martedì 31 luglio 2012

Apriamo le porte a Cristo, nostro Salvatore

Preghiamo per tutti i cristiani uccisi, violentati, bruciati vivi, chiediamo la potente intercessione di Maria Santissima e dei SS. Apostoli Pietro e Paolo i quali sono stati i primi martiri che assieme a una moltitudine di uomini, donne, anziani e bambini, trucidati durante la persecuzione del primo secolo dell'era cristiana, perché predicavano e annunciavano il Vangelo, la "buona notizia". 
La loro testimonianza si è radicata fino a noi attraverso la forza dello Spirito Santo. Maria a te affidiamo la Chiesa che soffre... 
Tu che sei memoria viva di Cristo e custode della fede della Chiesa noi ti imploriamo. 
Ave Maria!
(Maria M.)
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Come si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo

Mt 13,36-43
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!

I discepoli chiedono esplicitamente la spiegazione della parabola. Segue una spiegazione che si presenta singolare nella tradizione evangelica. 
Anzitutto viene data, come in una lista, l'identificazione di quasi tutti gli elementi della parabola. Si riconosce già da questa enumerazione che il centro d'interesse della spiegazione è essenzialmente differente da quello della parabola. In questa si trattava della decisione del padrone di lasciare crescere nel tempo presente grano e zizzania. 
Nella spiegazione invece si tratta della mietitura finale, del destino finale del grano e della zizzania. La spiegazione rende esplicito ciò che nella parabola era implicito: il dramma del giudizio finale. 
La spiegazione della parabola ci insegna che il male non trionferà e che il diavolo e tutti gli operatori di iniquità saranno condannati. 
Infine la parabola ci pone un problema: discernere se siamo veramente figli del Regno o figli del maligno.
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 31/VII/2012

Dio onnipotente, anche oggi tu ci affidi il tuo mondo come un campo che è necessario lavorare. 
Anche oggi dovrò accorgermi che il grano cresce mescolato con la zizzania: non solo attorno a me, ma in me stesso non riuscirò spesso a distinguere completamente il bene dal male. 
Concedimi la grazia di avere una lunga pazienza, di rispettare i tempi che non mi appartengono, e le coscienze che non mi è dato di giudicare. 
Ma non permettere che la pazienza si tramuti in me in complicità e in indifferenza.
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lunedì 30 luglio 2012

Il granello di senape diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami

Mt 13,31-35
Espose loro un'altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell'orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un'altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

La parabola del granello di senape presenta il contrasto tra la piccolezza del seme e la grandezza della pianta che produce: un albero che offre ospitalità agli uccelli. La piccolezza del granellino sottolinea l'aspetto insignificante e addirittura deludente degli inizi dell'avvento del regno di Dio: la venuta di Gesù corrisponde ben poco alle attese che gli ebrei avevano nei confronti del messia (cf. Mt 3,13-14; 11,2-3). 
La parabola del lievito ci insegna che il regno di Dio è presente nel mondo come un fermento che lo trasforma totalmente. Il regno dei cieli non ha gli inizi sognati dagli apocalittici e sperati dal popolo. Esso si inserirà nella storia quasi inavvertitamente (cfr 11,2-3; 12,20), ma si affermerà ugualmente. Il regno dei cieli è ai suoi inizi storici un seme di senape, ma non sarà tale al suo stadio finale. La parabola è perciò un annuncio di consolazione e di conforto per quanti non riescono a vedere nell'opera del Cristo la realizzazione delle attese messianiche. Essa fa eco alle parole rivolte da Gesù ai discepoli:" Non temete, piccolo gregge, perché piacque al Padre vostro dare a voi il Regno" (Lc 12,32). La parabola illustra un fatto (l'azione messianica di Gesù), ma soprattutto enuncia una legge (la paradossalità dell'agire di Dio). Essa sottolinea non solo che l'affermazione del Regno avviene nonostante i suoi umili inizi, ma proprio per essi. Ciò che era uno scandalo è invece il segreto del piano di Dio: la piccolezza e la debolezza non pregiudicano la riuscita futura ma, anzi, ne sono le condizioni necessarie. La debolezza degli uomini del Regno è la loro forza, perché solo allora trovano in Dio tutta la loro confidenza e tutto il necessario appoggio. Il Regno sarà grande nella debolezza (cf. 2Cor 12,9). 
Bisogna che i credenti abbandonino i loro appoggi terreni, diventino poveri, umili, deboli per far sì che la Chiesa acquisti i caratteri voluti dal suo fondatore. Chi riceve il Regno come un granello di senape deve uniformare il proprio animo alla lezione che viene dal piccolo seme. Ritorna ancora una volta il messaggio della povertà con cui si apre il discorso della montagna (Mt 5,3). Il discorso in parabole viene nuovamente e con forza definito come discorso destinato al popolo. 
Per capirlo non è necessaria una conoscenza speciale. Il salmo 78,2 viene citato proprio perché identifica nelle "parole" uno strumento adeguato per rivelare "cose nascoste fin dalla fondazione del mondo". Il salmo 78 presenta un abbozzo della storia della salvezza di Israele dall'esodo alla conquista della terra promessa e all'elezione di Davide. Designando l'esposizione della storia, la parabola ci vuol dire che occorre comprenderne, con la riflessione e la meditazione, il senso: l'essenza e la fedeltà di Dio, il peccato dell'uomo e la conseguente esortazione alla fedeltà e all'obbedienza. 
Ciò che Cristo proclama risale al tempo che precede la creazione. Per Matteo il regno di Dio è una realtà preesistente. Nel tempo essa fu affidata a Israele ed è divenuta realtà definitiva in Gesù. La preesistenza del regno di Dio è confermata da Mt 25,34.
Padre Lino Pedron
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Volontà, energia, esempio

Volontà. —Energia. —Esempio. —Ciò che si deve fare, si fa... Senza tentennare... Senza riguardi. Altrimenti, né Cisneros sarebbe stato Cisneros; né Teresa de Ahumada, Santa Teresa...; né Iñigo de Loyola, Sant'Ignazio... Dio e audacia! —“Regnare Christum volumus!”. (Cammino, 11) 


 «Miles» soldato, chiama l'Apostolo il cristiano. Ebbene, in questa benedetta e cristiana guerra di amore e di pace per la felicità di tutte le anime, vi sono, nelle schiere di Dio, soldati stanchi, affamati, esausti per le ferite..., ma contenti: portano nel cuore le luci sicure della vittoria. (Solco, 75) 


Non sai se quel che si è impadronito di te è esaurimento fisico oppure una specie di stanchezza interiore, o tutte e due le cose insieme...: lotti senza lotta, senza l'anelito di un autentico e concreto miglioramento, per appiccare la gioia e l'amore di Cristo alle anime. 
Voglio ricordarti le chiare parole dello Spirito Santo: sarà incoronato soltanto chi avrà combattuto legitime veramente, nonostante tutto. (Solco, 163)
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Preghiera del mattino del 30/VII/2012

Signore, fa' che non disprezziamo gli umili inizi, che non consideriamo da nulla il più piccolo dei tuoi figli, poiché è stato detto che un bambino ci avrebbe guidati. 
Per rivelarci la forza del tuo amore, tu hai sempre scelto ciò che agli occhi degli uomini non ha valore. 
Come il più piccolo dei semi produce alberi grandi, così la tua potenza si manifesta nella debolezza. 
Concedici, Signore, una grande capacità di meravigliarci di fronte al più piccolo segno della tua presenza.
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domenica 29 luglio 2012

Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano

Gv 6,1-15
Dopo questi fatti, Gesù passò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Il miracolo della moltiplicazione dei pani ci introduce al grande discorso sul pane della vita, anticipandone i temi principali. Il racconto è importante perché tutti gli evangelisti lo riportano e lo mettono al centro dell'attività pubblica di Gesù. 
Il brano rivela un preciso significato cristologico e sacramentale, che non è tanto quello di sfamare la folla, ma di rivelare la gloria di Dio in Gesù, Parola fatta carne. Il lago di Galilea è chiamato mare di Tiberiade dal nome della città costruita negli anni 14-36 d. C. dal tetrarca Erode Antipa in onore dell'imperatore Tiberio. 
La grande folla che segue Gesù e parteciperà al prodigio straordinario della moltiplicazione dei pani, il giorno dopo rifiuterà la rivelazione del Figlio di Dio. Il seguire Gesù per vedere dei miracoli non è indice di una fede autentica. Nella tradizione biblica Dio si è rivelato soprattutto su un monte: il Sinai (Es 19-20). Anche il rivelatore definitivo di Dio, Gesù, si manifesta sopra un monte. Questa specificazione ha soprattutto un valore teologico. Prima di dare inizio al segno-miracolo, Giovanni precisa che "era vicina la Pasqua, la festa dei giudei" (v. 4). 
Per l'evangelista e la comunità cristiana, che rilegge il fatto alla luce della risurrezione, questa precisazione cronologica serve come richiamo alla Pasqua cristiana, simboleggiata dal pane spezzato, che affonda le sue radici nel ricordo della Pasqua ebraica e nei miracoli che l'accompagnarono. In Gesù si compie il passato e si realizza ogni speranza di Israele. Il pane che egli sta per donare al popolo porta a perfezione la Pasqua ebraica facendola confluire nel grande banchetto eucaristico cristiano. 
Con le parole di Gesù a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?", l'evangelista sembra ispirarsi alle parole che Mosè rivolse al Signore: "Da dove prenderei la carne da dare a tutto questo popolo?" (Nm 11,13). Gesù rivolge questa domanda a Filippo per metterlo alla prova. Si presenta fin dall'inizio il tema della fede, di cui è permeato tutto il capitolo sesto. La risposta di Filippo mette in evidenza che perfino un acquisto rilevante di pane sarebbe stato insufficiente per sfamare tante persone. La soluzione umana non basta a saziare i bisogni dell'uomo. E' Gesù che appaga in pienezza ogni necessità e aspirazione: con cinque pani sfama cinquemila persone e ne avanzano dodici ceste (v. 13). Giovanni specifica che i pani erano di orzo per indicare che si tratta del pane dei poveri e per rievocare l'analogo prodigio operato da Dio per mezzo del profeta Eliseo (2Re 4,42ss). Tutti mangiarono a sazietà. La frase: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto" vuole sottolineare il carattere sacro del pane avanzato, perché viene visto in prospettiva eucaristica, come segno della carne di Cristo. Il pane di Gesù, a differenza della manna nel deserto (cf. Es 16,20), viene raccolto perché non si corrompa. 
Il numero dodici potrebbe essere riferito agli apostoli: ne raccolsero una cesta ciascuno; ma più probabilmente indica la perfezione e la completezza del pane eucaristico, che può saziare la fame spirituale non solo dei cinquemila ma di tutti gli uomini. La folla riconosce Gesù come il profeta atteso per la fine dei tempi (Es 4,1-9). Ma il testo fa capire che l'entusiasmo della folla è di carattere politico. E poiché la sua regalità è fraintesa dalla folla, Gesù si ritira da solo sul monte. 
Da questo momento ha inizio il progressivo ridursi della folla narrato in questo capitolo, finché Gesù non rimane solo con i Dodici.
Padre Lino Pedron
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sabato 28 luglio 2012

Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura

Mt 13,24-30
24Espose loro un'altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania? ». 28Ed egli rispose loro: «Un nemico ha fatto questo!». E i servi gli dissero: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?». 29«No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio»»


 La parabola del grano e della zizzania insegna che nel campo del mondo ci sono i buoni e i cattivi e che esistono in tutti i tempi dei servi impazienti che vorrebbero anticipare il giudizio di Dio. Ma gli uomini non sanno giudicare perché non conoscono né il metro di Dio né il cuore dell'uomo. 
Il bene e il male devono crescere fino alla completa maturazione. Il centro della parabola non sta nella scoperta della zizzania e neppure nel giudizio finale della separazione del grano dalla zizzania, ma più propriamente nell'ordine di non stappare la zizzania. 
La meraviglia e lo scandalo dei servi sta proprio in questo atteggiamento paziente e lungimirante di Dio. 
La Chiesa di tutti i tempi è sempre stata agitata dagli scandali e dai peccati dei cristiani. Per ogni situazione problematica vale il detto di Paolo: "Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio" (1Cor 4,5). Al tempo di Gesù c'erano i farisei che pretendevano di essere santi e perciò si separavano dalla moltitudine dei peccatori. C'era il movimento di Qumran con la sua idea di rigida santità che esigeva il rifiuto di tutti gli impuri. 
C'era Giovanni il Battista che annunciava il messia che avrebbe separato il grano dalla pula (Mt 3,12). 
Viene Gesù e si mescola con i peccatori, li accoglie e mangia con loro (cf. Lc 15,2). Addirittura ha un traditore nel gruppo dei dodici che si è scelto. Possiamo dunque dire che zeloti, farisei e tanti altri pretendevano che il regno di Dio intervenisse in modo netto, chiaro e definitivo. 
In questo contesto si capisce la forza polemica della parabola di Gesù: la politica del regno di Dio è divina, fatta di tolleranza e di misericordia. L'elemento della sorpresa da parte dei servitori quando scoprono la zizzania fa pensare che la parabola si applichi alla comunità cristiana che scopre nel suo seno imperfezioni e controtestimonianze al vangelo. 
La Chiesa non deve diventare una comunità di puri e di perfetti, estromettendo i deboli e gli inadempienti. Buon grano e zizzania devono crescere insieme fino alla mietitura. 
Anche perché Dio solo sa chi è buon grano e chi è zizzania. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 28/VII/2012

Un nuovo giorno di semina, o Signore, tu concedi alla mia vita. 
Anche oggi infatti tu mi chiami a collaborare con te nel seminare il bene ovunque il lavoro mi attende, come campo privilegiato della mia missione di uomo e di cristiano. 
Che io vinca, o Signore, il male che è in me, perché possa impedirlo negli altri. 
E cresca in me il bene seminato da te, perché cresca nella Chiesa e nel mondo.
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venerdì 27 luglio 2012

Colui che ascolta la Parola e la comprende, questi dà frutto

Mt 13,18-23
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l'accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Gesù che ha dichiarato "beati" i discepoli perché hanno l'opportunità di "vedere e di "sentire" (Mt 13,16-17), ora precisa che la loro condizione dipende da lui stesso. Egli infatti spiega loro la parabola. La prima situazione di rifiuto (v. 19) presenta il caso di chi ascolta la parola ma non la comprende. Il comprendere non è solo il capire, ma l'accogliere in sé, la comprensione profonda e spirituale (Mt 13,51; 16,12; 17,13) perché egli stesso la spiega loro (Mt 13,18.36; 15,17; 17,11-12) 19 Nel secondo caso (vv. 20-21) la parola viene ascoltata e recepita con gioia. La fase critica è prodotta dall'instabilità dell'accoglienza, descritta attraverso l'immagine della pianta che non riesce ad avere radici. L'insuccesso è causato dalle esperienze di tribolazione (Mt 24,9.21.29) e persecuzione, che sono momenti inevitabili di verifica nel cammino della fede (cf. Mt 8,23-28). La terza situazione negativa (v. 22) è provocata dalle preoccupazioni materiali di ogni tipo. La ricchezza non è un male in sé, ma l'inquietudine che essa inevitabilmente genera, relativizza l'unico valore primario ed essenziale: l'accoglienza della parola del Regno. Il discepolo infatti si distingue per la libertà nei confronti dei beni materiali (Mt 6,25-34) che, se sopravvalutati, diventano un impedimento nel seguire Gesù (Mt 19-16-30). L'accoglienza positiva della parola è sottolineata con l'espressione "fare frutto". L'immagine del frutto viene usata spesso per descrivere la fede viva e perseverante (Mt 7,16-20; 13,33; 21, 19.34.41.43). La perdita nei tre terreni infruttuosi viene largamente ricompensata dal successo della resa del terreno buono.
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 27/VII/2012

A te, divin Seminatore, si rivolge la mia preghiera, mentre ti accingi, in questo nuovo giorno, a seminare nel mio cuore il seme della tua parola, che dà senso alla vita e fecondità all'agire dell'uomo. 
Mentre ti ringrazio di questo tratto sempre nuovo del tuo amore gratuito e proveniente, chiedo di donarmi il tuo Spirito perché, liberando il mio cuore dai sassi e dalle spine dell'egoismo e dell'orgoglio, lo apra all'accoglienza e alla comprensione della tua parola di vita.
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giovedì 26 luglio 2012

A voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato

Mt, 13,10-17 
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca! Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. in verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! 

Matteo non ci trasmette solo la parabola [del seminatore] , ma ci offre anche un'attualizzazione che trasforma la parabola indirizzata ai predicatori in una catechesi per i convertiti. La spiegazione si rivolge ai fedeli e insiste sulla necessità delle disposizioni interiori perché la Parola ascoltata sia capita e porti frutto. Le disposizioni più importanti sono l'apertura e la sensibilità ai valori del regno di Dio, il coraggio di fronte alle persecuzioni, la costanza o perseveranza, la resistenza allo spirito maligno e la libertà interiore. Il mistero del comprendere o del non comprendere (v. 11) ha un riferimento a Dio. 
I misteri sono conoscibili solo con l'aiuto di una particolare luce che viene da Dio. Ci si può chiedere in che rapporto stiano tra loro, secondo Matteo, il credere e il conoscere. Per Matteo la fede è principalmente fiducia riposta interamente nella persona di Gesù. La conoscenza si fonda sulla fede e viene concessa alla fede. Non è la prima volta che nella storia della salvezza si verificano insuccessi come quelli di Gesù. Sembra anzi il destino di tutti i profeti. Gesù ha scelto il linguaggio in parabole perché il popolo d'Israele non ha voluto "vedere e ascoltare" quanto Gesù aveva annunciato e proposto loro in termini semplici e chiari. I discepoli, invece, sono chiamati a conoscere in pienezza "i misteri del regno di Dio", cioè il piano che Dio ha sull'umanità, rivelato da Gesù stesso attraverso le sue parabole. La constatazione "a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha" (v. 12; cf. Mt 25,29) descrive la dinamica paradossale della rivelazione: i discepoli, proprio perché seguono Gesù, possono giungere a una conoscenza sempre più profonda di essa; le folle, al contrario, non avendo preso una decisione favorevole nei suoi confronti, si allontanano sempre più dalla logica del Regno. La seconda parte della risposta di Gesù indica la vera e propria motivazione del suo parlare in parabole (v. 13). 
Questo linguaggio mette in evidenza l'atteggiamento della folla che, pur vedendo e ascoltando, non riesce a comprendere. Si tratta di un discernimento che la folla non riesce a fare, proprio perché non ha deciso di mettersi al seguito di Gesù. Essa non capisce Gesù e di conseguenza non capisce il suo linguaggio. Lo scandalo del rifiuto del Messia rientra nel progetto di Dio attestato dalle Scritture. Mentre di solito Matteo inserisce i testi biblici per offrire al lettore una conferma e un commento, in questo passo pone sulle labbra di Gesù il testo di Isaia. Proprio l'introduzione attraverso il verbo "compiere" (anapleroo) mostra come l'incomprensione della folla porta a compimento la parola di Dio. Nella terza parte della risposta (v. 16) Gesù evidenzia il privilegio dei discepoli. A differenza della folla, essi possono "vedere e ascoltare". 
La motivazione della loro felicità viene preceduta dall'espressione "in verità vi dico" con la quale Gesù garantisce la certezza della sua affermazione. Egli colloca i suoi discepoli al vertice di una storia di promesse, i cui destinatari distribuiti in due categorie: "i profeti e i giusti" (v. 17). Questa espressione associa coloro che hanno annunciato la volontà di Dio, i profeti, e coloro che l'hanno attuata, i giusti (cfr Mt 10,41; 23,29). Questi sono i rappresentanti della storia biblica. I discepoli sono beati perché possono conoscere il piano di Dio, che ora viene manifestato da Gesù. Sono essi, e non la sinagoga, la continuazione del vero Israele. 
Gesù che ha dichiarato "beati" i discepoli perché hanno l'opportunità di "vedere e di "sentire" (Mt 13,16-17), ora precisa che la loro condizione dipende da lui stesso. Egli infatti spiega loro la parabola. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera a S.Gioacchino e S.Anna

PREGHIERA A SAN GIOACCHINO
O Grande e glorioso San Gioacchino, quanto sono felice pensando che fosti eletto fra tutti i Santi a cooperare ai divini misteri e ad arricchire il mondo della Madre di Dio, Maria Santissima!
Per questo singolare privilegio divenisti potentissimo presso la Madre ed il Figlio, per ottenerci le grazie necessarie.
 Con tale fiducia ricorro alla tua protezione e ti raccomando le necessità mie e della mia famiglia, spirituali e temporali; ti raccomando inoltre la grazia particolare che desidero e che attendo dalla tua paterna intercessione... (esprimerla)
E poiché fosti modello perfetto di vita interiore, ottienimi il raccoglimento e il distacco da tutti i beni passeggeri di questa terra e un amore vivo e perseverante a Gesù e Maria.
Ti prego di implorare per me all'Eterno Padre devozione e obbedienza sincera alla Santa Chiesa e al sommo Pontefice che la governa e ti prego di chiedere al Signore che io possa vivere e morire nella fede, speranza e carità perfetta, invocando i nomi santissimi di Gesù e di Maria, e salvarmi. Amen.
Gloria al Padre..
San Gioacchino, felice padre della Madre di Dio, prega per noi 


PREGHIERA A SANT'ANNA 
Anna, donna veramente beata, dal frutto del tuo seno abbiamo la gioia di contemplare la Madre di Dio fatto uomo.
Madre Anna, quale mente non si sente smarrita pensando all'onore ed al privilegio che Dio altissimo ti ha riservato scegliendoti quale madre di Maria.
Madre Anna, ti mantenevi piccola e nascosta, raccolta in una umile casetta e nel segreto del tempio, unita al tuo sposo Gioacchino e attendevi con trepidazione le compiacenze del Padre Celeste che chinandosi su di te ti disponeva ad essere la nonna di Gesù.
Madre Anna, donna veramente beata, a te affidiamo le nostre preghiere, i nostri bisogni, le nostre ansie, dividili con noi e presentale al tuo nipotino Gesù.
Stingici a te, portaci in braccio come facevi con Maria e non lasciarci fino a quando non ti raggiungeremo nella Patria Beata. 
Gloria al Padre.. 
Sant'Anna, madre della Madre di Dio, prega per noi
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Preghiera del mattino del 26/VII/2012

Eccoci, Signore, anche questo mattino davanti a te, che ci hai conservato in questa vita. 
Concedici di restare sempre aperti alle sorprese inattese di questo nuovo giorno e dacci di vedervi i celesti misteri del tuo amore. 
Fa' che possiamo gustare la beatitudine di occhi che sanno vedere e di orecchi che sanno ascoltare.
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mercoledì 25 luglio 2012

Messaggio Medjugorje del 25/7/2012

Cari figli! 
Oggi vi invito al bene. 
Siate portatori di pace e di bontà in questo mondo. 
Pregate che Dio vi dia la forza affinché nel vostro cuore e nella vostra vita regnino sempre la speranza e la fierezza perché siete figli di Dio e portatori della Sua speranza in questo mondo che è senza gioia nel cuore e senza futuro perché non ha il cuore aperto verso Dio, vostra salvezza. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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Il mio calice, lo berrete

Mt 20,20-28
Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli.  Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono.  Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Il brano è un contrappunto tra due glorie: quella del Figlio dell'uomo e quella degli uomini.
La prima consiste nel consegnarsi, nel servire e dare la vita; la seconda consiste nel possedere, nell'asservire e dare la morte. E' una lotta tra l'egoismo e l'amore, dove l'amore vince con la propria sconfitta, e l'egoismo perde con la propria vittoria. Il racconto è un dialogo di equivoci tra Gesù e i discepoli.
Ciò che la madre dei figli di Zebedèo vuole da Gesù non è la Gloria, cioè Dio, ma la vanagloria, cioè l'avere, il potere e l'apparire. Il brano si articola in tre parti: la vera gloria del Figlio dell'uomo (vv. 17-19), la cecità dei discepoli che la scambiano con la gloria degli uomini (vv. 20-24) e il confronto tra le due glorie (vv. 25-28). Questo testo ci prepara al successivo, con il quale fa un tutt'uno: l'illuminazione dei ciechi di Gerico sarà la caduta della vanagloria, che ci impedisce di ricevere la Gloria.
La rivelazione del Figlio dell'uomo che sale a Gerusalemme è la luce che squarcia violentemente le nostre tenebre e svela ad ogni uomo la vera identità di Dio, la cui gloria è amare, servire e dare la vita. In questo brano si confrontano e si scontrano il modo di pensare e di agire del mondo e quello di Gesù. L'uno è presentato nel comportamento dei grandi, nella loro volontà di oppressione e di dominio; l'altro è caratterizzato dalla condotta di Gesù, che è venuto per servire e dare la vita per l'umanità. L'esempio di Gesù deve indurre a un cambiamento di mentalità. L'atteggiamento richiesto da Gesù non nasce spontaneo, non è congeniale all'uomo: richiede una conversione.
Søren Kierkegaard ha scritto: "Non hai la minima partecipazione a lui (a Cristo), né la più lontana comunione con lui, se non ti sei posto in sintonia con lui nel suo abbassamento". "Diventare piccoli" è l'atteggiamento contrario a quello degli uomini, assetati di potenza e di grandezza. Gesù si è fatto piccolo fino alla morte di croce (cf. Fil 2,5-11). Tutti ci saremmo aspettati che il Figlio di Dio sarebbe venuto per essere servito e per far morire i peccatori. E invece no. E' venuto per servire e per dare la vita in riscatto per tutti. Le nazioni si organizzano come società, la Chiesa invece è una famiglia in cui non ci sono superiori e sudditi, padroni e subalterni, ma solamente fratelli (cf. Mt 18,15.21.35).
Lo spirito di supremazia o di egemonia sui propri simili non è cristiano, ma diabolico (cfr Mt 4,1-11). Qualunque forma di autorità nella Chiesa non deve essere un dominio, una signoria, un potere, ma un servizio. Il Signore lo dice inequivocabilmente: "Chi vuol essere il più grande tra voi, deve essere il vostro servo; e chi vuol essere il primo, deve essere il vostro schiavo" (vv. 26-27). C'è un tale rovesciamento nel modo di intendere le funzioni del governo che la comunità cristiana non sembra ancora averne preso del tutto coscienza. Il "servizio" è un concetto teologico prima ancora di essere un atteggiamento pratico. Non riguarda prima di tutto un modo umile di esercitare il potere, ma di concepirlo.
Il servo non è il responsabile della casa, non ha nessun potere, tanto meno quello di sostituirsi al padrone, prendendo decisioni al suo posto, avocando a sé la responsabilità degli altri. Egli è solo un inserviente che coopera al buon andamento della casa, che non è sua, e per questo non deve considerarla tale. La Chiesa è di Dio, di Cristo (cf. Mt 16,18) che la governa direttamente (cf. Mt 28,18-20), prima che tramite particolari incaricati. In quanto Dio, Gesù avrebbe potuto pretendere (secondo noi!) un trattamento da "signore", facendosi servire. Ma invece di far valere i suoi diritti sovrani vi ha rinunciato a favore delle moltitudini facendosi loro servo e donando la vita per il loro riscatto, ossia per la loro liberazione da assoggettamenti e schiavitù di qualsiasi genere.
 Scegliendo la condizione servile si è proposto di essere più vicino a quanti vivevano in schiavitù e ridare ad essi la coscienza della loro dignità e libertà. Il testo ribadisce l'inno della Lettera ai Filippesi 2,5-7: pur essendo Dio è diventato servo, realizzando con la sua morte in croce il suo servizio. Pur essendo ricco, è diventato povero per arricchire noi (cf. 2Cor 8,9). La vera grandezza e la libertà autentica è nell'umiltà del servire. Gesù è in mezzo a noi come colui che serve (cf. Lc 22,27; Gv 13,1-17).
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 25/VII/2012

Nella festa del tuo apostolo Giacomo, aiutami, Signore, a ricordarmi che tu mi insegni ad amare. 
E se anche "possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla". 
Non permettere mai che dimentichi fino a che punto ti sei umiliato per salvarci e che, se vogliamo seguirti, anche noi dobbiamo fare lo stesso. 
Aiutami a portare la mia croce, senza rumore e senza clamore, all'ombra della tua croce, e liberami dalla presunzione che mi tiene lontano da te.
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martedì 24 luglio 2012

Tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli!»

Mt 12,46-50
Mentre egli parlava ancora alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti». Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre». 


Il confronto di Gesù con gli scribi e i farisei ci ha mostrato a quale profondità il regno di Dio mette in questione l'uomo, giudicandolo sulle motivazioni ultime del suo agire. Ora Matteo riporta la nostra attenzione verso le folle e la parentela di Gesù. L'intervento di Gesù ci presenta di nuovo la rottura che il regno dei cieli produce nei confronti dei legami umani di parentela. La parentela che viene dal Padre è più importante di quella che deriva dai legami di sangue: questa è umana e temporale, quella è divina ed eterna. Una nuova famiglia nasce attorno a Gesù. L'immagine di questa nuova cerchia familiare è rafforzata dal fatto che Matteo designa Dio col nome di Padre. Chi fa la volontà del Padre come Gesù, diventa per lui fratello, sorella e madre. Questa comunione ha sopra di sé il Padre celeste e, in mezzo, Gesù come fratello di tutti (18, 20). Essere discepoli di Gesù è qualcosa di diverso dal possedere un certificato di battesimo. Il discepolo si mostra tale compiendo la volontà del Padre, così come Gesù l'ha annunciata. Solo coloro che sono disposti a impegnarsi totalmente per accogliere e vivere la parola di Gesù appartengono alla famiglia di Gesù. La fraternità ecclesiale non è frutto di un impegno moralistico o di uno spirito corporativo, ma trae origine e significato dalla fede in Cristo. 
Padre Lino Pedron 
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Mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane

Qualsiasi attività — umanamente importante o no — deve trasformarsi per te in un mezzo per servire il Signore e gli uomini: è questa la vera misura della sua importanza. (Forgia, 684) 


Lavora sempre, e in tutto, con sacrificio, per mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane. (Forgia, 685)  


La corrispondenza alla grazia sta anche nelle piccole cose della giornata, che sembrano senza importanza e, invece, hanno la trascendenza dell'Amore. (Forgia, 686) 


Non bisogna dimenticare che il lavoro umanamente degno, nobile e onesto, può — e deve! — essere elevato all'ordine soprannaturale, e diventare un'occupazione divina. (Forgia, 687) 


Gesù, nostro Signore e Modello, crescendo e vivendo come uno di noi, ci rivela che l'esistenza umana — la tua —, le occupazioni comuni e ordinarie, hanno un senso divino, di eternità. (Forgia, 688)
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lunedì 23 luglio 2012

Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto

Gv 15,1-8
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto.In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

In questo brano Gesù scongiura i suoi amici di rimanere in lui, nel suo amore, per portare molto frutto e per godere la gioia in pienezza. L'espressione dominante di questo testo è "rimanere in", che ricorre sette volte. Gesù si presenta come la vite della verità: in questo modo afferma di essere il Cristo, il profeta definitivo atteso dagli ebrei e la fonte della rivelazione piena e perfetta. 
Nell'Antico Testamento la vite ha simboleggiato il popolo d'Israele. Il salmo 80 canta la storia del popolo di Dio utilizzando l'immagine della vite che Dio ha divelto dall'Egitto per trapiantarla in Palestina, dopo averle preparato il terreno. La presentazione del Padre, come l'agricoltore che coltiva la vite identificata con Gesù, richiama il canto d'amore di Isaia 5,1-7 nel quale il Signore è descritto come il vignaiolo che cura la casa d'Israele. La vite-Gesù produce numerosi tralci; non tutti però danno frutto. Il portare frutto dipende dal rapporto personale del discepolo con Gesù, dall'unione intima con il Cristo. L'opera purificatrice di Dio nei discepoli di Gesù ha come scopo una fecondità maggiore. Dio purifica i discepoli dal male e dal peccato per mezzo della parola di Gesù. 
Per Giovanni la purificazione è legata alla parola di Cristo, cioè all'adesione, per mezzo della fede, alla sua rivelazione. Gesù parla della mutua immanenza tra lui e i suoi amici. Nel passo finale del discorso di Cafàrnao, egli aveva fatto dipendere questa comunione perfetta tra lui e i suoi discepoli dal mangiare la sua carne e dal bere il suo sangue (Gv 6,56). La finalità della comunione intima con Gesù, il frutto che ogni tralcio deve portare è la salvezza. L'uomo separato da Cristo, che è la fonte della vita, si trova nell'incapacità di vivere e operare nella vita divina. Senza l'azione dello Spirito Santo è impossibile entrare nel regno di Dio (Gv 3,5); senza l'attrazione del Padre, nessuno può andare verso il Cristo e credere in lui (Gv 6,44.65). Come il mondo incredulo si trova nell'incapacità totale di credere (Gv 12,39) e di ricevere la Spirito della verità (Gv 14,17), così i discepoli, se non rimangono uniti al Cristo, non possono operare nulla sul piano della fede e della grazia (v. 5). 
Chi non rimane in Cristo, vite della verità, non solo è sterile, ma subirà la condanna del giudizio finale (v. 6). Una conseguenza benefica del rimanere in Gesù è l'esaudimento delle preghiere dei discepoli da parte del Padre. L'unione intima e profonda con Gesù rende molto fecondi nella vita di fede e capaci di glorificare Dio Padre (v. 8).
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 23/VII/2012

Signore, conoscere te è la vita eterna, servirti è la pace perfetta. 
Difendici, ti preghiamo, dagli assalti dei nemici che tentano di allontanarci da te, unico vero Dio, che ti sei rivelato a noi in Gesù crocifisso e risorto. 
Fa' che oggi la nostra ricerca di te sia autentica, che le nostre azioni siano secondo la tua volontà. 
Noi vogliamo ascoltare la tua parola per vivere quella economia umile e nascosta del regno che essa ci insegna, ma siamo consapevoli della nostra fragilità e delle nostre debolezze. 
Vieni in nostro soccorso e vinci in noi ogni egoismo e ogni chiusura. 
Te lo chiediamo per Cristo Gesù nostro Signore. 
Amen.
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domenica 22 luglio 2012

I figli sono la cosa più importante

Ci sono due punti di capitale importanza nella vita dei popoli: le leggi sul matrimonio e le leggi sull'istruzione; e lì, i figli di Dio devono essere risoluti, lottare bene e nobilmente, per amore verso tutte le creature. (Forgia, 104) 


I genitori sono i principali educatori dei figli, sia nell'aspetto umano che in quello soprannaturale, e devono sentire la responsabilità di questa missione che esige comprensione, prudenza, capacità di insegnare e, soprattutto, di amare; nonché l'impegno di dare buon esempio. 
L'imposizione autoritaria e violenta non è una buona risorsa educativa. L'ideale per i genitori consiste piuttosto nel farsi amici dei figli: amici ai quali si confidano le proprie inquietudini, con cui si discutono i diversi problemi, dai quali ci si aspetta un aiuto efficace e sincero. 
 È necessario che i genitori trovino il tempo di stare con i figli e parlare con loro. I figli sono la loro cosa più importante: più degli affari, più del lavoro, più dello svago. In queste conversazioni bisogna ascoltarli con attenzione, sforzarsi di comprenderli, saper riconoscere la parte di verità — o tutta la verità — che può esserci in alcune loro ribellioni. E allo stesso tempo bisogna aiutarli a incanalare rettamente ansie e aspirazioni, insegnando loro a riflettere sulla realtà delle cose e a ragionare. Non si tratta di imporre una determinata linea di condotta, ma di mostrare i motivi, soprannaturali e umani, che la raccomandano. In una parola, si tratta di rispettare la loro libertà, poiché non c'è vera educazione senza responsabilità personale, né responsabilità senza libertà. (E' Gesù che passa, 27)
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Erano come pecore che non hanno pastore

Mc 6,30-34 
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.  Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore , e si mise a insegnare loro molte cose. 


Gesù non si fida dell'entusiasmo: sa che svanisce di fronte alle prime difficoltà (cf. Mc 4,16-17) e che non è segno di fede. E' la situazione che viene descritta in questo brano. 
I discepoli sono presi dall'entusiasmo e raccontano a Gesù tutto quello che avevano fatto e insegnato. Il risultato della loro missione è lì sotto gli occhi di tutti, in quella gente che va e viene e non lascia più loro neppure il tempo per mangiare. Risultato strepitoso. 
Quella gente li fa sentire veramente "pescatori di uomini" (cf. Mc 1,7) realizzati. Questo racconto mira a rispecchiare già la futura immagine dell'attività missionaria della Chiesa: fare e insegnare come Gesù. Dopo le guarigioni descritte nel primo capitolo di questo vangelo, Gesù si era ritirato in un luogo deserto a pregare (1,35) e alla provocante espressione: "Tutti ti cercano" (1,37) aveva risposto con un atteggiamento, umanamente parlando, poco intelligente: "Andiamocene altrove!" (1,38). 
Gesù non sfrutta mai le occasioni favorevoli della popolarità e dell'entusiasmo viscerale: ci vuol ben altro per recidere alla radice il peccato del mondo e per immettere la novità di Dio in un'umanità così malandata. In questo brano, l'entusiasmo della folla è per i discepoli oltre che per Gesù. 
In questa cornice, la parola di Gesù: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'" (v. 31) acquista il suo giusto valore. Gesù li vuole sfebbrare (cfr Lc 10,17-20). 
L'entusiasmo è pericoloso: per la folla e per i discepoli. L'insegnamento è chiaro: se vogliamo evitare i pericoli della popolarità, non dobbiamo lasciarci travolgere dall'entusiasmo viscerale e acritico che fa perdere il senso del limite e dà i fumi alla testa. L'antidoto è la solitudine e la preghiera. Gesù ha pietà della folla perché è disorganizzata. Non c'è nessuno che si occupi di essa ed è abbandonata a se stessa: non forma un popolo ma un'accozzaglia. La pietà di Gesù si traduce in insegnamento. Nel vangelo di Marco, quando Gesù si trova con la folla, si può stare certi che non perderà l'occasione per istruirla. Il seguito del vangelo ribadirà, con maggiore forza, questa costante di Gesù: "La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare" (Mc 10,1). Il legame che Marco instaura tra insegnamento e formazione di un popolo non è artificiale. Siamo davanti a un gregge senza pastore, un gregge disperso: solo la parola di Gesù può radunare e riunire gli smarriti e i dispersi. E dopo la parola, il pane; parola e pane che saziano la fame integrale delle folle: come nelle nostre Eucaristie. Viene in mente l'inquietudine di Mosè, ormai prossimo alla morte, quando chiese a Dio di provvedere alla sua successione dando un capo alla comunità radunata nel deserto (Nm 27,15-17). 
Anche Ezechiele confidava ai suoi ascoltatori la speranza che Dio si sarebbe preso personalmente cura del proprio gregge procurandogli un buon pasto e dandogli come pastore un nuovo Davide per porre fine al suo errare (Ez 34). Il salmo 23 aveva ripreso questo tema del Dio-pastore che offre al suo popolo il riposo per rinfrancarlo e apparecchiargli la mensa. Il riposo dei discepoli consiste nel bere alla fonte della misericordia divina, incarnata in Gesù, e nel fare propria la tenerezza di Dio per il suo popolo: così si impara a diventare apostoli. 
Gesù li invita a fare propria la sua ansia per le folle: ciò implica il preciso impegno di istruirle e di nutrirle (6,37-41) prima di concedersi il tempo per mangiare e riposarsi (6,31). Assumendo la sua missione di Pastore-Messia annunciato dai profeti (Es 34,23-25; 37,24) e invocato dalla preghiera del popolo ebraico (Sal 74,1; 77,21; 78,52-53.70-72, 80,1), Gesù comincia ad insegnare loro molte cose (v. 34). 
Marco, che attribuisce sempre molta importanza all'insegnamento di Gesù, non ne specifica mai il contenuto, come se volesse far capire che questo contenuto è la persona stessa di Gesù. 
Padre Lino Pedron 
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Preghiera del mattino del 22/VII/2012

Dio, Padre nostro, tuo Figlio ci ha detto che nella nostra disgrazia, possiamo rivolgerci a te. 
Tu l'hai mandato per essere il tuo Salvatore e aiutare tutti quelli che, prigionieri della loro miseria o della loro colpa, non hanno nessuno che voglia e possa aiutarli. 
Noi, che facciamo parte del tuo popolo, ti ringraziamo di poterci rimettere oggi alla tua provvidenza e al tuo Figlio, che è attento a noi. 
Mettiamo tutte le nostre preoccupazioni e tutti i nostri impegni nelle tue mani per sottometterci con fiducia alle esigenze di questa giornata. 
Ti raccomandiamo tutti quelli che soffrono, che sono disperati, senza coraggio di vivere. 
Tu li aiuterai. 
E per tutti quelli che hanno oggi bisogno del nostro sostegno, fa' che noi conserviamo il cuore e gli occhi aperti. 
La tua buona volontà si compia in tutti gli uomini.
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sabato 21 luglio 2012

Non contenderà, né griderà

Dal Vangelo secondo Matteo 12,14-21. 
I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui per toglierlo di mezzo. Ma Gesù, saputolo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli guarì tutti, ordinando loro di non divulgarlo, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: Ecco il mio servo che io ho scelto; il mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Porrò il mio spirito sopra di lui e annunzierà la giustizia alle genti. Non contenderà, né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce. La canna infranta non spezzerà, non spegnerà il lucignolo fumigante, finché abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le genti. 


Nostro Signore non è stato paragonato a un leone quando è stato condotto alla morte... 
Come un agnello, una pecora, restava in silenzio mentre veniva condotto alla Passione e alla morte: “Era come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” nella sua umiliazione (Is 53,7)... 
In piedi davanti al giudice che lo interroga, lui, il Maestro e dottore di ogni sapienza, non risponde..., affinché si compia la parola: “Era come agnello condotto al macello” (Is 53,7). 
Lo guidano, lo conducono da un luogo all'altro, lo portano da un posto all'altro, trascinandolo da un giudice all'altro come se fosse muto. Davanti ad Anna, tace (Gv 18,13); finché questi non lo scongiura, non parla. Interrogato da Pilato, resta in silenzio; e finché non sente la domanda: “Sei tu il re dei Giudei?” (Gv 18,33)... non risponde. 
Allora l'hanno condotto da Erode che lo ha interrogato per vedere e sentire dalla sua bocca cose straordinarie e per tentarlo (Lc 23,8s): anche lì, è rimasto in silenzio, non ha gridato, non ha risposto al suo interlocutore. Lo vedevano come uno che non sa niente, uno senza senno che non ha risposte. I suoi nemici hanno pensato quanto hanno voluto, ma lui non ha perso l'innocenza dell'agnello. 
Filosseno di Mabbug ( ?- circa 523), vescovo in Siria Omelie, n° 5, 137-139
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Preghiera del mattino del 21/VII/2012

Dio, tu ci conosci a fondo, tu sai fino a che punto abbiamo bisogno di essere convertiti. 
Ma noi abbiamo paura di cambiare. 
Eppure tu vieni verso di noi con la tua parola buona e generosa. 
Fa' che oggi non ci sottraiamo, che siamo aperti e pronti a ricevere la tua parola, in Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore, che vive con te nell'unità dello Spirito Santo, e regna per l'eternità. 
Signore manda la Tua benedizione su di noi e anche sulle persone che ci sono ostili. 
Trasforma ogni maledizione in benedizione.
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venerdì 20 luglio 2012

Il Figlio dell’uomo è signore del sabato

Mt 12,1-8
In quel tempo Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato».  Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».

Gesù riporta il sabato alla sua vera funzione di spazio dell'azione di Dio nella storia dell'uomo. La vera misura dell'osservanza del sabato, cioè del proprio rapporto con Dio, non è il culto con tutte le sue prescrizioni ma la misericordia che si manifesta nelle opere d'amore verso i bisognosi.
Gesù è il figlio dell'uomo signore del sabato: è lui l'inviato di Dio autorizzato a dirci cosa Dio vuole o non vuole, che cosa è più importante o meno importante. Per Dio la realtà più importante è l'uomo. L'uomo è più importante del tempio e più importante del sabato (Mt 2,27).
I farisei di allora e quelli di tutti i tempi partivano da un principio che sembra assolutamente giusto, ma che è completamente sbagliato: Dio è superiore all'uomo, quindi prima viene l'onore di Dio, poi il bene dell'uomo. A questo ragionamento soggiace la convinzione che l'onore di Dio, che è amore, possa trovarsi in conflitto col bene dell'uomo.
La gloria di Dio, invece, è sempre il bene dell'uomo, come ci ricorda sant'Ireneo: "La gloria di Dio è l'uomo vivente". La signoria di Dio, padrone del sabato, si manifesta nell'amore e quindi la vera osservanza del sabato dev'essere una celebrazione dell'amore di Dio per l'uomo e dell'uomo verso il suo simile. La religione non consiste nell'osservanza arida e ossessiva della legge, ma nell'accogliere la misericordia di Dio e nel donarla agli altri. I farisei non hanno misericordia verso i discepoli di Gesù che hanno fame. La misericordia che si preoccupa della fame del prossimo è più importante del sacrificio, cioè dell'osservanza puramente letterale della legge del sabato.
Il comandamento dell'amore è il criterio sul quale vanno valutati tutti gli altri: o sono manifestazioni d'amore o decadono. Il sabato (la domenica per noi cristiani) dev'essere il giorno della misericordia accolta e donata.
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 20/VII/2012

Signore e Padre, ancora non so che cosa mi porterà la giornata di oggi. 
Vi sono dei giorni in cui percepisco la libertà della mia forza creatrice, ma altri in cui gli obblighi mi opprimono. 
Fammi vivere oggi in vista della mia salvezza e di quella degli altri. 
Ti prego nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore. 
Amen.
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giovedì 19 luglio 2012

Io sono mite e umile di cuore

Mt 11,28-30
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». 


Gli affaticati e gli oppressi sono coloro che penavano sotto le pesanti prescrizioni della legge e che si sentivano smarriti davanti alla dottrina difficile e complicata dei rabbini. Gesù invita tutti costoro a cercare nel suo vangelo la vera volontà di Dio: una volontà esigente, ma lineare e semplice, alla portata di tutti. Gesù si definisce mite e umile di cuore. Mite significa l'atteggiamento di Gesù nei confronti degli uomini, un atteggiamento lineare, coraggioso ma non violento; misericordioso, tollerante, pronto al perdono, ma anche severo ed esigente. Umile indica l'atteggiamento ubbidiente e docile alla volontà del Padre: un atteggiamento interiore, libero e voluto. Il "riposo" che Gesù offre, corrisponde alla promessa biblica di pace e felicità. Al seguito di Gesù, la volontà di Dio non è più un giogo oppressivo e duro, ma genera già ora quella pace gioiosa promessa agli umili e ai miti, garanzia della salvezza definitiva. Gli insegnamenti degli scribi e dei farisei, invece, sono "pesanti fardelli che impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito" (Mt 23,4) e producono allontanamento da Dio e disperazione di potersi salvare. Al contrario, il "carico" di Gesù è leggero; la religione cristiana non consiste nell'osservanza della legge giudaica ma nell'entrare nel rapporto del Figlio con il Padre assumendo l'atteggiamento dei piccoli. Tutti coloro che sono disillusi da ogni forma di religione che non salva e appesantisce la vita sono invitati a seguire Gesù che porta al mondo la religione vera e definitiva. Gesù si presenta " mite e umile di cuore". Mite significa il suo atteggiamento accogliente e misericordioso verso gli uomini. Umile di cuore indica il suo atteggiamento ubbidiente alla volontà del Padre. Gesù non è un maestro autoritario. Egli non impone agli altri i pesi che prima non ha portato lui. Il giogo è "suo" perché l'ha portato lui per primo ed è "leggero" perché non contiene ordini assurdi e impossibili. Lo ricordava Pietro nell'assemblea degli apostoli e degli anziani a Gerusalemme: "Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati…" (At 15,10-11). E la prima lettera di Giovanni ci assicura: "I suoi comandamenti non sono gravosi" (1Gv 5,3). 
Padre Lino Pedron
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mercoledì 18 luglio 2012

Siate bambini che desiderano la Parola di Dio

La nostra volontà, con la grazia, è onnipotente davanti a Dio. —Così, di fronte a tante offese al Signore, se diciamo a Gesù con volontà efficace, nell'andare in tram, per esempio: “Dio mio, vorrei fare tanti atti d'amore e di riparazione quanti sono i giri delle ruote di questa vettura”, in quello stesso istante, nei confronti di Gesù, abbiamo realmente amato e riparato secondo il nostro desiderio. Questa “sciocchezza” non esula dall'infanzia spirituale: è il dialogo eterno tra il bambino innocente e il padre innamorato pazzo di suo figlio: —Quanto mi vuoi bene? Dimmi! —E il piccolo scandisce: —Mol-ti mi-lio-ni! (Cammino, 897) 


Nella vita interiore è assai vantaggioso per noi tutti essere quasi modo geniti infantes, come quei piccoli che sembrano fatti di gomma, che sanno godere persino dei loro capitomboli, perché si rimettono subito in piedi per continuare le loro scorribande e perché hanno anche, se è necessario, il conforto dei genitori. 
Se ci comportiamo come loro, gli inciampi e gli insuccessi — peraltro inevitabili — della vita interiore non sboccheranno mai nell'amarezza. Reagiremo col pentimento, ma senza sconforto, e col sorriso che sgorga, come acqua limpida, dalla gioia della nostra condizione di figli di Dio, figli del suo Amore di Padre, della sua grandezza, della sua sapienza infinita, della sua misericordia. Ho imparato, nei miei anni di servizio al Signore, ad essere figlio piccino di Dio. E' ciò che chiedo a voi: siate quasi modo geniti infantes, bambini che desiderano la parola di Dio, il pane di Dio, l'alimento di Dio, la fortezza di Dio, per comportarvi d'ora innanzi come veri cristiani (Amici di Dio, 146)
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Io ti lodo, Dio, e ti ringrazio per il tuo Figlio Gesù.

Mt 11,25-27
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

L'opera di Gesù è presentata come rivelazione di Dio. Le "cose" che il Padre ha rivelato ai piccoli sono l'intero vangelo, cioè quella nuova comprensione di Dio e della sua volontà che è manifestata nei comportamenti e nelle parole di Gesù. I sapienti e gli intelligenti, ai quali il Padre ha tenuto nascoste queste cose, sono i rabbini e i farisei che restano ciechi di fronte alla chiarezza delle parole di Gesù e irritati perché predica ai poveri. I piccoli non sono i bambini, ma gli uomini senza cultura, senza competenza nelle scienze religiose. Concretamente, al tempo di Gesù, erano i poveri popolani disprezzati cordialmente dagli scribi e dai farisei. Di essi dicevano: "Un ignorante non può sfuggire al peccato e un uomo dei campi non può appartenere a Dio". Questo brano contiene un forte richiamo alla conversione rivolto a tutti, ma specialmente ai teologi. La rivelazione della sapienza di Dio non incontra l'uomo nella sua sapienza e assennatezza, ma dove smette di fare affidamento sulla propria sapienza. Dio dona la sua rivelazione a modo suo. Il cuore umano trova riposo quando accoglie come dono la bontà e l'amore di Dio e quando percorre deciso il cammino nel quale Cristo l'ha preceduto: il cammino della croce.
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 18/VII/2012

Io ti lodo, Dio, e ti ringrazio per il tuo Figlio Gesù. 
In Lui Tu ti avvicini a me. 
È grazie alla sua parola che io imparo a conoscerti. 
Egli mi libera dalla paura e mi dà coraggio. 
Per amore di Lui, ho fiducia in Te per dare ai miei giorni un senso e un compimento alla mia vita.
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martedì 17 luglio 2012

Nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne e la terra di Sòdoma saranno trattate meno duramente di voi

Mt 11,20-24 
Allora si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi.  E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!». 


I contemporanei di Gesù, che non hanno voluto credere alle sue parole, non si sono lasciati persuadere neppure dalle sue opere prodigiose. Il rifiuto delle città del lago strappa a Gesù un'esclamazione di sofferenza e di indignazione, come un lamento che sale alle labbra di fronte a una disgrazia che poteva essere evitata. Le città fortificate della Galilea furono le prime ad essere assediate ed espugnate dai romani, fin dal 67, durante la rivolta del 67-70, che culminò nella distruzione di Gerusalemme. L'evangelista ci vuole ricordare la maggiore prontezza dei pagani nell'accogliere il vangelo in confronto con il popolo di Israele. L'alternativa al giudizio di condanna è la conversione a Cristo. Non esiste una terza possibilità. Il rifiuto cosciente della fede rende l'uomo colpevole. 
Padre Lino Pedron
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Queste crisi mondiali sono crisi di santi

È giunto per noi un giorno di salvezza, di eternità. Una volta ancora si odono i richiami del Pastore Divino, le sue parole affettuose: “Vocavi te nomine tuo” — ti ho chiamato per nome. Come nostra madre, Egli ci invita per nome. Anzi: con il nomignolo affettuoso, famigliare. — Laggiù, nell'intimità dell'anima, chiama, e bisogna rispondere: “Ecce ego, quia vocasti me” — eccomi, perché mi hai chiamato, deciso stavolta a non permettere che il tempo passi come l'acqua sui ciottoli, senza lasciare traccia. (Forgia, 7) 


Voi e io facciamo parte della famiglia di Cristo, perché in lui Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà (...) 
La meta che vi propongo — o meglio, la meta che Dio indica a noi tutti — non è un miraggio o un ideale irraggiungibile: potrei portarvi molti esempi di gente della strada, come voi e come me, uomini e donne, che hanno incontrato Gesù che passa quasi in occulto [Gv 7,10] per i crocicchi apparentemente più usuali, e si sono decisi a seguirlo, abbracciando con amore la croce di ogni giorno [Cfr Mt 16,24]. In questo tempo di sgretolamento generale, di cedimenti e di scoraggiamenti, o di libertinaggio e di anarchia, mi sembra ancor più attuale la semplice e profonda convinzione che, agli inizi del mio lavoro sacerdotale, e sempre, mi ha consumato nel desiderio di comunicarla a tutta l'umanità: queste crisi mondiali sono crisi di santi. (...) 
Vita interiore: è un'esigenza della chiamata che il Maestro ha acceso nell'anima di tutti. Dobbiamo essere santi — se mi consentite l'espressione — da capo a piedi: cristiani veri, autentici, canonizzabili; altrimenti avremo fallito come discepoli dell'unico Maestro. Badate inoltre che Dio, fissando la sua attenzione su di noi, concedendoci la grazia che ci sostiene nella lotta per raggiungere la santità in mezzo al mondo, ci impone anche l'obbligo dell'apostolato. (Amici di Dio, nn. 2-5)
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Preghiera del mattino del 17/VII/2012

Signore, fammi riconoscere l'impronta della tua gloria sul cammino della mia vita. 
Fammi riconoscere i segni del tuo amore in tutto ciò che mi capita. 
Non lasciare che la mia fiducia si indebolisca, ma fammi diventare luce di speranza per tutti quelli che ti cercano. 
La pace e la benedizione del Signore scendano su tutti voi e sui vostri cari.
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lunedì 16 luglio 2012

Preghiera alla B.V. del Carmelo

O Maria, Madre del Carmelo, a Te consacro tutta la mia vita quale piccolo tributo per le tante grazie e benedizioni che attraverso le tue mani ho ricevuto da Dio. 
Tu guardi con particolare benevolenza coloro che indossano il tuo Scapolare; Ti supplico perciò di sostenere la mia fragilità con le tue virtù, d' illuminare con la tua sapienza le tenebre della mia mente e di accrescere in me la fede, la speranza e la carità, affinché possa ogni giorno renderti il tributo di umile omaggio. 
Il sacro Scapolare richiami su di me gli sguardi tuoi misericordiosi e sia pegno della tua particolare protezione nella lotta quotidiana, sì che possa rimanere fedele al Figlio tuo e a Te. 
Il tuo Scapolare mi tenga lontano da ogni peccato e mi doni ogni giorno la certezza che Tu sei vicino a me e il desiderio di imitare le tue virtù. 
D' ora in poi cercherò di vivere in soave unione con il tuo Spirito e di offrire tutto a Dio per mezzo tuo. 
O Madre dilettissima, il tuo indefettibile amore! faccia sì che un giorno sia concesso anche a me, indegno peccatore, di trasformare il tuo Scapolare nell' eterna veste nuziale e di abitare con Te e con i Santi del Carmelo nel Regno del Figlio tuo. 
Così sia.
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Sono venuto a portare non pace, ma spada

Mt 10,34-11,1
Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l'uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.

Gesù non è venuto a suscitare guerre fratricide, ma a portare un messaggio d'amore e di salvezza. Egli non ha mandato i suoi discepoli a portare la spada, ma la pace (Mt 5,9; 10,12-13), il perdono (Mt 6,14-15), la riconciliazione (Mt 5,23-26), la mitezza (Mt 5,39-42; 10,16) e l'amore dei nemici (Mt 5,43-48).
Ma davanti a questo splendido messaggio di bontà gli uomini possono reagire in due modi: accogliendo o rifiutando il vangelo. Quelli che si oppongono in modo violento al vangelo e agli evangelizzatori producono la rottura e la divisione. E ciò può avvenire anche all'interno della stessa famiglia. Gesù è venuto a portare la spada del giudizio di Dio che separa il bene dal male, coloro che credono in lui da coloro che lo rifiutano.
La parola di Dio è come una spada che penetra nell'intimo di ogni persona e la giudica mettendo in evidenza le sue vere intenzioni (Eb 4,12-13). Di fronte a questa scelta radicale, pro o contro Cristo, il discepolo deve essere disposto a prendere la croce della rottura con i familiari e a seguire Cristo. E' questione di vita o di morte. E per avere la vita eterna bisogna essere disposti a perdere la vita temporale. Cristo è Dio che dev'essere amato più di ogni altra persona, perfino più di se stessi. Il linguaggio di Gesù è comprensibile per chi crede che Dio risuscita i morti e dà la vita eterna a chi ha perduto la vita per causa di Cristo.
La conclusione del discorso missionario non è rivolta ai missionari, ma a coloro che li accolgono. Chi accoglie i missionari accoglie Cristo e il Padre che li ha mandati.
Accoglierli come profeti significa prima di tutto ascoltarli e accettare il messaggio che annunciano. Accoglierli come giusti significa non considerarli come semplici viandanti che chiedono ospitalità, ma come uomini di Dio. Accoglierli come piccoli significa considerarli deboli e bisognosi.
E' il Signore che li ha mandati senza soldi e senza mezzi (Mt 10,9-10): essi hanno affidato il problema del loro sostentamento alla provvidenza del Padre e all'accoglienza dei fratelli. E coloro che li accolgono non devono preoccuparsi perché, se sono dei veri missionari, si accontenteranno di poco (un bicchiere d'acqua fresca), di quel minimo indispensabile per riprendere il viaggio e l'annuncio del regno di Dio.
Nella conclusione del discorso, Matteo vuole mettere in evidenza che quanto ha scritto è il documento ufficiale della missione apostolica per tutti i discepoli di tutti i tempi.
Padre Lino Pedron
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Porta sul petto il santo scapolare

Porta sul petto il santo scapolare del Carmine. —Poche devozioni —ci sono molte e bellissime devozioni mariane— sono così radicate tra i fedeli e così ricche di benedizioni dei Pontefici. —E poi, è così materno quel privilegio sabatino! (Cammino, 500) 


Quando ti domandarono quale immagine della Madonna t'ispirava più devozione, e rispondesti —come chi ne ha ben fatto esperienza— “Tutte”, compresi che eri un figlio buono: perciò ti piacciono —“Mi fanno innamorare”, dicesti— tutti i ritratti di tua Madre. (Cammino, 501) 


Maria, maestra di orazione. —Guarda come prega suo Figlio, a Cana. E come insiste, senza perdersi d'animo, con perseveranza. —E come ottiene. —Impara. (Cammino, 502). 


Se vuoi essere fedele, sii molto mariano. La Madre nostra —dall'annuncio dell'Angelo fino alla sua agonia al piedi della Croce— non ha avuto altro cuore né altra vita che quella di Gesù. Ricorri a Maria con tenera devozione di figlio, ed Ella ti otterrà la lealtà e l'abnegazione che desideri. (Via Crucis, Stazione. XIII, n.4)
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Preghiera del mattino del 16/VII/2012

Buon Dio, aiutami ad accettare questa giornata, sia per quello che avrà di piacevole sia per quello che avrà di difficile. 
Fa' che oggi io non cerchi solo la mia felicità, che non persegua solo i miei scopi, che non imponga le mie idee. 
Fa' che sia attento e sensibile alle buone idee degli altri, al loro desiderio di essere riconosciuti e capiti. 
Fa' che mi apra a coloro che vivono ai margini della mia vita, e ai quali sovente non faccio attenzione. 
Fa' che esca dalla ristrettezza dei miei pensieri, concedimi un cuore grande.
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domenica 15 luglio 2012

Incominciò a mandarli a due a due

Dal Vangelo secondo Marco 6,7-13. 
Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. E diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo. Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro». E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.

Beato Giovanni Paolo II (1920-2005), papa 
Messaggio per la 42a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni 17/04/2005 
Dice a Pietro: Duc in altum – Prendi il largo (Lc 5, 4). Pietro e i primi compagni si fidarono della parola di Cristo, e gettarono le reti (Novo millennio ineunte, 1).... Chi apre il cuore a Cristo non soltanto comprende il mistero della propria esistenza, ma anche quello della propria vocazione, e matura splendidi frutti di grazia. ...Vivendo il Vangelo sine glossa, il cristiano diventa sempre più capace di amare al modo stesso di Cristo, di cui accoglie l'esortazione: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5, 48). Egli si impegna a perseverare nell'unità con i fratelli entro la comunione della Chiesa, e si pone al servizio della nuova evangelizzazione per proclamare e testimoniare la stupenda verità dell'amore salvifico di Dio. 
Cari giovani, è a voi che, in modo particolare, rinnovo l'invito di Cristo a prendere il largo. ... Fidatevi di Lui, mettetevi in ascolto dei suoi insegnamenti, fissate lo sguardo sul suo volto, perseverate nell'ascolto della sua Parola. Lasciate che sia Lui a orientare ogni vostra ricerca e aspirazione, ogni vostro ideale e desiderio del cuore. ... Penso al tempo stesso alle parole rivolte da Maria, sua Madre, ai servi a Cana di Galilea: Fate quello che vi dirà (Gv 2, 5). Cristo, cari giovani, vi chiede di prendere il largo e la Vergine vi incoraggia a non esitare nel seguirlo. Salga da ogni angolo della terra, sostenuta dalla materna intercessione della Madonna, l'ardente preghiera al padre celeste per ottenere operai nella sua messe (Mt 9, 38). 
Gesù, Figlio di Dio, in cui dimora la pienezza della divinità, Tu chiami tutti i battezzati a prendere il largo, percorrendo la via della santità. Suscita nel cuore dei giovani il desiderio di essere nel mondo di oggi testimoni della potenza del tuo amore. Riempili con il tuo Spirito di fortezza e di prudenza perché siano capaci di scoprire la piena verità di sé e della propria vocazione. Salvatore nostro, mandato dal Padre per rivelarne l'amore misericordioso, fa' alla tua Chiesa il dono di giovani pronti a prendere il largo, per essere tra i fratelli manifestazione della tua presenza che rinnova e salva. Vergine Santa, Madre del Redentore, guida sicura nel cammino verso Dio e il prossimo, Tu che hai conservato le sue parole nell'intimo del cuore, sostieni con la tua materna intercessione le famiglie e le comunità ecclesiali, affinché aiutino gli adolescenti e i giovani a rispondere generosamente alla chiamata del Signore. Amen.
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