sabato 30 giugno 2012

Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe

Mt 8,5-17 
Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch'io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: «Va'!», ed egli va; e a un altro: «Vieni!», ed egli viene; e al mio servo: «Fa' questo!», ed egli lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli,  mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va', avvenga per te come hai creduto». In quell'istante il suo servo fu guarito. Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva. Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati,  perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie. 


Il centurione era il comandante di una centuria, di un gruppo di cento soldati. Egli non chiede nulla per sé, ma prega Gesù per il suo servo gravemente ammalato. Gesù manifesta tutta la sua disponibilità: "Io verrò e lo curerò" (v. 7). Ma il centurione dichiara di non essere degno di ricevere Gesù in casa propria ed è convinto che non occorre che il Signore vada da lui perché lo ritiene capace di comandare anche a distanza sulle potenze del male. Il centurione è un pagano che crede senza esitazione nel potere della parola di Dio. E la fede nella parola di Dio permette al Signore di agire in noi. 
Il miracolo è un segno dell’amore di Dio che interviene a nostro favore, perché è infinitamente sensibile al nostro male. Egli vuole donarci tutto e soprattutto sé stesso. Aspetta solo che glielo chiediamo con fede. La grande fede del centurione rende manifesta la mancanza di fede in Israele. 
La semplice appartenenza anagrafica al popolo di Dio non dà a nessuno la certezza di essere salvato: a tutti è richiesta la fede che si manifesta nelle opere. L’incontro con il centurione offre a Gesù l’occasione per annunciare l’entrata di tutti i popoli nel regno di Dio. I pagani prenderanno posto alla tavola dei patriarchi nel regno dei cieli. 
La Chiesa è costituita da coloro che credono nella parola di Dio e la mettono in pratica. Nel regno di Dio entreranno solo i figli, ossia quelli che sono stati rigenerati "dalla parola di Dio viva ed eterna" (1Pt 1,23), dalla parola del vangelo. Il futuro eterno lo si prepara giorno per giorno accogliendo o rifiutando la parola di Gesù. 
La nostra libertà si esprime pienamente nella fede o nella mancanza di fede, nel nostro acconsentire alla comunione con Dio o nel rifiutarla. Solo con il detto minaccioso del v. 12 la provocazione raggiunge il suo culmine. É colpita la generazione dei giudei contemporanea di Matteo, il giudaismo guidato dai farisei. La causa della sua esclusione è il rifiuto della parola di Gesù, che è decisiva ai fini della salvezza. Le tenebre significano il luogo più lontano da Cristo, che è la luce (cf. Mt 416) e la salvezza. Il pianto e lo stridore di denti indica il furore smisurato (cf. Sal 3516; 3712; 112,10). 
 La frase conclusiva del v. 13 ritorna a parlare del servo malato. La precisazione "in quell’istante" significa che la guarigione è avvenuta nel momento in cui Gesù ha pronunciato la sua parola. In questo brano compare all’orizzonte il pellegrinaggio di tutti i popoli che affluiranno alla casa del Signore, e l’annuncio finale del vangelo di Matteo: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni" (28,19) 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 30/VI/2012

Che fede, quella di questo straniero, straniero al paese ma anche alla rivelazione fatta ai nostri Padri! 
 Nessuno ci aveva dato, come lui, un'immagine, quasi una parabola, di ciò che è la fede. 
Poiché egli vede l'invisibile, vede che Gesù comanda ed è obbedito dalle potenze della vita e della morte, del bene e del male, vede che il tempo e la distanza non esistono per colui che è il Figlio di Dio. 
E aderisce, con un'adesione senza crepe, nel momento presente a ciò che vede. 
Concedici una uguale fede, semplice e totale.
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venerdì 29 giugno 2012

Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli

Mt 16,13-19 
Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 


Gesù pone la domanda fondamentale, sulla quale si decide il destino di ogni uomo: "Voi chi dite che io sia?". 
Dire chi è Gesù è collocare la propria esistenza su un terreno solido, incrollabile. 
La risposta di Pietro è decisa e sicura. Ma il suo discernimento non deriva dalla "carne" e dal "sangue", cioè dalle proprie forze, ma dal fatto che ha accolto in sé la fede che il Padre dona. 
Gesù costituisce Pietro come roccia della sua Chiesa: la casa fondata sopra la roccia (cfr 7,24) comincia a prendere il suo vero significato. Non è fuori luogo chiedersi se Pietro era pienamente cosciente di ciò che gli veniva rivelato e di ciò che diceva. Notiamo il forte contrasto tra questa professione di fede seguita dall'elogio di Gesù: "Beato te, Simone..." e l'incomprensione del v.22: "Dio te ne scampi, Signore..." e infine l'aspro rimprovero di Gesù: "Via da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!". 
Questo contrasto mette in evidenza la differenza tra la fede apparente e quella vera: non basta professare la messianicità di Gesù. 
Bisogna credere e accettare che il progetto del Padre si realizza attraverso la morte e la risurrezione del Figlio. 
Pietro riceve le chiavi del regno dei cieli. Le chiavi sono segno di sovranità e di potere. Pietro dunque insieme alle chiavi riceve piena autorità sul regno dei cieli. Egli esercita tale autorità sulla terra e non in funzione di portinaio del cielo, come comunemente si pensa. In qualità di trasmettitore e garante della dottrina e dei comandamenti di Gesù, la cui osservanza apre all'uomo il regno dei cieli, egli vincola alla loro osservanza. 
Gli scribi e i farisei, in quanto detentori delle chiavi fino a quel momento, avevano esercitato la medesima autorità. Ma, rifiutando il vangelo, essi non fanno altro che chiudere il regno dei cieli agli uomini. 
Simon Pietro subentra al loro posto. 
Se si considera attentamente questa contrapposizione, risulta che il compito principale di cui è incaricato Pietro è quello di aprire il regno dei cieli. Il suo incarico va descritto in senso positivo. Non si potrà identificare la Chiesa con il regno dei cieli. Ma il loro accostamento in quest'unico brano del vangelo offre l'opportunità di riflettere sul loro reciproco rapporto. 
Alla Chiesa, quale popolo di Dio, è affidato il regno dei cieli (cfr 21,43). In essa vivono gli uomini destinati al Regno. Pietro assolve il proprio sevizio nella Chiesa quando invita a ricordarsi della dottrina di Gesù, che permette agli uomini l'ingresso nel Regno. 
Nel giudaismo, gli equivalenti di legare e sciogliere ('asar esherà') hanno il significato specifico di proibire e permettere, in riferimento ai pronunciamenti dottrinali. Accanto al potere di magistero si pone quello disciplinare. In questo campo i due verbi hanno il senso di scomunicare e togliere la scomunica. Questo duplice potere viene assegnato a Pietro. 
Non è il caso di separare il potere di magistero da quello disciplinare e riferire l'uno a 16,19 e l'altro a 18,18. Ma non è possibile negare che in questo versetto 19 il potere dottrinale, specialmente nel senso della fissazione della dottrina, sta in primo piano. 
Pietro è presentato come maestro supremo, tuttavia con una differenza non trascurabile rispetto al giudaismo: il ministero di Pietro non è ordinato alla legge, ma alla direttiva e all'insegnamento di Gesù. Il legare e lo sciogliere di Pietro viene riconosciuto in cielo, cioè le decisioni di carattere dottrinale prese da Pietro vengono confermate nel presente da Dio. 
L'idea del giudizio finale è più lontana, proprio se si includono anche decisioni disciplinari. Nel vangelo di Matteo, Pietro viene presentato come il discepolo che fa da esempio. 
Ciò che gli è accaduto è trasferibile ad ogni discepolo. 
Questo vale sia per i suoi pregi sia per le sue deficienze, che vengono impietosamente riferite. 
Ma a Pietro rimane una funzione esclusiva ed unica: egli è e resta la roccia della Chiesa del Messia Gesù. Pietro è il garante della tradizione su Cristo com'è presentata dal vangelo di Matteo. 
Nel suo ufficio egli subentra agli scribi e ai farisei, che finora hanno portato le chiavi del regno dei cieli. 
A lui tocca far valere integro l'insegnamento di Gesù in tutta la sua forza 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 29/VI/2012

Signore Gesù, presso Cesarea di Filippo, ci hai rivelato il mistero della Chiesa. 
Tu stesso sei la sua pietra angolare, e sei anche il suo costruttore. 
Sulle colonne, che sono i tuoi apostoli, tu hai costruito per Dio un tempio fatto di pietre vive. 
Tu hai fatto di me, grazie al battesimo, una di quelle pietre vive, concedendomi di prendere parte alla tua dignità e alla tua missione sacerdotale. 
Mediante la mia vita aspiro a porre con te e in te offerte spirituali gradite a Dio, desidero vivere in unione con tutta la Chiesa, nella quale tu hai affidato a Pietro e ai suoi successori il potere di legare e di sciogliere.
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giovedì 28 giugno 2012

La casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia

Mt 7,21-29 
Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: «Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?». Ma allora io dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità!». Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».  Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento:  egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi. 


Gesù ci insegna che la preghiera deve andare in perfetta sintonia con la pratica della vita cristiana. Se non si compie la volontà del Padre celeste, la preghiera non serve a nulla. La volontà del Padre è il suo disegno di salvezza. La preghiera richiesta da Gesù deve portare il cristiano a impegnarsi con entusiasmo e fino alla morte nell'opera della salvezza. 
Dio non sa cosa farsene delle belle parole di preghiera se non sono seguite dalle opere dell'amore. La dissociazione tra culto e vita è la malattia dei farisei (Mt 23,3-4). 
L'unico criterio di valutazione nel giudizio finale sarà quello delle opere di misericordia (Mt 25,31-46). Molto probabilmente Matteo polemizza con certi carismatici che avevano sempre sulle labbra in nome del Signore, ma non facevano mai nulla di utile per il prossimo. Nel giorno del giudizio non saremo giudicati sul folclore religioso o sulle azioni prodigiose; il giudizio verterà unicamente sull'attuazione della volontà del Padre che ha il suo centro nell'amore fattivo per il prossimo (Mt 25,31-46). 
Nella parabola (vv.24-27) viene riassunto il significato di tutto il discorso della montagna. Non basta ascoltare le parole di Gesù, bisogna anche metterle in pratica. La roccia che dà stabilità al cristiano è Cristo. 
La parabola ci indica le due condizioni necessarie perché la vita cristiana risulti solida: deve fondarsi su Cristo e passare dalle parole ai fatti. 
Non c'è vera adesione a Cristo senza l'impegno morale. Il fondamento sicuro della vita cristiana è la pratica degli insegnamenti di Gesù. L'ascolto è necessario, ma quel che più conta è l'esecuzione di ciò che è stato ascoltato. Nei vv.28-29 Gesù ci viene presentato come il Maestro che nel discorso della montagna ha dato l'interpretazione autorevole e definitiva della volontà di Dio. L'insegnamento di Gesù si differenzia da quello degli scribi perché egli non ripete ciò che hanno detto i maestri del passato, ma parla in nome proprio: "Avete inteso che fu detto agli antichi... Ma io vi dico" (Mt 5,21-22; ecc.). Egli ha ricevuto dal Padre l'autorità su tutto l'universo (Mt 28,16). 
Gesù non è solamente un esegeta della Legge e dei Profeti, ma l'esegesi, il compimento della Legge e dei Profeti. 
Coloro che hanno capito che Gesù è l'adempimento definitivo di tutto l'agire di Dio possono discendere con lui dalla montagna e seguirlo. 
Padre Lino Pedron 
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Preghiera del mattino del 28/VI/2012

Oggi tu ci insegni che la fede senza le opere è vana, che la pietà che non si apre all'azione è falsa, assomiglia alla sabbia mobile, sulla quale è impossibile costruire una strada. 
Le persone di grande spirito sono instancabilmente attive per il regno, anche se chiuse in un Carmelo, e le persone più attive sono soprattutto gli uomini di preghiera che, come san Vincenzo de Paoli, cominciano la loro giornata con molte ore di orazione. 
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mercoledì 27 giugno 2012

Dai loro frutti li riconoscerete

Dal Vangelo secondo Matteo (7,15-20) 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 


Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Nord Africa) e dottore della Chiesa 
Spiegazione del Discorso dalla montagna, cap 24,§80-81 (Nuova Biblioteca Agostiniana) 
Con retto criterio si pone il problema dei frutti, ai quali il Signore vuole che poniamo l'attenzione per poter distinguere l'albero. Molti ascrivono ai frutti alcune proprietà che appartengono al pelame delle pecore e così sono ingannati dai lupi, come sono i digiuni, le preghiere e le elemosine. Che se tutti questi atti non potessero essere eseguiti anche dagli ipocriti, Gesù non avrebbe detto in precedenza: “Guardatevi dal praticare la vostra virtù davanti agli uomini per essere osservati da loro” (Mt 6,1)... Molti infatti distribuiscono ai poveri non per commiserazione ma per vanagloria; molti pregano o meglio sembra che preghino non perché tengono presente Dio, ma perché bramano di essere ammirati dagli uomini; e molti digiunano e ostentano un'astinenza che desta meraviglia a coloro ai quali questi usi sembrano difficili e degni di onore. Sono tutti inganni ... Non sono dunque questi i frutti da cui il Signore esorta a riconoscere l'albero. Se essi si compiono con buona intenzione secondo verità sono il pelame proprio delle pecore... 
L'Apostolo Paolo insegna quali sono i frutti, riconosciuti i quali, riconosciamo l'albero cattivo: “Son ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, eresie, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le commette non erediterà il regno di Dio” (Ga 5,19-20). Ed egli di seguito insegna quali sono i frutti, dai quali possiamo riconoscere l'albero buono: “Frutto dello spirito è invece amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (v 22-23). 
È opportuno riflettere che nel brano “gioia” è stata usata in senso proprio, poiché non si può dire con proprietà che i cattivi gioiscono ma che sono ebbri di gioia. ... Secondo questa proprietà, per cui la gioia si dice soltanto dei buoni, anche il profeta afferma: “Non c'è gioia per i malvagi, dice il Signore” (Is 48,22). Così la fede, di cui si è parlato, certamente non una fede qualunque ma la vera fede, e gli altri concetti, di cui si è parlato, hanno una certa apparenza negli uomini cattivi e impostori, sicché ingannano se l'altro non ha ormai l'occhio puro e sincero, con cui è consapevole di questi fatti.
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martedì 26 giugno 2012

Preghiera del mattino del 26/VI/2012

Signore, insegnaci un santo rispetto, un rispetto meravigliato per le cose alte, per il sacro che tu hai deposto nelle nostre mani. 
Concedici di celebrare i tuoi misteri, e in modo particolare la liturgia, con infinito rispetto. 
Perché, se i porci che rappresentano i nostri più bassi istinti calpestano nel fango della volgarità i tuoi misteri, il figlio del regno prende la perla preziosa e la porta verso la luce, e il suo volto è tutto illuminato dai mille colori delle variegate operazioni del tuo Spirito.
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lunedì 25 giugno 2012

Messaggio Medjugorje a Marja del 25/6/2012

Cari figli! 
Con la grande speranza nel cuore anche oggi vi invito alla preghiera. 
Se pregate figlioli, voi siete con me, cercate la volontà di mio Figlio e la vivete. 
Siate aperti e vivete la preghiera; in ogni momento sia essa sapore e gioia della vostra anima. 
Io sono con voi e intercedo per tutti voi presso mio Figlio Gesù. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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Oggi 25 giugno 2012 ricorre il 31.mo anniversario delle apparizioni della Regina della Pace

Si, oggi 25 giugno 2012 sono esattamente 31 anni che la Regina della Pace dal Cielo scende sulla terra di Medjugorje e sono 31 anni che ci detta messaggi affinchè vengano trasmessi a tutta l'umanità. 
I testi dei Messaggi vengono dati dalla Madonna alla veggente Marija - affinché vengano diramati al mondo intero. 
Ormai da 31 anni la Regina della pace sta lanciando a Medjugorje un ultimo appello di conversione e di riconciliazione con Dio. Si, perché più giorni passano e più si avvicina il momento in cui cominceranno a essere svelati i dieci segreti che la Madonna ha confidato alla veggente Mirjana sin dal 1982.


Vi trascrivo uno degli ultimi messaggi ricevuti da Mirjana alla Croce Blu, messaggio del 2 maggio 2011 che racchiude tutta la missione della Regina della Pace verso l'umanità: "Cari figli, Dio Padre mi manda affinché vi mostri la via della salvezza, perché Egli, figli miei, desidera salvarvi e non condannarvi. Perciò io come Madre vi raduno attorno a me, perché col mio materno amore desidero aiutarvi a liberarvi dalla sporcizia del passato, a ricominciare a vivere e a vivere diversamente. Vi invito a risorgere in mio Figlio. Con la confessione dei peccati rinunciate a tutto ciò che vi ha allontanato da mio Figlio ed ha reso la vostra vita vuota e infruttuosa. Dite col cuore "sì" al Padre ed incamminatevi sulla strada della salvezza su cui Egli vi chiama per mezzo dello Spirito Santo. Vi ringrazio! Io prego particolarmente per i pastori, perché Dio li aiuti ad essere accanto a voi con tutto il cuore." 


Non posso che affidare tutti gli ammalati nel corpo e nello spirito, i sacerdoti e tutti voi amici carissimi alla Madonna, Madre di Dio e Madre della Chiesa ed anche la mia dolcissima Madre. Ave Maria!
Maria M.
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La messe è molta e pochi gli operai

La messe è molta e pochi gli operai. —“Rogate ergo!” —Pregate, dunque, il Signore della messe perché mandi operai nel suo campo. La preghiera è il mezzo più efficace di proselitismo. (Cammino, 800) 


Ancora risuona nel mondo quel grido divino: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e che altro voglio, se non che divampi?”. —Eppure, vedi: è quasi tutto spento... Non ti viene voglia di propagare l'incendio? (Cammino, 801) 


Vorresti attrarre al tuo apostolato quell'uomo di scienza, quel personaggio autorevole e quel tale pieno di prudenza e di virtù. Prega, offri sacrifici e lavòrateli con il tuo esempio e con la tua parola. —Non vengono! —Non perdere la pace: vuol dire che non sono necessari. Credi che non ci fossero dei contemporanei di Pietro, dotti, e autorevoli, e prudenti, e virtuosi, al di fuori del gruppo dei primi dodici? (Cammino, 802)


Strazia il cuore il grido — sempre attuale! — del Figlio di Dio, che si lamenta perché la messe è molta e gli operai sono pochi. — Questo grido è uscito dalla bocca di Cristo, perché anche tu possa ascoltarlo: come gli hai risposto fino a ora? preghi, almeno ogni giorno, per questa intenzione? (Forgia, 906) 


Per seguire il Signore è necessario darsi una volta per tutte, senza riserve e virilmente: bruciare le navi senza esitare, perché non vi siano possibilità di tornare indietro. (Forgia, 907)
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Preghiera del mattino del 25/VI/2012

Tu solo, Signore, sei giudice, e tu solo giudichi con giustizia, con esattezza, secondo criteri che possiamo intuire ma che non dominiamo. 
E a tuo Figlio, e a lui solo, hai rimesso il giudizio. 
Tu non giudichi per condannare, come fanno i tribunali umani, ma restituisci la giustizia. 
Tu raddrizzi ciò che era storto, e rendi giustizia a chi era stato spogliato dei suoi diritti. 
Preservaci, Signore, dall'usurpare la tua funzione divina, costituendoci giudici dei nostri fratelli, quando il tempo del giudizio non è ancora giunto.
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domenica 24 giugno 2012

Giovanni è il suo nome

Lc 1,57-66.80 
Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati.All'istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele. 


L'attuazione della salvezza comincia con la nascita di Giovanni. Essa riempie gli animi di gioia e li spinge ad elevare un canto di ringraziamento a Dio e a ricolmare di felicitazioni la madre del bambino. 
Il centro di questo racconto è la questione del nome da dare al bambino. Il nome indica la natura della persona, la sua missione, il suo valore unico e irripetibile. Giovanni significa "Dio fa grazia"; significa dono, grazia, amore di Dio. Il rito della circoncisione è movimentato. 
Tutto serve per mettere in rilievo la vocazione e la missione di Giovanni. 
Nel suo nome, che significa "Dio fa grazia", c'è tutto il programma che è chiamato a realizzare. Esso indica che Dio sta per dare una prova inaudita della sua misericordia verso gli uomini. L'uso ebraico di imporre al neonato il nome del genitore o di un antenato voleva indicare la continuità con il passato. Qui viene interrotto perché questo bambino ha un cammino proprio da percorrere indipendentemente dalla parentela o discendenza carnale. Ogni vita, ogni nascita è dono di Dio. 
La nascita di un uomo non è mai un caso, è sempre il compimento di un disegno d'amore di Dio. Il Signore mi ha disegnato con amore sul palmo della sua mano (Is 49,16), fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome (Is 49,1), è lui che ha creato le mie viscere e mi ha tessuto nel grembo di mia madre (Sal 139,13). 
L'uomo è il prodigio dell'amore di Dio: "Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio" (Sal 139,14). Dio dice ad ogni uomo: "Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e ti amo" (Is 43,4). La nostra dignità si comprende solo se guardiamo a Colui dal quale abbiamo avuto inizio e al quale ritorniamo: alla fine Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28). 
Ogni nascita è una dilatazione dell'amore e della misericordia del Signore, la cui tenerezza si espande su tutte le creature (Sal 145,9). Solo se si capisce così una nascita, si può comprendere il vero valore e il vero spessore di una vita. I vicini e i parenti si rallegrano con Elisabetta perché il Signore ha manifestato in lei la sua grande misericordia. 
Il credente è colui che vede l'azione di Dio dove il non credente vede solo l'azione dell'uomo. Il nome di Giovanni viene da Dio (Lc 1,13). Il nome di ogni figlio, il suo essere, la sua vocazione, il suo destino vengono da Dio. 
La meraviglia di tutti (v.63) sta nella scoperta che Dio è grazia, misericordia e tenerezza. 
Il v. 66 ci presenta un tema caro a Luca: l'ascolto della parola di Dio deve mettere radice nel cuore, crescere e fruttificare (cfr Lc 8,12ss). Nel bambino Giovanni si manifestano la potenza e la mano di Dio per portare avanti la sua crescita e così prepararlo convenientemente ai suoi compiti futuri. 
Padre Lino Pedron 
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Preghiera del mattino del 24/VI/2012

Signore, tu hai stretto un'alleanza con l'umanità intera al tempo di Noè, ma avevi bisogno di scegliere un popolo, di scegliere un uomo per far capire che volevi scegliere ogni uomo, di scegliere un popolo per scegliere ogni popolo. 
Questa scelta, questo scarto sono sempre in realtà un allargamento, e le sofferenze dei tuoi eletti, dei tuoi amici, sono solo per un momento e in vista della felicità dei più. 
Concedici di circondare di grande rispetto le sofferenze del tuo popolo Israele.
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sabato 23 giugno 2012

Non preoccupatevi del domani

Mt 6,24-34 
Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? ». Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. A ciascun giorno basta la sua pena. 


Dio vuole per sé tutto l'uomo e non tollera compromessi: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente" (Mt 22,37). 
Dietro tutte le forme di idolatria si nasconde il maligno. 
Egli si nasconde dietro il mammona, che è l’insieme delle cose che possediamo. Chi adora il mammona, adora satana. Il detto intende provocare nell'ascoltatore una decisione chiara: o Dio o il possesso. 
Quando si cerca di accumulare ricchezza, questa diventa un idolo e Dio viene dimenticato. Questo detto trova una clamorosa dimostrazione nel racconto di Mt 19,16-30. Il ricco che non accoglie la chiamata di Gesù indica l'impossibilità di vivere secondo il vangelo e di restare contemporaneamente attaccati alle proprie ricchezze. 
La conquista del mondo è il comando dato da Dio agli uomini (Gen 1,28). L'uso delle cose è legittimo, ma esse devono restare al nostro servizio e non noi al loro. Quando il possesso delle cose impedisce o ritarda il cammino verso Dio e il prossimo, allora abbiamo la riprova che il mammona è più importante di Dio e dei fratelli. 
Il peccato è amare le creature al posto del Creatore. Tutto deve essere sacrificato per il raggiungimento del fine ultimo che è Dio (Mt 5,29-30). Chi vive totalmente orientato a Dio, come ci ha insegnato il vangelo fino a questo punto, deve evitare l’affanno per le necessità materiali. Dio che ci ha già dato il più (la vita) ci darà anche il meno (il cibo e il vestito). 
Affannarsi è mancanza di fede nell'amore infinito e provvidente del Padre. 
In queste preoccupazioni inutili possono cadere ugualmente, anche se per motivi opposti, il povero e il ricco. 
Il senso della vita non può ridursi alla sola ricerca dei beni materiali e all’appagamento dei bisogni fisici. 
Gesù ci ha già insegnato in Mt 4,4: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". I motivi per cui dobbiamo liberarci dai desideri di possedere e dalle preoccupazioni materiali sono due: la conoscenza del vero Dio, nostro Padre, provvidente e buono, e il compito prioritario che Dio ci ha affidato di cercare il suo regno e la sua giustizia. I pagani sono tutti coloro che non conoscono Dio come loro Padre provvidente e salvatore e di conseguenza si agitano come se fossero degli orfani che devono confidare esclusivamente nelle proprie forze. 
Gesù non vuole assolutamente distogliere l'uomo dal lavoro. Sta scritto infatti: "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" (Gen 2,15). Egli vuole insegnarci a vivere bene, come persone intelligenti e illuminate dalla fede. 
Infatti affannarsi è inutile e dannoso. L'affanno guasta l'uomo e gli accorcia la vita: "Quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore in cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questa è vanità" (Qo 2,22-23). 
Dopo averci ripetutamente comandato di non affannarci per l’oggi, Gesù ci comanda di non affannarci neppure per il domani perché è un atteggiamento sciocco: "E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?" (Mt 6,27). 
Il Padre nostro celeste, che ha cura del nostro presente, avrà cura anche del nostro domani. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 23/VI/2012

Liberaci, Signore, da quei divoratori di energie spirituali che sono la preoccupazione e l'inquietudine. 
Tu ci vuoi liberi come gli uccelli del cielo. 
Seguendo te, noi camminiamo già nell'ambiente divino che non obbedisce alle leggi della terra. 
Come ti prendi cura degli animali, così la tua Provvidenza sovviene ai bisogni di coloro che vivono in te. 
Liberaci dalla preoccupazione, come da un peccato contro la fiducia, come da una mancanza di fede in tutte le sue promesse. 
Fa' che ci rendiamo conto di quanto valiamo ai tuoi occhi.
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venerdì 22 giugno 2012

Se noi cristiani sapessimo servire!

Quando ti parlo del “buon esempio”, intendo anche indicarti che devi comprendere e scusare, che devi riempire il mondo di pace e di amore. (Forgia, 560) 


Se noi cristiani sapessimo servire! Andiamo dal Signore e confidiamogli la nostra decisione di voler imparare a servire, perché soltanto così potremo non solo conoscere e amare Cristo, ma farlo conoscere e farlo amare dagli altri. 
Come lo faremo conoscere alle anime? Con l'esempio, come suoi testimoni, offrendoci a Lui in volontaria servitù in tutte le nostre opere, perché Egli è il Signore di tutta la nostra vita, perché è l'unica e definitiva ragione della nostra esistenza. Poi, dopo aver offerto la testimonianza dell'esempio, saremo idonei a istruire con la parola, con la dottrina. Gesù fece così: Coepit facere et docere, prima insegnò con le opere, poi con la sua predicazione divina. 
Per servire gli altri nel nome di Cristo, è necessario essere molto umani. Se la nostra vita fosse disumana, Dio non vi edificherebbe nulla, perché di solito non costruisce sul disordine, sull'egoismo, sulla prepotenza. È necessario comprendere tutti, convivere con tutti, scusare tutti, perdonare tutti. Non si tratta di dire che è giusto ciò che non lo è, o che l'offesa a Dio non è offesa a Dio, o che il male è bene. Però, non risponderemo al male con il male, ma con dottrina chiara e buone opere, affogando il male nell'abbondanza di bene. Cristo allora regnerà nella nostra anima e in quelle di coloro che ci sono vicini. 
 C'è chi cerca di costruire la pace nel mondo senza mettere nel suo cuore l'amore di Dio, senza servire le creature per amore di Dio. Come è possibile realizzare una simile missione di pace? La pace di Cristo è quella del suo regno; e il regno di nostro Signore si fonda sul desiderio di santità, sull'umile disponibilità a ricevere la grazia, su una vigorosa opera di giustizia, su una divina effusione d'amore. (E' Gesù che passa, 182).
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Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore

Mt 6,19-23 
Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano;  accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. La lampada del corpo è l'occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra! 

In questo brano Gesù ci dà due comandamenti: "Non accumulatevi tesori sulla terra...Accumulatevi invece tesori nel cielo". 
L'accumulare tesori, il diventare ricco è l'aspirazione di ogni uomo. Nella ricchezza egli cerca di manifestare la sua potenza, la sua superiorità, la sua vanagloria, la sua superbia, ma soprattutto in essa cerca la sicurezza contro tutti i pericoli, compresa la morte, e la possibilità di avere tutte le soddisfazioni che il benessere economico può dare. 
La ricerca egoistica dei beni materiali sottrae tempo ed energie all'acquisizione dei beni del cielo e rende l'uomo schiavo delle cose che possiede e desidera. Ognuno deve avere qualcosa o qualcuno a cui dedicare le sue attenzioni e le sue forze. 
Il problema è la scelta di questo tesoro a cui attaccare il cuore. L'uomo diventa ciò che ama. Se ama le cose diventa come le cose, se ama Dio diventa come Dio. 
L'uso delle cose è buono fino a quando non diventa ostacolo per seguire Cristo e amare i fratelli. 
Il cristiano non può essere schiavo di nulla e di nessuno perché "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi" (Gal 5,1). 
Il cristiano dona l'avere per ottenere l'essere: essere come il Padre. 
Il detto evangelico della lucerna del corpo ci presenta la necessità della chiarezza nell'orientamento della vita. 
La vera luce è Gesù (Mt 4,16; Gv 1,9; 8,12; ecc.). 
L'occhio buono è quello che accoglie la luce della rivelazione di Gesù; l'occhio cattivo, quello che la rifiuta. L'occhio che lascia entrare questa luce immerge tutta la persona nella luce, l'occhio che non lascia entrare questa luce immerge tutta la persona nelle tenebre. L'occhio viene presentato come il simbolo del cuore, della mente. 
Il cuore dell'uomo dev'essere orientato a Dio e vivere nella ricerca dei tesori del cielo, allora tutto l'uomo è nella luce. Se invece si perde nella ricerca dei beni materiali diventa cieco e tutta la sua persona è immersa nelle tenebre. Nella Bibbia l'occhio esprime l'orientamento spirituale della persona. L'occhio buono esprime la giusta relazione con Dio, dal quale l'uomo viene totalmente illuminato (Sal 4,7; 36,10). 
L'occhio cattivo esprime l'opposizione dello spirito dell'uomo nei confronti di Dio. Nel vangelo di Matteo l'occhio cattivo è simbolo dell'invidia, dell'avarizia, dell'egoismo (20,15). 
L'occhio che non accoglie la luce della rivelazione di Gesù diventa ottenebrato. La tenebra totale e definitiva è la perdizione eterna. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 22/VI/2012

Concedici, Signore, di discernere i veri valori, i veri tesori, la sola ricchezza che non si acquista se non nella povertà secondo lo Spirito, che ci colma dei beni del mondo che verrà. 
Concedici di vedere con uno sguardo limpido che tutto ciò che facciamo, pensiamo o diciamo trova un'eco nel cielo. 
Concedici di essere folli per essere saggi, di dare senza tenere conto i beni della terra, per ricevere in eredità la vita eterna. 
Nessuna avarizia materiale o spirituale offuschi la nostra percezione di questo ammirevole scambio.
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giovedì 21 giugno 2012

Voi dunque pregate così

Mt 6,7-15 
Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli,sia santificato il tuo nome,venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà,come in cielo così in terra.Dacci oggi il nostro pane quotidiano,e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,e non abbandonarci alla tentazione,ma liberaci dal male.Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi;ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe. 

Gesù ci insegna la preghiera cristiana, che si contrappone alla preghiera dei farisei e dei pagani: il Padre nostro. É un testo di grande importanza che ci aiuta a comprendere chi è il cristiano. 
Il Padre nostro è una parola di Dio rivolta a noi, più che una nostra preghiera rivolta a lui. É il riassunto di tutto il vangelo. Non è Dio che deve convertirsi, sollecitato dalle nostre preghiere: siamo noi che dobbiamo convertirci a lui. Il contenuto di questa preghiera è unico: il regno di Dio. Ciò è in perfetta consonanza con l'insegnamento di Gesù: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33). Padre nostro. Il discepolo ha diritto di pregare come figlio. 
E sta in questo nuovo rapporto l'originalità cristiana (cfr Gal 4,6; Rm 8,15). La familiarità nel rapporto con Dio, che nasce dalla consapevolezza di essere figli amati dal Padre, è espressa nel Nuovo Testamento con il termine parresìa che può essere tradotto familiarità disinvolta e confidente (cfr Ef 3,11-12). L'aggettivo nostro esprime l'aspetto comunitario della preghiera. Quando uno prega il Padre, tutti pregano in lui e con lui. 
L'espressione che sei nei cieli richiama la trascendenza e la signoria di Dio: egli è vicino e lontano, come noi e diverso da noi, Padre e Signore. Il sapere che Dio è Padre porta alla fiducia, all'ottimismo, al senso della provvidenza (cfr Mt 6,26-33). Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà. Il verbo della prima invocazione è al passivo: ciò significa che il protagonista è Dio, non l'uomo. La santificazione del nome è opera di Dio. La preghiera è semplicemente un atteggiamento che fa spazio all'azione di Dio, una disponibilità. 
L'espressione santificare il nome dev'essere intesa alla luce dell'Antico Testamento, in particolare di Ez 36,22-29. Essa indica un permettere a Dio di svelare il suo volto nella storia della salvezza e nella comunità credente. Il discepolo prega perché la comunità diventi un involucro trasparente che lasci intravedere la presenza del Padre. La venuta del Regno comprende la vittoria definitiva sul male, sulla divisione, sul disordine e sulla morte. Il discepolo chiede e attende tutto questo. 
Ma la sua preghiera implica contemporaneamente un'assunzione di responsabilità: egli attende il Regno come un dono e insieme chiede il coraggio per costruirlo. La volontà di Dio è il disegno di salvezza che deve realizzarsi nella storia. Come in cielo, così in terra. Bisogna anticipare qui in terra la vita del mondo che verrà. La città terrestre deve costruirsi a imitazione della città di Dio. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Il nostro pane è frutto della terra e del lavoro dell'uomo, ma è anche, e soprattutto, dono del Padre. 
Nell'espressione c'è il senso della comunitarietà (il nostro pane) e un senso di sobrietà (il pane per oggi). Il Regno è al primo posto: il resto in funzione del Regno. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. 
Anche queste tre ultime domande riguardano il regno di Dio, ma dentro di noi. Il Regno è innanzitutto l'avvento della misericordia. Questa preghiera si apre con il Padre e termina con il maligno. L'uomo è nel mezzo, conteso e sollecitato da entrambi. Nessun pessimismo, però. 
Il discepolo sa che niente e nessuno lo può separare dall'amore di Dio e strappare dalle mani del Padre. Matteo commenta il Padre nostro su un solo punto, rimetti a noi i nostri debiti.... Ecco il commento: "Se voi, infatti, perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi...". Nel capitolo precedente Matteo aveva messo in luce l'amore per tutti. Ora mette in luce la sua concreta manifestazione: il perdono. 
Padre Lino Pedron
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mercoledì 20 giugno 2012

Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà

Mt 6,1-6.16-18 
State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra,  perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.  E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.  E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un'aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.  Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. 


Il discorso riprende l'enunciato di 5,20; "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli". 
Il termine giustizia (sedaqah) è usato nella Bibbia per sintetizzare i rapporti dell'uomo con Dio, la pietà, la religiosità, la fede. I rapporti con Dio, nostro Padre, devono essere improntati alla fiducia, alla confidenza e soprattutto alla sincerità. 
L'autentica giustizia non ha come punto di riferimento gli uomini, ma va esercitata davanti al Padre che è nei cieli. Farsi notare dagli uomini è perdere ogni ricompensa presso il Padre. Matteo sottolinea la vanità di un gesto puramente umano: gli ipocriti, che cercano l'approvazione, hanno già ricevuto la loro ricompensa. L'ipocrisia consiste nel fatto che un'azione, che ha Dio come destinatario, viene deviata dal suo termine. 
L'elemosina, la preghiera e il digiuno devono essere fatti per il Padre che vede nel segreto. Queste azioni fatte "nel segreto" non significano necessariamente azioni segrete: indicano ogni azione, anche pubblica, fatta per il Padre e non per essere visti dagli uomini. 
É l'intenzione profonda che conta perché la ricompensa si situa a questo livello: la ricompensa è l'autenticità del rapporto con il Padre. Il cristiano deve fare l'elemosina in modo da salvaguardare la rettitudine dell'aiuto prestato al fratello per amore del Padre. 
La strumentalizzazione della preghiera è la deformazione più inspiegabile della pietà, perché mette a proprio servizio anche ciò che è essenzialmente di Dio. 
Gesù nel suo intervento non si propone di modificare il rituale della preghiera giudaica, solo suggerisce un modo più retto di compierla, evitando l'ostentazione, il formalismo, l'ipocrisia. Gli stessi rabbini insegnavano: "Colui che fa della preghiera un dovere, che ritorna a ora fissa, non prega con il cuore". Il richiamo di Gesù è sulla stessa linea della tradizione profetica e sapienziale e trova conferma nei suoi successivi insegnamenti e più ancora nella sua vita. 
Il digiuno è un'altra importante pratica della vecchia e della nuova "giustizia". Esso è un atto penitenziale che completa e aiuta la preghiera. Gesù, come i profeti, non condanna il digiuno ma il modo nel quale era fatto. Invece di esprimere la propria umiliazione, esso diventava una manifestazione di orgoglio. Il digiuno cristiano, come l'elemosina e la preghiera, deve essere compiuto di nascosto. 
Il cristiano non deve fare ostentazione della sua penitenza; deve anzi nasconderla con un atteggiamento gioioso. Il digiuno, come ogni altra sofferenza, è una fonte di gioia perché ottiene un maggior avvicinamento a Dio. 
L'invito di Gesù ad assumere un atteggiamento giulivo invece che tetro, sottolinea il significato definitivo della penitenza cristiana: poter soffrire è una grazia (cfr 1Pt 2,19) 
Padre Lino Pedron
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Il Purgatorio è l'anticamera del Paradiso

La Madonna più volte ci ha esortati a pregare per le anime del Purgatorio perché per ogni anima è necessaria la preghiera e la grazia per giungere a Dio e all'Amore di Dio. 
Infatti non si prega per i Santi, perché loro non hanno bisogno delle nostre preghiere; nè per i dannati perché le preghiere fatte per loro non gioverebbero a nulla. Le preghiere devono essere fatte solo per quelli che hanno bisogno di aiuto; e questi non possono essere che le anime del Purgatorio.
Cerchiamo di comprendere cos'è il Purgatorio. 
Al di là di questo mondo, che noi vediamo, ve ne è un altro, che i nostri occhi non vedono; è popolato da un infinità di angeli e di anime, che hanno lasciato la terra.
Questo invisibile mondo è diviso in tre grandi regni: Inferno, Purgatorio, Paradiso. 
(nell'inferno)Le pene che vi si soffrono sono eterne.  Sulla sua porta è scritto: Lasciate ogni speranza, voi che entrate (Dante: Inf. canto V, v. 28). 
Bellissimo è il Paradiso: luogo di grande gioia, di canti e suoni angeliche arpe, toccate da mani invisibili Arcangeli. 
Cos'è invece il Purgatorio? 
E' un luogo dove si soffrono pene temporanee; è una specie di carcere, in cui le anime scontano la pena dovuta ai peccati che hanno commesso sulla terra, e poi dopo espiata tale pena se ne volano in cielo. Molti hanno una visione falsa del Purgatorio, se lo immaginano un luogo di torture con fiamme e tormenti, in breve vedono in questo luogo la mano punitrice di Dio...
Non è così: Il Purgatorio sicuramente è un luogo di espiazione, ma esso è anche una delle più belle invenzioni dell'amore di Dio. Perché Dio essendo amore, non può volere che amore. 
Il Purgatorio è un luogo di espiazione ma è anche un luogo di salvezza... Sono tante le anime che dovrebbero precipitare nell' Inferno che vanno in Purgatorio e là sono sicure di andare un giorno in Cielo. 
Le anime che vanno in Purgatorio, sotto i colpi della divina giustizia diventano più belle e degne per il Cielo. In tal modo il Purgatorio è come un grande laboratorio dell'amore di Dio, un luogo di lavoro nel quale il Signore introduce le anime dei trapassati per dar loro gli ultimi tocchi di pennello e renderle degne per il cielo.
Il Purgatorio è il luogo della più squisita tenerezza del Cielo e della terra, della Chiesa trionfante e della Chiesa militante, nel quale camminano assieme per confortare, nel soccorrere e nel liberare le benedette anime purganti.
Miriadi di angeli scendono continuamente nel doloroso carcere e confortano quelle anime più infelici; parlano loro delle meraviglie del Cielo, e tante voltesono proprio loro che le conducono festanti nel Paradiso.
Anche noi abbiamo il dovere di pregare per le anime purganti, recitando il santo Rosario, e con pratiche di pietà, Sante Comunioni e Messe. Questi sono i suffragi che scendono in Purgatorio recando benedizioni grandi alle infelici prigioniere della divina giustizia. 
Al tempo di San Domenico viveva a Roma una donna che aveva avuto una vita scandalosa di nome Caterina; ma le preghiere e i numerosissimi colloqui del santo la convertirono ed ella divenne una fervente devota delle anime del Purgatorio, tutte le sere recitava per loro una corona intera del Santo Rosario. Il Signore dimostrò con un prodigio quanto giovi ai defunti la recita della coronadel Rosario. Mentre un giorno Caterina recitava la terza parte del rosario, ebbe una visione: vide Gesù, dal cui adorabile corpo uscirono cinquanta getti di acqua, che cadevano in Purgatorio e ristoravano le anime benedette. (Recitando la terza parte del Rosario, si lucrano 5 anni d'indulgenza; 10 anni, se la si recita in gruppo. Pio XII, 26 luglio 1946). 
Ave Maria!
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martedì 19 giugno 2012

Lo hai sempre accanto

Com'è stupenda l'efficacia della Sacra Eucaristia, nell'azione — e ancor prima nello spirito — delle persone che la ricevono con frequenza e devozione. (Forgia, 303) 


Se quegli uomini, per un pezzo di pane — per quanto il miracolo della moltiplicazione sia molto grande — si entusiasmano e ti acclamano, che cosa dovremo fare noi per i molti doni che ci hai concesso e specialmente perché ti dai a noi senza riserve nell'Eucaristia? (Forgia, 304) 


Bambino buono: gli innamorati, su questa terra, come baciano i fiori, la lettera, il ricordo di chi amano!... 
— E tu, potrai forse dimenticarti che lo hai sempre accanto... Lui!? 
— Ti dimenticherai... che lo puoi mangiare? (Forgia, 305) 


Affàcciati molte volte in oratorio, per dire a Gesù:... mi abbandono nelle tue braccia. 
 — Lascia ai suoi piedi ciò che hai: le tue miserie! 
 — In questo modo, nonostante il turbinìo di cose che ti porti dietro, non mi perderai mai la pace. (Forgia, 306)
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Amate i vostri nemici

Mt 5,43-48 
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico.Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. 


Il comandamento dell'amore, esteso indistintamente a tutti, è il supremo completamento della Legge (v.17). A questa conclusione Gesù è arrivato lentamente dopo aver parlato dell'astensione dall'ira e dell'immediata riconciliazione (vv.21-26), del rispetto verso la donna (vv.27-30) e la propria moglie (vv.31-32), della verità e sincerità nei rapporti interpersonali (vv.33-37), fino alla rinuncia alla vendetta e alle rivendicazioni (vv.38-42). 
Il principio dell'amore del prossimo è illustrato con due esemplificazioni pratiche: pregare per i nemici e salutare tutti senza discriminazione. La più grande sincerità di amore è chiedere a Dio benedizioni e grazie per il nemico. Questo vertice dell'ideale evangelico si può comprendere solo alla luce dell'esempio di Cristo (cfr Lc 23,34) e dei suoi discepoli (cfr At 7,60). 
Colui che prega per il suo nemico viene a congiungersi con lui davanti a Dio. In senso cristiano la preghiera è la ricompensa che il nemico riceve in cambio del male che ha fatto. Il precetto della carità non tiene conto delle antipatie personali e dei comportamenti altrui. 
Il prossimo di qualsiasi colore, buono o cattivo, benevolo o ingrato dev'essere amato. Il nemico è colui che ha maggiormente bisogno di aiuto: per questo Gesù ci comanda di offrirgli il nostro soccorso. Il comandamento dell'amore dei nemici rivoluziona i comportamenti tradizionali dell'uomo. 
La benevolenza cristiana non è filantropia, ma partecipazione all'amore di Dio.
La sua universalità si giustifica solo in questa luce: "affinché siate figli del Padre vostro (v.45), e "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli" (v. 48). Il cristiano esprime nel modo più sicuro e più vero la sua parentela con Dio amando indistintamente tutti. L'amore del nemico è l'essenza del cristianesimo. 
Sant'Agostino ci insegna che "la misura dell'amore è amare senza misura", ossia infinitamente, come ama Dio. In quanto figli di Dio i cristiani devono assomigliare al loro Padre nel modo di essere, di sentire e di agire. L'amore verso i nemici è la via per raggiungere la sua stessa perfezione. 
La perfezione di cui parla Matteo è l'imitazione dell'amore misericordioso di Dio verso tutti gli uomini, anche se ingiusti e malvagi. 
Il cristiano è una nuova creatura (cfr 2Cor 5,17) e non può più agire secondo i suoi istinti e capricci, ma conformemente alla vita nuova in cui è stato rigenerato. Gesù pone come termine della perfezione l'agire del Padre, che è un punto inarrivabile. 
L'imitazione del Padre, e conseguentemente di Gesù, è l'unica norma dell'agire cristiano, l'unica via per superare la morale farisaica. Essere perfetti come il Padre è in concreto imitare Cristo nella sua piena ed eroica sottomissione alla volontà del Padre, e nella sua dedizione ai fratelli. 
É perciò diventando perfetti imitatori di Cristo, che si diventa perfetti imitatori del Padre. 
Padre Lino Pedron
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lunedì 18 giugno 2012

Io vi dico di non opporvi al malvagio

Mt 5,38-42 38
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra,  e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.  E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due.  Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. 

La frase "occhio per occhio e dente per dente" riporta la legge del taglione (Es 19,15-51; 21,24; Lv 24,20). É uno dei capisaldi delle legislazioni antiche (Codice di Hammurabi e Legge delle dodici tavole). Essa doveva sostituire la legge della vendetta di sangue (Gen 4,23). 
Al tempo di Gesù la legge del taglione era ancora vigente, ma poteva essere sostituita con un risarcimento in denaro. La non-violenza richiesta da Gesù non è vile rassegnazione, ma forza e intraprendenza dell'amore. 
La potenza dell'impotenza ha la sua più alta manifestazione in Gesù che "fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio" (2Cor 13,4) e poggia sulla fede che l'impotenza della croce vince il male. 
 Con il principio della non-violenza Gesù contrappone alla mentalità giuridica dell'Antico Testamento il nuovo ideale dell'amore. 
Il male perde la sua forza d'urto solo quando non trova resistenza. La Chiesa perseguitata ha assunto questo atteggiamento comandato da Gesù: "Gli apostoli se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù" (At 5,41). 
I quattro esempi elencati da Matteo hanno lo scopo di illustrare il comandamento: "Ma io vi dico di non opporvi al malvagio". Lo schiaffo sulla guancia destra è particolarmente doloroso e oltraggioso perché è un manrovescio. Gesù flagellato e schiaffeggiato conferma con il suo esempio la validità del suo insegnamento (Mt 26,67; Is 50,6). 
La lite giudiziaria con chi pretende la tunica come caparra o come risarcimento danni non ha più senso per il discepolo di Gesù, anzi, egli non farà valere per sé neppure il comandamento che vietava il pignoramento del mantello del povero e il dovere di restituirglielo prima del tramonto del sole (Es 22,25; Dt 24,13): egli darà la tunica e il mantello senza opporre resistenza. Il terzo esempio che mette il discepolo a confronto con la violenza è quello della requisizione da parte di autorità militari o statali per costringerlo a prestazioni forzate. 
Ne abbiamo un esempio in Mt 27,32: "Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prendere su la croce di lui". Il miglio (= 1478,70 metri) era una misura romana e quindi richiama concretamente la dominazione dell'impero di Roma al tempo di Gesù e dell'evangelista. Quando gli saranno imposte queste prestazioni forzate, il discepolo di Gesù non deve ribellarsi o coltivare astio nel cuore, ma prestarsi liberamente e di buon animo a fare con gioia il doppio di quanto esige da lui la prepotenza del malvagio. 
Il quarto esempio ci presenta i poveri e i richiedenti. Essi non sono dei nemici o dei malvagi, ma possono suscitare una reazione violenta a causa delle cattive esperienze fatte in precedenza. Leggiamo nel Libro del Siracide 29,4-10: "Molti considerano il prestito come una cosa trovata e causano fastidi a coloro che li hanno aiutati. Prima di ricevere, ognuno bacia le mani del creditore, parla con tono umile per ottenere gli averi dell'amico; ma alla scadenza cerca di guadagnare tempo, restituisce piagnistei e incolpa le circostanze. Se riesce a pagare, il creditore riceverà appena la metà e dovrà considerarla come una cosa trovata. In caso contrario il creditore sarà frodato dei suoi averi e avrà senza motivo un nuovo nemico; maledizioni e ingiurie gli restituirà, renderà insulti invece dell'onore dovuto. Tuttavia sii longanime con il misero e non fargli attendere troppo l'elemosina. Per il comandamento soccorri il povero secondo la sua necessità, non rimandarlo a mani vuote. Perdi pure denaro per un fratello e amico, non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra". 
La motivazione del comandamento: "Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle" sarà evidenziata nel seguito del vangelo da Gesù stesso che ci comanda la conformità con il comportamento del Padre: "Il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano" (Mt 7,11). 
Attraverso questi atteggiamenti i discepoli si dimostrano amici dei loro nemici e tentano di cooperare con Dio per il ravvedimento degli ingiusti e dei malvagi come ha fatto Gesù. 
San Paolo ha sintetizzato questo insegnamento in Rm 12,21: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male". 
Se questi princìpi e questi comportamenti entrassero nella società, essa non solo non ne avrebbe un danno, ma vedrebbe migliorare i rapporti umani più di quanto possono ottenere tutti gli apparati della giustizia, della prevenzione e della repressione 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 18/VI/2012

Signore, tu non sei venuto per abolire ma per portare a compimento. 
Il Dio dei nostri padri ci ha educati per secoli, insegnandoci a non vendicarci rispondendo al male con un male più grande. 
Ma alla fine di questo tempo, tu vuoi insegnarci a sopprimere il male prendendolo su noi stessi, come tu stesso hai fatto, rispondendo al male con il bene, per mezzo di un eccesso di bene che aspira il male e lo trasforma. 
Benedici, Signore, coloro che sono eccessivi nel bene, affinché il loro atteggiamento cambi il cuore di quelli che li circondano e ci ricordi le esigenze del tuo Vangelo.
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domenica 17 giugno 2012

La Corona delle Grazie

“O santa corona del Rosario!”. Questa invocazione alla corona del Rosario viene spontanea quando noi vediamo la corona fra le mani della Regina del Rosario a Pompei, fra le mani dell’Immacolata a Lourdes, fra le mani del Cuore Immacolato a Fatima. 
Quanto deve essere preziosa questa corona del Rosario se la Madonna stessa la tiene fra le sue mani di Regina del cielo e della terra, se da Lei tessa, in persona, ci è stata presentata a Lourdes, e ci è stata raccomandata con insistenza materna a Fatima! 
Da san Domenico in poi, del resto, la corona del Rosario è stata fra le mani di schiere di Santi e di Papi, di mistici e di missionari, di statisti e di artisti, di scienziati e di eroi, di uomini e di donne, di vecchi e di bambini, in ogni tempo e in ogni parte della terra. 
Ricordiamo, ad esempio, san Francesco di Sales, santa Margherita Maria Alacoque, sant'Alfonso de’ Liguori, santa Bernardetta Soubirous, san Pio X, santa Maria Goretti, san Pio da Pietrelcina, la beata Teresa di Calcutta… Possiamo ricordare anche gli scienziati Galileo Galilei, Ampère, Pasteur, Marconi; i musicisti Vivaldi, Gluck; i pittori Michelangelo e beato Angelico; i pensatori e letterati, Rosmini e Manzoni… 
“O santa corona del Rosario!”. 
La corona del Rosario è “santa” perché produce cose sante, ottiene grazie, attira molte benedizioni, non soltanto su chi recita la corona, ma anche sulla casa, sulla famiglia e sul lavoro di chi la recita. 
La corona del Rosario è “santa” perché apre le finestre su venti misteri della vita di Gesù e di Maria, con l’esercizio della contemplazione e dell'amore che conducono l'anima alle vette della santificazione. 
La corona del Rosario è stata anche chiamata e definita in più modi: corona di grazie, roseto di grazie catena di grazie, scrigno di grazie, sorgente di grazie… 
San Pio da Pietrelcina, in particolare, amava dire che la corona del Rosario è anche l’arma per ogni battaglia spirituale e temporale, l’arma vincente contro ogni nemico, l’arma di tutte le vittorie (come Lepanto ci ricorda), per cui la Madonna del Rosario è stata anche chiamata “Nostra Signora delle vittorie!”, molto cara a santa Teresina. Il beato Bartolo Longo, infine, ci augura di morire con la santa corona fra le mani, dando ad essa “l’ultimo bacio della vita che si spegne”, per presentarci al giudizio di Dio con l’anima ravvolta dalla “santa corona del Rosario”. 
(Padre Stefano Maria Pio Manelli) 
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Preghiera del mattino del 17/VI/2012

Fa', Signore, che accetti questo giorno come un seme piantato da te nel cuore della mia vita. 
Fa', Signore, che sia docile alla tua azione, perché tu possa operare in me le tue meraviglie che sorpassano ogni attesa. 
Fa', Signore, che aderisca pienamente alla tua volontà. 
Conducimi dove ti piace. 
Tu conosci la mia vera felicità. 
Fa', Signore, che sappia sempre stupirmi dei tuoi doni. 
E ringraziarti con animo lieto.
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sabato 16 giugno 2012

Messaggio straordinario Medjugorje a Ivan del 15/6/2012

Cari figli, sappiate che la Madre vi ama e con amore desidera guidarvi.


Sono venuta a dirvi che Dio esiste, perciò anche oggi vi invito: decidetevi per Lui, mettetelo nella vostra vita e nelle vostre famiglie al primo posto e andate insieme a Lui nel futuro. 


Cari figli, in questo tempo di grazia che viene desidero che rinnoviate i miei messaggi e che mi diciate: `Si, si`. 


Grazie, cari figli, per avermi detto si.
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Preghiera al Cuore Immacolato di Maria

O Cuore Immacolato di Maria, ardente di bontà, mostra il Tuo amore verso di noi. 
La fiamma del Tuo cuore, o Maria, scenda su tutti gli uomini. 
Noi Ti amiamo tanto. 
Imprimi nei nostri cuori il vero amore così da avere un continuo desiderio di Te. 
O Maria, umile e mite di cuore, ricordaTi di noi quando siamo nel peccato. 
Tu sai che tutti gli uomini peccano. 
Donaci, per mezzo del Tuo Cuore Immacolato la salute spirituale. 
Fa' che sempre possiamo guardare alla bontà del Tuo Cuore materno e che ci convertiamo per mezzo della fiamma del Tuo Cuore. Amen. 


Dettata dalla Madonna a Jelena Vasilj il 28 novembre 1983
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Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo

Lc 2,41-51 
 I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava.E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 

Tre volte all’anno c’erano celebrazioni che richiamavano a Gerusalemme i pellegrini, secondo il comando del Signore: "Tre volte all’anno farai festa in mio onore: Osserverai la festa degli azzimi…Osserverai la festa della mietitura… la festa del raccolto, al termine dell’anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi. Tre volte all’anno ogni tuo maschio comparirà alla presenza del Signore Dio" (Es 23,14-17). 
Il figlio Gesù perduto è ritrovato dopo tre giorni nel tempio cioè nella casa del Padre, seduto. Questo fatto è preannuncio della pasqua di Gesù risorto e seduto alla destra del Padre. Luca narra l’infanzia del Salvatore alla luce degli avvenimenti della sua pasqua di risurrezione. Il racconto che ha sfiorato, con le parole di Simeone, il dramma della passione (la spada), si chiude con l’annuncio della risurrezione. Il quadro dello smarrimento e del ritrovamento presenta anticipatamente il mistero della morte e della risurrezione di Gesù. Maria e Giuseppe rappresentano la comunità cristiana, che ha perso improvvisamente il suo maestro, ma dopo "tre giorni" di attesa e di ricerca riesce a ritrovarlo risuscitato nella gloria del Padre. Qui Gesù nomina per la prima volta il Padre. Le prime e le ultime parole di Gesù riguardano il Padre (Lc 2,49 e 23,46). 
La paternità di Dio fa da inclusione a tutto il vangelo di Gesù secondo Luca. Gesù "deve" essere presso il Padre, ascoltare il Padre e rispondere a ciò che il Padre ha detto. 
L’espressione del testo originale greco en tois tou patros mou dei einai me (v. 49) non significa devo occuparmi delle cose del Padre mio, ma devo essere presso il Padre mio. Non deve meravigliare che Maria e Giuseppe "non compresero le sue parole" ( v. 50). 
Il cammino della rivelazione è ancora lungo. Siamo solo agli inizi. Maria non comprende subito il grande mistero dei tre giorni di Gesù col Padre, ma custodisce nel suo cuore i detti e i fatti. In questo ricordo costante della Parola accolta, il cuore progressivamente si illumina nella conoscenza del Signore. 
Il racconto dell’infanzia si conclude con il ritorno a Nazaret. Per tutto il resto dell’adolescenza e della giovinezza di Gesù Luca non ha nulla di straordinario da segnalarci all’infuori della sua umile sottomissione ai genitori. Nella famiglia egli ha preso il suo posto di figlio rispettoso e obbediente verso quelli che, per volontà del Padre, hanno la responsabilità su di lui. 
L’evangelista conclude annotando che Gesù cresceva in sapienza, in statura e grazia. Egli si rivela sempre più assennato e nello stesso tempo piacevole, amabile. Vi è certamente anche un riflesso della sua bontà e della sua santità, ma non è detto esplicitamente. 
I cristiani sono chiamati a ripercorrere l’esperienza di Maria per diventare come lei, figura e madre di ogni credente. Quanto si racconta di Maria in questi due capitoli è quanto deve fare il cristiano. Ma il modello sublime da imitare e da incarnare fino alla perfezione è soprattutto e sopra tutti il nostro Signore Gesù Cristo. 
Padre Lino Pedron
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