domenica 12 luglio 2015

La Missione dei dodici apostoli

Commento al Vangelo della XV Domenica T.O. 2015 "B " (Mc 6,7-13)


Il disprezzo che i Nazaretani avevano mostrato per Gesù fu forse una delle ragioni per le quali Egli mandò i suoi apostoli in missione nelle regioni circostanti. Nella sua infinita misericordia tolse così, a quelli che l’avevano conosciuto fanciullo, il pretesto di non credere alla buona novella, e inaugurò solennemente Egli stesso quella missione di preparazione e di evangelizzazione che non doveva interrompersi mai nella Chiesa, e che durerà fino alla consumazione dei secoli. Li mandò in varie parti, a due a due, perché l’uno fosse stato aiuto dell’altro, e volle che fossero stati abbandonati interamente al Signore, senza avere preoccupazioni di prestigio umano.
Conquistatori di nuovo genere, essi avanzavano senza aver nulla per il viaggio, eccetto un bastone per sostenersi, e i più rozzi sandali ai piedi per custodirsi contro le pietre delle strade.
In san Matteo è detto che non dovevano avere né bastone né scarpe (10,10) cioè che non dovevano portare sandali o bastoni di ricambio, e san Marco dice subito delle tuniche, dovendo portare il puro necessario al loro cammino, senza preoccupazioni temporali.
Gesù Cristo diede loro la potestà sugli spiriti immondi e di guarire i malanni del corpo, ungendo con l’olio gli infermi; essi dovevano così annunciare e figurare i due grandi Sacramenti della misericordia, quello della Penitenza che scaccia satana dall'anima, e quello dell’Estrema Unzione che purifica l’anima e sana anche le infermità della natura umana; di quest’ultimo Sacramento lo dice espressamente il Concilio di Trento. Andavano avanti come messaggeri del Re, con un mandato spirituale altissimo che non doveva in nessun modo confondersi con un qualunque giro di propaganda; perciò Gesù volle che si fossero fermati in una sola casa, senza andare qua e là, o accettare inviti di convenienza, quasi fossero andati a diporto.
Dovevano annunciare la buona novella senza clamori, senza contese, senza suscitare inutili reazioni; se la loro parola non fosse stata accettata, dovevano solo mostrare la loro riprovazione per questo atto di resistenza alla Parola di Dio, e declinare ogni responsabilità, scuotendo la polvere dei loro piedi, cioè mostrando, con questo atto simbolico allora in uso, che essi non volevano portare con loro neppure la polvere di quel paese che rifiutava la misericordia e la grazia, e declinavano qualunque responsabilità innanzi a Dio.
 La Chiesa ha raccolto l’eredità di Gesù Cristo, e manda i missionari per tutta la terra con lo stesso programma di povertà e di umiltà. Essi si distinguono nettamente da alcuni pretesi missionari del protestantesimo e di tutte le sette, i quali vanno come stipendiati, con tutta l’abbondanza delle ricchezze e delle comodità, e spargono solo la zizzania dei loro errori. È un dato di fatto che può constatare chiunque. Chi va in missione in nome di Dio, non ha bisogno di prestigio umano e di mezzi materiali esuberanti: ha bisogno solo di grande fiducia in Dio e di grande amore per la sua divina gloria.
Chi va… in missione con i grossi bagagli, con la servitù, con la moglie e col portafoglio carico di sterline e di dollari non è mandato da Gesù, perché Gesù non manda così i suoi apostoli. La ricchezza di alcune delle dette missioni protestanti – che a tanti, persino cattolici, sembra un segno di prosperità e non in contrasto con la povertà delle missioni cattoliche –, è invece un segno della loro falsità mercenaria. Dio non abbandona alla miseria le missioni cattoliche, come potrebbe apparire, ma vuole che siano affidate alla sua provvidenza e all’amoroso concorso dei suoi figli.
La ristrettezza dei mezzi finanziari è il segno di Dio: Senza bisaccia, senza pane, senza denaro nella cinturacalzati di sandali, senza portare due tuniche. Il Signore provvede i suoi missionari, ma in modo che essi non corrano pericolo di mutare la missione in una azienda o in un affare commerciale; le ristrettezze costringono a volgere gli occhi a Dio, e portano la ricchezza dello spirito; spingono gli altri al soccorso, e suscitano le ricche energie della carità.


È un po’ penoso pensare, per esempio, che l’America stanzi un miliardo per aiuto ai protestanti, e che tra i cattolici di tutto il mondo non si raccolga neppure la metà o il quarto di questa somma; ma i milioni protestanti sono il capitale di un’azienda, mentre i milioni dei cattolici sono stille di carità e di sacrificio che accendono fiamme di fede e d’amore.

Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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domenica 5 luglio 2015

Il disprezzo degli abitanti di Nazareth per Gesù

Commento al Vangelo del 5/7/2015, Dom. XIV t.o. "B"

Partito da Cafarnao, Gesù andò a Nazareth, riguardata da tutti come la sua patria. Era stato tanti anni nascosto in quella città; vi aveva esercitato il mestiere di falegname insieme con san Giuseppe, suo padre putativo e, ritornandovi ora, accompagnato dai discepoli come maestro di sapienza suscitò l’animosità dei cittadini.
Avrebbero dovuto gloriarsi di Lui ma, per le continue opposizioni degli scribi e farisei, non crederono che la sua notorietà fosse giunta a tal punto da lusingarli nell’orgoglio di essere concittadini di un illustre personaggio. Essi, anzi, concepirono disprezzo per la sapienza altissima che manifestava, sembrando loro una presunzione, e stimandola una contraddizione con i suoi umili natali. Molti conoscevano sua Madre, Maria, la sua parentela, i suoi fratelli-cugini e le sue sorelle-cugine, tutta gente che appariva di nessun conto, e sembrava loro diminuirsi, rendendogli omaggio. Non parlarono di san Giuseppe il quale era già morto, ma di Gesùfalegname, perché, evidentemente era subentrato a san Giuseppe nel mestiere, e si scandalizzarono, sembrando loro che la sua predicazione fosse un discredito per il sacro ministero.
Nazaret aveva la poco lusinghiera taccia di essere una città di scemi; si direbbe che l’apprezzamento che fecero di Gesù confermasse questa taccia, perché si scandalizzavano di quello che avrebbe dovuto edificarli, e si contraddicevano perché, pur tenendo Gesù in nessun conto, avrebbero voluto vedergli operare grandi miracoli. Egli invece, per la loro poca fede, poté solo guarire qualche infermo, imponendogli la mano.
È detto, nel Sacro Testo, che Gesù si meravigliava della loro incredulità. Da che cosa veniva questa meraviglia? Dal fatto che – come è detto in san Luca (4,22) –, tutti gli rendevano testimonianza, e ammiravano le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca; i Nazareni non potevano negare la grandezza della sua sapienza, e intanto non volevano riconoscerla come il più grande segno della sua missione; lo lodavano come maestro e lo disprezzavano come Messia, non volendo ammettere che il re che aspettavano fosse di così umile condizione.
La loro incredulità meravigliava Gesù, anche perché lo addolorava profondamente, amando Egli Nazareth, e volendo colmarla di benedizioni. Ma nessun profeta è in onore nella sua patria, nella sua casa e tra i suoi parenti, per le prevenzioni dell’orgoglio, per le animosità latenti di gelosia che si hanno contro di lui, e per il fatto stesso di averlo conosciuto bambino e fanciullo; perciò Gesù dovette contentarsi di andare ad annunciare la divina Parola nei villaggi circostanti.
L’ingratitudine di Nazareth gli causò un gravissimo dolore, perché quella città non capì l’altissimo onore che le era stato concesso da Dio, e non seppe ricavarne profitto. Vedere l’umile falegname mutato in un grande Maestro di dottrina che non potevano non ammirare li avrebbe dovuti persuadere di più che Egli era un essere straordinario; invece concepirono per Lui tale avversione da minacciarlo nella vita, come ci dice san Luca (4,28-29).
Così fanno tante anime sterili che dicono di ammirare le bellezze del Vangelo, e poi rinnegano Gesù nella loro vita, scacciandolo dal loro cuore. Ammirano il Vangelo, ma quando lo paragonano alle loro orgogliose spampanate, sembra indegno di loro, e non intendono che esso è sapienza che non tramonta mai, ed è la pietruzza che abbatte le statue idolatriche dell’umana, pretesa sapienza.
Gli uomini stolti credono che abbiano valore le loro idee e spregiano quelle della fede; eppure le loro idee sono come vapori di nebbia che sono vapori dissipati dal vento e travolti dal turbine.
         Ci lamentiamo che Gesù non operi in noi grandi cose, e non ci lamentiamo mai della poca fede che abbiamo, per nostra colpa. La parola di Dio è come semente che richiede il terreno per prosperare. Apriamo il cuore a Gesù con grande umiltà, ed Egli opererà in noi meraviglie di grazia, perché il suo infinito amore non ha altro desiderio che di riempirci di beni. 
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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Messaggio di Medjugorje a Mirjana del 2 luglio 2015

Cari figli, 
vi invito a diffondere la fede in mio Figlio, la vostra fede. 
Voi, miei figli, illuminati dallo Spirito Santo, miei apostoli, trasmettetela agli altri, a coloro che non credono, non sanno e non vogliono sapere. 
Perciò voi dovete pregare molto per il dono dell’amore, perché l’amore è un tratto distintivo della vera fede e voi sarete apostoli del mio amore. 
L’amore ravviva sempre nuovamente il dolore e la gioia dell’Eucaristia, ravviva il dolore della Passione di mio Figlio, che vi ha mostrato cosa vuol dire amare senza misura; ravviva la gioia del fatto che vi ha lasciato il suo Corpo ed il suo Sangue per nutrirvi di sé ed essere così una cosa sola con voi. 
Guardandovi con tenerezza provo un amore senza misura, che mi rafforza nel mio desiderio di condurvi ad una fede salda. 
Una fede salda vi darà gioia e allegrezza sulla terra e, alla fine, l’incontro con mio Figlio. 
Questo è il suo desiderio. 
Perciò vivete lui, vivete l’amore, vivete la luce che sempre vi illumina  nell'Eucaristia. 
Vi prego di pregare molto per i vostri pastori, di pregare per avere quanto più amore possibile per loro, perché mio Figlio ve li ha dati affinché vi nutrano col suo Corpo e vi insegnino l’amore. 
Perciò amateli anche voi! 
Ma, figli miei, ricordate: l’amore significa sopportare e dare e mai, mai giudicare. Vi ringrazio.
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Messaggio di Medjugorje del 25 giugno 2015

Cari figli! 
Anche oggi l’Altissimo mi dona la grazia di potervi amare ed invitare alla conversione. 
Figlioli, Dio sia il vostro domani, non guerra ed inquietudine, non tristezza ma gioia e pace devono regnare nei cuori di tutti gli uomini e senza Dio non troverete mai la pace. 
Perciò, figlioli, ritornate a Dio e alla preghiera perché il vostro cuore canti con gioia. 
Io sono con voi e vi amo con immenso amore. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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La tempesta sedata

Commento al Vangelo del 21 giugno 2015

Gesù, venuta la sera, volle passare all'altra riva del lago. Si pose a poppa della navicella, si adagiò su di un guanciale e si addormentò, mentre gli apostoli remigavano.
Era presente e sembrava assente; lo nascondevano le tenebre, e lo eclissavano il silenzio poiché dormiva.
Improvvisamente si levò una bufera di vento che sospingeva le onde nella barca, fino a riempirla. Sembrava che da un momento all'altro affondasse: non c’era scampo, e Gesù dormiva.
È l’unica volta che il Vangelo ci parla del sonno di Lui, ed era un sonno nella tempesta.
Agli apostoli sembrò una noncuranza da parte sua, e lo svegliarono. Eppure Egli non solo si curava di loro, ma ne provava e fortificava la fede. Si levò allora pieno di maestà, sgridò il vento, impose al mare di tacere e di calmarsi, e subito si fece grande tranquillità, con immenso stupore degli apostoli.

LA CHIESA NELLA TEMPESTA

Era la sintesi del cammino della Chiesa nei secoli: essa passa da una riva all’altra, dal tempo all’eternità; è in compagnia di Gesù ed è in balia delle onde delle umane vicende e delle umane tempeste. Gesù Cristo è con lei, ma sembra che dorma nel silenzio eucaristico, e quasi appare noncurante delle lotte che essa affronta, proprio quando maggiore è il pericolo.
Egli tace ma è presente; tace perché vuol essere risvegliato dalla fede, e quando le preghiere diventano grido di vera fede, allora solo si leva e impone la calma alla tempesta.
La domanda che si fecero gli apostoli: Chi è mai costui cui il vento e il mare obbediscono? Fa vedere chiaramente che la loro fede era ancora imperfetta: Gesù permise la tempesta per risuscitarla, come permette nella Chiesa le grandi tempeste per rinnovarci nella fede.
Confidiamo in Gesù nelle oscurità dello spirito, e confidiamo in Lui, ora specialmente che la Chiesa si trova in tempeste terribili, mai viste prima. Nelle nostre tempeste rifugiamoci in Lui, e in quelle della Chiesa preghiamo perché venga la calma nella fecondità spirituale delle anime, e nella suprema aspirazione alla vita eterna.
Confidiamo, dormiamo, anzi, sul Cuore divino di Gesù, e rifugiamoci ai piedi del suo altare.
Là Egli non si vede, ma si sente, e lo sente la fiducia che lo cerca come unica salvezza. Siamone certi: la tempesta non ci può sommergere se confidiamo in Lui, e perciò dilatiamo il cuore nel suo amore, e viviamo innanzi ai suoi tabernacoli.
Essi sono la fortezza della Chiesa, sono il riposo nella tempesta, sono la potenza che le impone il silenzio e la calma.

O Gesù, vita della tua Chiesa, ascolta la sua voce supplicante; levati sulle tempeste che tentano sommergerla, imponi la calma, riduci al silenzio le potenze infernali; vinci, vinci, e venga il tuo regno in tutta la terra, fatta un solo ovile sotto un solo Pastore per la tua parola di vita!
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martedì 16 giugno 2015

Il magistero della divina Parola

Commento al Vangelo della XI Domenica del T.O. B (Mc 4,26-34)


La fecondazione della Parola di Dio non è frutto di oratoria o di industria umana, ma è frutto della grazia che opera silenziosamente nei cuori ben disposti.
Il seminatore ha cura di preparare il terreno e di metterlo nelle condizioni di prosperare; dopo che ha gettato la sementedorme la nottecioè si abbandona a Dio e confida in Lui nelle incertezze della stagione; sorge, poi, il giorno, cioè continua il suo lavoro nella terra per quanto gli sia possibile, e cerca di aumentarne le fecondità. Egli aspetta dalla Provvidenza il frutto, e la terra, benedetta da Dio, produce essa stessa l’erba, la spiga e il frutto, aspettando, al tempo della messe, la falce.
Così avviene nella Chiesa e nelle anime: l’apostolo getta la buona semente nei cuori ben disposti, e confida nel Signore, implorando la sua misericordia e la sua grazia perché la fecondi. La grazia produce a poco a poco il frutto, e rende l’anima matura nelle vie di Dio, preparandola al Giudizio finale che sarà il tempo della messe di tutte le anime.
La parabola del granello di senapa
Chi si alimenta della Parola di Dio non deve preoccuparsi eccessivamente di veder subito il suo frutto nel cuore, perché l’azione della grazia è lenta e graduale. Chi si affanna e pretende di controllare continuamente la semente che è stata posta nel suo cuore, finisce per toglierla dal terreno e impedirne la germinazione. Occorre la pazienza dell’attesa e la fiducia grande nel Signore tanto per l’anima propria quanto per quello che si dona agli altri. Il lavoro spirituale non è mai perduto, e dopo lunga attesa vengono fuori germi insperati di vita, e il campo del Signore prospera e fruttifica.

La Chiesa non si dilata come i grandi imperi, a furia di armi e di spettacolose parate; essa appare innanzi al mondo come un piccolo granello di senape che sembra sproporzionato al suo sviluppo ma poi cresce in un grande arbusto, sul quale possono nidificare gli uccelli. Nella Chiesa poi, e nelle anime che ne fanno parte, il principio fondamentale della prosperità non è ciò che appare grande, ma l’umiltà che è piccolezza feconda. Non si raggiunge una meta elevata, ingrandendosi, ma impiccolendosi; più l’anima si umilia, più Dio la riempie di forza e di grazia; più s’impiccolisce e più cresce nelle vie della santità. Non si può, quindi, aspirare nella Chiesa a trionfi mondani o impressionanti, poiché il suo vero trionfo sta nella fecondità spirituale che la rende albero fiorito in mezzo alla sterilità universale. Gesù Cristo, parlando del granello di senape, si rivolse specialmente a quelli che attendevano il regno politico glorioso del Messia, e a quelli che, nei secoli futuri, avrebbero sognato trionfi politici del suo regno. No, la Chiesa non avrà mai questi trionfi che praticamente diminuirebbero la sua vera vita; essa è pellegrina, naviga verso gli eterni lidi, è combattente e, imbattibile, aspira alla vita eterna e non può trovare sulla terra né la sua dimora né la perfetta calma né il riposo.



Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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giovedì 11 giugno 2015

Nutriamoci della Parola di Dio di giovedì 11 giugno 2015

Dal Vangelo secondo Matteo (10,7-13)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento. In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi”. 

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON 
Andare in missione è ancora oggi il grande ideale della Chiesa, un ideale che coinvolge tutti, chi va e chi resta. La predicazione apostolica riprende e continua gli annunci di Gesù e del Battista, cominciando dal regno dei cieli. L'annuncio è fatto con la parola (v.7), con le opere di bene (v.8a) e con la testimonianza della vita (vv.8b-10). La predicazione è il momento prioritario. 
La lieta notizia dev'essere anzitutto ascoltata e conosciuta per trovare risonanza nel cuore dell'uomo. Ma il vangelo è soprattutto una proposta di bene: per questo dev'essere tradotto in opere di salvezza (esorcismi e guarigioni). Matteo elenca alcune norme che costituiscono lo stile missionario. La prima di esse è la povertà. Il discepolo di Cristo dona se stesso gratuitamente: è la povertà più vera e più profonda. 
Questa povertà si esprime nell'accontentarsi dello stretto necessario (v.9) e nel coraggio (che è fede) di affidare anche il problema di quel poco alla provvidenza di Dio. La ragione di questo comando riguardo alla povertà non è detta, ma scaturisce dal contesto evangelico. Nel discorso della montagna viene annunciato il regno ai poveri (Mt 5,3) e i discepoli sono invitati a reprimere le eccessive preoccupazioni terrene facendo affidamento sulla bontà del Padre celeste (Mt 6,25-34). 
Ma più ancora conta l'esempio di Gesù che vive in mezzo alla sua gente senza sapere dove posare il capo (Mt 8,20). Il missionario non può avere un comportamento diverso da quello del suo maestro (Mt 10,24) e difforme dal contenuto del messaggio che annuncia. La povertà e il distacco dalle preoccupazioni materiali sottolineano l'urgenza dell'evangelizzazione. 
Chi è totalmente assorbito dall'annuncio del messaggio cristiano non può trascinarsi dietro bagagli né preoccuparsi di faccende materiali e pecuniarie. Il missionario evangelico deve presentarsi agli uomini spoglio, umile e penitente come è richiesto dal discorso della montagna. In qualunque città o villaggio arriverà, l'apostolo dovrà farsi indicare qualche persona degna presso la quale prendere alloggio (v.11), cioè un luogo che non susciti pettegolezzi che renderebbero vana la predicazione. 
Augurare la pace significa comunicare la totalità dei beni promessi da Dio, cioè il regno dei cieli che si realizza in Gesù.
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Nutriamoci della Parola di Dio di mercoledì 10 giugno 2015

Dal Vangelo secondo Matteo (5,17-19.)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: « Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. 
In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. 
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. »

Meditazione del giorno
« Non sono venuto ad abolire la Legge e i Profeti, ma per dare compimento »
Volete sapere come, lungi dal distruggere la Legge e i profeti, Gesù Cristo viene piuttosto a confermali e a completarli? Per prima cosa, riguardo ai profeti, egli conferma con le sue opere ciò che avevano annunciato. Per cui incontriamo spessissimo nel vangelo di Matteo questa espressione: “Affinché si adempisse questa parola del profeta”…
Riguardo alla Legge, egli le ha dato compimento in tre modi. In primo luogo, non tralasciando nessuna delle prescrizioni. Dichiara infatti a Giovanni Battista: “Conviene che così adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,15); e ai Giudei diceva: “Chi di voi può convincermi di peccato?” (Gv 8,46)…
In secondo luogo, dà compimento alla Legge volendo sottomettersi ad essa per la nostra salvezza. Quale prodigio! Sottomettendosi ad essa, ci ha comunicato la grazia di adempirla a nostra volta. San Paolo ce l’insegna con queste parole: “Il termine della Legge è Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede” (Rm 10,4). Dice anche che il Salvatore ha condannato il peccato nella carne “perché la giustizia della Legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne” (Rm 8,4). Dice ancora: “Togliamo dunque ogni valore alla Legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la Legge” (Rm 3,31). Infatti la Legge tendeva a rendere l’uomo giusto, ma non ne aveva la forza. Allora è venuto Cristo, il termine della Legge e ci ha mostrato la strada che conduce alla giustizia, cioè la fede. Così, ha compiuto le intenzioni delle Legge. La lettera della Legge non poteva giustificare il peccatore; la fede in Gesù Cristo lo giustificherà. Ecco perché egli può dire: “Non sono venuto ad abolire la Legge”.
Guardando con maggiore attenzione, scorgiamo un terzo modo nel quale la Legge viene adempiuta da Cristo. In che modo? Consiste nei precetti stessi dati da Cristo: lungi dal rovesciare quelli di Mosè, ne sono la giusta conseguenza e il complemento naturale.
San Giovanni Crisostomo
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L’Eucaristia Il grande segreto del regno di Dio

Corpus Domini 2015 B (Mc 14,12-16.22-26)


Gesù Cristo scelse una grande solennità, la Pasqua, per istituire il Sacramento del suo amore che era il compimento mirabile delle figure e delle profezie che lo preannunciavano. Nella Pasqua si riunivano le famiglie in maggiore intimità, e mangiavano l’agnello dopo averlo immolato al tempio; era il rinnovarsi del ricordo della liberazione dall’Egitto, ed era il sospiro alla liberazione che doveva apportare la redenzione; era un sacrificio di ringraziamento, e una solenne invocazione al Re atteso da secoli. Gesù Cristo volle unire la figura alla Realtà, e proprio nella Cena pasquale si donò come Agnello di vita e di liberazione.
Nel primo giorno degli Azzimi, cioè della solennità pasquale nella quale si mangiava il pane non fermentato, gli apostoli domandarono a Gesù dove volesse che preparassero il banchetto. Essi erano pellegrini nella Giudea, e avevano necessità di essere ospitati da qualche persona amica. Gli Ebrei, infatti, avevano, nelle case, delle stanze più ampie dove avvenivano le riunioni familiari e la preghiera comune, e le cedevano volentieri a quelli che peregrinavano per la Pasqua.
Gesù Cristo, conoscendo già l’imminente tradimento di Giuda, non volle che egli sapesse in anticipo il luogo del suo convegno pasquale, affinché non avesse potuto ordire una congiura con i principi dei sacerdoti, e disturbare la festa del suo amore. Ordinariamente era proprio Giuda che si occupava delle necessità temporali degli apostoli, ma questa volta Gesù incaricò Pietro e Giovanni di trovare un cenacolo ospitale e preparare la Pasqua. Egli li mandò, dando loro delle indicazioni per rintracciare la persona amica, e fece così perché Giuda non avesse potuto conoscerla precedentemente.
Le indicazioni che Gesù diede a Pietro e a Giovanni, per quanto semplici, mostravano che egli conosceva tutto antecedentemente; essi avrebbero incontrato un uomo che portava una anfora d’acqua; dovevano dunque dirigersi verso la fontana pubblica. Il Redentore sapeva che avrebbero trovato non un uomo qualunque, ma il servo di una famiglia conosciuta e amica. Forse il cenacolo era di proprietà di uno dei suoi amici occulti, forse di Nicodemo, ed Egli, delicatamente, non volle comprometterlo. Giuda avrebbe potuto denunciarlo, e se avesse ordito la cattura proprio nel cenacolo, avrebbe causato un disturbo grandissimo al padrone del luogo.
La delicata, divina signorilità di Gesù gli faceva evitare qualunque penosa sorpresa a colui che l’avrebbe ospitato.
L’immediata condiscendenza del padrone della casa mostra che egli era generoso e affezionato al Redentore, e perciò gli apostoli poterono preparare sollecitamente quanto occorreva alla cena.
L’annuncio del tradimento addolorò immensamente gli apostoli, e li predispose indirettamente ad un maggiore raccoglimento interiore. Li concentrò nel divino Maestro con un amore più tenero, e li raccolse in un certo esame di coscienza sulle responsabilità che potevano avere; questo concorse a prepararli al gran dono che Gesù stava per fare loro. Con la semplicità che il Signore ha in tutte le sue grandi opere, il Redentore prese il pane e, dopo averlo benedetto, lo spezzò e lo diede a tutti, pronunciando una parola onnipotente che lo transustanziò nel suo Corpo divino: Questo è il mio Corpo. Poi prese il calice col vino, rese grazie a Dio per il beneficio che concedeva a tutti, e lo distribuì a tutti perché lo bevessero, dicendo: Questo è il mio Sangue del Nuovo Testamento, il quale sarà sparso per molti.
Poche parole, pochi momenti, bastarono a creare il miracolo più grande di amore.


Gli apostoli quasi non se ne accorsero, ma non poterono non sentire in loro una nuova vita. Erano tutti congiunti al loro Maestro come un solo corpo e un’anima sola; erano il Corpo mistico di Lui, avendo in loro la sua vita; erano innanzi al Padre celeste come creature nuove, illuminate dalla presenza del loro Redentore. Egli era a mensa come tutto trasfigurato, ineffabile nel suo sguardo di infinita carità, Sole divino che irradiava nei suoi cari! Quali momenti! Nessuna madre ha avuto mai simile tenerezza per i suoi figli, e li ha sentiti così carne della sua carne e sangue del suo sangue. Nessuna effusione d’amore ha potuto raggiungere questa che dona la vita del Redentore come vita nostra!

Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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giovedì 4 giugno 2015

Nutriamoci della Parola di Dio di giovedì 4 giugno 2015

Dal Vangelo secondo Marco (12,28-34)
In quel tempo, si accostò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”. Gesù rispose: “Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi”. Allora lo scriba gli disse: “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: “Non sei lontano dal regno di Dio”. E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. 

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON 
La domanda che lo scriba pone a Gesù non è oziosa. Data la molteplicità delle prescrizioni della legge (se ne contavano 613, ripartite in 365 proibizioni – quanti sono i giorni dell’anno – e 248 comandamenti positivi, quante si credeva fossero le parti del corpo umano), ci si poteva legittimamente interrogare sul loro valore e chiedersi quale fosse il comandamento più grande. La risposta di Gesù che pone nell’amore di Dio e del prossimo il centro della legge, non è una novità assoluta: lo insegnavano anche i rabbini di allora. La novità consiste nell’avere unificato il testo del Dt 6,4–5 con il testo del Lv 19,18. Ma per cogliere questo centro sono necessarie due precisazioni. La Bibbia insegna che il nostro amore per Dio e per il prossimo suppone un fatto precedente, senza il quale tutto resterebbe incomprensibile: l’amore di Dio per noi. Qui è l’origine e la misura del nostro amore. L’amore dell’uomo nasce dall’amore di Dio e deve misurarsi su di esso. E qui si inserisce la seconda precisazione: chi è il prossimo da amare? La Bibbia risponde: ogni uomo che Dio ama, cioè tutti gli uomini, senza alcuna distinzione, perché Dio si è rivelato in Gesù come amore universale. La nostra vita è amare Dio e unirci a lui (Dt 30,20), diventando per grazia ciò che lui è per natura. Il nostro amore per lui è la via per la nostra divinizzazione, perché uno diventa ciò che ama. Chi risponde a questo amore passa dalla morte alla vita, mentre chi non ama Dio e il prossimo rimane nella morte (1Gv 3,14). Dio è amore più forte della morte (Ct 8,6). La sua fedeltà dura in eterno (Sal 117, 2). Quando noi moriamo, egli ci ridà la vita. «Riconoscerete che io sono il Signore quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri» (Ez 37,13). Dio ha creato tutto per l’esistenza, perché è un Dio amante della vita (cf. Sap 1,14; 11,26). L’amore per l’uomo non è in alternativa a quello per Dio, ma scaturisce da esso come dalla sua sorgente. Si ama veramente il prossimo solo quando lo si aiuta a diventare se stesso, raggiungendo il fine per cui è stato creato, che è quello di amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stesso. Alla luce di questa verità, dobbiamo rivedere radicalmente il nostro modo di amare: molto del cosiddetto amore, che schiavizza sé e gli altri, è una contraffazione dell’amore, è egoismo. Quanta purificazione, quanta grazia di Dio occorrono perché l’amore sia vero amore!
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martedì 2 giugno 2015

Nutriamoci della Parola di Dio di mercoledì 3 giugno 2015

Dal Vangelo secondo Marco (12,18-27)
In quel tempo, vennero a Gesù dei sadducei, i quali dicono che non c'è risurrezione, e lo interrogarono dicendo: “Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che se muore il fratello di uno e lascia la moglie senza figli, il fratello ne prenda la moglie per dare discendenti al fratello. C'erano sette fratelli: il primo prese moglie e morì senza lasciare discendenza; allora la prese il secondo, ma morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Infine, dopo tutti, morì anche la donna. Nella risurrezione, quando risorgeranno, a chi di loro apparterrà la donna? Poiché in sette l'hanno avuta come moglie”. Rispose loro Gesù: “Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio? Quando risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore”.

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON
Anche i sadducei contestano Gesù: essi non credono alla risurrezione dei morti. La risposta di Gesù considera due momenti. Anzitutto egli fonda la fede nella risurrezione sul rapporto che Dio ha stabilito con gli uomini: un rapporto di alleanza, di amicizia, di solidarietà, di vita. Dio non è impotente di fronte alla morte, «non è il Dio dei morti, ma dei viventi» (v. 27).
Citando Esodo 3, che è un testo su Dio e non sulla risurrezione dei morti, Gesù riconduce il dibattito all’amore di Dio e alla sua fedeltà: se Dio ama l’uomo non può abbandonarlo in potere della morte.
Gesù inoltre corregge l’altro errore dei sadducei che pensano alla risurrezione come a una semplice continuazione della vita attuale, con gli stessi tipi di rapporti. Pensando in questo modo, essi non tengono conto della «potenza di Dio» (v. 24).
La risurrezione non è una semplice continuazione della vita attuale, ma il passaggio a una vita nuova, creata dalla potenza di Dio. Non è la rianimazione di un cadavere: è una trasformazione qualitativa, è una nuova esistenza.
La nostra risurrezione è il centro della vita cristiana. Senza di essa « è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» scrive Paolo ai Corinti (1Cor 15,14).
I sadducei assomigliano a tanti credenti del nostro tempo. Credono in Dio, ma non nella risurrezione dei morti. Chiusi nel materialismo, non credono, né teoricamente né praticamente, al fine a cui Dio ci ha destinati: la vita eterna. E’ l’alienazione più tragica dell’uomo, che perde ciò per cui è fatto, l’orizzonte che dà senso alla vita. Tentare di superare la morte attraverso la generazione dei figli è un rimedio peggiore del male, una vittoria illusoria, perché non si fa che accrescere il numero dei destinati alla morte.
La generazione dei figli ha senso solamente nella speranza che questi «destinati alla morte» incontrino Dio che dà loro la vita nella risurrezione.
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Nutriamoci della Parola di dio di martedì 2 giugno 2015

Dal Vangelo secondo Marco 12,13-17. 
In quel tempo, i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani mandarono a Gesù alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel discorso. E venuti, quelli gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. E' lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse: «Perché mi tentate? Portatemi un denaro perché io lo veda». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». E rimasero ammirati di lui. 

« Di chi è questa immagine ? » 
Anima, cercati in me, E, cercami in te. 
L’amore è arrivato a tanto, a riprodurti in me, o Anima, che nemmeno il più grande pittore potrebbe, con tanto talento, disegnare una tale immagine. 
Per amore fosti creata, bella, bellissima, e per questo dipinta nelle mie viscere, se ti perdessi, amata mia, dovresti cercarti in me. 
Perché so che troverai nel fondo del mio cuore il tuo ritratto, dipinto in modo così rassomigliante che, vedendoti, ti rallegrerai di vederti così splendidamente dipinta. 
Se per caso, non sapessi in quale luogo trovarmi, non andare di qua e di là, ma, se vuoi trovarmi, cercami in te. 
Poiché sei il mio focolare, la mia casa, la mia dimora, Chiamo, in ogni momento, se trovo chiusa la porta del tuo pensiero. 
Fuori di te, non cercarmi, poiché per trovarmi, basta che mi chiami; e a te verrò senz'indugio. Cercami in te. 
Santa Teresa d'Avila
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Messaggio di Medjugorje a Mirjana del 2 giugno 2015

Cari figli, 
desidero operare per mezzo di voi, miei figli, miei apostoli, affinché alla fine possa radunare tutti i miei figli là dove tutto è preparato per la vostra felicità. 
Prego per voi, affinché con le opere possiate convertire, perché è arrivato il tempo per le opere della verità, per mio Figlio. 
Il mio amore opererà in voi, mi servirò di voi. 
Abbiate fiducia in me, perché tutto quello che desidero, lo desidero per il vostro bene, l’eterno bene, creato per mezzo del Padre Celeste. 
Voi, figli miei, apostoli miei, vivete la vita terrena in comunità con i miei figli che non hanno conosciuto l’amore di mio Figlio, coloro i quali non mi chiamano madre. 
Non abbiate però paura a testimoniare la verità, perché se voi non avete paura e testimoniate con coraggio, la verità miracolosamente vincerà.
Ricordate: la forza è nell'amore. 
Figli miei, l’amore è pentimento, perdono, preghiera, sacrificio e misericordia, perché se saprete amare con le opere convertirete gli altri, permetterete che la luce di mio Figlio penetri nelle anime. 
Vi ringrazio. 
Pregate per i vostri pastori, loro appartengono a mio Figlio. Lui li ha chiamati. Pregate affinché sempre abbiano la forza e il coraggio di brillare della luce di mio Figlio.
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martedì 26 maggio 2015

Messaggio di Medjugorje del 25 maggio 2015

Cari figli! 
Anche oggi sono con voi e con gioia vi invito tutti: pregate e credete nella forza della preghiera. 
Aprite i vostri cuori, figlioli, affinché Dio vi colmi con il suo amore e voi sarete gioia per gli altri. 
La vostra testimonianza sarà forte e tutto ciò che fate sarà intrecciato della tenerezza di Dio. 
Io sono con voi e prego per voi e per la vostra conversione fino a quando non metterete Dio al primo posto. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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lunedì 25 maggio 2015

La venuta dello Spirito Santo

Annunciando la venuta dello Spirito Santo, Gesù Cristo disse che sarebbe stato mandato da Lui e dal Padre, e con questo disse chiaramente che lo Spirito Santo procedeva da Lui e dal Padre. Egli espresse proprio l’opposto di quello che gli eretici, negatori della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, pretesero dedurre dalle sue parole. Teologicamente, infatti, nelle Persone divine la missione, ossia l’essere mandata l’una dall’altra, indica proprio la processione di una dall’altra, o per generazione, come avviene nel Figlio, o per spirazione, come avviene nello Spirito Santo. Gesù, quindi, dicendo che avrebbe mandato lo Spirito Santo dal Padre, disse chiaramente che lo Spirito Santo procedeva da Lui e dal Padre, come notano sant’Ilario (cf De Trinitate, Lib. VIII,) e sant’Agostino (cf De Trinitate, capitolo XX, Libro IV); e implicitamente disse che procedeva per unica spirazione, essendo Egli una sola cosa col Padre.
Soggiunse, è vero: Lo Spirito di verità che procede dal Padre, ma sottintese sempre: Io manderò, e quindi sottintese che procedeva anche da Lui. Egli, del resto, come è detto nel capitolo seguente chiarissimamente (16,13), protestò che tutto ciò che aveva il Padre lo aveva anche Lui, e quindi che lo Spirito Santo procedeva dal Padre e da Lui. In questo capitolo, disse che lo Spirito Santo procedeva dal Padre, e nel seguente disse chericeveva da Lui: De meo accipiet. Ora, in Dio non c’è altra ragione di ricevere che il procedere, e quindi ricevere significava procedere. Dai due Testi, perciò, risulta chiaro che lo Spirito Santo procede dal Padre e riceve dal Figlio, ossia procede dal Padre e dal Figlio.
Gli apostoli dovevano rendere testimonianza a Gesù Cristo, attestando da testimoni oculari quello che avevano visto e udito. Ma la loro testimonianza sarebbe stata vana senza una conferma divina, e questa l’avrebbe data lo Spirito Santo con i doni e con i carismi. Gli apostoli avrebbero attinto la forza per operare dalla Santissima Eucaristia, e per Gesù Cristo avrebbero avuto la pienezza delle grazie dello Spirito Santo. Essi avrebbero così resistito alle persecuzioni e all’odio del mondo e, pur subendo dolori, angustie e morte ad imitazione del Maestro divino, avrebbero compiuto la loro missione.
Il pensiero poi che il Maestro divino li lasciava, li rattristava grandemente, perché erano come figliolini attaccati alle vesti materne. Che cosa potevano annunciare al mondo? A che cosa si riduceva la dottrina che avevano ascoltata? La loro mente era confusa e il loro spirito, anche inconsciamente, desiderava delle chiarificazioni. Per questo Gesù soggiunse: Molte cose ho ancora da dirvi, ma non ne siete capaci adesso. Quando verrà Spirito di verità, Egli v’insegnerà tutta la verità. Egli infatti non vi parlerà da se stesso ma vi dirà quanto ha inteso, e vi annuncerà le cose che dovranno succedere. Egli mi glorificherà, perché prenderà ciò che è mio e ve lo annuncerà. Tutto ciò che ha il Padre mio è mio; perciò vi ho detto che prenderà ciò che è mio e ve lo annuncerà.
Gesù voleva dire: Voi desiderate sapere che cosa dovrete dire al mondo, e vi preoccupate della vostra missione. Io, in realtà, non vi ho detto ancora tutto, e ho molte altre cose da rivelarvi, ma voi non sareste ora capaci di comprenderle. Vi manderò lo Spirito Santo ed Egli v’insegnerà tutta la verità. Egli non farà una nuova economia di provvidenza salvatrice né verrà per fondare qualcosa di diverso da quello che ho fatto già io, non vi parlerà da se stesso, ma vi dirà quanto ha inteso, cioè vi dirà quanto io ho detto e ve lo spiegherà, e vi annuncerà le cose che dovranno succedere, dicendovi quello che io non ho potuto ancora annunciarvi, e dandovi lo spirito di profezia. Voi così non sarete confusi né per ciò che avete visto e ascoltato né per ciò che vi avverrà.
Vi scoraggiate nella vostra missione, ma non siete voi che dovrete glorificarmi, quasi semplici testimoni di un fatto storico; lo Spirito Santo mi glorificherà in voi illuminandovi su tutto ciò che vi ho detto, e vi darà la luce di sapienza perché mi glorifichiate innanzi al mondo; la vostra missione, in altri termini, è soprannaturale, e voi, con la vostra fede, diffonderete in tutti la luce della fede, e con la vostra vita mi glorificherete amandomi e accendendo i cuori d’amore. Lo Spirito Santo procede da me, e riceve da me, con la natura divina, la sapienza divina per istruirvi.
Vi dissi già che Egli procede dal Padre (15,26), ma ora aggiungo che procede anche da me, perché tutto ciò che ha il Padre è mio; il Padre gli comunica la natura divina, e gliela comunico anch’io; procede dal Padre e da me come da unico Principio, e riceve dal Padre e da me la natura divina, la scienza ecc.… Egli, dunque, mi glorificherà solennemente non solo per ciò che ho compiuto come uomo, ma mi glorificherà come Dio:prenderà ciò che è mio e ve lo annuncerà, ossia vi annuncerà la verità della mia natura divina, di quella natura che Egli riceve da me come dal Padre, e vi farà intendere luminosamente che io sono veramente Figlio di Dio. 
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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Richiesta di preghiere 24/5/2015

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo  e nel Cuore Immacolato di Maria, preghiamo per Federico portatore di tre rarissimi tumori e sta lottando duramente. E’ padre di una bimba e marito. Grazie a tutti. Che Dio vi benedica. 
P.S. Vi ricordo che mercoledì 27 c.m. sarò sottoposto, in ospedale, a Cardioversione. Un abbraccio in Cristo. Sergio.

Carissimi vi chiedo preghiere per Rita, che domani viene ricoverata all'ospedale per un delicatissimo intervento all'intestino. (ripristinare le funzioni fisiologiche togliendo il sacchetto addominale). La delicatezza consiste anche perchè Rita è già affetta da una difficile malattia cronica il "lupus". 
Grazie. ardea da Trieste
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domenica 24 maggio 2015

Richiesta di preghiere 22/5/2015

Carissimi 
fratelli e sorelle oggi raccomando alle vostre preghiere Angelo, una persona deliziosa, affetta da autismo, che, dopo aver ricevuto l'effusione dello Spirito nel gruppo Effata del RnS ha fatto un enorme cambiamento positivo. 
A seguito di un'operazione fatta poco tempo fa, ha contratto un'infezione al cuore ed oggi viene operato al cuore. 
Lo raccomando alle vostre preghiere come raccomando alle vostre preghiere i chirurghi che lo dovranno operare. Il Signore assista e protegga Angelo e guidi le mani dei chirurghi affinché tutto si risolva per il meglio. 
Grazie. ardea da Trieste
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Nutriamoci della Parola di Dio di sabato 23 maggio 2015

Dal Vangelo secondo Giovanni (21,20-25)
In quel tempo, Pietro, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: “Signore, chi è che ti tradisce?”. Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: “Signore, e lui?”. Gesù rispose: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi”. Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: “Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?”.
Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON
La predizione della sua morte suscita in Pietro la curiosità sulla sorte del discepolo amato che lo seguiva dietro il Maestro (v.20). Ma Gesù non soddisfa la curiosità dell'apostolo. Pietro non deve preoccuparsi della fine dell'amico, ma solo di seguire il Maestro; Gesù potrebbe lasciarlo in vita fino al suo ritorno nella parusia, che probabilmente non era ritenuta lontana (cfr 1Cor 4,5; 11,26; 1Ts 4,15ss; Ap 3,11; 22,7.12.20).
Probabilmente questo discepolo amato, noto a tutti i lettori del vangelo di Giovanni, dovette essere molto longevo; per questo le parole del Signore a Pietro, riportate nel v.22, furono equivocate e considerate una profezia della sua immortalità (v.23).
Alla fine di questo brano troviamo un secondo epilogo sulla veracità della testimonianza del discepolo amato e sull'incompletezza del vangelo di Giovanni.
Con l'iperbole del v.25 l'autore vuol mettere in risalto che solo una piccola parte delle opere compiute da Gesù è stata messa per iscritto.
Questo lavoro di raccolta e di penetrazione è un grande dono per la fede della Chiesa e di ogni discepolo, che ha per vocazione un orizzonte senza confini, come il messaggio spirituale di Cristo.
Origene ha scritto: "Primizia dei vangeli è quello secondo Giovanni, il cui senso profondo non può cogliere chi non abbia poggiato il capo sul petto di Gesù e non abbia ricevuto da lui Maria come sua madre. Colui che sarà un nuovo Giovanni deve diventare tale da essere indicato da Gesù, per così dire, come Giovanni che è Gesù" (Commento al vangelo di Giovanni, Torino 1968, 123).
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