15). I falsi profeti sono i cristiani che dicono e fanno diversamente da quello che insegna il vangelo. Il vero cristiano è colui che segue Gesù crocifisso, rinnega se stesso, prende la sua croce e lo segue, povero, umile e umiliato, verso il Calvario per morire e risuscitare con lui.
Padre Lino Pedron
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