mercoledì 31 luglio 2013

Abbiamo un'opportunità per rialzarci,

Il 2 agosto, o in un altro giorno stabilito dall'ordinario secondo l'utilità dei fedeli, nelle basiliche minori, nei santuari, nelle chiese parrocchiali si può acquistare l'indulgenza plenaria della "Porziuncola". 
Le opere prescritte sono: visita alla Chiesa con la recita del Padre nostro e del Credo, confessione, comunione e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. 
L'indulgenza si può acquistare soltanto una volta. 
La visita alla Chiesa si può fare dal mezzogiorno del giorno precedente alla mezzanotte che conclude il giorno stabilito. 
(Enchiridion Indulgentiarum, ed.1999, concessione n. 33). 
(maria m.) 

La maestosa Basilica di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola, costruita su interessamento di S. Pio V a partire dal 1569 e che sorge a circa 4 chilometri da Assisi, racchiude tra le sue mura l’antica cappella della Porziuncola, legata alla memoria di S. Francesco d’Assisi, essendo la stessa culla degli ordini francescani. Oggi, essa sulla sua facciata ha un affresco raffigurante l’istituzione del Perdono di Assisi, opera di G. F. Overbek di Lubecca (1829-1830), il quale ha così voluto decorare quell’insigne luogo. Le volte annerite, le pareti sobrie con tracce di affreschi del XIV sec., all’interno, creano un ambiente suggestivo che invita alla preghiera. Dietro l’altare vi è uno splendido polittico, con fondo in oro del prete Ilario da Viterbo (1393), nel cui centro è raffigurata “L’Annunciazione” e nei riquadri circostanti episodi della vita di S. Francesco in relazione sempre alla concessione dell’indulgenza del Perdono. 
Il santo pontefice Pio X ha elevato la Chiesa di S. Maria degli Angeli alla dignità di Basilica Patriarcale, con Cappella Papale e le ha confermato il titolo di “Capo e Madre di tutto l'Ordine dei Frati Minori”. E non poteva essere diversamente, visto il grande affetto che Francesco nutriva per questo posto. Il Santo fissò “qui la sua dimora - dice S. Bonaventura nella “Legenda Major” - per la riverenza che aveva verso gli Angeli e per il grande amore alla Madre di Cristo”, cui la chiesina era dedicata (Leg Maj III, 1). 
Lo stesso Poverello – racconta il suo biografo Tommaso da Celano – raccomandava ai suoi frati: “Guardatevi dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste scacciati da una parte, rientratevi dall’altra, perché questo è luogo santo e abitazione di Dio. Qui, quando eravamo pochi, l’Altissimo ci ha moltiplicato; qui ha illuminato con la sua sapienza i cuori dei suoi poverelli; qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre volontà. Qui, chi pregherà con devozione, otterrà ciò che ha chiesto, e chi lo profanerà sarà maggiormente punito. Perciò, figli miei, stimate degno di ogni onore questo luogo, dimora di Dio, e con tutto il vostro cuore, con voce esultante, qui, inneggiate al Signore” (1 Cel. 106:503). 
In questa umile chiesa, già appartenuta ai monaci benedettini di Subasio e restaurata dallo stesso Poverello, fu fondato l’Ordine dei Frati Minori (nel 1209). Qui, nella notte tra il 27 e 28 marzo 1211, Chiara di Favarone di Offreduccio ricevette dal Santo l'abito religioso, dando origine all’ordine della Clarisse. Nella Porziuncola, nell’anno 1221, si riunì il famoso “Capitolo delle stuoie”, al quale presero parte ben cinquemila frati, provenienti da ogni parte d'Europa, per pregare, ragionare della salute dell'anima e per discutere la nuova Regola francescana. Sempre qui Francesco piamente spirò, steso sulla nuda terra, al tramonto del 3 ottobre 1226. Ancora in tale santo luogo, il Santo d’Assisi ebbe la divina ispirazione di chiedere al papa l’indulgenza che fu poi detta, appunto, della Porziuncola o Grande Perdono, la cui festa si celebra il 2 agosto. È il Diploma di fr. Teobaldo, vescovo di Assisi, uno dei documenti più diffusi, a riferirlo. S. Francesco, in una imprecisata notte del luglio 1216, mentre se ne stava in ginocchio innanzi al piccolo altare della Porziuncola, immerso in preghiera, vide all'improvviso uno sfolgorante chiarore rischiarare le pareti dell’umile chiesa. Seduti in trono, circondati da uno stuolo di angeli, apparvero, in una luce sfavillante, Gesù e Maria. Il Redentore chiese al suo Servo quale grazia desiderasse per il bene degli uomini. S. Francesco umilmente rispose: “Poiché è un misero peccatore che Ti parla, o Dio misericordioso, egli Ti domanda pietà per i suoi fratelli peccatori; e tutti coloro i quali, pentiti, varcheranno le soglie di questo luogo, abbiano da te o Signore, che vedi i loro tormenti, il perdono delle colpe commesse”. “Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande - gli disse il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza”. Era l’Indulgenza del Perdono. Alle prime luci dell’alba, quindi, il Santo d’Assisi, prendendo con sé solo frate Masseo di Marignano, si diresse verso Perugia, dove allora si trovava il Papa. Sedeva sul soglio di Pietro, dopo la morte del grande Innocenzo III, papa Onorio III, uomo anziano ma molto buono e pio, che aveva dato ciò che aveva ai poveri. Il Pontefice, ascoltato il racconto della visione dalla bocca del Poverello di Assisi, chiese per quanti anni domandasse quest’indulgenza. Francesco rispose che egli chiedeva “non anni, ma anime” e che voleva “che chiunque verrà a questa chiesa confessato e contrito, sia assolto da tutti i suoi peccati, da colpa e da pena, in cielo e in terra, dal dì del battesimo infino al dì e all'ora che entrerà nella detta chiesa”. Si trattava di una richiesta inusitata, visto che una tale indulgenza si era soliti concederla soltanto per coloro che prendevano la Croce per la liberazione del Santo Sepolcro, divenendo crociati. Il papa, infatti, fece notare al Poverello che “Non è usanza della corte romana accordare un’indulgenza simile”. Francesco ribatté: “Quello che io domando, non è da parte mia, ma da parte di Colui che mi ha mandato, cioè il Signore nostro Gesù Cristo”. Nonostante, quindi, l’opposizione della Curia, il pontefice gli accordò quanto richiedeva (“Piace a Noi che tu l’abbia”). Sul punto di accomiatarsi, il pontefice chiese a Francesco – felice per la concessione ottenuta – dove andasse “senza un documento” che attestasse quanto ottenuto. “Santo Padre, - rispose il Santo - a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l'opera sua; io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni”. L’indulgenza fu ottenuta, quindi, “vivae vocis oraculo”. 
Il 2 agosto 1216, dinanzi una grande folla, S. Francesco, alla presenza dei vescovi dell’Umbria (Assisi, Perugina, Todi, Spoleto, Nocera, Gubbio e Foligno), con l’animo colmo di gioia, promulgò il Grande Perdono, per ogni anno, in quella data, per chi, pellegrino e pentito, avesse varcato le soglie del tempietto francescano. Tale indulgenza è lucrabile, per sé o per le anime del Purgatorio, da tutti i fedeli quotidianamente, per una sola volta al giorno, per tutto l’anno in quel santo luogo e, per una volta sola, dal mezzogiorno del 1° agosto alla mezzanotte del giorno seguente, oppure, con il consenso dell’Ordinario del luogo, nella domenica precedente o successiva (a decorrere dal mezzogiorno del sabato sino alla mezzanotte della domenica), visitando una qualsiasi altra chiesa francescana o basilica minore o chiesa cattedrale o parrocchiale. 
Nel 1279, il frate Pietro di Giovanni Olivi scriveva che “essa indulgenza è di grande utilità al popolo che è spinto così alla confessione, contrizione ed emendazione dei peccati, proprio nel luogo dove, attraverso san Francesco e Santa Chiara, fu rivelato lo stato di vita evangelica adatto a questi tempi”. Nel 1303, Perugia, città che aveva avuto l’onore di ospitare in più occasioni la curia papale, ricevette dal pontefice Benedetto XI (1302-1304), ancora solo “vivae vocis oracolo”, un’indulgenza “ad instar Portiuncule”, cioè plenaria come quella della Porziuncola. 
La diffusione del movimento francescano contribuì anche all'espansione dell’indulgenza legata al Perdono di Assisi, tanto che divenne una pratica consolidata in tutta la cristianità. Paolo VI, nel riordinare le indulgenze, nella Costituzione Apostolica “Indulgentiarum doctrina” del 1° gennaio 1967, chiariva che “l’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi” (Norme n. 1). 
Prescriveva, ancora, che “l’indulgenza plenaria può essere acquistata una sola volta al giorno … Per acquistare l’indulgenza plenaria è necessario eseguire l’opera indulgenziata ed adempiere tre condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del sommo pontefice (almeno un Padre nostro, un Ave ed un Gloria al Padre, ndr). Si richiede inoltre che sia escluso qualsiasi affetto al peccato anche veniale” (Norme nn. 6 e 7). Ed, infine, stabiliva che “nelle chiese parrocchiali si può lucrare inoltre l’indulgenza plenaria due volte all'anno, cioè nella festa del santo titolare e il 2 agosto, in cui ricorre l’indulgenza della Porziuncola, oppure in altro giorno opportunamente stabilito dall'ordinario. 
Le predette indulgenze si possono acquistare o nei giorni sopra stabiliti, oppure, col consenso dell’ordinario, la domenica antecedente o successiva” (Norme n. 15) e che “l’opera prescritta per lucrare l’indulgenza plenaria annessa a una chiesa o a un oratorio consiste nella devota visita di questi luoghi sacri, recitando in essi un Pater e un Credo” (Norme n. 16). La Sacra Penitenzieria Apostolica il 29 giugno 1968 pubblicava l'“Enchiridion indulgentiarum” o “Manuale delle indulgenze” il cui par. 65, intitolato “Visitatio ecclesiae paroecialis”, statuiva che l'indulgenza plenaria al fedele che piamente visita la chiesa parrocchiale nella festa del Titolare od il giorno 2 agosto, in cui ricorre l'indulgenza della “Porziuncola”, può essere acquistata “o nel giorno sopra indicato, oppure in un altro giorno da stabilirsi dall'Ordinario secondo l'utilità dei fedeli. La chiesa cattedrale e, eventualmente, la chiesa concattedrale, anche se non sono parrocchiali, ed inoltre le chiese quasi-parrocchiali, godono delle medesime indulgenze. Nella pia visita, in conformità alla Norma 16 della Costituzione Apostolica (Indulgentiarum doctrina, ndr), il fedele deve recitare un Padre Nostro e un Credo”. 
Tale disposizione è stata sostanzialmente mantenuta inalterata anche nell’attuale edizione (la quarta) dell’“Enchiridion indulgentiarum - Normae et concessiones” pubblicato il 16 luglio 1999 dalla Paenitentiaria Apostolica (conc. 33, par. 1, nn. 2°, 3°, 5°). Nel santuario della Porziuncola, ad Assisi, invece, grazie anche ad uno speciale decreto della Penitenzeria Apostolica datato 15 luglio 1988 (Portiuncolae sacrae aedes) si può lucrare, alle medesime condizioni, durante tutto l‚anno, una sola volta al giorno.
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Vende tutti i suoi averi e compra quel campo

Mt 13,44-46 
Il Regno dei Cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il Regno dei Cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. 

Le parabole del tesoro e della perla di grande valore ci ricordano che Gesù è il nostro tesoro: per possedere lui bisogna essere disposti a lasciare tutto e tutti. 
Possiamo rappresentarci questo tesoro come un cassone o un vaso di terracotta pieno di monete d’oro o di argento. Sotterrare tesori nel campo era considerato un deposito sicuro in tempi di guerra o di incertezza. Tesori nascosti potevano essere dimenticati per la morte dei legittimi proprietari che portavano con sé il segreto nella tomba. L’unico modo possibile per il lavoratore del campo per giungere a un possesso giuridicamente non impugnabile è l’acquisto del campo. Così egli vende tutto ciò che possiede per acquistare il campo e quindi il tesoro. 
Il regno di Dio è un tesoro già presente, sperimentabile, trasmissibile nella parola e nell’opera di Gesù. Esso viene incontro all’uomo per suscitare la sua gioia. L’uomo vende tutto ciò che ha perché orienta in modo nuovo la sua vita. Ai tesori della terra sostituisce il tesoro del Regno dei Cieli. 
Il vertice della parabola sta nella decisione dell’uomo davanti alla scoperta del tesoro: egli vende tutto ciò che ha allo scopo di ottenere il campo e di impossessarsi del tesoro. Esemplari in questa decisione immediata e senza ripensamenti sono i discepoli che, incontrando Gesù, sono disposti a lasciare tutto per seguirlo (Mt 4,18-22; 8,21-22; 9,9; 19,16-29). 
Si può immaginare con quale affanno si sia messo all’opera e di quanto ridicolo si sia coperto agli occhi dei benpensanti quest’uomo che vende tutto, casa e averi, per acquistare un pezzo di terra di poco o nessun valore, com’è ordinariamente in Palestina, brulla e infruttuosa. 
Alla stessa derisione sono condannati i figli del Regno. 
Essi hanno sì acquistato un bene di inestimabile valore, ma esteriormente, agli occhi degli altri, appaiono dei falliti, degli illusi. La loro ricchezza è sconfinata ma nascosta, traspare solo dalla grande gioia che trabocca dai loro cuori. La gioia, segno di ottimismo e di speranza, è il punto culminante del racconto 
L’espropriazione dei beni non è stata un sacrificio, ma un guadagno. 
Anche nella parabola della perla preziosa viene evidenziato il valore straordinario del Regno dei Cieli in rapporto ad ogni altro bene (cfr Mt 6,33). Anche qui il culmine del racconto sta nella decisione presa dal mercante di vendere tutto quello che possiede per comperarla. 
È da notare che nella parabola del tesoro nascosto l’uomo lo trova casualmente, mentre nella parabola della perla preziosa è l’uomo che va in cerca. Nella vita alcuni hanno incontrato Cristo senza averlo cercato (cf. Mt 4,18- 22; At, 9,1-9), altri lo hanno cercato, come Nicodemo (Gv 3,1-15). 
In ogni caso il cuore dell’uomo è inquieto finché non trova il suo tesoro e la sua perla preziosa che è Cristo. 
Essere cristiano è la grazia più grande. 
Di conseguenza la gioia dovrebbe essere il dato esistenziale cristiano, affinché non risulti vero l’amaro sarcasmo di Nietzsche: «Dovrebbero rivolgermi uno sguardo più redento, se vogliono che io creda al loro redentore». 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 31/VII/2013

Signore, guarda i desideri più nobili, le aspirazioni più alte che ci sono in me. 
Guarda anche la mia debolezza e la mia viltà. 
Avendoti incontrato, non voglio andarmene via triste a causa dei miei beni che sono soltanto miserie se comparate al tesoro del regno. 
Concedimi la forza di strapparmi a me stesso, di vendere tutto per acquistare la perla preziosa, per acquistare il campo come un tempo i nostri padri ad Anatot, che è la prima porzione della terra promessa.
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martedì 30 luglio 2013

Un esame per tutti: i dieci comandamenti

Dio stesso ha parlato, si è rivelato, e ha donato agli uomi i Comandamenti della Sua Legge e i Sacramenti delle Sue stesse comunicazioni con noi. 

Che considerazione facciamo noi dei Comandamenti e dei Sacramenti? 
Quale rapporto abbiamo con il Cielo e con la Chiesa? 

In primis esaminiamo il nostro rapporto con la SS. Trinità. con la Madonna, con i Santi, con S. Giuseppe e con gli Angeli. 
Ricordiamoci poi, che Dio ha parlato agli uomini ha dato la Sua Legge nei dieci Comandamenti. 
Ricordiamoci che Gesù ha istituito la Chiesa: e quando alla Chiesa, dobbiamo volerci esaminare su due punti della Chiesa, la nostra posizione rispedtto alla Parola di Dio e rispetto ai Sacramenti. 

Quale rapporto abbiamo col Vangelo e le Beatitudini? 
Sappiamo tutti che vivere le otto beatitudini è vivere tutto il Vangelo e che il Vangelo è vivo dentro di noi. 
Esaminiamo anche il nostro rapporto con la nostra dolce Mamma Celeste, ci possiamo chiedere se viviamo la sua stessa fede e se proviamo a dare uno sguardo alle virtù della speranza e della carità. 
Ave Maria! 

Io sono il Signore Dio Tuo: Non avrai altro Dio fuori di me. 
Non nominare il nome di Dio invano. 
Ricordati di santificare le feste. 
Onora il Padre e la Madre. 
Non uccidere. 
Non commettere atti impuri. 
Non rubare. 
Non dire falsa testimonianza. 
Non desiderare la donna d'altri. 
Non desiderare la roba d'altri. 
Maria M.
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Dopo di me verrà uno che è prima di me

Signore, fa, che anche noi come il tuo precursore, possiamo annunciare il Tuo Messaggio e impegnarci a bandire dal nostro cuore ogni orgoglio e ogni ambizione umana, purificandolo dal tarlo dell'invidia. 
Fa o Signore che ognuno di noi possa occupare il posto più umile mantenendo la pace e donando agli altri con gioia. 
Ave Maria! 
Maria M.
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Richiesta di preghiera/2

Cari fratelli e sorelle in Cristo e nel Cuore Immacolato di Maria, 
affidiamo alle sapienti mani del nostro Signore perché guidi i medici che interverranno su Lucia a cuore aperto alla valvola mitralica e altro.
L’operazione si presenta quanto mai complessa, ma noi ci affidiamo al Gesù e alla nostra Mamma celeste. 
L’intervento è previsto giovedì. 
Grazie a tutti a voi fratelli e sorelle. 
Che il Signore vi benedica. 
Un abbraccio da Sergio...
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Una proposta per ..."vivere"... la Parola!

Pace non è la semplice distruzione delle armi. 
E non è neppure l'equa distribuzione dei pani a tutti i commensali della terra. 
Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli. 
Pace è convivialità delle differenze: un'etica da vivere! 
Tonino Bello
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lunedì 29 luglio 2013

Porgi l'orecchio

Ascoltando, credo, mi affido e penetro nell'Amore che è fondamento della fede. 
...strada facendo, camminando camminando devo annunziare il Vangelo (Mt 10,7) 
...Chi noi annunciamo? 
 "GESÙ: VIA, VERITÀ e VITA" 
(maria m.)
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Io credo che sei il Cristo, il Figlio di Dio

Gv 11,19-27 
Molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». 

La presenza di tanti avversari di Gesù a Betània in questa circostanza è molto importante: mette in risalto la colpevolezza dell’incredulità dei giudei. 
Marta alla presenza del Signore professa la sua fede nella potenza divina di esù: con la sua presenza Gesù avrebbe potuto impedire la morte di Lazzaro. Con la sua professione di fede, Marta non richiede la risurrezione del fratello, ma insinua un intervento speciale di Gesù a suo favore. 
Gesù esaudisce subito il desiderio di questa amica, anzi supera di molto le attese, perché l’assicura della risurrezione del fratello. Gesù, essendo stato frainteso da Marta, dichiara esplicitamente di essere la Risurrezione e la Vita in persona (v. 25). 
La risurrezione è quindi un evento presente: essa si identifica con il Cristo. Cristo può risuscitare chi vuole e quando vuole (Gv 5,21), egli è il Signore della vita e della morte. La risurrezione di Lazzaro anticipa la risurrezione finale e mostra concretamente come essa avverrà: il Figlio di Dio richiama in vita i morti con il suo grido, con un suo comando (Gv 5,25.28; 11,43). Gesù è la risurrezione e la vita in persona: chi muore vivrà in lui. Per mezzo suo si evita la morte eterna (vv. 25- 26). 
Per ottenere la risurrezione e la vita eterna bisogna aderire esistenzialmente alla persona di Gesù: chi crede in lui vivrà nonostante la morte. In questo modo il desiderio più profondo dell’uomo è soddisfatto. La professione di fede di Marta è completa. 
Questa donna è presentata come il modello di tutti i discepoli, i quali dovranno credere che Gesù è il Cristo e il Figlio di Dio (v. 31). Questa perfetta professione di fede costituisce il vertice del brano che stiamo leggendo: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo" (v. 27) 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 29/VII/2013

Dio onnipotente, anche oggi tu ci affidi il tuo mondo come un campo che è necessario lavorare. 
Anche oggi dovrò accorgermi che il grano cresce mescolato con la zizzania: non solo attorno a me, ma in me stesso non riuscirò spesso a distinguere completamente il bene dal male. 
Concedimi la grazia di avere una lunga pazienza, di rispettare i tempi che non mi appartengono, e le coscienze che non mi è dato di giudicare. 
Ma non permettere che la pazienza si tramuti in me in complicità e in indifferenza.
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domenica 28 luglio 2013

Richiesta di preghiera

Cari fratelli e sorelle 
in Cristo e nel Cuore Immacolato di Maria di elevare preghiere di intercessione per la guarigione (secondo al volontà del Signore) di Marina, tumore alle ovaie in gravi condizioni, ricoverata in rianimazione. 
Inoltre per Emiliano, per trovare lavoro. Grazie a tutti, che Dio vi benedica. 
Un caro saluto da Sergio.
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Chiedete e vi sarà dato

Lc 11,1-13 
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: «Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli», e se quello dall'interno gli risponde: «Non m'importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani», vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Questa preghiera è un rapporto diretto tra un «Tu» che è il Padre e un «noi» che è il nostro vero io, in quanto siamo in comunione con il Figlio e con i fratelli. La fraternità tra gli uomini si fonda unicamente sulla paternità di Dio. Di conseguenza, non si può stare davanti al Padre separati dal Figlio e dai fratelli: sarebbe negare la sua paternità proprio mentre lo chiamiamo «Padre». Per questo se non amiamo e non perdoniamo i fratelli, non amiamo il Padre e non accettiamo il suo amore e il suo perdono. Tutto quanto chiediamo con questa preghiera al Padre, ce lo ha già donato nel suo Figlio e, quindi, la preghiera è aprire la nostra persona ad accogliere quanto Dio ha già realizzato per noi. 
La preghiera è comunione con Gesù e con i fratelli per vivere la vera fraternità e la vera filialità in Cristo ed entrare nel dialogo di Gesù con il Padre. Nella preghiera troviamo la sorgente della nostra vita, il Padre; per questo, chi prega vive e chi non prega muore, secondo il detto di sant’Alfonso de Liguori: «Chi prega si salva e chi non prega si danna». 
E sant’Agostino ci insegna: «Chi impara a pregare, impara a vivere». 
Si impara a pregare pregando Gesù perché ci insegni a pregare: «Signore, insegnaci a pregare» (v. 1). Solamente imparando da Cristo, i cristiani pregano da cristiani, figli del Padre e fratelli di Cristo, e vivono secondo il vangelo. 
La preghiera insegnataci da Cristo ci rivela la nostra vera identità di figli nel Figlio. Il Padre ci ama come ama il Figlio; ci ama più di sé stesso: «Egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi» (Rm 8,32). Avvolti dalla tenerezza di questo amore infinito, possiamo vivere nella serenità e nella fiducia. L’olio e il vino che guariscono le nostre ferite mortali (cfr Lc 10,34) è l’amore di Dio riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato (cf. Rm 5,5). 
Dio sarà sempre nostro Padre, perché il Figlio si è fatto per sempre nostro fratello. «Sia santificato il tuo nome» significa glorificare la persona del Padre nella nostra vita, dando a lui l’importanza che ha e, di conseguenza, amandolo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze. Il nome di Dio è santificato quando accogliamo il suo amore e la sua paternità e accettiamo di essere suoi figli senza paura del nostro limite e della nostra morte. 
Chi rifiuta la paternità di Dio cerca di essere padre a sé stesso, glorificando il proprio nome. Da questo rifiuto, che è la radice del peccato, nasce l’orgoglio e l’ansia, la paura che ci allontana da lui e ci divide tra noi, la voracità che ci separa dai fratelli e distrugge il creato. Tutti quelli che cercano la propria gloria, non possono credere in Gesù e quindi rifiutano anche il Padre: «Come potete credere, voi che prendete la gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?» (Gv 5,44). «Venga il tuo regno». 
Il regno di Dio è la liberazione dal potere del diavolo e dalla dannazione eterna; è la sovranità di Dio nostro Padre che ci libera da ogni schiavitù e ingiustizia, da ogni inquietudine e tristezza. Il regno di Dio è già venuto nella persona di Gesù, viene in ogni istante della nostra vita e della storia quando accogliamo Gesù, e verrà nella pienezza della sua gloria quando tutti gli uomini saranno figli del Padre e Dio sarà tutto in tutti (cf. 1Cor 15,28). Il regno di Dio viene ogni volta che accogliamo la misericordia e la compassione di Dio e doniamo ai fratelli la misericordia e la compassione ricevuta da Dio. «Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano». 
Chiediamo al Padre il pane per la vita umana e per la vita divina, per la vita presente e per la vita eterna. Dietro ogni pane c’è la mano del Padre che ce lo porge come dono del suo amore. Il pane «nostro» è dono del Padre per tutti i suoi figli e va condiviso con tutti i fratelli. 
Chi defrauda l’altro non gli è fratello e non si comporta da figlio di Dio. Dopo il peccato, il pane va guadagnato con il sudore della fronte (Gen 3,19; 2Ts 3,6-13), diversamente è rubato. Il pane di cui l’uomo vive è l’amore di Dio, ed è concesso gratuitamente ad ogni figlio, anche indegno e perverso, perché Dio non ci ama per i nostri meriti ma per il nostro bisogno. «Perdonaci i nostri peccati». Dio ci ha creato per dono del suo amore e ci ricrea col per-dono della sua misericordia. E questo secondo dono è più grande del primo, è un super-dono. Il cristiano non è e non si crede un giusto, ma un giustificato. San Luca ha centrato giustamente tutto il suo vangelo sulla misericordia del Padre che si manifesta nella vita del Figlio Gesù. 
Il credente in Gesù perdona perché è stato perdonato da Dio. Chi non perdona, non conosce né il Figlio né il Padre. L’unico peccato imperdonabile è quello di chi non perdona e ritiene di non dover essere perdonato per questo. La cecità di chi si ritiene giusto (cf. Lc 9,41) e non conosce il perdono da dare e da ricevere, è il peccato contro lo Spirito. 
Il cristiano non è perfetto, ma misericordioso; non è sicuro di non cadere, ma compassionevole verso chi è caduto. Per questo non condanna, ma perdona. La sola condizione per il perdono del Padre è il perdono dato ai fratelli. «Non c’indurre in tentazione». Non chiediamo a Dio di non essere tentati, ma di non cadere quando siamo tentati. Anche a questo riguardo la parola di Dio ci rassicura: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via di uscita e la forza per sopportarla» (1Cor 10,13). 
La tentazione più grande è quella di perdere la fiducia nel Padre. Il credente è tentato soprattutto dalla mancanza di fede nella misericordia di Dio: non riesce ad accettare che Dio sia così buono, soprattutto nei confronti degli altri. Ma la vittoria che ha vinto il mondo è proprio la nostra fede nell’infinita misericordia di Dio. Questa parabola (v. 5) è un commento a Lc 11,3: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Ci esorta a una preghiera coraggiosa, a una fede senza esitazioni. Potrebbe essere riassunta con il detto ebraico, che recita così: «L’importuno vince il cattivo, tanto più Dio infinitamente buono». Gesù ci assicura che Dio esaudisce ogni preghiera. Egli non è sordo alle richieste dell’uomo. Non si nasconde davanti a lui. E questo, perché ama infinitamente l’uomo, suo figlio. Quindi il problema non esiste da parte di Dio ma, eventualmente, da parte dell’uomo. 
L’uomo prega solo se si sente veramente bisognoso: i sazi e i buontemponi non sentono il bisogno di pregare. La prima condizione per la preghiera è la consapevolezza della propria povertà. L’unica condizione che Gesù pone per l’esaudimento delle nostre preghiere presso Dio è la fiducia, anzi, la certezza di essere ascoltati. Se l’uomo si commuove davanti alle necessità di un amico o di un figlio, tanto più Dio. 
Le parole «molestia» e «importunità» sottolineano l’insistenza e il coraggio del richiedente. Se già gli uomini egoisti, falsi amici, ecc. alla fine si scomodano ed esaudiscono, quanto più dobbiamo avere piena fiducia in Dio. Egli non ci ascolta per togliersi d’attorno uno scocciatore, ma perché è il vero nostro amico: è il nostro papà. Le preghiere rivolte a Dio possono assomigliare a quelle di un figlio verso il padre umano. È impensabile che questi risponda con cattiverie alle richieste di cibo del figlio. Non c’è un padre così spietato tra gli uomini, tanto meno si può pensare che un tale comportamento sia possibile in Dio. Gli uomini sono cattivi, Dio è buono. Se un padre umano, che è cattivo, sa dare cose buone a suo figlio, quanto più il Padre del cielo darà tutto, cioè lo Spirito Santo, a coloro che glielo chiedono. Nel vangelo di san Matteo, Dio dà «cose buone» (7,11), cioè i beni della salvezza, in san Luca dà lo Spirito Santo, che è il Dono dei doni. La differenza tra i due testi è meno rilevante di quanto potrebbe sembrare. 
L’uomo si raccomanda per il pane e Dio gli dona anche lo Spirito Santo, che è il Dono che contiene tutti gli altri doni. Solo Dio può riempire il cuore dell’uomo. Egli ci dà «molto di più di quanto possiamo domandare o pensare» (Ef 3,20): si dona a ciascuno secondo il suo desiderio. L’unica misura del dono è data dal nostro desiderio: chi desidera poco, riceve poco; chi desidera tutto, riceve tutto. Il tema dominante è la paternità di Dio che si esprime nel dare. Noi dobbiamo chiedere non perché lui ignora il nostro bisogno, ma perché il dono può essere ricevuto solo da chi lo desidera. Quanti doni di Dio abbiamo rispedito al mittente! Questo brano ci esorta a grandi desideri che ci fanno capaci di ricevere il dono più grande: lo Spirito Santo. Quando il Padre sembra restìo a dare, è perché non ci dà ciò che vogliamo, ma ciò che è giusto. Di solito chiediamo a Dio che soddisfi i nostri bisogni immediati e superficiali, ma egli vuol farci scoprire e colmare il nostro bene essenziale: essere suoi figli. Ci nasconde i suoi doni, affinché cerchiamo lui che è il Donatore. 
Egli esaudisce sempre le nostre preghiere quando sono secondo la sua volontà; e ci fa proprio un grande piacere a non esaudirle quando non sono secondo la sua volontà, perché farebbe il nostro male. 
Quando preghiamo succede sempre qualcosa di buono, anche se non sempre sappiamo che cosa. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 28/VII/2013

O mio caro Padre, tu mi hai dato questo nuovo giorno. 
Ti ringrazio. Tu sai quello che mi aspetta oggi e tutto quello che dovrò imparare, fare o sopportare. 
Come Gesù, tuo Figlio, io voglio dirti: Aiutami, allontana da me il male, dammi la forza e la saggezza, e fa' che le cose vadano per il meglio. Sia fatta la tua volontà buona e saggia! 
Buon Dio, tu ti preoccupi di tutti: di quelli che hanno delle grandi responsabilità, di quelli che progettano il male, di quelli che soffrono anche se sono innocenti, di quelli che non hanno il coraggio di vivere o che avanzano senza scopo nella vita. 
Ed è per tutti loro che io voglio pregarti; affinché tu faccia girare per il meglio il loro destino, e la maggior parte degli uomini riconoscano il tuo amore, e si rimettano a te. 
Perché la tua vita è lo scopo del cammino di coloro che hanno fiducia in te.
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sabato 27 luglio 2013

Figli della luce

In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi».( Gv 21,18)

Ciò significa: "Quando sei giovane, non hai esperienza. Ti vesti da solo e vai dove vuoi.
...ma quando sarai vecchio...

Nella Bibbia c'è scritto che invecchiare non significa diventare senili, anzi con la vecchiaia raggiungiamo la meta del nostro cammino, "la gloria".
Dio non conosce la decadenza. La vecchiaia è tale solo quando è accompagnata dalle idee chiuse, cioè quando il pensiero si chiude e si fissa
in una forma mentale, a quel punto invecchiamo. Mentre quando rimaniamo vivi interiormente, la decadenza non ci tocca. 

... ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. 
Significa: "Ti abbandoni alla volontà divina perché non sei più tu ad agire, ma Dio che agisce in te.

Ognuno di noi dovrebbe morire nella sua vecchia immagine di giovane per poi nascere in quella di un uomo che si abbandona e consegna
totalmente alla volontà di Dio.

Tutto il messaggio è racchiuso in una sola parola:"Seguimi!"

"Quando eri giovane, ti vestivi da solo e andavi dove volevi.

Ora lascia a me il compito di vestirti e ti condurrò dove da solo non potresti mai andare.
Per andare li, non devi desiderare niente: devi lasciarti condurre.

Vieni!!!! Seguimi! Ti condurrò nel posto giusto.

In sintesi, se non sacrifichiamo la nostra vecchia immagine, non potremo mai
realizzare il nostro essere figli della luce.

Ave Maria!
Maria M.
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Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura

Mt 13,24-30 
Espose loro un'altra parabola, dicendo: «Il Regno dei Cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?». Ed egli rispose loro: «Un nemico ha fatto questo!». E i servi gli dissero: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?».  «No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio»». 

La parabola del grano e della zizzania insegna che nel campo del mondo ci sono i buoni e i cattivi e che esistono in tutti i tempi dei servi impazienti che vorrebbero anticipare il giudizio di Dio. 
Ma gli uomini non sanno giudicare perché non conoscono né il metro di Dio né il cuore dell’uomo. 
Il bene e il male devono crescere fino alla completa maturazione. Il centro della parabola non sta nella scoperta della zizzania e neppure nel giudizio finale della separazione del grano dalla zizzania, ma più propriamente nell’ordine di non stappare la zizzania. La meraviglia e lo scandalo dei servi sta proprio in questo atteggiamento paziente e lungimirante di Dio. 
La Chiesa di tutti i tempi è sempre stata agitata dagli scandali e dai peccati dei cristiani. 
Per ogni situazione problematica vale il detto di Paolo: «Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio» (1Cor 4,5). 
Al tempo di Gesù c’erano i farisei che pretendevano di essere santi e perciò si separavano dalla moltitudine dei peccatori. C’era il movimento di Qumran con la sua idea di rigida santità che esigeva il rifiuto di tutti gli impuri. C’era Giovanni il Battista che annunciava il messia che avrebbe separato il grano dalla pula (Mt 3,12). Viene Gesù e si mescola con i peccatori, li accoglie e mangia con loro (cf. Lc 15,2). Addirittura ha un traditore nel gruppo dei dodici che si è scelto. Possiamo dunque dire che zeloti, farisei e tanti altri pretendevano che il regno di Dio intervenisse in modo netto, chiaro e definitivo. 
In questo contesto si capisce la forza polemica della parabola di Gesù: la politica del regno di Dio è divina, fatta di tolleranza e di misericordia. L’elemento della sorpresa da parte dei servitori quando scoprono la zizzania fa pensare che la parabola si applichi alla comunità cristiana che scopre nel suo seno imperfezioni e controtestimonianze al vangelo. 
La Chiesa non deve diventare una comunità di puri e di perfetti, estromettendo i deboli e gli inadempienti. Buon grano e zizzania devono crescere insieme fino alla mietitura. 
Anche perché Dio solo sa chi è buon grano e chi è zizzania. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 27/VII/2013

Un nuovo giorno di semina, o Signore, tu concedi alla mia vita. 
Anche oggi infatti tu mi chiami a collaborare con te nel seminare il bene ovunque il lavoro mi attende, come campo privilegiato della mia missione di uomo e di cristiano. 
Che io vinca, o Signore, il male che è in me, perché possa impedirlo negli altri. 
E cresca in me il bene seminato da te, perché cresca nella Chiesa e nel mondo.
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venerdì 26 luglio 2013

Colui che ascolta la Parola e la comprende, questi dà frutto

Mt 13,18-23 
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore.  Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l'accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno». 

Matteo non ci trasmette solo la parabola, ma ci offre anche un’attualizzazione che trasforma la parabola indirizzata ai predicatori in una catechesi per i convertiti. La spiegazione si rivolge ai fedeli e insiste sulla necessità delle disposizioni interiori perché la Parola ascoltata sia capita e porti frutto. Le disposizioni più importanti sono l’apertura e la sensibilità ai valori del regno di Dio, il coraggio di fronte alle persecuzioni, la costanza o perseveranza, la resistenza allo spirito maligno e la libertà interiore. 
Il mistero del comprendere o del non comprendere (v. 11) ha un riferimento a Dio. I misteri sono conoscibili solo con l’aiuto di una particolare luce che viene da Dio. Ci si può chiedere in che rapporto stiano tra loro, secondo Matteo, il credere e il conoscere. 
Per Matteo la fede è principalmente fiducia riposta interamente nella persona di Gesù. La conoscenza si fonda sulla fede e viene concessa alla fede. Non è la prima volta che nella storia della salvezza si verificano insuccessi come quelli di Gesù. Sembra anzi il destino di tutti i profeti. Gesù ha scelto il linguaggio in parabole perché il popolo d’Israele non ha voluto «vedere e ascoltare» quanto Gesù aveva annunciato e proposto loro in termini semplici e chiari. I discepoli, invece, sono chiamati a conoscere in pienezza «i misteri del regno di Dio», cioè il piano che Dio ha sull’umanità, rivelato da Gesù stesso attraverso le sue parabole. 
La constatazione «a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (v. 12; cf. Mt 25,29) descrive la dinamica paradossale della rivelazione: i discepoli, proprio perché seguono Gesù, possono giungere a una conoscenza sempre più profonda di essa; le folle, al contrario, non avendo preso una decisione favorevole nei suoi confronti, si allontanano sempre più dalla logica del Regno. La seconda parte della risposta di Gesù indica la vera e propria motivazione del suo parlare in parabole (v. 13). Questo linguaggio mette in evidenza l’atteggiamento della folla che, pur vedendo e ascoltando, non riesce a comprendere. Si tratta di un discernimento che la folla non riesce a fare, proprio perché non ha deciso di mettersi al seguito di Gesù. Essa non capisce Gesù e di conseguenza non capisce il suo linguaggio. 
Lo scandalo del rifiuto del Messia rientra nel progetto di Dio attestato dalle Scritture. Mentre di solito Matteo inserisce i testi biblici per offrire al lettore una conferma e un commento, in questo passo pone sulle labbra di Gesù il testo di Isaia. Proprio l’introduzione attraverso il verbo «compiere» (anapleroo) mostra come l’incomprensione della folla porta a compimento la parola di Dio. Nella terza parte della risposta (v. 16) Gesù evidenzia il privilegio dei discepoli. A differenza della folla, essi possono «vedere e ascoltare». 
La motivazione della loro felicità viene preceduta dall’espressione «in verità vi dico» con la quale Gesù garantisce la certezza della sua affermazione. Egli colloca i suoi discepoli al vertice di una storia di promesse, i cui destinatari distribuiti in due categorie: «i profeti e i giusti» (v. 17). Questa espressione associa coloro che hanno annunciato la volontà di Dio, i profeti, e coloro che l’hanno attuata, i giusti (cfr Mt 10,41; 23,29). Questi sono i rappresentanti della storia biblica. I discepoli sono beati perché possono conoscere il piano di Dio, che ora viene manifestato da Gesù. Sono essi, e non la sinagoga, la continuazione del vero Israele. 
Gesù che ha dichiarato «beati» i discepoli perché hanno l’opportunità di «vedere e di «sentire» (Mt 13,16-17), ora precisa che la loro condizione dipende da lui stesso. Egli infatti spiega loro la parabola. 
La prima situazione di rifiuto (v. 19) presenta il caso di chi ascolta la parola ma non la comprende. Il comprendere non è solo il capire, ma l’accogliere in sé, la comprensione profonda e spirituale (Mt 13,51; 16,12; 17,13) perché egli stesso la spiega loro (Mt 13,18.36; 15,17; 17,11-12) Nel secondo caso (vv. 20-21) la parola viene ascoltata e recepita con gioia. La fase critica è prodotta dall’instabilità dell’accoglienza, descritta attraverso l’immagine della pianta che non riesce ad avere radici. L’insuccesso è causato dalle esperienze di tribolazione (Mt 24,9.21.29) e persecuzione, che sono momenti inevitabili di verifica nel cammino della fede (cf. Mt 8,23-28). La terza situazione negativa (v. 22) è provocata dalle preoccupazioni materiali di ogni tipo. La ricchezza non è un male in sé, ma l’inquietudine che essa inevitabilmente genera, relativizza l’unico valore primario ed essenziale: l’accoglienza della parola del Regno. 
Il discepolo infatti si distingue per la libertà nei confronti dei beni materiali (Mt 6,25-34) che, se sopravvalutati, diventano un impedimento nel seguire Gesù (Mt 19,16-30). L’accoglienza positiva della parola è sottolineata con l’espressione «fare frutto». 
L’immagine del frutto viene usata spesso per descrivere la fede viva e perseverante (Mt 7,16-20; 13,33; 21,19.34.41.43). La perdita nei tre terreni infruttuosi viene largamente ricompensata dal successo della resa del terreno buono. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 26/VII/2013

Un nuovo giorno di semina, o Signore, tu concedi alla mia vita. 
Anche oggi infatti tu mi chiami a collaborare con te nel seminare il bene ovunque il lavoro mi attende, come campo privilegiato della mia missione di uomo e di cristiano. 
Che io vinca, o Signore, il male che è in me, perché possa impedirlo negli altri. 
E cresca in me il bene seminato da te, perché cresca nella Chiesa e nel mondo.
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giovedì 25 luglio 2013

Messaggio di Medjugorje del 25 luglio 2013

Cari figli! 
Con la gioia nel cuore vi invito tutti a vivere la vostra fede ed a testimoniarla col cuore e con l'esempio in ogni modo. 
Decidetevi figlioli di stare lontano dal peccato e dalle tentazioni; nei vostri cuori ci sia la gioia e l'amore per la santità. 
Io, figlioli, vi amo e vi accompagno con la mia intercessione davanti all'Altissimo. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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La libertà di spirito e la semplicità di intenzione

Due sono le ali che permettono all'uomo di sollevarsi al di sopra delle cose terrene, la semplicità e la libertà: la semplicità, necessaria nella intenzione; la libertà, necessaria nei desideri. La semplicità tende a Dio; la libertà raggiunge e gode Dio. Nessuna buona azione ti sarà difficile se sarai interiormente libero da ogni desiderio non retto. E godrai pienamente di questa interiore libertà se mirerai soltanto alla volontà di Dio e se cercherai soltanto l'utilità del prossimo. Se il tuo cuore fosse retto, ogni cosa creata sarebbe per te specchio di vita e libro di santa dottrina. Giacché non v'è creatura così piccola e di così poco valore che non rappresenti la bontà di Dio. Se tu fossi interiormente buono e puro, vedresti ogni cosa senza velame, e la comprenderesti pienamente: è infatti il cuore puro che penetra il cielo e l'inferno.Come uno è di dentro, così giudica di fuori. Chi è puro di cuore è tutto preso dalla gioia, per quanta gioia è nel mondo. Se, invece, da qualche parte, ci sono tribolazioni ed angustie, queste le avverte di più chi ha il cuore perverso. Come il ferro, messo nel fuoco, lasciando cadere la ruggine, si fa tutto splendente, così colui che si dà totalmente a Dio si spoglia del suo torpore e si muta in un uomo nuovo. Quando uno comincia ad essere tiepido spiritualmente teme anche il più piccolo travaglio, e accoglie volentieri ogni conforto che gli venga dal di fuori. All'incontro, quando uno comincia a vincere pienamente se stesso e a camminare veramente da uomo nella via del Signore, allora fa meno conto di quelle cose che prima gli sembravano gravose.
Imitazione di Cristo  - Libro II 

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Eccomi fuori combattimento

Signore, questa volta non ne posso più.
Da mesi mi sono intestardito
a compiere tutto il mio dovere professionale, 
ad accontentare diligentemente 
tutti coloro che mi chiedevano 
piccoli e grandi favori.
Mi ci sono ostinato.
È così desolante
lasciare incompleto un lavoro 
che in realtà non sarà mai completato. 
È normale che uno si ostini 
a tener duro, spossandosi.
Eccomi dunque, Signore,
per un certo tempo o per sempre, 
non so, fuori combattimento. 
Sia fatta la tua volontà.
So che siamo sempre dei servi inutili, 
l'essenziale è amarti 
e continuare ad amare 
intensamente i propri fratelli 
quando pare impossibile 
poter essere utili per loro.
Tu solo sai ciò che è meglio 
e io mi affido a te, Signore.
L.J. Lebret

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Il mio calice, lo berrete

Mt 20,20-28 
Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». 

Il brano è un contrappunto tra due glorie: quella del Figlio dell’uomo e quella degli uomini. 
La prima consiste nel consegnarsi, nel servire e dare la vita; la seconda consiste nel possedere, nell’asservire e dare la morte. 
È una lotta tra l’egoismo e l’amore, dove l’amore vince con la propria sconfitta, e l’egoismo perde con la propria vittoria. Il racconto è un dialogo di equivoci tra Gesù e i discepoli. Ciò che la madre dei figli di Zebedeo vuole da Gesù non è la Gloria, cioè Dio, ma la vanagloria, cioè l’avere, il potere e l’apparire. Questo testo ci prepara al successivo, con il quale fa un tutt’uno: l’illuminazione dei ciechi di Gerico sarà la caduta della vanagloria, che ci impedisce di ricevere la Gloria. La rivelazione del Figlio dell’uomo che sale a Gerusalemme è la luce che squarcia violentemente le nostre tenebre e svela ad ogni uomo la vera identità di Dio, la cui gloria è amare, servire e dare la vita. 
In questo brano si confrontano e si scontrano il modo di pensare e di agire del mondo e quello di Gesù. L’uno è presentato nel comportamento dei grandi, nella loro volontà di oppressione e di dominio; l’altro è caratterizzato dalla condotta di Gesù, che è venuto per servire e dare la vita per l’umanità. L’esempio di Gesù deve indurre a un cambiamento di mentalità. L’atteggiamento richiesto da Gesù non nasce spontaneo, non è congeniale all’uomo: richiede una conversione. S. Kierkegaard ha scritto: "Non hai la minima partecipazione a lui (a Cristo), né la più lontana comunione con lui, se non ti sei posto in sintonia con lui nel suo abbassamento". "Diventare piccoli" è l’atteggiamento contrario a quello degli uomini, assetati di potenza e di grandezza. 
Gesù si è fatto piccolo fino alla morte di croce (cfr Fil 2,5-11). Tutti ci saremmo aspettati che il Figlio di Dio sarebbe venuto per essere servito e per far morire i peccatori. E invece no. È venuto per servire e per dare la vita in riscatto per tutti. Le nazioni si organizzano come società, la Chiesa invece è una famiglia in cui non ci sono superiori e sudditi, padroni e subalterni, ma solamente fratelli (cfr Mt 18,15.21.35). Lo spirito di supremazia o di egemonia sui propri simili non è cristiano, ma diabolico (cfr Mt 4,1-11). 
Qualunque forma di autorità nella Chiesa non deve essere un dominio, una signoria, un potere, ma un servizio. Il Signore lo dice inequivocabilmente: "Chi vuol essere il più grande tra voi, deve essere il vostro servo; e chi vuol essere il primo, deve essere il vostro schiavo" (vv. 26-27). C’è un tale rovesciamento nel modo di intendere le funzioni del governo che la comunità cristiana non sembra ancora averne preso del tutto coscienza. 
Il "servizio" è un concetto teologico prima ancora di essere un atteggiamento pratico. Non riguarda prima di tutto un modo umile di esercitare il potere, ma di concepirlo. Il servo non è il responsabile della casa, non ha nessun potere, tanto meno quello di sostituirsi al padrone, prendendo decisioni al suo posto, avocando a sé la responsabilità degli altri. Egli è solo un inserviente che coopera al buon andamento della casa, che non è sua, e per questo non deve considerarla tale. 
La Chiesa è di Dio, di Cristo (cfr Mt 16,18) che la governa direttamente (cfr Mt 28,18-20), prima che tramite particolari incaricati. In quanto Dio, Gesù avrebbe potuto pretendere (secondo noi!) un trattamento da "signore", facendosi servire. Ma invece di far valere i suoi diritti sovrani vi ha rinunciato a favore delle moltitudini facendosi loro servo e donando la vita per il loro riscatto, ossia per la loro liberazione da assoggettamenti e schiavitù di qualsiasi genere. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 25/VII/2013

Nella festa del tuo apostolo Giacomo, aiutami, Signore, a ricordarmi che tu mi insegni ad amare. 
E se anche "possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla". 
Non permettere mai che dimentichi fino a che punto ti sei umiliato per salvarci e che, se vogliamo seguirti, anche noi dobbiamo fare lo stesso. 
Aiutami a portare la mia croce, senza rumore e senza clamore, all'ombra della tua croce, e liberami dalla presunzione che mi tiene lontano da te.
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mercoledì 24 luglio 2013

Ti incoronano dodici stelle

T'incoronano dodici stelle... 
Quanti di noi ricordano volentieri questo canto! Le dodici stelle (che grazie a un disegnatore cattolico degli anni '50 sono diventate anche il simbolo dell'Europa) si riallacciano a una visione descritta nell'Apocalisse: una donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e una corona di dodici stelle sul capo. La tradizione cristiana ha visto in questa donna luminosa la Vergine Maria, e ha anche cercato di attribuire molti significati alle dodici stelle: le dodici tribù di Israele, i dodici privilegi di Maria, il numero perfetto dato dal prodotto di quattro per tre... Nel giorno in cui la Chiesa ci invita a contemplare l'Assunzione della Madonna, questo simbolo ci parla della gloria indicibile della quale l'Altissimo ha voluto rivestire la Vergine di Nazareth, facendola Regina e Signora dell'Universo. Ma... Maria è una regina che, dal trono della sua gloria, non dimentica di chinarsi su di noi suoi figli, pronta a mettere a nostra disposizione i tesori immensi che Dio ha posto nelle sue mani, pronta ad aiutarci nelle più piccole cose, pronta a consigliarci anche nei nostri problemi minuti e quotidiani. 
Cari amici, abbiamo la possibilità di mantenerci in continuo e dolce colloquio con la più nobile e la più umile delle creature: se ci abituiamo a trattare con Maria, succederà che le nostre azioni, le nostre scelte, i nostri passi saranno in comunione con il Cielo. Non è meraviglioso tutto ciò? Non vogliamo approfittare di questo tesoro a partire da adesso? 
Maria, dal suo trono di gloria, ci sta osservando e aspetta che anche noi leviamo verso di lei il nostro sguardo: non facciamola aspettare... e lasciamo che questa nostra estate sia tutta illuminata dal suo sorriso! 
I vostri amici Araldi del Vangelo dell'Associazione Madonna di Fatima 
Maria, Stella della Nuova Evangelizzazione
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Una parte del seme cadde sul terreno buono e diede frutto

Mt 13,1-9 
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». 

Questa parabola viene raccontata da Gesù dopo aver subìto il rifiuto dei suoi contemporanei. Egli ha annunciato il regno di Dio, l’intervento di Dio in favore del suo popolo, ed è stato contestato. Proclamando questa parabola ci insegna che, nonostante l’apparente insuccesso della sua missione, ci sono anche coloro che l’hanno riconosciuto e accolto: i piccoli, i peccatori, i discepoli. Gesù ha rivoluzionato i criteri della predicazione corrente (farisaica) comunicando il messaggio di Dio a ogni sorta di persone. Non si è rivolto solo ai «buoni» o ai «migliori» (il terreno buono del v. , ma a tutti. 
La sua missione non è stata coronata da successi immediati, ma non si è arreso davanti alle delusioni; ha sempre continuato a sperare e a portare avanti la sua opera. Il seminatore Gesù ha pensato di avere sempre davanti a sé un terreno buono, altrimenti non vi avrebbe sparso il seme. Egli ha creduto che anche gli abitanti di Ninive e gli stessi abitanti di Sodoma e di Gomorra avrebbero potuto cogliere con profitto la parola di salvezza (Mt 11,23-24; 12,41), per questo non l’ha rifiutata a nessuno e l’ha offerta a tutti. 
Egli che è stato chiamato l’amico dei peccatori (Mt 11,19) e che vede i pubblicani e le prostitute al primo posto nel Regno dei Cieli (Mt 21,31-32), ha dimostrato che anche il terreno più infruttuoso può diventare buono. La parabola annuncia una legge che sottostà alla nuova economia della salvezza: il successo nasce dall'insuccesso, la croce è garanzia di risurrezione. 
Ogni pagina del vangelo può essere letta in due dimensioni: la situazione originaria del tempo di Gesù e la sua attualizzazione nel tempo della Chiesa. L’insegnamento della parabola del seminatore, secondo la situazione originaria del tempo di Gesù, non riguarda anzitutto gli ascoltatori, ma i predicatori. 
La parabola attira l’attenzione sul lavoro del seminatore, un lavoro abbondante, senza misura, senza distinzioni, che in un primo momento sembra inutile, infruttuoso, sprecato. 
Ma il fallimento è solo apparente: nel regno di Dio non c’è lavoro inutile, non c’è spreco. Il lavoro della semina non deve essere calcolato: bisogna seminare senza risparmio e senza distinzioni. 
Noi non sappiamo quali terreni daranno frutto: per questo non possiamo anticipare il giudizio di Dio. 
La frase finale: « Chi ha orecchi, intenda « è un grido di risveglio. È un avvertimento e un comando a non perdere il significato della parabola e le sue conseguenze nella vita dell’ascoltatore. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 24/VII/2013

Padre Santo, all'inizio di questo giorno, rendimi consapevole del momento opportuno che è questa nuova giornata. 
Tu mi doni il tempo perché il seme, che cadde in un luogo solo e risuscitò nel mondo intero, sia oggi accolto nella mia persona. 
Donami il tuo Santo Spirito che irrighi il terreno arido e porti molto frutto.
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martedì 23 luglio 2013

Ave Maria!

O Madre, piena di clemenza! 
Ti ho appena confidato le mie pene e già mi sento consolata; il tuo Nome è un balsamo per tutte le mie ferite! 
Ave Maria! 
Maria M.
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Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto

Gv 15,1-8 
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. 

In questo brano Gesù scongiura i suoi amici di rimanere in lui, nel suo amore, per portare molto frutto e per godere la gioia in pienezza. L’espressione dominante di questo testo è "rimanere in", che ricorre sette volte. Gesù si presenta come la vite della verità: in questo modo afferma di essere il Cristo, il profeta definitivo atteso dagli ebrei e la fonte della rivelazione piena e perfetta. 
Nell’Antico Testamento la vite ha simboleggiato il popolo d’Israele. Il salmo 80 canta la storia del popolo di Dio utilizzando l’immagine della vite che Dio ha divelto dall’Egitto per trapiantarla in Palestina, dopo averle preparato il terreno. La presentazione del Padre, come l’agricoltore che coltiva la vita identificata con Gesù, richiama il canto d’amore di Isaia 5,1-7 nel quale il Signore è descritto come il vignaiolo che cura la casa d’Israele. La vite-Gesù produce numerosi tralci; non tutti però danno frutto. Il portare frutto dipende dal rapporto personale del discepolo con Gesù, dall’unione intima con il Cristo. L’opera purificatrice di Dio nei discepoli di Gesù ha come scopo una fecondità maggiore. Dio purifica i discepoli dal male e dal peccato per mezzo della parola di Gesù. Per Giovanni la purificazione è legata alla parola di Cristo, cioè all’adesione, per mezzo della fede, alla sua rivelazione. Gesù parla della mutua immanenza tra lui e i suoi amici. 
Nel passo finale del discorso di Cafàrnao, egli aveva fatto dipendere questa comunione perfetta tra lui e i suoi discepoli dal mangiare la sua carne e dal bere il suo sangue (Gv 6,56). La finalità della comunione intima con Gesù, il frutto che ogni tralcio deve portare è la salvezza. L’uomo separato da Cristo, che è la fonte della vita, si trova nell’incapacità di vivere e operare nella vita divina. Senza l’azione dello Spirito Santo è impossibile entrare nel regno di Dio (Gv 3,5); senza l’attrazione del Padre, nessuno può andare verso il Cristo e credere in lui (Gv 6,44.65). 
Come il mondo incredulo si trova nell’incapacità totale di credere (Gv 12,39) e di ricevere la Spirito della verità (Gv 14,17), così i discepoli, se non rimangono uniti al Cristo, non possono operare nulla sul piano della fede e della grazia (v. 5). Chi non rimane in Cristo, vite della verità, non solo è sterile, ma subirà la condanna del giudizio finale (v. 6). 
Una conseguenza benefica del rimanere in Gesù è l’esaudimento delle preghiere dei discepoli da parte del Padre. L’unione intima e profonda con Gesù rende molto fecondi nella vita di fede e capaci di glorificare Dio Padre (v. 8). 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 23/VII/2013

Signore, conoscere te è la vita eterna, servirti è la pace perfetta. 
Difendici, ti preghiamo, dagli assalti dei nemici che tentano di allontanarci da te, unico vero Dio, che ti sei rivelato a noi in Gesù crocifisso e risorto. 
Fa' che oggi la nostra ricerca di te sia autentica, che le nostre azioni siano secondo la tua volontà. 
Noi vogliamo ascoltare la tua parola per vivere quella economia umile e nascosta del regno che essa ci insegna, ma siamo consapevoli della nostra fragilità e delle nostre debolezze. 
Vieni in nostro soccorso e vinci in noi ogni egoismo e ogni chiusura. 
Te lo chiediamo per Cristo Gesù nostro Signore. 
Amen.
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lunedì 22 luglio 2013

La medicina di Dio è l' Amore

"Godere del sole e del mare ed essere assorbiti da Te...dal Tuo Amore."

Queste parole stamane hanno accompagnato il mio risveglio.
Ricordo che prima del cammino di fede che ho intrapreso, non ero così atte
nta ad ascoltare la voce di Gesù... ero distratta, la mia vita era dominata dalla ricerca delle cose materiali. Ero felicemente sposata con un
bellissimo uomo, un fascino abbagliante, un portamento quasi unico, eravamo molto innamorati, ma troppo vincolati ai beni terreni, piuttosto che a quelli spirituali. Con il mio sposo sono stata felice, mi ha resa madre per tre volte. La nostra era una famiglia come tante, ma mancava qualcosa...oggi so cosa mancava, ed ho impiegato diversi anni per giungere alla conoscenza... diversi anni da quando il mio sposo non è
più con me perché è ritornato prematuramente alla casa del Padre, lasciando nei nostri cuori un vuoto che per lungo tempo non sono riuscita a colmare. Ma un bel giorno la fede in Gesù mi ha illuminata; mi ha posto davanti la causa della mia sofferenza, fino a donarmi la vera conoscenza di me stessa e delle persone che mi sono accanto. Da quel momento, grazie a Gesù, sono e mi sento più autentica e stabile. Cerco di trasmettere anche ai miei figli tutta questa pace e serenità che ho acquistato con il tempo, entrando giorno dopo giorno nella Verità evangelica. Sono convinta che tutta la sofferenza dell'umanità, le malattie ed il dolore sono caratterizzate proprio dalla poca attenzione nei confronti di questa Verità. Infatti, il modo irrazionale di vivere la propria esistenza genera nel soggetto uno squilibrio, che lo porta alla sofferenza provocando uno stato emotivo alterato ed una disarmonia tale da condurre l'individuo allo smarrimento. Si crea tra anima e corpo una battaglia che causa l'irrequietezza.
Da questa condizione di assenza di tranquillità, l'uomo si lascia irretire dai
falsi valori, dalle tentazioni del male, fino a condurlo all'odio per se stesso,
e per Colui che gli ha donato la vita. Questa assenza di Verità costringe l'uomo perso a vivere fuori dall'Amore proiettandolo verso il male, e conducendolo in uno stato di violenza.
L'unica strada per la guarigione del corpo e dello spirito è l'Amore, un solo ed unico vero Amore quello del nostro Padre Celeste che con la Sua potenza riporta la vita là dove è distrutta.
Dio è la nostra medicina. Lui può guarirci giorno dopo giorno con i farmaci più potenti del mondo: l'amore, la pace, la serenità e la gioia.
Dai la tua mano a Dio perché Egli è Amore, e non vuole che tu rimanga travolto dal tuo passato. Egli ce lo insegna anche attraverso la Sua Parola, quando decise di distruggere Sodoma, e condusse fuori dalla città Lot e la sua famiglia dicendogli proprio queste parole: "Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto".
La moglie di Lot però non diede ascolto a quello che gli aveva raccomandato il Signore, guardò indietro e divenne una statua di sale.
Quando capita di sentirci aggrediti da un passato che non ci lascia vivere,
chiediamo aiuto a Gesù rivolgendoGli queste parole: "Gesù, Figlio dell'Eterno Padre, salvami da ogni triste e cattivo ricordo del passato!". Ecco qual è la nostra forza di fronte al male e alla sofferenza: una fiducia di bimbo in Dio, nel Suo amore e nella Sua saggezza, la ferma certezza che "Dio fa concorrere tutto al bene di coloro che lo amano", (Romani 8,28) e che le "sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi".(Romani 8,18).

Maria M.

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