domenica 26 settembre 2010

Comunicazione di assenza

Per motivi strettamente personali non mi sarà possibile aggiornare il blog per almeno 50 giorni.
Potete trovare il Vangelo, la meditazione e il Santo del giorno a questo LINK
Per i messaggi di Medjugorje potete far riferimento a quanto indicato a lato.
Vi chiedo umilmente di pregare per me e i miei familiari e conto di tornare insieme a voi tutti da metà novembre.
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Santi Cosma e Damiano

Dalle fonti a disposizione, risulta che nella storia si siano formate tre diverse coppie dei santi Cosma e Damiano, e con esse tre diverse tradizioni:

1. una tradizione "Asiatica" nella città di Costantinopoli, capitale dell'impero bizantino;
2. una tradizione "Romana" affermatasi in Siria; 3. una tradizione "Arabica" diffusa in Occidente, precisamente a Roma.

Tuttavia le tre diverse tradizioni avevano molti aspetti in comune: le tre facevano riferimento a "fratelli, gemelli e medici". Questi erano in grado di operare prodigiose "guarigioni" e "miracoli" e la loro azione era completamente gratuita nei confronti di tutti, da qui l'appellativo “Anàrgiri” (dal greco anargyroi, nemici del denaro). Con questo termine si designavano nella Chiesa greca i santi che, secondo gli scritti agiografici, esercitavano la medicina senza alcuna retribuzione. Secondo la tradizione agiografica che, sebbene non storicamente verificabile, è supportata dall'antichità del culto loro tributato, i due erano gemelli originari dell'Arabia, appartenenti ad una ricca famiglia. Il padre si convertì al cristianesimo, dopo la loro nascita, ma morì durante una persecuzione in Cilicia; la madre, Teodota (o Teodora), da più tempo cristiana, si occupò della loro prima educazione.

Dopo aver appreso l'arte medica nella provincia romana di Siria, praticarono la loro professione nella città portuale di Ægea, in Cilicia, sul golfo di Alessandretta.
Prestavano la loro opera con assoluto disinteresse, senza mai chiedere retribuzione alcuna, né in denaro, né di altro genere, sia dai ricchi che dai poveri, in applicazione delle parole del vangelo:
« Gratis accepistis, gratis date » - « Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. » (Mt 10,8)
Uno dei loro più celebri miracoli, tramandati dalla tradizione, fu quello di aver sostituito la gamba ulcerata di un loro paziente con quella di un etiope morto di recente.

Secondo la passio, tuttavia, in una sola occasione era stata elargita ai santi una ricompensa, di tre uova nelle mani di Damiano, da parte di una contadina, Palladia, miracolosamente guarita dall'emorroissa. Cosma era rimasto tanto deluso e mortificato per quel gesto da esprimere la volontà che le sue spoglie fossero deposte, dopo la morte, lontane da quelle del fratello.

Durante le persecuzioni dei cristiani promosse da Diocleziano (284 - 305) furono fatti arrestare dal prefetto di Cilicia, Lisia. Avrebbero subito un feroce martirio, così atroce che su alcuni martirologi è scritto che essi furono martiri cinque volte. I supplizi subiti da Cosma e Damiano differiscono secondo le fonti.
Secondo alcune furono lapidati ma le pietre rimbalzavano contro i soldati, secondo altre furono crudelmente fustigati, crocefissi e bersagliati dai dardi, ma questi rimbalzavano senza riuscire a fare loro del male. Altre fonti, ancora, narrano che furono gettati in mare da un alto dirupo con un macigno appeso al collo, ma i legacci si sciolsero e i fratelli riuscirono a salvarsi, o che incatenati e messi in una fornace ardente, non vennero bruciati dal fuoco.

Cosma e Damiano infine vennero decapitati, assieme ai loro fratelli (o discepoli) più giovani, Antimo, Leonzio ed Euprepio, nella città di Cirro, nei pressi di Antiochia.
Dopo il loro martirio coloro che avevano assistito al macabro spettacolo vollero dare degna sepoltura a coloro che tanto bene avevano elargito in vita, cercando anche di rispettare la volontà di Cosma circa la separata sepoltura: ciò, però, fu loro impedito da un cammello che, secondo la leggenda, prese voce dicendo che Damiano aveva accettato quella ricompensa solo perché mosso da spirito di carità, onde evitare che quella povera donna potesse sentirsi umiliata dal rifiuto. I presenti diedero dunque sepoltura ai loro corpi deponendoli l'uno a fianco all'altro.

Il culto dei santi Cosma e Damiano, invocati come potenti taumaturghi, iniziò subito dopo la loro morte. Il vescovo di Cirro, Teodoreto († 458), parla già della divisione delle loro reliquie, inviate alle numerose chiese già sorte in loro onore (a Gerusalemme, in Egitto, in Mesopotamia); l'imperatore Giustiniano I e il patriarca Proclo dedicarono ai santi una basilica di Costantinopoli che divenne meta di numerosi pellegrinaggi; anche a Roma papa Felice IV (526 - 530) edificò, sul sito dell'antico Templum Romuli e della Bibliotheca Pacis, nel Foro di Traiano, una basilica a loro intitolata e ne favorì il culto in opposizione a quello per i pagani Castore e Polluce.

La Chiesa cattolica celebrava la loro memoria liturgica il 27 settembre ma il Servo di Dio Pp Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1963-1978) spostò la festa al 26 settembre e rese il culto facoltativo.
Il loro culto è diffuso in tutto il mondo e in diverse provincie italiane fra cui Bari, Brindisi, Frosinone, Latina (dove c'è il comune di SS. Cosma e Damiano), Lecce, Salerno, nonché in molte città fra cui Bitonto.
Bitonto (Vêtonde in dialetto bitontino), nella provincia di Bari, che possiede le reliquie delle mani dei santi, attira fedeli da tutta Italia per la solenne processione che si tiene la terza domenica di ottobre. Ogni anno la città di Bitonto festeggia i santi medici Cosma e Damiano due volte:
· La prima coincide con la solennità liturgica latina che si celebra il 26 settembre; nei giorni precedenti, i fedeli partecipano alle celebrazioni liturgiche con inni, canti, preghiere e novene.
· La seconda, definita esterna, fu fissata nella terza domenica di ottobre dalla Curia Vescovile di Bitonto nel 1733 ad opera del parroco don Giuseppe Carlo Minnuto. Questa data tra l'altro permetteva alle popolazioni rurali di portare a termine tutte le attività legate alla campagna vinicola. La festa esterna è basata su due eventi essenziali, la così chiamata “Nottata” e la Processione detta “Intorciata”.

Significato del nome Cosma : “ben ordinato, bello” (greco).
Significato del nome Damiano : “domatore” o “del popolo” (greco)

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La vera ricchezza e la vera povertà

Sant’Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Esposizione sui salmi 85, 3 ; CCL 39, 1178

Non fraintendete, fratelli, il mio dire! Le parole: "Dio non china il suo orecchio al ricco" non significano che egli non esaudisce coloro che posseggono oro e argento, famiglia e proprietà, sia che così siano nati o comunque occupino tale posizione sociale. Basta però che si ricordino di quello che dice l'Apostolo: « Ordina ai ricchi di questo mondo di non insuperbire » (1 Tm 6, 17). I possidenti che non insuperbiscono, in Dio sono poveri; e ai poveri, ai miseri, ai bisognosi Dio china il suo orecchio (Sal 85, 1). Sanno infatti che la loro speranza non è nell'oro e nell'argento e neppure nelle altre cose di cui sembrano abbondare nel tempo. Basta che la ricchezza non li porti alla perdizione; basta che non sia loro di ostacolo, dato che di vero giovamento la ricchezza non ne reca... Se uno disprezza in se stesso tutto quello di cui la superbia suole gonfiarsi, è un povero di Dio, e a lui Dio china l'orecchio, perché sa che il suo cuore è umile.

Sicuramente, fratelli, quel povero che giaceva pieno di piaghe dinanzi alla porta del ricco venne portato dagli angeli nel seno di Abramo. Così leggiamo e così crediamo. Invece quel ricco che indossava vesti di porpora e di bisso e ogni giorno banchettava splendidamente fu portato all'inferno in mezzo ai tormenti. Ma forse che quel povero venne preso dagli angeli in grazia della sua miseria, e quel ricco venne gettato ai supplizi per colpa delle sue ricchezze? Dobbiamo comprendere che in quel povero venne premiata l'umiltà, come in quel ricco venne condannata la superbia.
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Vangelo del giorno 26/9/2010 , domenica 26^ settimana t.o.

Dal Vangelo secondo Luca (16,19-31.)

C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente.
Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo.
Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui.
Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.
Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi.
E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento.
Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro.
E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno.
Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».
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sabato 25 settembre 2010

Messaggio Medjugorje 25/09/2010


Cari figli, oggi sono con voi e vi benedico tutti con la mia benedizione materna di pace e vi esorto a vivere ancora di più la vostra vita religiosa perché siete ancora deboli e non siete umili.

Vi esorto figlioli, a parlare di meno e a lavorare di più sulla vostra conversione personale affinché il vostro testimoniare sia fruttuoso.
E la vostra vita sia una preghiera incessante.

Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

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San Cleofa

Discepolo di Gesù

Cleofa (o Clèopa) è uno dei due discepoli che il giorno della risurrezione di Gesù, tornandosene a Emmaus al termine delle celebrazioni pasquali, furono raggiunti per strada e accompagnati dal Risorto, che riconobbero soltanto dopo essere rincasati e avergli generosamente offerto ospitalità.

« Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus,...uno di loro, di nome Clèopa, gli disse:...Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. » (Lc 24,13...21)

Nelle parole che i due discepoli rivolgono allo sconosciuto c'è l'eco di una delusione, comune agli apostoli, in quell'ora della prova. « Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. » (Lc 24,22-23)

Da questo spiraglio di speranza lo sconosciuto fa penetrare la luce della buona novella, spiegando loro le Scritture e poi, accolto il loro invito: « Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. » (Lc 24,28-31)

Cleofa e Alfeo sono la trascrizione e la pronuncia dello stesso nome ebraico Halphai, oppure due nomi portati dalla stessa persona. Presumibilmente perciò Cleofa-Alfeo è il padre di Giacomo il Minore e di Giuseppe, fratelli, cioè cugini, del Signore. Nel Vangelo di Giovanni, Maria, madre di Giacomo e Giuseppe, viene detta sposa di Cleofa e sorella, in senso più o meno proprio, della Madre di Gesù.

Secondo Eusebio e S. Girolamo, Cleofa era nativo di Emmaus. E ad Emmaus, secondo un'antica tradizione, Cleofa, "testimone della risurrezione", fu trucidato dai suoi compaesani, intolleranti del suo zelo e della sua certezza di fede nel Messia risorto.

Il Martirologio Romano ha inserito il suo nome nella data odierna e ne conferma il martirio avvenuto per mano dei Giudei.

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Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini

San Basilio (circa 330-379), monaco e vescovo di Cesarea in Cappadocia, dottore della Chiesa
Omelie sull'umiltà, 5-6

« Chi si abbasserà sarà innalzato, e chi si innalzerà sarà abbassato » (Mt 23, 12)... Imitiamo il Signore che scese dal cielo fino all'ultimo abbassamento, e di rimando, fu innalzato dall'ultimo posto all'altezza che gli si addiceva. Scopriamo tutto ciò che il Signore ci insegna per condurci all'umiltà.

Da bimbo, eccolo già in una grotta, sdraiato non in una culla, ma in una mangiatoia. Nella casa di un artigiano e di una madre senza risorse, è sottomesso a sua madre e al suo sposo. Lasciandosi insegnare, ascoltando coloro di cui non aveva alcun bisogno, interrogava, in tal modo che, all'udire le sue interrogazioni, si meravigliavano della sua saggezza. Si sottomette a Giovanni, e il Maestro riceve il battesimo dal suo servo. Mai resistette a coloro che insorgevano contro di lui, e non diede prova della sua potenza invincibile per liberarsi dalle mani che lo incatenavano, ma si lasciò convincere, come se fosse impotente, e nella misura in cui lo giudicò opportuno, diede adito a un potere effimero. Comparve davanti al sommo sacerdote, in qualità di imputato ; condotto davanti al governatore, si sottomise al suo giudizio, e mentre era in grado di rispondere ai calunniatori, sopportò in silenzio le loro calunnie. Coperto di sputi dagli schiavi e da volgari valletti, fu infine consegnato alla morte, ad una morte infamante agli occhi degli uomini. Tale fu la sua vita di uomo dalla sua nascita fino alla sua fine. Ma dopo un tal abbassamento, fece risplendere la sua gloria... Imitiamolo per giungere, anche noi, alla gloria eterna.
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Vangelo del giorno 25/9/2010 , sabato 25^ settimana t.o.

Dal Vangelo secondo Luca (9,43-45.)

E tutti furono stupiti per la grandezza di Dio. Mentre tutti erano sbalorditi per tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini».
Ma essi non comprendevano questa frase; per loro restava così misteriosa che non ne comprendevano il senso e avevano paura a rivolgergli domande su tale argomento.
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venerdì 24 settembre 2010

San Pacifico da Sanseverino Marche

Sacerdote O.F.M.

Pacifico, al secolo Carlo Antonio Divini, nacque a San Severino Marche (MC) il 1° marzo 1653 da Anton Maria Divini e Maria Angela Bruni, nobili di San Severino.

A causa della morte dei genitori, fu allevato da un austero e rigido zio materno, arcidiacono della cattedrale di San Severino.
A diciassette anni, Carlo Antonio entrò a far parte dell'Ordine dei Frati Minori e prese il nome di Fra Pacifico.

Il 4 giugno 1678 fu ordinato sacerdote; il 25 settembre 1681 fu nominato predicatore e lettore.
Per un triennio insegnò filosofia nel convento di Montalboddo (AN). Dopo aver trascorso un periodo a Urbino, divenne vicario del convento di S. Severino ed infine fu trasferito nel convento di Forano (RI). Qui trascorreva molte ore in preghiera prima di dedicarsi all'opera quotidiana di apostolato. Acceso d'amore, predicò per i vari paesi delle Marche la parola di Cristo.

Nel 1692 fu eletto guardiano del convento di S. Severino; l'anno seguente è di nuovo a Forano dove dimorerà per dodici anni.

Nel settembre 1705 ritornò a S. Severino dove la sua salute andò progressivamente peggiorando. Alla piaga della gamba destra, si aggiunsero sordità e cecità, tanto che negli ultimi anni della vita gli divennero impossibili la celebrazione della messa, l'ascolto delle confessioni dei fedeli e la partecipazione alla vita della comunità.

Morì il 24 settembre 1721: ai funerali ci fu una grande partecipazione di popolo. La sua vita mortificò i superbi, il suo zelo commosse i tiepidi, la sua parola scosse i fedeli. Molti furono i miracoli che il Signore compì mediante la sua intercessione. Non solo i miracoli, ma anche le estasi e lo spirito di profezia resero noto ed ammirato in tutta la regione il frate di San Severino. Di lui si racconta che predisse il terremoto del 1703 e la vittoria di Carlo VI sui Turchi nel 1717.

Pacifico fu canonizzato da Pp Gregorio XVI (Bartolomeo Mauro Alberto Cappellari, 1831-1846) il 26 maggio del 1839.
Il corpo di S. Pacifico si venera nel santuario, che porta il suo nome, a San Severino Marche.

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Ordinò loro severamente di non riferire a nessuno che era il Cristo di Dio

San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d'Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelie sul Vangelo di San Matteo 54, 1-3

« Egli allora raccomanda ai discepoli di non riferire a nessuno che era il Cristo ». Perché quest'ordine ? Perché, scartato ogni motivo di scandalo, compiute la croce e la sua passione, respinto ogni ostacolo in grado di distogliere la folla dal credere in lui, possa imprimersi profondamente e per sempre nelle anime la conoscenza esatta di quello che era. La sua potenza non aveva ancora brillato in modo ecclatante. Attendeva che, prima che lo predicassero, l'evidenza della verità e dell'autorità dei fatti potessero confermare la testimonianza degli Apostoli.

Una cosa era vederlo ora moltiplicare i prodigi in Palestina, poi esposto alle persecuzioni e agli oltraggi – e la croce stava per seguire questi prodigi – ; tutt'altro era vederlo adorato, creduto da tutta la terra, al riparo dagli abusi che aveva subìto un tempo. Per questo raccomanda loro di non dire niente a nessuno... Se gli Apostoli, che erano stati testimoni dei miracoli, che avevano partecipato a tanti misteri ineffabili, si scandalizzavano all'udire una sola parola, e con essi, Pietro stesso, il capo di tutti loro (Mt 16, 22), cosa avrebbero pensato i comuni mortali se, dopo aver sentito dire che Gesù era il Figlio di Dio, egli fosse stato riempito di sputi e inchiodato alla croce ; e tutto questo mentre non si conosceva ancora la ragione di quei misteri e prima della venuta dello Spirito Santo ?
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Vangelo del giorno 24/9/2010 , venerdì 25^ settimana t.o.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 9,18-22.

Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?».
Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».
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giovedì 23 settembre 2010

San Pio da Pietrelcina

Intorno alla sua figura in questi anni si sono versati molti fiumi di inchiostro. Un incalcolabile numero di articoli e tantissimi libri : si conta che approssimativamente sono più di 200 le biografie a lui dedicate soltanto in italiano. “Farò più rumore da morto che da vivo”, aveva pronosticato lui con la sua solita arguzia.
Padre Pio, al secolo Francesco Forgione, nacque il 25 maggio 1887 a Pietrelcina, un piccolo comune alle porte di Benevento; fu battezzato il giorno successivo nella chiesa di Sant'Anna. Gli venne dato il nome Francesco per desiderio della madre, devota a S. Francesco d'Assisi. Il padre Grazio Maria, nato nel 1860, e la madre Maria Giuseppa De Nunzio, nata nel 1859, erano poveri contadini sposati da sei anni ed avevano già avuto tre figli, di cui due già morti, alla nascita di Francesco.
Il 27 settembre 1899 riceve la Comunione e la Cresima dall'allora arcivescovo di Benevento Donato Maria dell'Olio.
Il desiderio di diventare sacerdote si manifestò molto presto e fu sollecitato dalla conoscenza di un frate del convento di Morcone, fra Camillo da S. Elia a Pianisi, che periodicamente passava per Pietrelcina a raccogliere offerte. Le pratiche per l'entrata in convento furono iniziate nella primavera del 1902, quando Francesco aveva 14 anni, ma la sua prima domanda ebbe esito negativo. Solo nell'autunno del 1902 arrivò l'assenso.
Francesco raccontò di aver avuto una visione, il 1° gennaio del 1903 dopo la Comunione, che gli confermava e chiariva la sua vocazione alla continua lotta con satana. La notte del 5 gennaio, l'ultima che passava con la sua famiglia, disse di aver avuto un'altra visione in cui Dio e Maria lo incoraggiavano e lo assicuravano della loro predilezione. La mattina del 6 gennaio, dopo aver assistito alla messa nella chiesa parrocchiale di Pietrelcina, accompagnato dal suo maestro Angelo Caccavo e dal sacerdote don Nicola Caruso, Francesco venne ricevuto al noviziato dei Cappuccini della provincia religiosa di Foggia, a Morcone (Benevento). Il 22 gennaio dello stesso anno, a 15 anni, Francesco vestì i panni di probazione del novizio cappuccino e diventò fra Pio.
Concluso l'anno del noviziato, fra Pio emise la professione dei voti semplici (povertà, castità ed obbedienza) il 22 gennaio del 1904. Tre giorni dopo si recò a S. Elia a Pianisi per intraprendere gli studi ginnasiali. Il 27 gennaio 1907 emise la professione dei voti solenni. Seguì studi classici e di filosofia e nel novembre del 1908 raggiunse Montefusco, dove proseguì i suoi studi di teologia. Il 18 luglio del 1909, ricevette l'ordine del diaconato, nel noviziato di Morcone.
Fu ordinato sacerdote il 10 agosto 1910, nel Duomo di Benevento, da mons. Paolo Schinosi; nell'immagine ricordo della sua prima messa aveva scritto “Gesù, mio sospiro e mia vita, oggi che trepidante ti elevo in un mistero d'amore, con Te io sia per il mondo Via,Verità e Vita e per Te sacerdote santo, vittima perfetta”.
I primi anni di sacerdozio sono compromessi e resi amari dalle sue pessime condizioni di salute, tanto che i superiori lo rimandano più volte a Pietrelcina, nella casa paterna, dove il clima gli è più congeniale. Padre Pio è malato assai gravemente ai polmoni. I medici gli danno poco da vivere. Come se non bastasse, alla malattia si vanno ad aggiungere le terribili vessazioni a cui il demonio lo sottopone, che non lasciano mai in pace il povero frate, torturato nel corpo e nello spirito.
Nel 1916 i superiori pensano di trasferirlo a S. Giovanni Rotondo, sul Gargano, e qui, nel convento di S. Maria delle Grazie, ha inizio per Padre Pio una straordinaria avventura di taumaturgo e apostolo del confessionale. Un numero incalcolabile di uomini e donne, dal Gargano e da altre parti dell'Italia, cominciano ad accorrere al suo confessionale, dove egli trascorre anche quattordici-sedici ore al giorno, per lavare i peccati e ricondurre le anime a Dio.
Il 20 settembre 1918 riceve le stigmate della Passione di Cristo che resteranno aperte, dolorose e sanguinanti, per ben cinquant'anni. Padre Pio viene visitato da un gran numero di medici, subendo incomprensioni e calunnie per le quali deve sottostare a infamanti ispezioni canoniche; si dichiara “figlio dell'obbedienza” e sopporta tutto con serafica pazienza. Infine, viene anche sospeso a divinis e solo dopo diversi anni, prosciolto dalle accuse calunniose, può essere reintegrato nel suo ministero sacerdotale.
La sua celletta, la numero 5, portava appeso alla porta un cartello con una celebre frase di S. Bernardo: “Maria è tutta la ragione della mia speranza”. Maria è il segreto della grandezza di Padre Pio, il segreto della sua santità. A Lei, nel maggio 1956, dedica la Casa Sollievo della Sofferenza, una delle strutture sanitarie oggi più qualificate a livello nazionale e internazionale, con più di 70.000 ricoveri l'anno, attrezzature modernissime e collegamenti con i principali istituti di ricerca nel mondo.
Negli anni '40, per combattere con l'arma della preghiera la tremenda realtà della seconda guerra mondiale, Padre Pio diede avvio ai Gruppi di Preghiera, una delle realtà ecclesiali più diffuse attualmente nel mondo, con oltre duecentomila devoti sparsi in tutta la terra. Con la Casa Sollievo della Sofferenza essi costituiscono la sua eredità spirituale, il segno di una vita tutta dedicata alla preghiera e contrassegnata da una devozione ardente alla Vergine.
Da Lei il frate si sentiva protetto nella sua lotta quotidiana col demonio, il “cosaccio” come lo chiamava, e per ben due volte la Vergine lo guarisce miracolosamente, nel 1911 e nel 1959. In quest'ultimo caso i medici lo avevano dato proprio per spacciato quando, dopo l'arrivo della Madonna pellegrina di Fatima a San Giovanni Rotondo, il 6 agosto 1959, Padre Pio fu risanato improvvisamente, tra lo stupore e la gioia dei suoi devoti.
“Esiste una scorciatoia per il Paradiso?”, gli fu domandato una volta. “Sì”, lui rispose, “è la Madonna”. “Essa - diceva il frate di Pietrelcina - è il mare attraverso cui si raggiungono i lidi degli splendori eterni”. Esortava sempre i suoi figli spirituali a pregare il Rosario e ad imitare la Madonna nelle sue virtù quotidiane quali l'umiltà, la pazienza, il silenzio, la purezza, la carità.
“Vorrei avere una voce così forte – diceva - per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna”.
Lui stesso aveva sempre la corona del rosario in mano; lo recitava incessantemente, per intero, soprattutto nelle ore notturne. “Questa preghiera – diceva Padre Pio – è la nostra fede, il sostegno della nostra speranza, l'esplosione della nostra carità”.
Il suo testamento spirituale, alla fine della sua vita, fu: “Amate la Madonna e fatela amare. Recitate sempre il Rosario”.
Tra i segni miracolosi del santo frate ci sono, oltre alle stigmate, il dono della bilocazione e della capacità di leggere nei cuori e nella mente delle persone.
Padre Pio morì, all'età di 81 anni, il 23 settembre 1968; ai suoi funerali parteciparono più di centomila persone giunte da ogni parte d'Italia.

Il 20 marzo 1983 iniziò il processo diocesano per la sua canonizzazione.
Il 21 gennaio 1990 Padre Pio venne proclamato venerabile; fu beatificato il 2 maggio 1999 e proclamato santo il 16 giugno 2002 dal Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005).

Il vostro servitore, che ha preparato questa composizione agiografica, ha conosciuto Padre Pio (a l'occasione di una visita fatta a S. Giovanni Rotondo col Seminario Arcivescovile di Napoli) e messo fuori dalla sacrestia, dallo stesso Padre Pio, insieme ad un altro seminarista, divenuto poi prete (Don Luigi Graziuso), per aver scattato due foto di nascosto (la pellicola, stranamente, risultò nera).
Nella chiesa del citato amico, fine 1998, si impresse indelebilmente, su un pezzo di marmo di carrara, di uno dei pilastri della parte destra della navata centrale, l'effigie di Padre Pio, tuttora visibile.
Per la cronaca : ci fu il prelievo e sequestro del marmo in questione, da parte della Curia, e restituito dopo diversi mesi di accurati controlli per verificare, come era il caso, che non ci fossero artifizi. (gpm)

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Erode cercava di vedere Gesù

Sant'Ireneo di Lione (circa130-circa 208), vescovo, teologo e martire
Contro le Eresie, libro IV, 20, 4-5 : SC 100, p. 639s

I profeti annunziavano in anticipo che Dio sarebbe stato visto dagli uomini come lo dice anche il Signore : « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » (Mt 5, 8). Certo, secondo la sua grandezza e la sua inenarrabile gloria, « nessun uomo può vedere Dio e restare vivo » (Es 33, 20), perché il Padre è inafferrabile. Ma grazie al suo amore, alla sua bontà verso gli uomini e alla sua onnipotenza, giunge fino a concedere a coloro che lo amano il privilegio di vedere Dio – ciò che, precisamente, profetizzavano i profeti – poiché « ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio » (Lc 18, 27).

Da sé stesso, infatti, l'uomo non potrà mai vedere Dio ; invece Dio, se lo vuole, potrà essere visto dagli uomini, da coloro che egli vuole, quando lo vuole e nel modo in cui egli vuole. Perché Dio può tutto : visto, un tempo, con la mediazione dello Spirito secondo il modo profetico, visto poi tramite il Figlio, secondo l'adozione, sarà visto ancora nel Regno dei cieli secondo la paternità, poiché lo Spirito prepara in anticipo l'uomo indirizzandolo verso il Figlio di Dio, il Figlio lo conduce al Padre, e il Padre dona l'incorruttibilità e la vita eterna, che risultano dalla visione di Dio per coloro che lo vedono. Perché, così come coloro che vedono la luce sono nella luce e partecipano al suo splendore, così coloro che vedono Dio sono in Dio e partecipano al suo splendore. Ora, vivificante è lo splendore di Dio. Dunque parteciperanno alla sua vita, coloro che vedono Dio.
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Vangelo del giorno 23/9/2010 , giovedì 25^ settimana t.o.

Dal Vangelo secondo Luca (9,7-9.)

Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», altri: «E' apparso Elia», e altri ancora: «E' risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo.
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mercoledì 22 settembre 2010

San Maurizio

Martire, Patrono degli Alpini

Maurizio (noto anche come Moritz, Morris, o Mauritius), secondo le agiografie, sarebbe stato un generale dell'impero romano, a capo della leggendaria legione Tebea egiziano-romana.
Secondo i documenti agiografici la legione, interamente composta da cristiani, che normalmente prestava servizio ai confini orientali dell'impero, venne riposizionata in Gallia dall'imperatore Diocleziano. Il compito della legione era di assistere militarmente Massimiano nella difesa contro i Quadi e Marcomanni, barbari che dal fiume Reno tracimavano nella Gallia, e di sottomettere le popolazioni ribelli locali. I soldati eseguirono brillantemente la loro missione, tuttavia, quando Massimiano ordinò di perseguitare ed uccidere alcune popolazioni locali del Vallese convertite al cristianesimo, molti tra i soldati tebani si rifiutarono.

Massimiano ordinò una severa punizione per l'unità e, non bastando la sola flagellazione dei soldati ribelli, si decise di applicare la decimazione (una punizione militare che consiste nell'uccisione di un decimo dei soldati, mediante decapitazione). In seguito vennero ordinate altre azioni dello stesso tipo contro le popolazioni locali, cosa che portò la legione a rifiutare di nuovo il compito repressivo assegnato, anche in seguito all'incoraggiamento del generale Maurizio.
Massimiano ordinò quindi una seconda decimazione che i soldati tebani accettarono rassegnati e restarono fermi nel rifiutare di compiere qualsiasi tipo di violenza contro i loro confratelli cristiani. Sant'Eucherio, vescovo di Lione, fonte storicamente attendibile, racconta, nella Passio martyrum Acaunensium che Maurizio ed i suoi compagni avevano comunque scritto all'imperatore una lettera onde spiegargli le valide motivazioni della loro ribellione: « Siamo tuoi soldati, ma anche servi di Dio, cosa che noi riconosciamo francamente. A te dobbiamo il servizio militare, a lui l'integrità e la salute, da te abbiamo percepito il salario, da lui il principio della vita [...]. Metteremo le nostre mani contro qualunque nemico, ma non le macchieremo col sangue degli innocenti [...]. Noi facciamo professione di fede in Dio Padre Creatore di tutte le cose e crediamo che suo Figlio Gesù Cristo sia Dio... Ecco deponiamo le armi [...] preferiamo morire innocenti che uccidere e vivere colpevoli [...] non neghiamo di essere cristiani [...] perciò non possiamo perseguitare i cristiani ».
Il luogo dell'eccidio, allora noto come Agaunum in Raetia, è attualmente Saint Maurice-en-Valais, in Svizzera, dove si trova un'abbazia dedicata a S. Maurizio: l'Abbazia territoriale di S. Maurizio d'Agauno. Tra gli scampati all'eccidio vi era S. Alessandro, che successivamente divenne vescovo di Bergamo.

S. Maurizio viene raffigurato tradizionalmente nella sua armatura; in Italia si aggiunge una croce rossa sul suo scudo o armatura. Nella cultura popolare è stato messo in rapporto con la leggenda della Lancia del Destino, che avrebbe portato in battaglia; il suo nome è inciso sulla Lancia Sacra di Vienna, una delle reliquie che si sostiene siano la lancia che trafisse il costato di Gesù sulla croce.
S. Maurizio dà il suo nome alla località vacanziera di montagna St. Moritz così come a numerosi luoghi chiamati Saint-Maurice nei paesi di lingua francese. Oltre 650 istituti religiosi dedicati a S. Maurizio sono presenti in Francia e in altri Paesi europei. San Maurizio è oggi considerato innanzitutto quale patrono di Casa Savoia e dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, ma anche di altri ordini cavallereschi quale quello del Toson d'Oro di Spagna e Austria.

Inoltre sotto il patronato del santo sono posti i soldati, in particolare degli Alpini, delle Guardie Svizzere e dell'Esercito Francese Alpino. Le chiese in onore di S. Maurizio iniziarono a pullulare in Valle d'Aosta, Piemonte, Francia, Germania e Svizzera; otto città inglesi, cinquantadue toponimi francesi includono il suo nome, in Piemonte San Maurizio Canavese nonchè San Maurizio di Opaglio nel novarese, dove il santo e la sua legione sarebbero transitati, ed infine in Liguria Porto Maurizio.

Significato del nome Maurizio : «figlio di Mauro» (latino).

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E li mandò ad annunziare il regno di Dio

Concilio Vaticano II
Decreto sull'attività missionnaria della Chiesa « Ad Gentes », § 1 - Copyright © Libreria Editrice Vaticana

Inviata per mandato divino alle genti per essere « sacramento universale di salvezza » (1) la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità ed all'ordine specifico del suo fondatore (Cf. Mc 16,15), si sforza di portare l'annuncio del Vangelo a tutti gli uomini. Ed infatti gli stessi apostoli, sui quali la Chiesa fu fondata, seguendo l'esempio del Cristo, « predicarono la parola della verità e generarono le Chiese» (S. Agostino). È pertanto compito dei loro successori perpetuare quest'opera, perché « la parola di Dio corra e sia glorificata » (2 Ts 3,1) ed il regno di Dio sia annunciato e stabilito su tutta quanta la terra.

D'altra parte, nella situazione attuale delle cose, in cui va profilandosi una nuova condizione per l'umanità, la Chiesa, sale della terra e luce del mondo (Cf. Mt 5,13-14), avverte in maniera più urgente la propria vocazione di salvare e di rinnovare ogni creatura, affinché tutto sia restaurato in Cristo e gli uomini costituiscano in lui una sola famiglia ed un solo popolo di Dio.
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Vangelo del giorno 22/9/2010 , mercoledì 25^ settimana t.o.

Dal Vangelo secondo Luca (9,1-6.)

Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le malattie. E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno. In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino. Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi».
Allora essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni.
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martedì 21 settembre 2010

San Matteo

Apostolo ed Evangelista

Matteo, di professione esattore delle tasse, fu chiamato da Gesù ad essere uno dei dodici apostoli; la tradizione cristiana, fin dal 200, lo ritiene autore del primo vangelo. A lui si dovrebbe quindi la redazione dell'omonimo Vangelo in cui lo stesso viene chiamato anche Levi o il pubblicano.

Diversamente dagli altri tre evangelisti, il vangelo di Matteo non è scritto in greco ma in lingua “ebraica” secondo gli scrittori antichi; quasi sicuramente si tratta dell'aramaico, allora parlato in Palestina. Matteo ha voluto innanzitutto parlare ai cristiani di origine ebraica e ad essi è fondamentale presentare gli insegnamenti di Gesù come conferma e compimento della Legge mosaica. Di continuo egli lega fatti, gesti, detti relativi a Gesù con richiami all'Antico Testamento, per far ben capire da dove egli viene e che cosa è venuto a realizzare.
Scritto in una lingua per pochi, il testo di Matteo diventa libro di tutti dopo la traduzione in greco: la Chiesa ne fa strumento di predicazione in ogni luogo, lo usa nella liturgia.
Solitamente viene raffigurato anziano e barbuto ed ha, come emblema, un angelo che lo ispira o gli guida la mano mentre scrive il Vangelo; spesso ha accanto una spada simbolo del suo martirio. Levi, in quanto pubblicano, era membro di una delle categorie più odiate dal popolo ebraico. In effetti a quell'epoca gli esattori delle tasse pagavano in anticipo all'erario romano le tasse del popolo e poi si rifacevano come usurai tartassando la gente. I sacerdoti, per rispettare il 1° comandamento, vietavano al popolo ebraico di maneggiare le monete romane che portavano l'immagine dell'imperatore. I pubblicani erano quindi accusati di essere peccatori perché veneravano l'imperatore.

Gesù « Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Egli alzatosi, lo seguì. » (Mc 2,14)
Matteo tenne un banchetto: «Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: "Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?" Avendo udito questo, Gesù disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”. (Mc 2,15-17)

Gesù lo scelse come membro del gruppo dei dodici apostoli, e come tale appare nelle tre liste che ci hanno tramandato i tre vangeli sinottici: Matteo 10,3; Marco 3,18; Luca 6,15. Il suo nome appare anche negli Atti dove si menzionano gli apostoli che costituiscono la timorosa comunità sopravvissuta alla morte di Gesù. «Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C'erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta e Giuda di Giacomo.» (At 1,13)
Ancora dagli Atti, Matteo risulta presente con gli altri Apostoli all’elezione di Mattia, che prende il posto di Giuda Iscariota. Ed è in piedi con gli altri undici, quando Pietro, nel giorno della Pentecoste, parla alla folla, annunciando che Gesù è "Signore e Cristo". Poi, ha certamente predicato in Palestina, tra i suoi, ma ci sono ignote le vicende successive. La Chiesa lo onora come martire.

Secondo alcune tradizioni, Matteo sarebbe morto in Etiopia. Le sue reliquie sarebbero state portate in Campania, nella Diocesi di Capaccio. Ritrovate, sotto i Longobardi, furono portate il 6 maggio 952 a Salerno, di cui Matteo é il Patrono, dove sono attualmente conservate nella cripta della cattedrale.
San Matteo è anche il patrono dei banchieri, bancari, doganieri, guardie di finanza, cambiavalute, ragionieri, contabili ed esattori.

Significato del nome Matteo: “uomo di Dio” (ebraico).

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Uno dei primi documenti storici degli evangelisti

Sant'Ireneo di Lione (circa130-circa 208), vescovo, teologo e martire
Contro le eresie, III, 11,8 ; 9,1

Gli apostoli andarono fino ai confini della terra, proclamando la buona novella dei benefici di Dio e annunciando agli uomini la pace del cielo (Lc 2,14), loro che possedevano ciascuno in particolare e tutti in egual misura, la Buona Novella di Dio. Matteo precisamente, ha pubblicato dagli Ebrei, una forma scritta del vangelo nella loro lingua, mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e vi fondavano la Chiesa. Dopo la loro morte, Marco, il discepolo e l'interprete di Pietro (1 Pt 5, 13), ci ha trasmesso, pure per iscritto, la predicazione di Pietro. Anche Luca, il compagno di Paolo, ha messo per iscritto il vangelo predicato da lui. Poi, anche Giovanni, il discepolo del Signore che aveva riposato sul petto di Gesù (Gv 13, 25), ha pubblicato il vangelo durante il suo soggiorno a Efeso.

Matteo, nel suo vangelo, racconta la generazione di Cristo come uomo : « Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo... Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo » (Mt 1, 1-18). Questo vangelo presenta quindi Cristo in veste umana ; per questo Cristo è sempre animato da sentimenti di umiltà e rimane un uomo di mansuetudine... L'apostolo Matteo conosce un solo e unico Dio che ha promesso ad Abramo di moltiplicare la sua discendenza quanto le stelle del cielo (Gen 15, 5) e, per mezzo di suo Figlio Cristo Gesù ci ha chiamati dal culto di pietre alla conoscenza di lui (Mt 3, 9), cosicché « diventi suo popolo quello che non era suo popolo e sua diletta quella che non era sua diletta » (Os 2, 25 ; Rm 9, 25).
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Vangelo del giorno 21/9/2010 , martedì 24^ settimana t.o. - S.Matteo

Dal Vangelo secondo Matteo (9,9-13.)

In quel tempo, Gesù passando, vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
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lunedì 20 settembre 2010

SS. Andrea Kim Tae-gon e compagni

La Chiesa coreana ha la caratteristica, forse unica, di essere stata fondata e sostenuta da laici. Infatti, agli inizi del 1600, la fede cristiana comparve in Corea tramite le delegazioni che ogni anno visitavano Pechino per uno scambio culturale con la Cina. E in Cina i coreani vennero in contatto con la fede cristiana, portando in patria il libro del grande padre Matteo Ricci “La vera dottrina di Dio”. Un laico, Lee Byeok, grande pensatore, ispirandosi al libro del famoso missionario gesuita, fondò una prima comunità cristiana molto attiva.
Intorno al 1780, Lee Byeok pregò un suo amico Lee-Sunghoon, che faceva parte della solita delegazione culturale in partenza per la Cina, di farsi battezzare e al ritorno portare con sé libri e scritti religiosi adatti ad approfondire la nuova fede.
Nella primavera del 1784 l'amico ritornò con il nome di Pietro, dando alla comunità un forte impulso; non conoscendo bene la natura della Chiesa, il gruppo si organizzò con una gerarchia propria celebrando il battesimo e non solo, ma anche la cresima e l'eucaristia.
Informati dal vescovo di Pechino che per avere una gerarchia occorreva una successione apostolica, lo pregarono di inviare al più presto dei sacerdoti; furono accontentati con l'invio di un prete Chu-mun-mo, così la comunità coreana crebbe in poco tempo a varie migliaia di fedeli.
Purtroppo anche in Corea si scatenò ben presto una persecuzione fin dal 1785, che si incrudeliva sempre più, finché nel 1801 anche l'unico prete venne ucciso, ma questo non bloccò affatto la crescita della comunità cristiana.
Il re nel 1802 emanò un editto di stato, in cui si ordinava addirittura lo sterminio dei cristiani, come unica soluzione per soffocare il germe di quella “follia”, ritenuta tale dal suo governo.
Rimasti soli e senza guida spirituale, i cristiani coreani chiedevano continuamente al vescovo di Pechino ed anche al papa di avere dei sacerdoti; ma le condizioni locali lo permisero solo nel 1837, quando furono inviati un vescovo e due sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi; i quali penetrati clandestinamente in Corea furono martirizzati due anni dopo.
Un secondo tentativo operato da Andrea Kim Tae-gon, riuscì a fare entrare un vescovo ed un sacerdote, da quel momento la presenza di una gerarchia cattolica in Corea non mancherà più, nonostante che nel 1866 si ebbe la persecuzione più accanita; nel 1882 il governo decretò la libertà religiosa.
Breve tratto biografico dei due capoelenco liturgico del gruppo dei 103 santi martiri: Andrea Kim Tae-gon e Paolo Chong Ha-sang:

1. Andrea Kim Tae-gon nato nel 1821 da una nobile famiglia cristiana, crebbe in un ambiente decisamente ispirato ai principi cristiani, il padre, in particolare, aveva trasformato la sua casa in una “chiesa domestica”, ove affluivano i cristiani ed i neofiti della nuova fede, per ricevere il battesimo; scoperto tenne con forza la sua fede, morendo martire a 44 anni. Aveva 15 anni quando uno dei primi missionari francesi arrivati in Corea nel 1836, lo inviò a Macao per prepararlo al sacerdozio. Ritornò come diacono nel 1844 per preparare l'entrata del vescovo mons. Ferréol, organizzando una imbarcazione con marinai tutti cristiani, andando a prenderlo a Shanghai, qui fu ordinato sacerdote e insieme, di nascosto con un viaggio avventuroso, penetrarono in Corea, dove lavorarono insieme sempre in un clima di persecuzione.
Con la nobiltà del suo atteggiamento, con la capacità di comprendere la mentalità locale, riuscì ad ottenere ottimi risultati d'apostolato. Nel 1846 il vescovo Ferréol lo incaricò di far pervenire delle lettere in Europa, tramite il vescovo di Pechino, ma durante il suo incontro con le barche cinesi, fu casualmente scoperto ed arrestato.
Subì gli interrogatori e gli spostamenti di carcere prima con il mandarino, poi con il governatore e, giacché era un nobile, alla fine con il re: a tutti manifestò la fedeltà al suo Dio, rifiutando i tentativi di farlo apostatare, nonostante le atroci torture; alla fine venne decapitato il 16 settembre del 1846 a Seul; primo sacerdote martire della nascente Chiesa coreana.

2. Paolo Chong Ha-sang. Eroico laico coreano, era nato nel 1795 a Mahyan. Il padre Agostino e il fratello Carlo vennero martirizzati nel 1801; la sua famiglia, composta da lui, la madre Cecilia e la sorella Elisabetta, venne imprigionata e privata di ogni bene; furono costretti ad andare ospiti di un parente, ma appena gli fu possibile si trasferì a Seul aggregandosi alla comunità cristiana. Andò perlomeno quindici volte a Pechino in viaggi difficilissimi fatti a piedi, spinto dall'eroismo di una fede genuina, professata nonostante i gravi pericoli. Collaborò alacremente affinché il primo sacerdote Yan arrivasse in Corea e poi, dopo di lui, i missionari francesi: il vescovo Imbert ed i sacerdoti Maubant e Chastan. Fu accolto con la madre e la sorella dal vescovo Imbert, il quale desiderava farlo diventare sacerdote, ma la persecuzione infuriava e un apostata li tradì, facendoli imprigionare. Paolo Chong Ha-sang venne interrogato e torturato per fargli abbandonare la religione straniera a cui si era associato ma, visto la sua grande fermezza, venne condannato e decapitato il 22 settembre 1839, insieme al suo caro amico Agostino Nyon, anche lui firmatario di una petizione al papa per l'invio di un vescovo in Corea. Anche la madre e la sorella vennero uccise dopo alcuni mesi.

Nelle persecuzioni coreane perirono, secondo fonti locali, più di 10.000 martiri, di questi 103 furono beatificati in due gruppi distinti nel 1925 e nel 1968 e poi canonizzati tutti insieme il 6 maggio 1984 a Seul, in Corea, dal Servo di Dio Pp Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła). Di questi solo 10 erano stranieri: 3 vescovi e 7 sacerdoti, gli altri tutti coreani, catechisti e fedeli.

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Porre la lampada sul lampadario

San Cromazio di Aquileia ( ? – 407), vescovo
Omelie sul Vangelo di Matteo 5,1.3-4 ; CCL 9,405-407

Poiché è « il Sole di giustizia » (Ml 3, 20), il Signore può pure chiamare i suoi discepoli « luce del mondo » (Mt 5, 14). Mediante loro, riversa, come con raggi scintillanti, la luce della sua conoscenza sulla terra intera... Illuminati da loro, noi, che eravamo tenebre, siamo divenuti luce, come dice san Paolo : « Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce » (Ef 5, 8). E ancora : « Voi, non siete della notte, né delle tenebre. Siete figli della luce e figli del giorno » (1 Ts 5, 5). San Giovanni con ragione ha sostenuto nella sua lettera : « Dio è luce » (1 Gv 1, 5) e « Chi dimora in Dio, è nella luce » (1, 7) ... Perciò, poiché abbiamo la gioia di essere stati liberati dalle tenebre dell'errore, dobbiamo vivere nella luce, come i figli della luce... È il motivo per cui l'Apostolo dice : « In mezzo a loro, dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita ». (Fil 2, 15) ...

Questa lampada splendente, che è stata accesa per servire alla nostra salvezza, deve sempre brillare in noi... Dobbiamo dunque non nascondere questa lampada della legge e della fede, bensì porla sempre nella Chiesa come su di un lampadario, per la salvezza di molti, affinché noi stessi godiamo della luce della sua verità, e ne illuminiamo tutti i credenti.
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Vangelo del giorno 20/9/2010 , lunedì 25^ settimana t.o.

Dal Vangelo secondo Luca (8,16-18.)

Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce.
Non c'è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce.
Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere».
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domenica 19 settembre 2010

San Gennaro

Vescovo e martire

Gennaro è il santo Patrono principale di Napoli e, negli ultimi anni del pontificato del Servo di Dio, Pp Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła), è tornato ad essere patrono delle due Sicilie, cioè del sud Italia.
Sulla sua vita non si hanno notizie storicamente documentate. Nato a Napoli nella seconda metà del III secolo, la sua storia è stata tramandata da opere agiografiche dove la realtà e la leggenda spesso si intrecciano e mescolano in un unico racconto, i cui elementi storici non sempre sono facilmente distinguibili. Il fatto che portò alla consacrazione di Gennaro sarebbe avvenuto all'inizio del IV secolo, durante la persecuzione dei cristiani da parte dell'imperatore Diocleziano.

Gennaro era il vescovo di Benevento e si recò insieme al lettore Desiderio ed al diacono Festo in visita ai fedeli a Pozzuoli. Il diacono di Miseno, Sossio - già amico di Gennaro che era venuto a trovarlo in passato a Miseno per discutere di fede e leggi divine -, volendo recarsi ad assistere alla visita pastorale, fu invece arrestato lungo la strada per ordine del persecutore Dragonzio, governatore della Campania. Gennaro, insieme a Festo e Desiderio, si recarono allora in visita dal prigioniero, ma, avendo intercesso per la sua liberazione, ed avendo fatto professione di fede cristiana, furono anch’essi arrestati e condannati da Dragonzio ad essere sbranati dagli orsi nell'anfiteatro di Pozzuoli. Il giorno dopo, tuttavia, per l'assenza del governatore stesso, impegnato altrove, il supplizio fu sospeso. Dragonzio comandò allora che a Gennaro ed ai suoi compagni venisse troncata la testa. Condotti nei pressi del Forum Vulcani (l'attuale Solfatara di Pozzuoli), essi furono decapitati nell'anno 305; il corpo di Gennaro sarebbe stato sepolto nell'Agro Marciano (Fuorigrotta?).
Secondo la tradizione, subito dopo la decapitazione sarebbe stato conservato del sangue, come era abitudine a quel tempo, raccolto da una pia donna di nome Eusebia che lo racchiuse in due ampolle; esse sono divenute un attributo iconografico tipico di S. Gennaro. Il racconto della pia donna è tuttavia recente e compare pubblicato per la prima volta solo nel 1579, nel volume del canonico napoletano Paolo Regio su “Le vite de' sette Santi Protettori di Napoli”.

Documenti liturgici molto antichi, come il calendario cartaginese (redatto poco dopo il 505) ed il Martirologio Geronimiano del V secolo assegnano come data del martirio di Gennaro e dei suoi compagni il 19 settembre; indicano invece nel 13 aprile la data della prima traslazione dei resti del santo. Anche in un altro martirologio risalente all' VIII secolo, redatto dal monaco inglese Beda, il 19 settembre viene indicato come data del martirio.
Nel calendario marmoreo di Napoli la data del 19 settembre viene indicata come "dies natalis" di S. Gennaro. Tutte queste fonti, e numerose altre ancora, attestano che la venerazione per il santo ha origini antichissime che risalgono all'epoca del suo martirio o, al più tardi, a quella della prima traslazione delle sue spoglie, avvenuta nel V secolo.

Le reliquie del santo furono trasportate dal re Giovanni I di Napoli nelle catacombe napoletane a Capodimonte che presero il nome del Santo, e qui furono centro di vivissimo culto. Di là il principe di Benevento Sicone, assediando la città di Napoli, nell' 831, ne approfittò per impossessarsi dei resti mortali che riportò nella sua città, sede episcopale.
Le sante reliquie furono deposte nella Cattedrale - che allora si chiamava Santa Maria di Gerusalemme - ove restarono fino al 1154. In quell'anno, infatti, considerando che la città di Benevento non era più sicura, il re di Sicilia Guglielmo I, detto il Malo (1120-1166), provvide affinché esse venissero traslate nell'Abbazia di Montevergine. A Montevergine, però, la devozione dei pellegrini che vi si recavano era rivolta soprattutto a S. Guglielmo ed alla popolarissima icona bizantina della Madonna chiamata "Mamma Schiavona", sicché di S. Gennaro si perse ben presto la memoria e addirittura la cognizione del suo luogo di sepoltura. A Napoli, invece, rimaneva vivissimo il culto, anche per la presenza delle altre sue reliquie: il capo e le ampolle col suo sangue.

Carlo II d'Angiò, detto lo zoppo (1248-1309), - re di Napoli (1285-1309) e di Sicilia (1285-1302) - dopo aver fatto eseguire dai maestri orafi francesi Stefano Godefroy, Guglielmo di Verdelay e Milet d'Auxerre un preziosissimo busto-reliquiario in argento dorato per contenere la testa e le ampolle col sangue del santo, espose per la prima volta la reliquia alla pubblica venerazione nel 1305. Suo figlio Roberto d'Angiò, detto il Saggio (1277 - 20 gennaio 1343), invece, fece realizzare la teca d'argento che custodisce le due ampolle del sangue.
Tuttavia la liquefazione del sangue non è attestata prima del 17 agosto 1389, allorché il miracolo si compì durante una solenne processione intrapresa per una grave carestia.
Quando a Montevergine, per merito del cardinale Giovanni di Aragona, furono ritrovate le ossa di S. Gennaro, collocate al di sotto dell'altare maggiore, la potente famiglia dei Carafa si impegnò, grazie soprattutto all'interessamento del cardinale Oliviero e con il sostegno di suo fratello l'arcivescovo napoletano Alessandro Carafa, affinché le reliquie tornassero a Napoli: la cosa avvenne nel 1497, non senza l'opposizione da parte dei monaci di Montevergine.
Come degno luogo per ospitarle, il cardinale Oliviero Carafa fece costruire nel Duomo di Napoli, al di sotto dell'altare maggiore, una cripta d'eccezione in puro stile rinascimentale: la Cappella del Succorpo.

A seguito di una terribile pestilenza che imperversò a Napoli fra il 1526 ed il 1529, i napoletani fecero voto a S. Gennaro di edificargli una nuova cappella all'interno del Duomo. Benché i lavori fossero iniziati solo nel 1608 e siano durati quasi quarant'anni, la sfolgorante e ricca Cappella del Tesoro di S. Gennaro venne infine consacrata nel 1646. Al di sopra del suo splendido cancello, realizzato da Cosimo Fanzago, figura l'iscrizione “Divo Ianuario e fame bello peste ac Vesaevi igne miri ope sanguinis erepta Neapolis civi patr. Vindici” ("A San Gennaro, al cittadino salvatore della patria, Napoli, salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, consacra").
Il 25 febbraio 1964 il cardinale arcivescovo Alfonso Castaldo fece la ricognizione canonica delle venerate reliquie: “Le ossa furono trovate ben custodite, in un'olla di forma ovoidale che reca incisa l'iscrizione calligrafica, Corpus Sancti Jannuarii Ben. E.P.”.
Una ricognizione scientifica eseguita il 7 marzo 1965 dal professore G. Lambertini stabilì che il personaggio a cui appartengono le ossa è da individuarsi in un uomo di età giovane (35 anni) di statura molto alta (m.1,90).
Secondo la leggenda, il sangue di S. Gennaro si sarebbe liquefatto per la prima volta ai tempi di Costantino, quando il vescovo S. Severo (secondo altri fu il vescovo Cosimo) trasferì le spoglie del santo dall'Agro Marciano, dove era stato sepolto, a Napoli. Durante il tragitto avrebbe incontrato la nutrice Eusebia con le ampolline del sangue del Santo: alla presenza della testa, il sangue nelle ampolle si sarebbe sciolto.
Oggi le due ampolle, fissate all'interno di una piccola teca rotonda realizzata con una larga cornice in argento e provvista di un manico, sono conservate nel Duomo di Napoli. Delle due ampolle, una è riempita di 3/4, mentre l'altra più alta è semivuota poiché parte del suo contenuto fu sottratto da re Carlo III di Borbone che lo portò con sé in Spagna.

Tre volte l'anno :
1. il primo sabato di maggio e negli otto giorni successivi, in ricordo della prima traslazione da Pozzuoli a Napol;
2. il 19 settembre e per tutta l'ottava, ricorrenza della decapitazione;
3. il 16 dicembre «festa del patrocinio di s. Gennaro», in memoria della disastrosa eruzione del Vesuvio nel 1631, bloccata dopo le invocazioni al santo.
durante una solenne cerimonia religiosa guidata dall'arcivescovo, i fedeli accorrono per assistere al “miracolo della liquefazione del sangue di S. Gennaro”.

Il popolo napoletano nei secoli ha voluto vedere nella velocità del prodigio, un auspicio positivo per il futuro della città, mentre una sua assenza o un prolungato ritardo è visto come fatto negativo per possibili calamità da venire. La catechesi costante degli ultimi arcivescovi di Napoli ha convinto la maggioranza dei fedeli, che, anche la mancanza del prodigio o il ritardo vanno vissuti con serenità e intensificazione, semmai, di una vita più cristiana.
La liquefazione del sangue è innegabile e spiegazioni scientifiche finora non se ne sono trovate, come tutte le ipotesi contrarie formulate nei secoli, non sono mai state provate. È singolare il fatto, che a Pozzuoli, contemporaneamente al miracolo che avviene a Napoli, la pietra, conservata nella chiesa di S. Gennaro (vicino alla Solfatara), che si crede sia il ceppo su cui il martire poggiò la testa per essere decapitato, diventa più rossa.

Il vostro servitore, che ha preparato questa composizione agiografica, ha assistito, durante sei anni, molto da vicino, essendo seminarista, negli anni 50/60, al Seminario Arcivescovile di Napoli/Capodimonte, alle diverse liquefazioni del sangue di S. Gennaro, che avvengono, “naturalmente”, solo e soltanto grazie alle ferventi, e spesso insistenti, preghiere del “Pastore” di Napoli e del suo “gregge”. (gpm)
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« Procuratevi amici con la disonesta ricchezza perché vi accolgano nelle dimore eterne » : soccorrere i poveri

San Gregorio Nazianzeno (330-390), vescovo, dottore della Chiesa
Discorso sull'amore ai poveri, 24-26 ; PG 35, 890-891

Guardiamoci, cari amici, dal diventare cattivi amministratori di quanto ci è stato dato in dono. Meriteremmo allora l'ammonizione di Pietro : « Vergognatevi, voi che trattenete le cose altrui, imitate piuttosto la bontà divina e così nessuno sarà povero». Non affatichiamoci ad accumulare e a conservare ricchezze, mentre altri soffrono la fame, per non meritare i rimproveri duri e taglienti già un'altra volta fatti dal profeta Amos, quando disse : « Orsù, voi che dite : Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano, e il sabato per aprire i magazzini ? » (Am 8, 5).

Operiamo secondo quella suprema e primordiale legge di Dio che « fa scendere la pioggia tanto sui giusti che sui peccatori, fa sorgere il sole ugualmente per tutti » (Mt 5, 45), offre a tutti gli animali della terra l'aperta campagna, le fontane, i fiumi, le foreste ; dona aria agli uccelli e acqua agli animali acquatici ; a tutti dà con grande liberalità i beni della vita che non possono venire accaparrati dai forti, né misurati dalle leggi, né limitati dalle frontiere ; ma elargisce i doni a tutti in modo tale che nulla manchi a nessuno. Così con la ripartizione in parti uguali dei suoi doni, onora l'uguaglianza naturale di tutti ; e mostra così tutta la generosità della sua bontà... Anche tu dunque, imita questa misericordia divina.
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Vangelo del giorno 19/9/2010 , domenica 25^ settimana t.o.

Dal Vangelo secondo Luca (16,1-13.)

Diceva anche ai discepoli: «C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore.
L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.
Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».
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sabato 18 settembre 2010

Preghiera dello studente

Nella fatica dello studio e degli esami, S. Giuseppe da Copertino, amico degli studenti e protettore degli esaminandi, vengo ad implorare il tuo aiuto.
Tu sai, per tua personale esperienza, quanta ansia accompagni l'impegno dello studio e quanto facili siano il pericolo dello smarrimento intellettuale e lo scoraggiamento.
Tu che fosti assistito prodigiosamente da Dio negli studi e negli esami per l'ammissione agli Ordini Sacri, chiedi al Signore luce per la mia mente e forza per la mia volontà.
Tu che sperimentasti tanto concretamente l'aiuto materno della Madonna, Madre della speranza, pregala per me, perché possa superare facilmente tutte le difficoltà negli studi e negli esami.
Amen

(Approvazione ecclesiastica e dell'O.F.M.)
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San Giuseppe da Copertino

Sacerdote O.F.M. Conv.

Giuseppe da Copertino, al secolo Giuseppe Maria Desa, nacque a Copertino, presso Lecce, in una stalla (ancora esistente nel suo stato primitivo) il 17 giugno 1603.
I suoi genitori furono Felice Desa e Franceschina Panaca. A sette anni iniziò la scuola, ma una grave malattia lo costrinse ad abbandonarla. Quando guarì, a 15 anni, si attribuì questo miracolo alla Madonna delle Grazie di Galatone (Lecce). Durante la malattia aveva pensato di farsi sacerdote francescano ma gli mancava, però, la dovuta istruzione.

Nel 1625, all'età di 22 anni, i frati presero a cuore la situazione e lo ammisero nella comunità, prima come oblato, poi come terziario e finalmente come fratello laico. Addetto ai lavori pesanti ed alla cura della mula del convento, Giuseppe, ben presto, espresse il desiderio di diventare sacerdote: sapeva appena leggere e scrivere ma intraprese gli studi con volontà e difficoltà. Quando dovette superare l'esame per il diaconato davanti al vescovo, accadde che a Giuseppe, il quale non era mai riuscito a spiegare il Vangelo dell'anno liturgico tranne un brano, il vescovo aprendo a caso il libro domandò il commento della frase: « Benedetto il grembo che ti ha portato »: era proprio l'unico brano che egli era riuscito a spiegare.
Quando trascorsi i tre anni di preparazione al sacerdozio, bisognava superare l'ultimo e più difficile esame, i postulanti conoscevano il programma alla perfezione, tranne Giuseppe; il vescovo ascoltò i primi che risposero brillantemente all'interrogazione e convinto che anche gli altri fossero altrettanto preparati, li ammise tutti in massa: era il 4 marzo 1628.

Per la seconda volta fra Giuseppe, superò l'ostacolo degli esami in modo stupefacente e, il 18 marzo 1628, a Poggiardo, fu ordinato sacerdote per volere di Dio.
Si definiva fratel Asino, per la sua mancanza di diplomazia nel trattare gli altri uomini, per la sua incapacità di svolgere un ragionamento coerente, per il non sapere maneggiare gli oggetti. Ciò nonostante, nel corso della sua vita, ebbe tanti incontri con persone di elevata cultura, con le quali parlava e rispondeva con una teologia semplice ed efficace.

Un professore dell'Università francescana di S. Bonaventura di Roma, disse: “L'ho sentito parlare così profondamente dei misteri di teologia, che non lo potrebbero fare i migliori teologi del mondo”. Possedeva, in effetti, il dono della scienza infusa, nonostante che si definisse “il frate più ignorante dell'Ordine Francescano”.
Amava i poveri, alzava la voce contro gli abusi dei potenti. Ai compiti propri del sacerdote, univa i lavori manuali, aiutava il cuoco, faceva le pulizie del convento, coltivava l'orto e usciva umilmente per la questua.
Amabile, sapeva essere sapiente nel dare consigli ed era molto ricercato dentro e fuori del suo Ordine. Dopo due anni di terribile aridità spirituale, che per tutti i mistici è la prova più difficile da superare, a frate Giuseppe si accentuarono i fenomeni delle estasi con levitazioni; dava improvvisamente un grido e si elevava da terra quando si pronunciavano i nomi di Gesù o di Maria. Una volta, nel contemplare un quadro della Madonna, mentre pregava davanti al Tabernacolo, volando, andò a posarsi in ginocchio in cima ad un olivo rimanendovi per una mezz'ora finché durò l'estasi.
In effetti volava nell'aria come un uccello, fenomeni che ancora oggi gli studiosi cercano di capire se erano di natura parapsicologica o mistica. Il fatto storico è che questi fenomeni sono avvenuti in presenza di tanta gente stupefatta: Giuseppe da Copertino non era un ciarlatano né un mago ma semplicemente un uomo di Dio che opera prodigi e si rivela ai più umili e semplici. Comunque frate Giuseppe costituì un problema per i suoi Superiori che, per distogliere da lui l'attenzione del popolo, che sempre più numeroso accorreva a vedere il santo francescano, lo mandarono in vari conventi dell'Italia Centrale
Di lui si interessò l'Inquisizione di Napoli, che lo convocò per capire di cosa si trattasse e, nel monastero napoletano di S. Gregorio Armeno, davanti ai giudici, Giuseppe ebbe un'estasi. La Congregazione romana del Santo Uffizio, alla presenza del Pp Urbano VIII (Maffeo Barberini, 1623-1644), lo assolse dall'accusa di abuso della credulità popolare e lo confinò in un luogo isolato, lontano da Copertino e sotto sorveglianza del tribunale. Fu sballottato da un convento all'altro, a Roma, Assisi (1639-1653), Pietrarubbia e Fossombrone (1653-1657).
Il 9 luglio 1657 Pp Alessandro VII (Fabio Chigi, 1655-1667) mise fine al suo peregrinare destinandolo ad Osimo, dove rimase per sette anni fino alla morte, continuando ad avere estasi, a sollevarsi da terra e ad operare prodigi miracolosi.
Morì il 18 settembre 1663 a 60 anni; il suo corpo è custodito nella cripta del santuario, in un'urna di bronzo dorato.

Fu beatificato da Pp Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini, 1740-1758) il 24 febbraio 1753 e dichiarato santo da Pp Clemente XIII (Carlo Rezzonico, 1758-1769) il 16 luglio 1767.
È patrono degli studenti; gli aviatori cattolici statunitensi lo venerano come loro protettore.

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Fruttò cento volte tanto

Sant'Amedeo di Losanna (1108-1159), monaco cistercense, poi vescovo
Omelia VI ; SC 72, p. 165 s

Egli è caduto in terra ed è morto ed ha prodotto molto frotto (Gv 12, 24). Si è lasciato cadere come un seme per raccogliere in mietitura il genere umano. Beato il seno di Maria dove tale seme ha messo radici ! Beata colei alla quale è stato detto : « Il tuo ventre è un mucchio di grano, circondato da gigli » (Ct 7, 3). Non è forse come un mucchio di grano il seno della Vergine che si è dilatato sotto l'azione di colui che è caduto in esso, e dove è spuntata la messe dei riscattati ? Sì, morti al peccato in noi stessi, rinasciamo in Cristo, alla fonte battesimale mediante il lavacro di rigenerazione, affinché viviamo in colui che è morto per tutti. Perciò l'Apostolo dice : « Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo » (Gal 3, 27). Da un unico seme, da un seme uscito dal seno della Vergine Maria, vengono quindi numerose messi.

È chiamato "mucchio" di grano, non tanto a motivo del numero dei riscattati, bensì a motivo della forza di questo seme, a motivo dell'efficienza del seminatore piuttosto che della molteplicità di coloro che sono raccolti. È lui il tuo Figlio, o Maria ! È lui che per te è risuscitato dai morti e nella tua carne ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose. Sei dunque in possesso della gioia, o Beata : hai ricevuto in eredità l'oggetto del tuo desiderio, la corona del tuo capo... Rallegrati e sii lieta, perché è risuscitato colui che è la tua gloria. Ti sei rallegrata della sua concezione, sei stata afflitta nella sua Passione. Rallegrati ora della sua risurrezione. Nessuno ti potrà togliere la tua gioia, perché Cristo risorto non muore più ; la morte non ha più potere su di lui (Rm 6, 9).
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Vangelo del giorno 18/9/2010 , sabato 24^ settimana t.o.

Dal Vangelo secondo Luca (8,4-15.)

Poiché una gran folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare la sua semente. Mentre seminava, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono. Un'altra parte cadde sulla pietra e appena germogliata inaridì per mancanza di umidità. Un'altra cadde in mezzo alle spine e le spine, cresciute insieme con essa, la soffocarono. Un'altra cadde sulla terra buona, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per intendere, intenda!».
I suoi discepoli lo interrogarono sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perchè vedendo non vedano e udendo non intendano. Il significato della parabola è questo: Il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l'hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell'ora della tentazione vengono meno. Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione. Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza.
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venerdì 17 settembre 2010

San Roberto Bellarmino S.J.

Cardinale S.J. e Dottore della Chiesa

Roberto Francesco Romolo Bellarmino nacque a Montepulciano il 4 ottobre 1542 in una nobile famiglia toscana. Suo padre era Vincenzo Bellarmino, mentre sua madre, Cinzia Cervini, era la sorella del cardinale Marcello Cervini, futuro Pp Marcello II.
Egli dimostrò precocemente le sue ottime qualità e, ispirandosi agli autori latini come Virgilio, compose diversi piccoli poemi sia in lingua volgare che in latino. Fu educato nel collegio gesuita, di recente fondazione, della sua città natia ed entrò nella Società di Gesù il 20 settembre 1560. Trascorse i tre anni successivi studiando filosofia nel collegio romano, dopo di che iniziò ad insegnare materie letterarie dapprima a Firenze, poi a Mondovì. Nel 1567 intraprese lo studio della teologia a Padova, e nel 1569 fu inviato a completare questi studi a Lovanio (Belgio), dove poté acquisire una più completa conoscenza delle eresie più importanti del suo tempo.

Dopo l'ordinazione sacerdotale avvenuta il 25 marzo del 1570, guadagnò rapidamente notorietà sia come insegnante sia come predicatore; in quest’ultima veste era capace di attirare al suo pulpito sia cattolici che protestanti, persino da altre aree geografiche. Gli fu conferito l'insegnamento della teologia a Lovanio e qui rimase per sei anni, fino al 1576. Distintosi in questi anni per la sua dotta eloquenza e sorprendente capacità di controbattere efficacemente le tesi calviniste, che si diffondevano ampiamente nei Paesi Bassi spagnoli, fu richiamato a Roma da Pp Gregorio XIII (Ugo Boncompagni, 1572-1585) che gli affidò la cattedra di “Controversie”, cioè di Apologetica, da poco istituita nel Collegio Romano, attività che svolse fino al 1587.

Da poco tempo si era concluso il Concilio di Trento e la Chiesa Cattolica, attaccata dalla Riforma protestante, aveva necessità di rinsaldare e confermare la propria identità culturale e spirituale. L'attività e le opere di Roberto B. si inserirono proprio in questo contesto storico della Controriforma. Egli si dimostrò adeguato alle difficoltà del compito. Gli studi che intraprese per applicarsi nell'insegnamento e nelle lezioni, confluirono successivamente nella sua grande e più famosa opera di più volumi: Le Controversie, cioè “Disputationes de controversiis christianae fidei adversus hujus temporis haereticos”. Questa monumentale opera teologica rappresenta il primo tentativo di sistematizzare le varie controversie teologiche dell’epoca, ed ebbe un’enorme risonanza in tutta Europa; senza sviluppare nessuna aggressione polemica nei confronti della Riforma ma solo usando gli argomenti della ragione e della tradizione, Roberto B. espose in modo chiaro ed efficace le posizioni della Chiesa Cattolica.
A tutt'oggi non esiste un’opera di tale completezza come questa nel campo apologetico; la sua instancabile azione a difesa della fede cattolica, gli valsero l'appellativo di “martello degli eretici”.

Nel 1588 Roberto B. fu nominato “Padre Spirituale” del Collegio Romano (oggi Università Gregoriana).
Nel 1590 si recò assieme al cardinale Enrico Caetani come teologo facente parte della legazione che Sisto V stava inviando in Francia per proteggere gli interessi della chiesa coinvolta nelle difficoltà delle guerre civili. Quando la missione era oramai al termine, Roberto B. riprese nuovamente il suo lavoro come padre spirituale ed ebbe la consolazione di guidare, negli ultimi anni della sua vita, Luigi Gonzaga, che morì al Collegio romano nel 1591 e di cui negli anni successivi Bellarmino promosse la beatificazione.
Nello stesso periodo egli fece parte della commissione finale per la revisione del testo della “Vulgata”.
Nel 1592 fu fatto rettore del collegio romano e nel 1595 superiore della Provincia di Napoli.
Nel 1597 Pp Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini, 1592-1605) lo richiamò a Roma e lo nominò suo consultore teologo come pure Esaminatore dei Vescovi e Consultore del Sant'Uffizio.
Proclamato Cardinale presbitero di Santa Maria in Via Lata e arcivescovo di Capua il 18 marzo 1599, probabilmente per tenerlo lontano da Roma nel momento culminante della controversia sulla grazia, alla morte di Clemente VIII, nel 1605, poté tornare nella città di Pietro dove esercitò un grande influsso come teologo ufficiale della Chiesa, con la sua dottrina e con l'esempio della sua carità e semplicità di vita, che la gente ammirava.
A Clemente VIII succedette prima Leone XI (Alessandro de' Medici), che regnò per soli ventisette giorni, e poi Paolo V (Camillo Borghese, 1605-1621). Nel primo e nel secondo conclave, ma soprattutto in quest'ultimo, il nome di Bellarmino fu spesso dinanzi alle intenzioni degli elettori ma il fatto che fosse un gesuita costituì un impedimento secondo il giudizio di molti cardinali.
Ebbe diversi incarichi presso l'Inquisizione durante gli importanti processi ereticali come quelli contro Giordano Bruno, cominciato il 1593 e conclusosi con il verdetto di condanna al rogo su ordine del Pp Clemente VIII il 20 gennaio 1600, e contro Galileo Galilei. Il cardinale Bellarmino fece parte della commissione vaticana che ammonì Galileo dal continuare a proporre la teoria eliocentrica, nel 1616, e fu proprio lui a comunicargli l'ammonizione con una lettera rimasta famosa. In precedenza Roberto B. aveva sempre mostrato interesse nelle scoperte dello scienziato e si era trattenuto in amichevole corrispondenza con lui. Aveva pure assunto, come testimoniato dalle sue lettere all'amico di Galileo, Foscarini, un atteggiamento aperto verso le teorie scientifiche, ammonendolo, tuttavia, di non cercare una dimostrazione della loro esattezza ma limitandosi a porle come ipotesi.
Roberto B. morì a Roma il 17 settembre 1621 e il processo di beatificazione, iniziato di lì a poco, si protrasse per ben tre secoli.
Il 22 dicembre 1920 Pp Benedetto XV (Giacomo della Chiesa, 1914-1922) riassumendo l'iter per la sua beatificazione, promulgò il decreto della eroicità delle sue virtù; poi il 13 maggio 1923, durante il pontificato di Pio XI (Achille Ratti, 1922-1939) , fu celebrata la sua beatificazione e dopo sette anni, il 29 giugno 1930, fu canonizzato. Più breve è stato quindi il processo di canonizzazione e ancora più rapida la nomina a Dottore della Chiesa, conferitagli il 17 settembre 1931 sempre da parte di Pio XI.
Dal 21 giugno 1923 il suo corpo è venerato dai fedeli nella terza cappella di destra della Chiesa di S. Ignazio di Loyola a Roma che conserva le reliquie di altri santi gesuiti tra cui S. Luigi Gonzaga.

Significato del nome Roberto : "splendente di gloria, illustre per fama" (tedesco). Fonti principali: wikipendia.org; santiebeati.it («RIV.»).
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C'erano con lui i Dodici e alcune donne

Giovanni Paolo II
Mulieris Dignitatem, § 27 - Copyright © Libreria Editrice Vaticana

Nella storia della Chiesa, sin dai primi tempi c'erano - accanto agli uomini - numerose donne, per le quali la risposta della Sposa all'amore redentore dello Sposo assumeva piena forza espressiva. Come prime vediamo quelle donne, che personalmente avevano incontrato Cristo, l'avevano seguito e, dopo la sua dipartita, insieme con gli apostoli « erano assidue nella preghiera » (At 1,14) nel cenacolo di Gerusalemme sino al giorno di Pentecoste. In quel giorno lo Spirito Santo parlò per mezzo di « figli e figlie » del Popolo di Dio... (At 2,17 ; Gl 3,1). Quelle donne, ed in seguito altre ancora, ebbero parte attiva ed importante nella vita della Chiesa primitiva, nell'edificare sin dalle fondamenta la prima comunità cristiana - e le comunità successive - mediante i propri carismi e il loro multiforme servizio... L'apostolo parla delle loro « fatiche » per Cristo, e queste indicano i vari campi del servizio apostolico della Chiesa, iniziando dalla « chiesa domestica ». In essa, infatti, la « fede schietta » passa dalla madre nei figli e nei nipoti, come appunto si verificò nella casa di Timoteo (2 Tm 1, 5).

Lo stesso si ripete nel corso dei secoli, di generazione in generazione, come dimostra la storia della Chiesa. La Chiesa, infatti, difendendo la dignità della donna e la sua vocazione, ha espresso onore e gratitudine per coloro che - fedeli al Vangelo - in ogni tempo hanno partecipato alla missione apostolica di tutto il Popolo di Dio. Si tratta di sante martiri, di vergini, di madri di famiglia, che coraggiosamente hanno testimoniato la loro fede ed educando i propri figli nello spirito del Vangelo hanno trasmesso la fede e la tradizione della Chiesa... Anche in presenza di gravi discriminazioni sociali le donne sante hanno agito in «modo libero», fortificate dalla loro unione con Cristo...

Anche ai nostri giorni la Chiesa non cessa di arricchirsi della testimonianza delle numerose donne che realizzano la loro vocazione alla santità. Le donne sante sono una incarnazione dell'ideale femminile, ma sono anche un modello per tutti i cristiani, un modello di « sequela Christi », un esempio di come la Sposa deve rispondere con l'amore all'amore dello Sposo.
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