lunedì 31 maggio 2010

Il problema è un amore più generoso

La vera storia e l’identità intima di un prete in difficoltà rimangono ben più impenetrabili di quanto si possa immaginare, anche quando sembra tutto molto chiaro agli occhi del discernimento umano.

C’è nella vita del sacerdote in difficoltà un grande mistero da riconoscere, un grande problema da risolvere. E’ il mistero-problema dell’incontro tra l’amore di Dio (che brama vivere in tutte le sue creature) e la libertà dell’uomo che, quantunque gracile, è scelto e mandato a comunicare questo amore, questa vita eterna, più grande di ogni capacità umana.

Le attese che Dio ha nei confronti di un uomo, nel rispetto della reciproca libertà, sono un mistero così profondo che può essere percepito soltanto da chi vive la sensibilità della fede e la docilità all’amore.
E le risposte del sacerdote, che è un uomo, divengono possibili e autentiche soltanto quando egli decide di affidarsi alla guida delle ispirazioni che risuonano nella sua coscienza profonda.Solo nello scambio di un amore reciproco, generoso fino all’estremo dono di sé, si salda la fedeltà tra il sacerdote, Dio e l’umanità.
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Tu sei benedetta fra le donne

Volgi i tuoi occhi alla Vergine e contempla come vive la virtù della lealtà. Quando Elisabetta ha bisogno di Lei, il Vangelo dice che accorre «cum festinatione», con gioiosa sollecitudine. Impara! (Solco, 371)

Mio piccolo amico, ormai sai cavartela da solo. Accompagna con gioia Giuseppe e Maria Santissima e ascolterai le tradizioni della casa di Davide.Sentirai parlare di Elisabetta e di Zaccaria, t'intenerirai per l'amore purissimo di Giuseppe; e il tuo cuore batterà forte ogni volta che verrà nominato il bambino che nascerà a Betlemme
Camminiamo in fretta verso le montagne, fino a un villaggio della tribù di Giuda (Lc 1, 39)Siamo giunti. E' la casa in cui deve nascere Giovanni, il Battista.
Elisabetta, riconoscente, rende lode alla Madre del suo Redentore: Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno! E donde a me tanto bene, che la Madre del mio Signore venga a visitarmi? (Lc 1, 42-43).Il Battista sussulta nel seno di sua madre ( Lc 1, 41). L'umiltà di Maria trabocca nel Magnificat - E tu e io, che siamo anzi, eravamo dei superbi promettiamo di essere umili.(Santo Rosario, 2º mistero gaudioso)
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Visitazione, meditazione Padre Lino

Dopo l’annunciazione dell’angelo, Maria si mette in cammino verso la montagna, con sollecitudine. Per Gesù è il primo viaggio missionario compiuto per mezzo della madre, che anticipa l’azione evangelizzatrice della comunità cristiana. Prende qui l’avvio il grande andare, che riempie tutto il vangelo di Luca e gli Atti degli apostoli. La parola di Dio va dal cielo alla terra, da Nazaret a Gerusalemme, da Gerusalemme in Giudea e fino ai confini della terra; va senza esitazioni, sempre in fretta.

Nel saluto di Maria, che porta Gesù nel grembo, Elisabetta e Giovanni incontrano il Salvatore. L’arrivo di Maria in casa di Elisabetta suscita grande sorpresa e Elisabetta esprime la propria meraviglia con le parole pronunciate da Davide al sopraggiungere dell’Arca dell’Alleanza: "Come potrà venire da me l’arca del Signore?" (2Sam 6,9).


Nella casa di Zaccaria si realizza ciò che avverrà a Gerusalemme dopo la risurrezione del Signore. "Negli ultimi giorni, dice il Signore, io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno" (At 2,17-21; Gl 3,1-5). La storia dell’infanzia della Chiesa sarà la ripetizione e la continuazione dell’infanzia di Gesù.
Elisabetta, "piena di Spirito Santo" (v. 41), conosce il segreto di Maria, e la proclama: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo" (v. 42). Dio ha benedetto Maria con la pienezza di tutte le benedizioni che sono in Cristo (cfr Ef 1,3).


Maria viene considerata come l’arca dell’Alleanza del Nuovo Testamento: nel suo grembo porta il Santo, la rivelazione di Dio, la fonte di ogni benedizione, la causa prima della gioia della salvezza, il centro del nuovo culto.
Il saluto di Maria provoca l’esultanza di Giovanni Battista. Il tempo della salvezza è il tempo della gioia.


Il cantico di lode di Elisabetta finisce con le parole che esaltano Maria: "Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore" (v. 45). Maria è diventata la madre di Gesù perché ha obbedito alla parola di Dio. E quando una donna del popolo, rivolgendosi a Gesù, la proclamerà beata: "Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!", Gesù preciserà e completerà l’espressione di lode, dicendo: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!" (Lc 11,27-28).
Con un atto di fede comincia la storia della salvezza d’Israele; Abramo parte per un paese sconosciuto con la moglie sterile, solo, perché Dio lo chiama e gli promette una discendenza benedetta (Gen 12). Con un atto di fede comincia la storia della salvezza del mondo; Maria crede alla parola del Signore: vergine, diventa la madre di Dio.


La prima beatitudine del vangelo di Luca è l’esaltazione della fede di Maria. La fede è la virtù che ha accompagnato Maria nel suo cammino e l’ha radicata profondamente nel progetto di salvezza di Dio.
Questo cantico è molto vicino a quello che intonerà Gesù quando, esultando nello Spirito Santo, scoprirà che la benevolenza del Padre si rivela ai piccoli (Lc 10,21-22). Maria esalta l’opera di salvezza che Dio sta realizzando tra gli uomini.
Questo inno si sviluppa come un mosaico di citazioni e di allusioni bibliche, che trova un parallelo nel cantico di Anna (1Sam 2,1-10), considerato generalmente come la sua fonte principale sia dal punto di vista della situazione che della tematica e della formulazione. Qualche esegeta suggerisce di leggere questo cantico di Maria sullo sfondo della grande liberazione dell’Esodo e in particolare del celebre Cantico del mare (Es 15,1-18.21).


Maria canta la grandezza di Dio. Riconosce che Dio è Dio. La conseguenza della scoperta di Dio grande
nell’amore è l’esultanza dello spirito. La scoperta dell’amore immenso di Dio per noi vince la paura. Chi conosce il vero Dio, gioisce della sua stessa gioia.
Il motivo del dono di Dio a Maria non è il suo merito, ma il suo demerito, la sua umiltà (da humus=terra, parola da cui deriva anche "uomo"). Maria è il nulla assoluto, che solo è in grado di ricevere il Tutto.
Dio è amore. L’amore è dono. Il dono è tale solo nella misura in cui non è meritato. Dio quindi è accolto in noi come amore e dono solo nella misura della coscienza del nostro demerito, della nostra lontananza, della nostra piccolezza e umiltà oggettive. Maria è il primo essere umano che riconosce il proprio nulla e la propria distanza infinita da Dio in modo pieno e assoluto. Il merito fondamentale di Maria è la coscienza del proprio demerito: ella riconosce la propria infinita nullità.


Per questo, giustamente, la Chiesa proclama Maria esentata dal peccato originale, che consiste nella menzogna antica che impedisce all’uomo questa umiltà fiduciosa, che dovrebbe essere tipica della creatura (cfr Sal 131).
L’umiltà di Maria non è quella virtù che porta ad abbassarsi. La sua non è virtù, ma la verità essenziale di ogni creatura, che lei riconosce e accetta: il proprio nulla, il proprio essere terra-terra. Tutte le generazioni gioiranno con lei della sua stessa gioia di Dio, perché in lei l’abisso di tutta l’umanità è stato colmato di luce e si è rivelato come capacità di concepire Dio, il Dono dei doni.
Dio è amore onnipotente. Lo ha mostrato donando totalmente se stesso. Il suo nome (la sua persona) è conosciuto e glorificato tra gli uomini perché Dio stesso santifica il suo nome rivelandosi e donandosi al povero.
Maria sintetizza in una sola parola tutti gli attributi di colui che ha già chiamato Signore, Dio, Salvatore, Potente, Santo: il nome di Dio è Misericordia. Dio è amore che non può non amare. E’ misericordia che non può non sentire tenerezza verso la miseria delle sue creature. San Clemente di Alessandria afferma che "per la sua misteriosa divinità Dio è Padre. Ma la tenerezza che ha per noi lo fa diventare Madre. Amando, il Padre diventa femminile" (Dal Quis dives salvetur, 37,2).


Maria descrive la storia biblica della salvezza in sette azioni di Dio. La descrizione con i verbi al passato significa quello che Dio ha già fatto nell’Antico Testamento, ma anche quello che ha compiuto nel Nuovo, perché il Cantico, composto dalla comunità cristiana, canta l’operato di Dio alla luce della risurrezione di Cristo già avvenuta.
A proposito di questa rivoluzione operata da Dio, che rovescia i potenti dai troni e manda a mani vuote i ricchi, notiamo che anche questa è un’opera grandiosa e commovente della misericordia di Dio: quando il potente cade nella polvere e il sazio prova l’indigenza, essi sono posti nella condizione per essere rialzati e saziati da Dio. Nell’esperienza del vuoto e nel crollo degli idoli, l’uomo si trova nella condizione migliore per cercare Dio.
In Maria è presente Dio fatto uomo. In lui si realizzano le promesse di Dio. E’ per la fede in Cristo che si è discendenza di Abramo (Lc 3,8). Il compimento della promessa fatta da Dio ad Abramo è definitivo: "In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gen 12,3).


Padre Lino Pedron


La tua visita Signore, ci colmi di gioia
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Visitazione Beata Vergine Maria

Dopo l'annuncio dell'Angelo, Maria si mette in viaggio “frettolosamente”, dice l’evangelista Luca (1,39) : “In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda”, per far visita alla cugina Elisabetta e prestarle servizio.
Aggregandosi probabilmente ad una carovana di pellegrini che si recano a Gerusalemme, attraversa la Samaria e raggiunge Ain-Karim, in Giudea, dove abita la famiglia di Zaccaria. È facile immaginare quali sentimenti pervadano il suo animo alla meditazione del mistero annunciatole dall'angelo. Sono sentimenti di umile riconoscenza verso la grandezza e la bontà di Dio.
Maria magnifica il Signore che opera in lei: “L’anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore” (Lc 1,46). Con queste parole Maria per prima cosa proclama i doni speciali a lei concessi, poi enumera i benefici universali con i quali Dio non cessò di provvedere al genere umano per l’eternità.

La presenza del Verbo incarnato in Maria è causa di grazia per Elisabetta che, ispirata, avverte i grandi misteri operanti nella giovane cugina, la sua dignità di Madre di Dio, la sua fede nella parola divina e la santificazione del precursore, che esulta di gioia nel seno della madre. Maria rimane presso Elisabetta fino alla nascita di Giovanni Battista, attendendo, probabilmente, altri otto giorni per il rito dell’imposizione del nome.

Accettando questo computo del periodo trascorso presso la cugina Elisabetta, la festa della Visitazione, di origine francescana (i frati minori la celebravano già nel 1263), veniva celebrata il 2 luglio, cioè al termine della visita di Maria. Sarebbe stato più logico collocarne la memoria dopo il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, ma si volle evitare che cadesse nel periodo quaresimale.

Fu poi Urbano VI (Bartolomeo Prignano, papa dal 1378 al 1389) ad estendere la festa a tutta la Chiesa latina per propiziare, con l’intercessione di Maria, la pace e l’unità dei cristiani divisi dal grande scisma d’Occidente.
Il sinodo di Basilea, nella sessione del 10 luglio 1441, confermò la festività della Visitazione, dapprima non accettata dagli Stati che parteggiavano per l’antipapa.

L’attuale calendario liturgico, non tenendo conto della cronologia suggerita dall’episodio evangelico, ha abbandonato la data tradizionale del 2 luglio (anticamente la Visitazione veniva commemorata anche in altre date) per fissarne la memoria all’ultimo giorno di maggio, quale coronamento del mese che la devozione popolare consacra al culto particolare della Vergine.

“Nell’incarnazione – commentava S. Francesco di Sales – Maria si umilia confessando di essere la serva del Signore...Ma Maria non si indugia ad umiliarsi davanti a Dio perché sa che carità e umiltà non sono perfette se non passano da Dio al prossimo. Non è possibile amare Dio che non vediamo, se non amiamo gli uomini che vediamo. Questa parte si compie nella Visitazione”.

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Maria si mise in viaggio

Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità
No Greater Love

Appena Maria fu visitata dall'Angelo, raggiunse in fretta la casa di una sua parente, Elisabetta, anche lei in attesa di un figlio. E il bambino che doveva nascere, Giovanni Battista, esultò di gioia nel grembo di Elisabetta. Che meraviglia ! Dio onnipotente sceglie un bambino non ancora nato per annunciare la venuta di suo Figlio !

Maria, nel mistero dell'Annunciazione e della Visitazione rappresenta proprio il modello della vita che dovremmo condurre. Prima, ha accolto Gesù nella sua esistenza ; poi, ha condiviso ciò che aveva ricevuto. Ogni volta che riceviamo la Santissima Comunione, Gesù il Verbo si fa carne nella nostra vita – dono di Dio allo stesso tempo bellissimo, pieno di grazia e singolare. Tale è stata la prima Eucaristia : l'offerta, da parte di Maria, di suo Figlio, nel suo grembo, dove egli aveva stabilito il suo primo altare. Maria, l'unica che poteva affermare con una fiducia assoluta : « Questo è il mio corpo », ha offerto a partire da quel momento il suo corpo, la sua forza, tutto il suo essere, per la formazione del Corpo di Cristo.

La Chiesa, nostra madre, ha innalzato le donne ad un grande onore davanti a Dio, proclamando Maria Madre della Chiesa.
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domenica 30 maggio 2010

Fate quello che vi dirà

In mezzo al giubilo della festa, a Cana, soltanto Maria si accorge che manca il vino... L'anima giunge fino ai minimi dettagli di servizio se, come Lei, vive appassionatamente intenta ai bisogni del prossimo, per il Signore. (Solco, 631)

Dei tanti invitati a quelle vivaci nozze di paese, soltanto Maria si avvede che manca il vino (cfr Gv 2, 3). Se ne accorge lei sola, e tempestivamente. Come ci risultano famigliari le scene della vita di Cristo! In esse la grandezza di Dio si intreccia con la vita più comune e quotidiana. È tipico della donna di casa avveduta e prudente notare una manchevolezza, badare ai piccoli dettagli che rendono amabile la vita: tale è il comportamento di Maria.– Fate quello che vi dirà (Gv 2, 5).
Implete hydrias (Gv 2, 7), riempite d’acqua le giare, e il miracolo avviene. Così, con questa semplicità. Tutto normale. Quei servi facevano il loro mestiere. L’acqua era a portata di mano. Ed è la prima manifestazione della divinità del Signore. La cosa più banale diventa straordinaria, soprannaturale, quando abbiamo la buona volontà di dar retta a quello che Dio ci chiede.
Voglio, Signore, abbandonare nelle tue mani generose la cura di tutto ciò che è mio. Nostra Madre – tua Madre! – ti ha già fatto risuonare all’orecchio, come a Cana: non hanno!...Se la nostra fede è debole, ricorriamo a Maria.
Per il miracolo delle nozze di Cana, compiuto da Cristo per la preghiera di sua Madre, i suoi discepoli credettero in lui (Gv 2, 11). Maria, nostra Madre, intercede continuamente presso suo Figlio perché ci ascolti e si manifesti anche a noi, cosicché possiamo proclamare: «Tu sei il Figlio di Dio».– Dammi, o Gesù, questa fede, che desidero davvero! Madre mia e Signora mia, Maria Santissima, fa’ che io creda! (Santo Rosario, 2º Mistero luminoso)
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Santa Giovanna d’Arco

Santa Giovanna d’Arco, celeberrima patriota francese, fu in un primo tempo arsa viva sul rogo e non molti anni dopo, nel 1456, riabilitata dalla Santa Sede. Il suo ruolo fu decisivo nel risollevare il morale francese nel corso della guerra dei Cento Anni e certamente avrebbe meritato una sorte migliore che essere data dai borgognoni in mano agli inglesi, rifiutata dai suoi stessi compatrioti ed infine giustiziata sotto pressione inglese. Molto è stato scritto su questa santa quasi leggendaria, purtroppo però gli agiografi non hanno fatto altro che rivestirla di loro proprie convinzioni. Fu indubbiamente una grande patriota francese, perita di morte violenta, ma non una “martire” in senso cristiano, cioè uccisa non in odio alla sua fede, quanto piuttosto per motivi politici. Indubbi furono il suo immenso coraggio e la sua grande determinazione.

Nata a Domrémy verso il 1412 da una famiglia contadina, imparò a cucire e filare, ma non a leggere e scrivere. Ebbe un’infanzia tutto sommato felice, anche se turbata dal pericolo dell’invasione lorenese e dalla Guerra dei Cento Anni. Giovanna aveva solamente tre anni quando Enrico V d’Inghilterra vinse la battaglia d’Azincourt e rivendicò il trono francese, sul quale sedeva allora Carlo VI il Folle. La Francia era inoltre indebolita dalle divisioni insorte fra la casa d’Orléans e quella di Borgogna, che comportarono l’assassinio del duca da parte del Delfino, il futuro Carlo VII. Queste vicende sugellarono il legame tra i borgognoni e gli inglesi ed i britannici portarono avanti, seppur fra non poche difficoltà economiche, la battaglia per conquistare il trono di Francia.
Nel frattempo Giovanna, allora quattordicenne, dal 1426 iniziò a udire delle misteriose voci celesti accompagnate da bagliori di luce e due anni dopo proprio in tal modo fu invitata a presentarsi volontariamente alle autorità militari allo scopo di “salvare la Francia”. Orléans era in stato d’assedio e le sorti della nazione parevano incerte. Nel 1429 Giovanna riconobbe a Chinon il Delfino, nonostante questi si fosse mascherato fra i suoi cortigiani, ed ottenne un colloquio segreto con lui, riuscendo a guadagnarne la stima. Venne tuttavia condotta a Poitiers per sottoporla all’esame da parte di teologi circa la sua fede ed i suoi costumi, ma poiché non fu scorta in lei alcuna ombra, al Delfino venne dunque consigliato di sfruttare al meglio i carismi della ragazza. Giovanna chiese che delle truppe fossero messe a sua disposizione per liberare Orléans e, vestitasi di un’armatura bianca, cavalcò alla loro testa con uno stendardo recante i nomi di Gesù e Maria.
In effetti la spedizione militare ebbe successo ed Orléans fu liberata: ciò dipese indubbiamente dall’intervento della “pulzella”, che seppe risollevare il morale francese e far percepire a tutti l’aiuto divino. L’entusiasmo popolare crebbe ancora in seguito ad altre vittorie, sino alla liberazione di Reims, ove Carlo VII poté essere incoronato con accanto Giovanna ed il suo stendardo. Forti opposizioni si levarono però ben presto dal mondo maschilista di corte, dell’esercito e della Chiesa, che guardavano a Giovanna con sospetto. Ben presto emersero gli effetti di questa avversione nei suoi confronti: rimasta ferita durante un fallito attacco a Parigi, il suo carisma fu ridimensionato e, quando mesi dopo ella liberò Compiègne, il ponte levatoio fu sollevato prima che Giovanna potesse mettersi in salvo. Catturata dai borgognoni, il re di Francia non fece alcuno sforzo per ottenere il suo rilascio e dunque il 21 novembre 1430 venne venduta agli inglesi.
Questi, desiderando che la giovane fosse condannata quale ribelle o eretica, la sottoposero ad un interrogatorio incrociato da un tribunale presieduto dal vescovo di Beauvais. Furono esaminati le “voci” misteriose che ella udiva, l’uso di abiti maschili, la sua fede e la sua volontà di sottomissione alla Chiesa. Non essendo particolarmente colta, Giovanna diede talvolta risposte non appropriate, ma seppe sempre difendersi da sola con coraggio e precisione. Il processo terminò con una “rozza e sleale ricapitolazione dei fatti”, in cui i giudici giudicarono diaboliche le rivelazioni da lei ricevute e l’università di Parigi la denunciò duramente. In parte, anche se non ci è chiaro in quale misura, convinsero Giovanna a ritrattare le sue posizioni, ma poi tornò ad indossare gli abiti maschili, divenuti ormai provocatori non trattandosi più di protezioni per la guerra, e confermò di aver esclusivamente agito per mandato di Dio stesso, che grazie alle “voci” le aveva affidato tale missione.
I giudici, accogliendo anche le istanze del vescovo, condannarono infine Giovanna d’Arco quale eretica recidiva ed il 30 maggio 1431, non ancora ventenne, venne arsa via sul rogo nella piazza del mercato di Rouen. Il suo comportamento fu esemplare sino alla fine: richiese che un domenicano tenesse elevata una croce ed alla morì atrocemente invocando il nome di Gesù. Le sue ceneri furono gettate nella Senna, onde evitare una venerazione popolare nei loro confronti. Un funzionario reale inglese ebbe a commentare circa l’accaduto: “Siamo perduti, abbiamo messo al rogo una santa”.
Una ventina di anni dopo, sua madre ed i due fratelli si appellarono alla Santa Sede affinchè il caso di Giovanna fosse riaperto. Papa Callisto III nel 1456 riabilitò l’eroina francese, annullando l’iniquo verdetto del vescovo francese. Ciò costituì una premessa essenziale ber giungere alla sua definitiva glorificazione terrena: nel 1910 San Pio X beatificò Giovanna d’Arco ed infine nel 1920 Benedetto XV la proclamò “santa”. Il suo culto fu particolarmente incentivato in Francia durante i momenti di particolare crisi in campo militare, sino ad essere proclamata patrona della nazione. Anche in Inghilterra la sua fugura è stata rivalutata ed una sua statua è stata posta nella cattedrale di Winchester, dinnanzi alla tomba del Cardinal Beaufort, colui che ebbe un ruolo decisivo nell’iniquo processo contro Giovanna.
Non manca chi ha voluto considerare questa intraprendente ragazza vissuta nel Basso Medioevo quale “prima protestante”, oppure in tempi più recenti una sorta di anticipatrice del femminismo. In realtà, Giovanna d’Arco non fu altro che una semplice ragazza di campagna, che seppe adempiere fedelmente la vocazione ricevuta tramite le rivelazioni attribuite a San Michele Arcangelo, Santa Margherita di Antiochia e Santa Caterina d’Alessandria. Seppur possa sembrare una vicenda incredibile, è impressionante la mole di documenti raccolti dalla Santa Sede grazie alla quale si rendette postuma giustizia alla giovane innocente vittima. La cosa più deprecabile sta nella presenza di ecclesiastici fra i colpevoli di questo errore giudiziario che nel XV secolo fu responsabile della sua morte.
In tempi recenti vasta è stata la produzione letteraria e cinematografica sulla vita di Santa Giovanna d’Arco. Solo nel 1996, nella soffitta di una casa colonica francese, è stata rinvenuta quella che verosimilmente pare essere stata l’armatura di Giovanna, con tanto di segni coincidenti con le ferite che la santa riportò in battaglia.
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San Ferdinando

San Ferdinando nacque nel 1198 da Alfonso IX, re di León, e da Berenguela di Castiglia. Con lui si unirono definitivamente i due regni della penisola iberica, senza guerre e spargimenti di sangue come spesso capita in simili circostanze. Tale unione fu infatti dettata dal matrimonio fra i suoi genitori: la morte prematura di Enrico I di Castiglia nel 1217 aveva inaspettatamente portato la corona castigliana alla sorella Berenguela, la quale, con grande prudenza e sagacia, volle cederla spontaneamente al giovane figlio Ferdinando, nel corso di una grande assemblea tenutasi a Valladolid. Fu così che nel luglio 1217 egli venne finalmente riconosciuto quale sovrano dai nobili castigliani. Nel 1230 prese anche possesso del regno di León, superati non pochi ostacoli derivanti dalle disposizioni testamentarie del padre, che poco prima della morte, aveva designato eredi universali le figlie Sancia e Dolce.
L’unione definitiva fra i due regni di Castiglia e di León costituì uno dei meriti più gloriosi della vita di Ferdinando: preparata accuratamente dalla madre, favorita dalla gerarchia ecclesiastica ed appoggiata dai papi Innocenzo III ed Onorio III, tale unione annullò definitivamente una delle più frequenti cause di attrito tra i regni spagnoli e si rivelò vincente nella lotta contro il comune nemico, cioè l’Islam a quel tempo penetrato nel continente europeo.Ferdinando convolò a nozze prima con Beatrice di Svevia (nota anche come Beata Beatrice de Suabia) nel 1219 e poi, rimasto vedovo, con Maria de Ponthieu nel 1235: da queste felici unioni nacquero ben tredici figli. Questa politica matrimoniale instaurò strette relazioni con la casata imperiale di Germania e con quella reale di Francia, tanto che il primo matrimonio diede al figlio, Alfonso X il Saggio, fondamento giuridico per aspirare addirittura al trono germanico.L’aspetto più rilevante del regno di Ferdinando III è però costituito dalla cosiddetta “Riconquista”: armato cavaliere a Burgos nel 1219 e riappacificati all’interno i suoi regni, consacrò per trenta lunghi anni tutta la sua attività bellica alla lotta contro gli invasori musulmani, assumendo quale suo scopo non soltanto la completa liberazione della Spagna, ma anche il riuscire a schiacciare il potere nemico, aspirazione suprema tanto delle crociate quanto del pontificato. La riconquista di città e fortezze importanti quali Baeza, Jaén, Martos, Córdoba e Siviglia meritarono al sovrano l’appellativo di “Conquistatore dell’Andalusia”. Di pari passo si procedeva anche alla restaurazione religiosa e grazie alle generose donazioni elargite da re Ferdinando vennero restaurate le diocesi di Baeza-Jaén, Córdoba, Siviglia, Cartagena e Badajoz.L’impegno di questo santo sovrano nella lotta contro l’Islàm fu riconosciuto e premiato dalla Chiesa di Roma con il riconoscimento del diritto di patronato, benché limitato ad alcuni benefici, delle sedi restaurate. Ebbe inoltre facoltà di spendere per la “Riconquista” il ricavato della vigesima, raccolto dai collettori pontifici in Spagna per la crociata orientale, ed al medesimo scopo gli venne concesso il tributo delle “terze reali”, consistenti in una terza parte dei beni ecclesiastici destinata all’edificazione delle chiese. Tutto ciò, insieme alla frequente concessione di indulgenze mediante l’equiparazione dei crociati spagnoli a quelli orientali, permise a San Ferdinando di ingrandire il regno di Castiglia, ormai definitivamente egemone sugli altri stati della penisola iberica, e di rivelarsi un governante modello, dai sani principi cristiani, sagace ed abile nelle trattative.Il regno di Murcia si arrese mediante un trattato firmato da suo figlio, pattuì una tregua con il re moro di Granada, organizzò la marina castigliana riuscendo così ad avanzare trionfalmente lungo il Guadalquivir. Intransigente con gli eretici, per contro fu però sempre generoso e magnanimo verso i vinti, tollerante nei confronti dei giudei ed ubbidiente alle indicazioni ricevute dalla Chiesa.

L'iscrizione sul suo sepolcro in quattro lingue, ebraico, arabo, latino e castigliano, è la prova tangibile di come il sovrano seppe accattivarsi pienamente l’unanime rispetto.Re prudente, fu sempre affiancato da un consiglio di dodici persone circa gli affari gravi ed importanti del suo regno. Al fine di governare in pace e giustizia i suoi sudditi, intraprese la redazione di un codice di leggi, ultimato poi da suo figlio. Incrementò le scienze e le arti, avviando l’università di Salamanca, proteggendo quella di Valencia e lo Studio Generale di Valladolid. Contribuì economicamente all’edificazione delle nuove cattedrali di Leon, Burgos e Toledo, e riportò a Compostella le campane che Almansur aveva rubato. Accolse in Spagna i Francescani, i Domenicani ed i Trinitari, ordini allora nascenti.Oltre che quale re magnanimo ed invincibile capitano, Ferdinando si rivelò esemplare anche semplicemente quale uomo. Seppur in mezzo alle glorie del mondo riuscì a coltivare un’intensa religiosità ed una particolare devozione alla Madonna, nonchè dimostrarsi sempre grato al Signore delle sue vittorie ed umile sino al punto di chiedere la pubblica penitenza.

Con edificante umiltà domandò perdono mentre gli venne amministrato il Viatico, che volle ricevere in ginocchio nonostante la grave infermità. Considerò il suo regno quale dono divino e perciò lo offerse al Signore unitamente alla sua anima il 30 maggio 1252, pronunziando prima di spirare queste parole: “Signore, nudo uscii dal ventre di mia madre, che era la terra, e nudo mi offro ad essa; o Signore, ricevi la mia anima nello stuolo dei tuoi servi”.San Ferdinando III, re di Lèon e Castiglia, sino ad oggi è stato l’unico sovrano spagnolo ad essere ritenuto dalla Chiesa meritevole della gloria degli altari e tutti i cronisti, persino l’arabo Himyari, concordano nel riconoscergli purezza nei costumi, prudenza, eroismo, generosità, mansuetudine ed un innato spirito di servizio nei confronti del suo popolo. Furono proprio cotante virtù, unite al saggio governo dei suoi regni, a santificare la sua vita raggiungendo una tale perfezione morale da costituire un vero modello di sovrano e governante cristiano.Il suo culto, inizialmente limitato alla città di Siviglia, fu poi esteso alla Chiesa universale: nel 1629 ebbe inizio il processo di canonizzazione, volto a dimostrare il suo culto immemorabile, la veridicità di molti miracoli e l’incorruzione del suo corpo, finchè il 4 febbraio 1671 fu finalmente canonizzato da Papa Clemente X.

L’arma dei genieri dell’esercito lo elesse suo patrono, ma anche i carcerati, i poveri e i governanti lo invocano loro speciale protettore.

L’iconografia lo raffigura sempre giovane, senza barba, con i classici attributi reali quali corona, scettro e sfera, a volte anche con una statuetta della Madonna che portava con sé nelle sue campagne militari o con una chiave in mano in ricordo di quella consegnatagli dal re moro dopo la conquista di Siviglia.
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Un unico Dio, un unico Signore, nella trinità delle persone e l'unità della natura

San Giovanni della Croce (1542-1591), carmelitano, dottore della Chiesa
Poema « La fonte io so »

La fonte io so che scaturisce e scorre :
eppure è ancora notte.

Quella eterna sorgente si nasconde,
ma bene io so dove conduce l'onde :
eppure è ancora notte.

L'origine non so, non ve n'è alcuna,
so che tutte le origini in sé aduna :
eppure è ancora notte.

Non esiste altra cosa tanto lieta,
so che il creato limpida disseta :
eppure è ancora notte.

E so che non c'è fondo a intorbidarla
e che nessuno mai potrà guardarla :
eppure è ancora notte.

La trasparenza mai viene offuscata,
so che di qui ogni luce è originata :
eppure è ancora notte.

E so tanto copiose le correnti
che inferno e cielo rigano e le genti :
eppure è ancora notte.

Fiume perenne vien dalla sorgente
so che altrettanto è ricco e onnipotente :
eppure è ancora notte.

Terza corrente dalle due procede,
so che né l'una né l'altra la precede :
eppure è ancora notte.

A darci vita questa eterna fonte
in questo pane vivo si nasconde :
perché ora è notte.

Qui se ne sta chiamando ogni creatura
e tutto si disseta pur nella zona oscura
perché ora è notte.

La fonte viva ch'io continuo a desiderare
in questo pane vivo m'è già dato di contemplare :
benché sia notte.
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Santissima Trinità

Continua questo periodo di grandi feste nella Liturgia ed oggi ci troviamo di fronte alla domenica dedicata alla Santissima Trinità. Chi è mai la Trinità? Di cosa si tratta?
Ho fatto la prova, nei giorni scorsi, a rivolgere queste due domande a un po’ di persone: ad alcuni sacerdoti, alle mie colleghe a scuola, ai ragazzi in oratorio, al sacrista, ad una mia vicina di casa; la risposta che ho ricevuto più spesso è stata questa: “La Trinità è un mistero”.
Bisogna dire che hanno ragione: effettivamente la Trinità è un grande mistero. Solo che dobbiamo metterci d’accordo su cosa intendiamo con questa parola, perché spesso in italiano diciamo mistero ed intendiamo qualcosa che non capiamo, qualcosa che ci fa paura.
Ricordo una mia alunna di 9 anni che, una volta, ha usato questa immagine: “ll mistero è come una stanza buia. Non sai cosa c’è dentro. Magari è una bellissima sorpresa, ma siccome non si riesce a vedere, ci fa paura.”
Forse è vero che il mistero fa un po’ paura, ma quando si tratta della Trinità, non deve essere così, perché è un mistero luminoso: un Dio che è unico, ma che è in tre persone, Padre, Figlio e Spirito Santo. Non ci presenta qualcosa di spaventoso o di preoccupante, non ci fa sentire minacciati. Resta mistero solo perché riguarda qualcosa che è molto più grande di noi, qualcosa che la nostra mente non riesce a contenere, ad accogliere fino in fondo. In effetti, facciamo molta fatica a capire quello che la teologia ci dice: se sono tre persone, non possono essere uno solo; ma Dio è unico, allora come possiamo chiamarlo in tre modi? Sono solo suoi nomi diversi o sono tre persone distinte? Lo so, lo so, sembra veramente tutto molto complicato…
Quando frequentavo le scuole superiori, nella mia parrocchia venne un teologo famoso e importante, uno studioso della Bibbia e della Fede. Era stato professore del mio parroco e venne a tenere alcune serate di riflessione partendo dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che era stato da poco rinnovato. Quel sacerdote era davvero molto bravo, sapeva parlare in maniera semplice delle cose difficili, così che anche noi ragazzi ascoltavamo volentieri e seguivamo bene i discorsi. La seconda sera parlò anche della Trinità e io cercavo di non perdere neppure una parola. La sera seguente, cominciando il terzo e ultimo incontro, l’anziano teologo chiese se avevamo domande e io, un po’ scoraggiata, alzai la mano e spiegai: “Ecco… veramente… io questa faccenda della Trinità non è che proprio l’ho capita…”
Lui fece un bel sorrisone, che illuminò la sua faccia piena di rughe e mi rispose: “Ragazza mia, meno male! Mi sarei cominciato a preoccupare se mi avessi detto che avevi capito tutto della Trinità! Ma se invece ti senti confusa, è tutto normale! Anche noi che passiamo la vita a studiare e a riflettere sul mistero di Dio, non riusciamo a capirlo e a spiegarlo!”
Sono passati parecchi anni, da allora, e molto spesso mi sono trovata davanti a persone che mi chiedevano di “spiegare la Trinità”. Solo che la Trinità non si spiega. O perlomeno, non si spiega come la definizione di un vocabolario o come il procedimento di un problema di matematica.
Proprio qui sta il punto difficile: finché guardiamo alla Trinità usando la logica della matematica, non ne veniamo a capo, perché se è 3 non può essere 1 e se è 1 non può essere 3! Però nella nostra vita ci sono moltissime cose che non seguono le regole matematiche, ma usano una logica diversa. Per esempio la gioia, che aumenta se la dividi: quando proviamo ad essere felici da soli, non riusciamo mai a provare la stessa immensa gioia di quando possiamo essere felici insieme agli altri. Di solito, se divido qualcosa, per esempio una tavoletta di cioccolata, ne andrà un pezzo per uno: un pezzo, appunto, cioè una parte molto più piccola della tavoletta intera. Con la gioia non è affatto così: più la condividi con gli altri, più ti senti invadere dalla gioia, la senti che ti aumenta dentro!
Anche l’amore segue questo stesso criterio: puoi darne di continuo e non resti mai senza! Se ti offro delle patatine dal mio sacchetto e tu ne prendi un po’, poi ancora un po’, poi ancora un po’ e ancora un altro pochettino, prima o poi il sacchetto si svuoterà e io resterò senza. Con l’amore le cose vanno diversamente: posso continuamente offrire amore e non mi troverò mai con un sacchetto vuoto in mano, non potrà mai succedere che finisca e io resti senza.
La logica che abita la Trinità è simile alla logica della gioia e dell’amore: non si spiega con i numeri o con le operazioni matematiche, ma si accoglie con fede, facendone l’esperienza, invece di cercare di misurarla. Sarà bello il giorno in cui ci troveremo in Paradiso e saremo faccia a faccia con il Signore Dio: tutto sarà chiaro e diremo: “Ecco! Ora finalmente capisco questo mistero della Trinità!”. Per ora, ci fidiamo di Gesù, che sa quello che ci dice, non è vero?
E proprio lui, il nostro Maestro, ci parla di un Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo.
Possiamo partire da qui, credo: possiamo cominciare con il fidarci di quanto il nostro Maestro e Signore ci insegna e possiamo imparare a pregare chiamando per nome ciascuna delle persone della Trinità. È un modo per entrare in confidenza con questo mistero luminoso. Penso che ciascuno possa trovare il suo modo di pregare la Trinità o di invocare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
A me, personalmente, viene spontaneo rivolgermi a Dio Padre quando voglio unire la mia voce a quella di tanti fratelli e sorelle nella fede in Cristo Gesù, quando voglio pregare per un’intenzione che ci accomuna. Nei giorni del terremoto in Abruzzo, per esempio, il cuore si rivolgeva spontaneamente a Dio chiamandolo Padre, di fronte alla sofferenza di tanti fratelli e sorelle, nel desiderio di unire la mia voce alla loro, sentendomi vicina alla paura e al pianto di ognuno.
Quando voglio invece confidare a Dio qualcosa di mio, qualcosa di personale, di intimo, mi viene più immediato rivolgermi al Figlio Gesù: lui che è uomo esattamente come noi, conosce ogni sfumatura di quello che passa nell’animo umano, sa perfettamente le nostre fatiche, le nostre preoccupazioni, le nostre fragilità...Una mia alunna una volta mi ha detto: “Se mi prendono in giro o mi fanno i dispetti, mi arrabbio e vorrei vendicarmi. Allora prego Gesù: anche lui è stato un bambino e anche a lui avranno fatto i dispetti, lo avranno preso in giro… Lui sì che può capirmi!”
Al mattino, mentre cammino nel corridoio della mia scuola, prima di entrare in classe, mi rivolgo allo Spirito Santo: lo prego di accompagnarmi lungo la giornata, di rendere le mie parole semplici e chiare per chi le ascolterà, di aiutarmi a spiegare qualche argomento difficile, di rendere vivace la mia fantasia, la mia creatività, per trovare ogni volta il modo più adatto per raggiungere il cuore e la mente dei miei alunni. Con loro, poi, prima di iniziare la lezione, preghiamo insieme lo Spirito Santo perché renda l’intelligenza ben sveglia e pronta, tenga lontane le distrazioni, dia il coraggio di fare domande quando qualcosa non è chiaro. C’è poi un’altra occasione in cui mi viene spontaneo pregare lo Spirito di Dio: quando sento tutta la fatica di vivere da cristiana. Quando mi pesa perdonare, quando non ho voglia di condividere e aiutare, quando ho paura dei commenti delle persone se dico che prego tutti i giorni… Sono tante le piccole occasioni in cui essere testimoni di Gesù ci costa, diventa faticoso, impegnativo, e ci sentiamo deboli, insicuri: invocare lo Spirito Santo è il modo più facile per avere accanto tutta la forza d’amore di Dio!
Fermiamoci allora un istante, prima di proseguire nella celebrazione. Ognuno, nel silenzio del cuore, rivolga un saluto, un pensiero, un ringraziamento alla Trinità, a Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo.


Daniela De Simeis (qumran2.net)
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sabato 29 maggio 2010

Dolce e Immacolato Cuore di Maria

Abìtuati a mettere il tuo povero cuore nel Dolce e Immacolato Cuore di Maria, affinché te lo purifichi da tante scorie, e ti conduca al Cuore Sacratissimo e Misericordioso di Gesù... (Solco, 830)

Compiuto il tempo della purificazione della Madre, secondo la legge di Mosè, bisogna andare col Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore (Lc 2, 22).
E questa volta sarai tu, piccolo amico, a portare la gabbia delle tortore. Vedi? Lei l'Immacolata!- si sottomette alla Legge come se fosse impura.
Bambino mio, imparerai anche tu da questo esempio a non essere sciocco e a compiere la Santa Legge di Dio nonostante tutti i sacrifici che richiede?Purificarsi! Noi due sì che abbiamo bisogno di purificazione! Espiare, per trovare aldilà dell'espiazione, l'Amore. Un amore che cauterizzi, che bruci le scorie della nostra anima, che sia fuoco che accende di fiamma divina la miseria del nostro cuore. (Santo Rosario. 4º mistero gaudioso)
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Santa Orsola (Giulia) Ledóchowska

Vergine, fondatrice : “Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante” (dette anche Orsoline Grigie)

Orsola, al secolo Giulia, Ledóchowska nacque il 17 aprile 1865 a Loosdorf (Austria) in una famiglia, che da parte della madre (di nazionalità svizzera discendente da una stirpe cavalleresca dei Salis) come pure dalla parte del padre (discendente da un’antica famiglia polacca) ha dato numerosi uomini di stato, militari, ecclesiastici e persone consacrate, impegnati nella storia dell’Europa e della Chiesa.
È cresciuta in un clima famigliare pieno di amore, saggio ed esigente, tra numerosi fratelli e sorelle. I primi tre dei fratelli scelgono la strada della vita consacrata : Maria Teresa (beatificata nel 1975), fondatrice del Sodalizio di San Pietro Claver e il fratello minore, Vladimiro, preposito generale dei Gesuiti.
Nel 1883 la famiglia si trasferì a Lipnica Murowana, vicino a Cracovia. Nel 1886 Giulia entrò nel convento delle Orsoline di Cracovia.
“Sapessi solo amare! Ardere, consumarmi nell’amore” – così scrive prima dei voti religiosi la 24 enne Giulia Ledóchowska, novizia nel convento delle orsoline a Cracovia. Nel giorno della professione prende il nome di Maria Orsola di Gesù, e le parole qui riportate diventano le linee guida di tutta la sua vita.
Maria Orsola vive nel convento di Cracovia 21 anni. Attira l’attenzione il suo amore per il Signore, il suo talento educativo e la sua sensibilità ai bisogni dei giovani nelle mutate condizioni sociali, politiche e morali di questi tempi. Quando le donne acquistano il diritto allo studio universitario, riesce a organizzare il primo pensionato per studentesse in Polonia dove esse possono trovare non solo un posto sicuro per la vita e per lo studio, ma anche una solida formazione religiosa. La stessa sensibilità la spinge ad andare per lavoro, con la benedizione del San Pio X (Giuseppe Sarto), nel cuore della Russia ostile alla Chiesa. Quando, con un’altra suora, vestite in borghese (la vita religiosa era proibita in Russia) partono per Pietroburgo, non sa di essersi incamminata verso una destinazione a lei sconosciuta e che lo Spirito Santo l’avrebbe condotta sulle strade che non aveva previsto.
A Pietroburgo la Madre e la comunità delle suore in aumento (eretta presto come una casa autonoma delle orsoline) vivono in clandestinità, e anche se sorvegliate in continuo dalla polizia segreta, svolgono un intenso lavoro educativo e di formazione religiosa, diretto anche all’avvicinamento nelle relazioni tra polacchi e russi.

Scoppiata la guerra del 1914 Maria Orsola deve lasciare la Russia. Parte per Stoccolma. Durante il periodo della peregrinazione scandinava (Svezia, Danimarca, Norvegia), la sua attività si concentra, oltre al lavoro educativo, sull’impegno nella vita della Chiesa locale, sul lavoro in favore delle vittime della guerra e sull’impegno ecumenico. La casa delle sue suore diventa un appoggio per la gente di diversi orientamenti politici e religiosi. Il suo amore ardente per la patria va di pari passo con l’apertura alla diversità, agli altri. Richiesta una volta di che orientazione è la sua politica, rispose senza indugiare: “la mia politica è l’amore”.
Nel 1920 Maria Orsola con le suore e un numeroso gruppo di orfani di famiglie di emigrati, ritorna in Polonia. La Sede Apostolica trasforma il suo convento autonomo delle orsoline nella Congregazione delle “Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante”. La spiritualità della congregazione si concentra intorno alla contemplazione dell’amore salvifico di Cristo e alla partecipazione alla sua missione per mezzo del lavoro educativo ed il servizio al prossimo, in modo particolare sofferente, solo, emarginato, alla ricerca del senso della vita.
Maria Orsola educa le suore ad amare Dio sopra ogni cosa e in Dio “ogni persona umana e tutta la creazione”. Ritiene una testimonianza particolarmente credibile del legame personale con Cristo e uno strumento efficiente dell’influsso evangelizzatore ed educativo, il sorriso, la serenità d’animo, l'umiltà e la capacità di vivere la grigia quotidianità come via privilegiata verso la santità. E lei stessa è un esempio trasparente di una tale vita.

La Congregazione si sviluppa presto. Nascono le comunità delle suore orsoline in Polonia e sulle frontiere orientali del Paese, povere, multinazionali e multiconfessionali.
Nel 1928 nasce la casa generalizia in Roma e un pensionato per le ragazze meno abbienti perché possano conoscere la ricchezza spirituale e religiosa del cuore della Chiesa e della civilizzazione europea. Le suore iniziano anche il lavoro tra i poveri dei sobborghi di Roma. Nel 1930 le suore, accompagnando le ragazze che partono alla ricerca di lavoro, si stabiliscono in Francia. In ogni posto dove è possibile Maria Orsola fonda centri di lavoro educativo e di insegnamento, invia le suore alla catechesi e al lavoro nei quartieri poveri, organizza edizioni per bambini e giovani e lei stessa scrive libri e articoli. Cerca di iniziare e di appoggiare le organizzazioni ecclesiastiche per i bambini (Movimento Eucaristico), per la gioventù e per le donne. Partecipa attivamente alla vita della Chiesa e del Paese, ricevendo alti riconoscimenti e decorazioni statali ed ecclesiastiche.
Quando la sua vita laboriosa e non facile giunge al termine a Roma, il 29 maggio 1939, la gente diceva che è morta una santa.

Il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha beatificato Maria Orsola il 20 giugno 1983 a Poznań e l’ha canonizzata a Roma il 18 maggio 2003.

Le Orsoline Grigie si dedicano all'istruzione e all'educazione cristiana della gioventù: sono attive presso scuole elementari, dell'infanzia, di taglio e cucito, oratori, residenze per studenti e case famiglia per malati di AIDS.
Sono presenti in : Argentina, Bielorussia, Brasile, Canada, Filippine, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Polonia, Tanzania, Ucraina; la sede generalizia è a Roma.
Al 31 dicembre 2005, la congregazione contava 832 religiose in 98 case.

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Con quale autorità fai queste cose ?

Sant'Ilario di Poitiers (circa 315-367), vescovo, dottore della Chiesa De Trinitate, VII, 26-27

Dipende dal Padre, il fatto che il Figlio gli assomogli. Viene da lui, quel Figlio che gli si può paragonare, perché è simile a lui. È pari a lui, il Figlio che compie le stesse opere di lui (Gv 5,36)... Sì, il Figlio compie le opere del Padre ; perciò ci chiede di credere che egli è il Figlio di Dio. Non si arroga in questo un titolo che non gli sarebbe dovuto ; non fonda la sua rivendicazione sulle sue opere. No, rende testimonianza che queste non sono le sue opere, bensì quelle del Padre suo. E attesta così che lo splendore delle sue azioni è dovuto alla sua divina nascita. Ma come gli uomini avrebbero potuto riconoscere in lui il Figlio di Dio, nel mistero di questo corpo che aveva assunto, in questo uomo nato da Maria ? Il Signore compieva dunque tutte queste opere allo scopo di fare penetrare nel loro cuore la fede in lui : « Se compio le opere del Padre mio, anche se non volete credere in me, credete almeno alle opere ! » (Gv 10,38).

Se l'umile condizione del suo sorpo sembra costituire un ostacolo per credere alla sua parola, ci chiede di credere almeno alle sue opere. Perché, infatti, il mistero della sua nascita umana ci impedirebbe di percepire la sua nascita divina ? ... « Se non volete credere a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre »...

Tale è la natura che egli possiede fin dalla sua nascita ; tale è il mistero di una fede che ci garantirà la salvezza : occorre non dividere coloro che sono una cosa sola, non privare il Figlio dalla sua natura e proclamare la verità del Dio Vivo nato dal Dio Vivo... « Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me, così io vivo per il Padre » (Gv 6,57). « Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso » (Gv 5,26)
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venerdì 28 maggio 2010

Raccontale tutto quello che ti succede

- Vuoi amare la Vergine? E allora parla con Lei, cerca di conoscerla. Come? Recitando bene il suo Rosario. - Ma nel Rosario diciamo sempre le stesse cose! Le stesse cose? Non si dicono sempre le stesse cose coloro che si amano? (Prologo al Santo Rosario)

Come crescerebbero in noi le virtù soprannaturali se riuscissimo a frequentare davvero Maria, che è nostra Madre!
Non esitiamo a ripeterle lungo la giornata — con il cuore, senza bisogno di parole — piccole preghiere, giaculatorie. La devozione cristiana ha raccolto molte di queste lodi ardenti nelle Litanie che accompagnano il santo Rosario. Ma ciascuno è libero di aumentarle, rivolgendo alla Madonna altri elogi, dicendole dal nostro intimo ciò che — per un santo pudore che Lei capisce e approva — non oseremmo pronunciare ad alta voce.
Ti consiglio — per concludere — di fare, se non l'hai ancora fatta, la tua esperienza personale dell'amore materno di Maria. Non basta sapere che Ella è Madre, considerarla tale, e parlare di Lei come tale. È tua Madre, e tu sei suo figlio; ti vuole bene come se tu fossi il suo figlio unico sulla terra. Trattala di conseguenza: raccontale tutto ciò che ti succede, rendile onore, amala. Nessuno può farlo al tuo posto, né come tu lo faresti, se non sei tu stesso a farlo.
Ti assicuro che se ti avvierai per questo cammino, troverai subito tutto l'amore di Cristo: e ti vedrai inserito nella vita ineffabile di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo. Troverai la forza per compiere fino in fondo la Volontà di Dio, ti riempirai di aneliti di servire tutti gli uomini. Sarai il cristiano che ogni tanto sogni di essere: pieno di opere di carità e di giustizia, felice e forte, comprensivo con gli altri ed esigente verso te stesso.
Questo, non altro, è il nerbo della nostra fede. Ricorriamo a Maria, che ci accompagnerà con passo sereno e costante. (Amici di Dio, 293)
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S. Ubaldesca Taccini

Vergine - Patrona di Calcinaia

Ubaldesca Taccini nacque a Calcinaia (Pisa) nel 1136 da genitori di umile condizione. Figlia unica, fin da giovane seppe mostrarsi umile e devota nei confronti dei genitori e di Gesù.

Chiamata dal Signore ad entrare nell'ordine Gerosolomitano (diventato in seguito, dopo diversi cambiamenti, Sovrano Militare Ordine di Malta) di S. Giovanni (istituito nel 1099 in Gerusalemme presso la Chiesa di S. Giovanni Battista sotto la regola di S. Agostino), all'età di 15 anni lasciò Calcinaia per la città di Pisa, fermandosi nella Chiesa di S. Sepolcro (costruita nei primi anni del secolo XII dall'architetto pisano Diotisalvi).

Ubaldesca Taccini segnò profondamente la vita spirituale di Pisa nei secoli XII-XIII, insieme con santa Bona, S. Guido della Gherardesca e S. Ranieri. In un periodo storico che vide la Repubblica Marinara di Pisa dominare il Mediterraneo e i suoi cittadini godere di un tenore di vita particolare, Ubaldesca propose un modello di vita sganciato dalla vita sociale pisana e strettamente fedele al messaggio di povertà e rinuncia predicato da Gesù.
Si distinse, particolarmente, per le pratiche ascetiche e per la cura dei malati e dei bisognosi.

Per tutti i 55 anni di vita religiosa, Ubaldesca praticò nel monastero e nello “Spedale” della città l'umiltà e la carità, mortificando di continuo il suo corpo con digiuni intensi e prolungati. Operò miracoli già in vita: tra i tanti, che le vengono attribuiti, il più conosciuto resta quello della tramutazione dell'acqua del pozzo, della Chiesa del Santo Sepolcro di Pisa, in vino.

Dopo la morte, avvenuta il 28 maggio 1206, festa della SS. Trinità, si moltiplicarono le guarigioni straordinarie legate al suo nome.
Papa Sisto V (Felice Peretti, 1585-1590) concesse l'indulgenza plenaria per tutti coloro che visitavano la Chiesa maltese il giorno 28 maggio.

Le reliquie di S. Ubaldesca sono attualmente custodite e venerate nella Pieve di Calcinaia, paese natale della santa, dove furono solennemente traslate il 24 maggio 1924 per volontà dell'Arcivescovo di Pisa Cardinale Pietro Maffi. L'indimenticato pastore della Chiesa Pisana accolse le richieste dei calcinaioli risentiti per la scarsità e la quasi scomparsa del culto di Ubaldesca presso la chiesa del Santo Sepolcro di Pisa, da tempo abbandonata dall'Ordine di Malta.

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Sta scritto : ''La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti''. Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri

Giovanni Taulero (circa 1300-1361), domenicano a Strasburgo
Discorsi, 46

Il nostro Signore entrò nel Tempio e, con l'aiuto di una sferza, scacciò fuori dal Tempio tutti coloro che compravano e vendevano e disse : « La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri ». Quale tempio è questo, divenuto una spelonca di ladri ? È l'anima e il corpo dell'uomo, i quali sono ben più realmente il tempio di Dio, di tutti i templi mai edificati (1 Cor 3,17 ; 6,19).

Quando il Nostro Signore vuole entrare in questo tempio, lo trova mutato in una spelonca di ladri e in un luogo di mercato. Chi sono questi mercanti ? Sono coloro che danno quello che hanno – il libero arbitrio – per ciò che non hanno – le cose di questo mondo. Quanto il mondo intero è pieno di tali mercanti ! Ce ne sono fra i sacerdoti e i laici, fra i religiosi, i monaci e le monache. Che vasto argomento di ricerca per chi volesse studiare come tanta gente sia così piena della propria volontà !... Dappertutto non vi si trova altro se non natura e volontà propria ; tanti sono coloro che cercano in ogni cosa il proprio interesse. Se volessero, invece, concludere con Dio un contratto, donandogli la loro volontà, che felice affare farebbero !

Occorre che l'uomo voglia, segua, cerchi Dio in tutto quello che fa ; e quando avrà fatto tutto questo – bere, dormire, mangiare, parlare, ascoltare – lasci allora interamente le immagini delle cose, cosìcché il suo tempio rimanga vuoto. Una volta che il tempio sarà vuotato, una volta che ne avrai scacciato questa frotta di ladri, cioè le immagini che lo imgombrano, potrai essere una casa di Dio (Ef 2,19), ma non prima, qualunque altra cosa tu faccia. Avrai allora la pace e la gioia del cuore, e nulla potrà più turbarti, nulla di ciò che ora ti preoccupa senza sosta, ti deprime e ti fa soffrire.
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giovedì 27 maggio 2010

Preghiera alla SS. Trinità

Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, io ti adoro profondamente e ti offro il Preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di nostro Signore Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli del mondo, in riparazione degli oltraggi che ti offendono.
Per i meriti infiniti del Suo Cuore Santissimo e per l’intercessione del Cuore Immacolato di Maria, ti prego di concedermi la sincera conversione del cuore.

Amen

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Regina della pace, prega per noi

La Madonna così l'invoca la Chiesa è la Regina della pace. Per questo quando la tua anima, l'ambiente famigliare o professionale, la convivenza nella società o tra i popoli sono agitati, non cessare di acclamarla con questo titolo: «Regina pacis, ora pro nobis!» Regina della pace, prega per noi!
Hai provato, almeno, quando perdi la serenità?... La sua immediata efficacia ti sorprenderà. (Solco, 874)

Non c'è pace in tanti cuori che tentano invano di compensare l'inquietudine dell'anima con un'attività incessante, con la minuscola soddisfazione di beni che non saziano, perché lasciano dietro di se il sapore amaro della tristezza. (...)
Cristo, nostra pace, è anche Via. Se vogliamo la pace, dobbiamo seguire i suoi passi. La pace è la conseguenza della guerra, della lotta. Lotta ascetica, intima, che ogni cristiano è tenuto a sostenere contro tutto ciò che nella sua vita non viene da Dio: la superbia, la sensualità, l'egoismo, la superficialità, la meschinità del cuore. È inutile reclamare la serenità esteriore quando manca la tranquillità nella coscienza, nell'intimo dell'anima, perché dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. (E' Gesù che passa, 73)
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Sant’Agostino di Canterbury

1° Arcivescovo di Canterbury “Apostolo d’Inghilterra”

La Gran Bretagna, evangelizzata fin dai tempi apostolici (il primo missionario a sbarcarvi sarebbe stato, secondo la leggenda, Giuseppe di Arimatea), era ricaduta nell'idolatria in seguito all'invasione dei Sassoni nel V e VI secolo.
La situazione vide un'inversione di tendenza quando il re del Kent Etelberto, sposò Berta, figlia del cristiano Cariberto, re di Parigi. Ella, portando con sé il cappellano Liudhard, eresse una chiesa a Canterbury (forse ne restaurò una già esistente), dedicandola a S. Martino di Tours, patrono della sua famiglia (i Merovingi). Etelberto era pagano, ma si dimostrò molto tollerante e permise alla moglie di adorare il proprio Dio; Berta poté così organizzare una piccola comunità con tanto di sacerdoti.

Etelberto, interessato al nuovo culto, chiese al Papa S. Gregorio I (Magno), di inviare dei missionari. Il pontefice affidò il compito a un gruppo di 40 monaci benedettini del monastero romano di S. Andrea sul Celio, di cui Agostino era il priore.
Partito nel 597, Agostino raggiunse la Provenza ma, spaventato dai racconti che facevano i Sassoni un popolo crudele e intollerante, tornò a Roma, rinunciando all'incarico. Il pontefice riuscì però a rincuorarlo e alla fine Agostino raggiunse l’isola di Thanet, accolto dal re in persona. Egli lo accompagnò a Canterbury e qui il monaco fu messo a capo della comunità. In breve tempo, lo stesso sovrano e migliaia di sudditi (secondo la tradizione, circa 10.000) chiesero il battesimo. Agostino rimaneva nel frattempo in contatto con il papa, elencando i successi conseguiti e chiedendo consigli.

Nel 601 Mellito, Giusto ed altri portarono, assieme alle risposte del papa, dei libri, alcune reliquie ma soprattutto il pallium simbolo del potere arcivescovile. Da questo momento Agostino divenne primate d'Inghilterra. Papa Gregorio I indicò al nuovo arcivescovo di ordinare quanto prima dodici nuovi vescovi ausiliari e di inviare un vescovo a York. Nel 604 Agostino consacrò Mellito vescovo di Londra e Giusto vescovo di Rochester.

Seguendo le disposizioni del papa, in materia di luoghi di culto, Agostino riconsacrò e ricostruì una vecchia chiesa a Canterbury che divenne cattedrale e fondò un monastero. La Scuola reale di Canterbury attribuisce ad Agostino la propria fondazione, il che ne farebbe la scuola più antica del mondo, anche se le prime fonti documentarie risalgono al XVI secolo.

Agostino cercò, ma invano, di riunire le comunità evangelizzate dai monaci irlandesi alle nuove, direttamente dipendenti da Roma, ma solo dopo il sinodo di Whitby del 664 la Chiesa celtica rinuncerà alle sue tradizioni. L'opera risultò in effetti molto difficoltosa e vide numerosi insuccessi. L'attività di Agostino fu tuttavia importante, perché alla base dell'evangelizzazione della Gran Bretagna, permettendogli di meritare il titolo di “Apostolo d’Inghilterra”.

Agostino, 1° arcivescovo di Canterbury, morì il 26 maggio del 604, all’età di 70 anni (era nato a Roma il 13 novembre 534); fu sepolto nella chiesa dell'abbazia dedicata ai SS. Pietro e Paolo (oggi abbazia di Sant’Agostino).
Viene festeggiato il 27 maggio; è venerato sia dai cattolici che dagli anglicani.

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Che vuoi che io ti faccia ?

Guglielmo di Saint-Thierry (circa 1085-1148), monaco benedettino poi cistercense
La Contemplazione di Dio, 1-2 ; SC 61

«Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe perché ci indichi le sue vie» (Is 2,3). Voi tutti, intenzioni, desideri intensi, volontà e pensieri, affetti e tutte le energie del cuore, venite, saliamo sul monte, giungiamo al luogo dove il Signore vede e si fa vedere. Ma voi, preoccupazioni, sollecitudini e inquietudini, fatiche e schiavitù, aspettateci qui... finché, andati fin lassù, ritorniamo poi da voi, dopo aver adorato (cfr Gen 22,5). Dovremo infatti tornare, e ahimé, troppo presto.

Signore, Dio della mia forza, rivolgici a te: «Rialzaci, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi» (Sal 79,20). Ma Signore, quanto è inopportuno, temerario, presuntuoso, contrario alla regola portata dalla parola della tua verità e della tua sapienza, pretendere di vedere Dio con un cuore impuro! O sovrana bontà, bene supremo, vita dei cuori, luce dei nostri occhi interiori, a motivo della tua bontà, Signore, abbi pietà.

Eccola la mia purificazione, la mia fiducia e la mia giustizia: la contemplazione della tua bontà, Signore buono! Tu, mio Dio, hai detto alla mia anima, come sai fare: «La tua salvezza, sono io» (Sal 34,3). Rabbunì, sovrano Maestro e insegnante, tu l'unico medico capace di farmi vedere ciò che desidero vedere, di' al tuo mendicante cieco: «Che vuoi che io ti faccia?» E sai bene, tu che mi dai questa grazia..., con quale forza il mio cuore ti grida: «Ho cercato il tuo volto; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto» (Sal 26,8)
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mercoledì 26 maggio 2010

Maria, Regina degli Apostoli

Che lezione straordinaria in ciascuno degli insegnamenti del Nuovo Testamento! Dopo che il Maestro, nell'ascendere alla destra di Dio Padre, ha detto loro: «Andate e predicate a tutte le genti», i discepoli sono stati pervasi da un senso di pace. Ma hanno ancora dei dubbi: non sanno che fare, e si riuniscono con Maria, Regina degli Apostoli, per trasformarsi in zelanti banditori della Verità che salverà il mondo. (Solco, 232)

Se meditiamo con criterio spirituale quel testo di san Paolo, comprenderemo di non avere altra scelta che di lavorare al servizio di tutte le anime. Fare diversamente sarebbe egoismo. Se consideriamo con umiltà la nostra vita, vedremo chiaramente che il Signore, oltre alla grazia della fede, ci ha concesso dei talenti, delle qualità.
Nessuno di noi è un esemplare ripetuto in serie: Dio nostro Padre ci ha creati a uno a uno, distribuendo tra i suoi figli un diverso numero di beni. Dobbiamo mettere quei talenti, quelle qualità, al servizio di tutti, utilizzando i doni di Dio come strumenti per aiutare gli altri a scoprire Cristo.(…)
È compito dei figli di Dio far sì che tutti gli uomini entrino — liberamente — nella rete divina, e così giungano ad amarsi. Se siamo cristiani, dobbiamo trasformarci in pescatori, come quelli descritti dal profeta Geremia, con la metafora che anche Gesù ha impiegato spesso: «Seguitemi — dice a Pietro e ad Andrea —, vi farò pescatori di uomini» [Mt 4, 19]. (Amici di Dio, 258-260)
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San Filippo Neri

Sacerdote, fondatore : “Congregazione dei Fratelli dell’Oratorio”

Filippo Neri, fiorentino di nascita e romano di adozione è conosciuto come il santo della gioia tanto da meritarsi l’appellativo di “giullare di Dio”.
Nacque a Firenze il 21 luglio 1515, secondogenito di Francesco Neri e di Lucrezia; ricevette il battesimo nella chiesa di San Pier Gattolino, con il nome di Filippo Romolo, il giorno dopo la nascita.

Non ha ancora 18 anni quando si trasferisce a S. Germano, vicino Montecassino, per apprendere da un ricco zio l'arte del commercio. Questa attività non lo soddisfa e, ancora in dubbio sulle sue scelte di vita, decide di spostarsi a Roma dove un fiorentino, Galeotto Caccia, gli offre l'alloggio in cambio dell'educazione dei figli. Completa la sua formazione alla “Sapienza” dedicandosi alla preghiera, alla penitenza e alla cura degli ammalati.
Spesso si reca in visita alle catacombe di S. Sebastiano, dove, il giorno di Pentecoste del 1544, riceve lo Spirito Santo sotto forma di globo di fuoco che gli causa una dilatazione del cuore e delle costole (dopo la morte i medici costatarono sul suo torace una insolita incurvatura delle costole).

Nel 1548, ancora laico, fonda la “Confraternita della SS. Trinità dei pellegrini e convalescenti”, che diventa ben presto una scuola di volontariato per molti collaboratori dediti alla cura degli ammalati e all'accoglienza dei pellegrini, in particolare durante l'anno santo del 1550.
Nel 1551, all’età di 36 anni, Filippo è ordinato sacerdote e da quel giorno abita a S. Girolamo della Carità, dove molte persone si riunivano accanto a lui per la celebrazione dell'Eucarestia e per la spiegazione delle Sacre Scritture.
“State buoni se potete!”: è la più nota delle esortazioni di “Pippo buono”, come lo chiamavano i suoi ragazzi, piuttosto vivaci, raccolti nelle borgate di Roma. Ragazzi poveri, abbandonati a se stessi: Filippo li cerca uno per uno, li fa giocare, cantare, e li educa alla preghiera , all’ascolto della Parola di Dio e alle opere di carità: nasceva così l’Oratorio. Obiettivo principale: annunciare il Vangelo ai più piccoli in modo simpatico e piacevole puntando lo sguardo sul bene, con proposte coinvolgenti. “Figlioli – diceva – state allegramente: non voglio né scrupoli, né malinconie: mi basta che non facciate peccati”. Parla al cuore dei giovani, sta dalla loro parte ma non è un santo “buonista”: “Nel confessarvi – diceva ai ragazzi – dite prima i peccati più gravi, perché il demonio non vi tenti di occultarli alla fine”. Trascorre lunghe ore nel confessionale: spesso dall’alba fino a mezzogiorno traendo la forza dalla preghiera. Non gli mancano, però, le tribolazioni.
Viene denunciato al tribunale dell’Inquisizione come turbatore della quiete pubblica: ma Pp Paolo IV (Giovanni Pietro Carafa) lo difende da ogni accusa.
Santo del buon umore, sì, ma anche austero, amava l’ascesi e un impegno forte nel seguire il Vangelo di Gesù come diceva ai ragazzi: “Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto per i poltroni”. E li spingeva a rendere concreta la carità aiutando soprattutto i poveri e i malati.

Gli anni che vanno dal 1581 al 1595, anno della morte, furono segnati da terribili malattie, guarigioni e ricadute continue. Preoccupato per il proprio destino scrisse per ben tre volte il proprio testamento. Seguendo i consigli di Filippo Neri, Pp Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini) decise di riconciliarsi con Enrico IV di Francia, evento di notevole portata nella storia della Chiesa cinquecentesca. Il pontefice, quasi per ringraziare il santo per il suo aiuto, decise di nominarlo cardinale, ma questi rifiutò la carica dicendo, guardando il cielo: “Paradiso, paradiso!”. Nell’aprile del 1595 Filippo Neri venne colpito ancor più gravemente dalla malattia che lo affliggeva, tanto da non poter più modificare il proprio testamento.

Il 23 maggio si riprese miracolosamente e poté officiare così la santa messa del Corpus Domini due giorni dopo; dopo la celebrazione, sembrò quasi ai suoi fedeli che egli fosse come guarito, poiché continuava a scherzare e a consigliare come suo solito.
Verso le tre del mattino di quella stessa notte, tra il 25 ed il 26 maggio, colpito da un grave attacco di emorragia, dopo aver benedetto la propria comunità, Filippo Neri morì sorridendo nel momento del proprio trapasso.

Canonizzato nel 1622 da Pp Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), S. Filippo Neri è oggi compatrono della città di Roma.

Il Servo di Dio, Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła) invitava i giovani a imitare S. Filippo Neri: “Sforzatevi, come lui, di servire Dio nella gioia e di amare il prossimo con semplicità evangelica.”

Secondo dati statistici del 2007, nel mondo ci sono 77 Comunità, dette ognuna “Congregazione dell'Oratorio”. Esse sono presenti in 17 Nazioni: 53 Congregazioni in Europa , 23 in America e 1 in Africa per un totale di 552 membri, 418 dei quali sacerdoti.
Attività propria delle Congregazioni è la cura dell'Oratorio Secolare; questo si compone di laici che, vivendo nel mondo, partecipano alle varie attività di formazione cristiana, secondo lo spirito di S. Filippo Neri.
Oltre all'Oratorio Secolare, numerose sono le attività a cui le Congregazioni si dedicano: ministero parrocchiale; direzione di collegi, convitti e pensionati per studenti; assistenza spirituale a gruppi di fedeli; scuole di vario grado; assistenza spirituale in alcune Università (soprattutto negli USA). È molto praticato l'impegno dei sacerdoti nel ministero delle confessioni e della direzione spirituale prestato a tutti coloro che lo desiderano, al di là della appartenenza o meno all'Oratorio Secolare.

Significato del nome Filippo : "che ama i cavalli" (greco)

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Dare la propria vita in riscatto per molti

Sant Alfonso-Maria de Liguori (1696-1787), vescovo e dottore della Chiesa
Opere, t.14

Un Dio che serve, che spazza la casa, che si dedica a lavori penosi – quanto uno solo di questi pensieri dovrebbe colmarci di amore! Quando il Salvatore ha cominciato a predicare il suo Vangelo, si è fatto «il servo di tutti», dichiarando lui stesso che «non era venuto per essere servito, ma per servire». È come se avesse detto che voleva essere il servitore di tutti gli uomini. E, al termine della sua vita, non si è contentato, dice san Bernardo, «di aver preso la condizione di servo per mettersi al servizio degli uomini; ha voluto prendere la forma del servo indegno, per lasciarsi colpire, e subire la pena che era dovuta a noi, a causa dei nostri peccati».

Ecco che il Signore, obbediente servo di tutti, si sottomette alla sentenza di Pilato, per quanto ingiusta sia, e si consegna ai suoi carnefici... Così, Dio ci ha tanto amato, da voler obbedire come schiavo, per amore nostro, fino a morire e a morire di una morte dolorosa e infame, il supplizio della croce (Fil 2,8).

Ora, in tutto questo, obbediva non in quanto Dio, ma in quanto uomo, che aveva assunto la condizione di schiavo. Un certo santo si è consegnato come schiavo per riscattare un povero, e si è attirato l'ammirazione del mondo per questo atto eroico di carità. Ma cos'è questa carità in confronto a quella del Redentore? Essendo Dio e volendo riscattarci dalla schiavitù del diavolo e della morte che avevamo meritata, si fa lui stesso schiavo, si lascia legare e inchiodare sulla croce. «Perché il servo diventasse maestro, dice san Agostino, Dio ha voluto farsi servo»
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martedì 25 maggio 2010

Che sappiamo aprire l'anima

«Tota pulchra es Maria, et macula originalis non est in te!» Sei tutta bella, o Maria, e la macchia originale non è in te!, canta giubilante la liturgia.
Non c'è in Lei la minima ombra di doppiezza: ogni giorno chiedo a nostra Madre che sappiamo aprire l'anima nella direzione spirituale, affinché la luce della grazia illumini tutta la nostra condotta! Se la supplichiamo così, Maria ci otterrà il coraggio della sincerità, per essere più uniti alla Trinità Beatissima. (Solco, 339)

Non mi abbandonare, Signore mio: non vedi in che abisso senza fondo andrebbe a finire questo tuo povero figlio?
— Madre mia: sono anche figlio tuo. (Forgia, 314)

Affàcciati molte volte in oratorio, per dire a Gesù:... mi abbandono nelle tue braccia.
— Lascia ai suoi piedi ciò che hai: le tue miserie!
— In questo modo, nonostante il turbinìo di cose che ti porti dietro, non mi perderai mai la pace.(Forgia, 306)

«Nunc coepi!» adesso comincio!: è il grido dell'anima innamorata che, in ogni momento, tanto se è stata fedele quanto se le è mancata generosità, rinnova il suo desiderio di servire di amare! con tutta lealtà il nostro Dio.(Solco, 161)
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San Beda il Venerabile

Sacerdote e dottore della Chiesa
Dalla Catechesi di Benedetto XVI (Roma, 18 febbraio 2009)


Cari fratelli e sorelle,
il Santo che oggi avviciniamo si chiama Beda e nacque nel Nord-Est dell’Inghilterra, esattamente in Northumbria, nell’anno 672/673. Egli stesso racconta che i suoi parenti, all’età di sette anni, lo affidarono all’abate del vicino monastero benedettino perché venisse educato: “In questo monastero – egli ricorda – da allora sono sempre vissuto, dedicandomi intensamente allo studio della Scrittura e, mentre osservavo la disciplina della Regola e il quotidiano impegno di cantare in chiesa, mi fu sempre dolce o imparare o insegnare o scrivere” (Historia eccl. Anglorum, V, 24). Di fatto, Beda divenne una delle più insigni figure di erudito dell’alto Medioevo, potendo avvalersi dei molti preziosi manoscritti che i suoi abati, tornando dai frequenti viaggi in continente e a Roma, gli portavano. L’insegnamento e la fama degli scritti gli procurarono molte amicizie con le principali personalità del suo tempo, che lo incoraggiarono a proseguire nel suo lavoro da cui in tanti traevano beneficio. Ammalatosi, non smise di lavorare, conservando sempre un’interiore letizia che si esprimeva nella preghiera e nel canto. Concludeva la sua opera più importante la Historia ecclesiastica gentis Anglorum con questa invocazione: “Ti prego, o buon Gesù, che benevolmente mi hai permesso di attingere le dolci parole della tua sapienza, concedimi, benigno, di giungere un giorno da te, fonte di ogni sapienza, e di stare sempre di fronte al tuo volto”. La morte lo colse il 26 maggio 735: era il giorno dell’Ascensione.

Le Sacre Scritture sono la fonte costante della riflessione teologica di Beda. Premesso un accurato studio critico del testo (ci è giunta copia del monumentale Codex Amiatinus della Vulgata, su cui Beda lavorò), egli commenta la
Bibbia, leggendola in chiave cristologica, cioè riunisce due cose: da una parte ascolta che cosa dice esattamente il testo, vuole realmente ascoltare, comprendere il testo stesso; dall’altra parte, è convinto che la chiave per capire la Sacra Scrittura come unica Parola di Dio è Cristo e con Cristo, nella sua luce, si capisce l’Antico e il Nuovo Testamento come “una” Sacra Scrittura. Le vicende dell’Antico e del Nuovo Testamento vanno insieme, sono cammino verso Cristo, benché espresse in segni e istituzioni diverse (è quella che egli chiama concordia sacramentorum). Ad esempio, la tenda dell’alleanza che Mosè innalzò nel deserto e il primo e secondo tempio di Gerusalemme sono immagini della Chiesa, nuovo tempio edificato su Cristo e sugli Apostoli con pietre vive, cementate dalla carità dello Spirito. E come per la costruzione dell’antico tempio contribuirono anche genti pagane, mettendo a disposizione materiali pregiati e l’esperienza tecnica dei loro capimastri, così all’edificazione della Chiesa contribuiscono apostoli e maestri provenienti non solo dalle antiche stirpi ebraica, greca e latina, ma anche dai nuovi popoli, tra i quali Beda si compiace di enumerare gli Iro-Celti e gli Anglo-Sassoni. San Beda vede crescere l’universalità della Chiesa che non è ristretta a una determinata cultura, ma si compone di tutte le culture del mondo che devono aprirsi a Cristo e trovare in Lui il loro punto di arrivo.

Un altro tema amato da Beda è la storia della Chiesa. Dopo essersi interessato all’epoca descritta negli Atti degli Apostoli, egli ripercorre la storia dei Padri e dei Concili, convinto che l’opera dello Spirito Santo continua nella storia. Nei Chronica Maiora Beda traccia una cronologia che diventerà la base del Calendario universale “ab incarnatione Domini”. Già da allora si calcolava il tempo dalla fondazione della città di Roma. Beda, vedendo che il vero punto di riferimento, il centro della storia è la nascita di Cristo, ci ha donato questo calendario che legge la storia partendo dall’Incarnazione del Signore. Registra i primi sei Concili Ecumenici e i loro sviluppi, presentando fedelmente la dottrina cristologica, mariologica e soteriologica, e denunciando le eresie monofisita e monotelita, iconoclastica e neo-pelagiana.

Infine redige con rigore documentario e perizia letteraria la già menzionata Storia Ecclesiastica dei Popoli Angli, per la quale è riconosciuto come “il padre della storiografia inglese”. I tratti caratteristici della Chiesa che Beda ama evidenziare sono: a) la cattolicità come fedeltà alla tradizione e insieme apertura agli sviluppi storici, e come ricerca della unità nella molteplicità, nella diversità della storia e delle culture, secondo le direttive che Papa Gregorio Magno aveva dato all’apostolo dell’Inghilterra, Agostino di Canterbury; b) l’apostolicità e la romanità: a questo riguardo ritiene di primaria importanza convincere tutte le Chiese Iro-Celtiche e dei Pitti a celebrare unitariamente la Pasqua secondo il calendario romano. Il Computo da lui scientificamente elaborato per stabilire la data esatta della celebrazione pasquale, e perciò l’intero ciclo dell’anno liturgico, è diventato il testo di riferimento per tutta la Chiesa Cattolica. [...]

Dopo la morte i suoi scritti furono diffusi estesamente in Patria e nel Continente europeo. Il grande missionario della Germania, il Vescovo san Bonifacio (+ 754), chiese più volte all’arcivescovo di York e all'abate di Wearmouth che facessero trascrivere alcune sue opere e glie­le mandassero in modo che anch'egli e i suoi compagni potessero godere della luce spirituale che ne emanava. Un secolo più tardi Notkero Galbulo, abate di San Gallo (+ 912), prendendo atto dello straordinario influsso di Beda, lo paragonò a un nuovo sole che Dio aveva fatto sorgere non dall’Oriente ma dall’Occidente per illuminare il mondo. A parte l’enfasi retorica, è un fatto che, con le sue opere, Beda contribuì efficacemente alla costruzione di una Europa cristiana, nella quale le diverse popolazioni e culture si sono fra loro amalgamate, conferendole una fisionomia unitaria, ispirata alla fede cristiana. Preghiamo perché anche oggi ci siano personalità della statura di Beda, per mantenere unito l’intero Continente; preghiamo affinché tutti noi siamo disponibili a riscoprire le nostre comuni radici, per essere costruttori di una Europa profondamente umana e autenticamente cristiana.

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Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito

Cardinal John Henry Newman (1801-1890), sacerdote, fondatore di una comunità religiosa, teologo
PPS, vol. 8, n° 2 « Divine Calls »

Non veniamo chiamati una sola volta, ma tante volte ; per tutta la nostra vita, Cristo ci chiama. Ci ha chiamati dapprima nel battesimo, ma anche dopo ; sia che ubbidiamo alla sua voce oppure no, ci chiama ancora nella sua misericordia. Se veniamo meno alle promesse battesimali, ci chiama al pentimento. Se ci sforziamo di rispondere alla nostra vocazione, ci chiama sempre più avanti, di grazia in grazia, di santità in santità finché ci sarà lasciata la vita per questo.

Abramo è stato chiamato a lasciare la sua casa e il suo paese (Gen 12,1), Pietro le sue reti (Mt 4,18), Matteo il suo lavoro (Mt 9,9), Eliseo la sua fattoria (1 Re 19,19), Natanaèle il suo luogo in disparte (Gv 1,47). Senza sosta tutti siamo chiamati, da una cosa ad un'alta, sempre più avanti, senza avere nessun luogo per riposarci, ma salendo verso il nostro riposo eterno, e ubbidendo ad una chiamata interiore nell'unico scopo di essere pronti a sentirne un'altra.

Cristo ci chiama senza sosta, per giustificarci senza sosta ; senza sosta e sempre di più, egli vuole santificarci e glorificarci. Occorre che lo capiamo, ma siamo lenti ad accorgerci di questa grande verità, che cioè Cristo cammina, in un certo senso, in mezzo a noi, e con la mano, gli occhi, la voce, ci fa cenno di seguirlo. Non comprendiamo che la sua chiamata ha luogo proprio in questo momento. Pensiamo che ha avuto luogo al tempo degli apostoli ; ma non ci crediamo, non l'aspettiamo veramente per noi stessi.
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lunedì 24 maggio 2010

Benedetta monotonia di avemarie!

Capisco che ogni Avemaria, ogni saluto alla Vergine, è un nuovo palpito di un cuore innamorato. (Forgia, 615)

«Vergine Immacolata, so bene di essere un povero miserabile, che non fa altro che aumentare tutti i giorni il numero dei propri peccati...».
Mi hai detto che parlavi così con nostra Madre, l'altro giorno.E ti ho consigliato, con sicurezza, di recitare il Santo Rosario: benedetta monotonia di avemarie che purifica la monotonia dei tuoi peccati!(Solco, 475)

Il Rosario non lo si recita solo con le labbra, biascicando una dietro l'altra le avemarie. Questo è il borbottìo delle bigotte e dei bigotti. Per un cristiano, l'orazione vocale deve radicarsi nel cuore, in modo che, durante la recita del Rosario, la mente possa addentrarsi nella contemplazione di ciascuno dei misteri. (Solco, 477)

Rimandi sempre il Rosario a più tardi, e finisci per ometterlo a motivo del sonno. Se non disponi di altri momenti, recitalo per la strada e senza che nessuno se ne accorga. Per di più, ti aiuterà ad avere presenza di Dio. (Solco, 478)
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