sabato 27 dicembre 2014

Messaggio di Medjugorje a Jakov del 25 dicembre 2014


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Cari figli, oggi in questo giorno di grazia vorrei che i vostri cuori diventino come la grotta di Betlemme, nella quale è nato il Salvatore del mondo. 
Io sono la vostra Madre, che vi ama con amore immenso e si preoccupa per voi, perció figli miei abbandonatevi alla Madre così che posso presentare i vostri cuori e la vostra vita davanti al piccolo Gesù, perchè solo così figli miei i vostri cuori saranno la testimonianza di Dio in voi. 
Permettete a Dio di illuminare la vostra vita con la luce e i vostri cuori con la gioia per poter illuminare ogni giorno la via, e di essere esempio di vera gioia per gli altri, per coloro che vivono nel buio e non sono aperti a Dio e alle sue grazie. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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venerdì 26 dicembre 2014

Messaggio di Medjugorje a Marija del 25 dicembre 2014

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Cari figli! 
Anche oggi vi porto tra le braccia mio Figlio Gesù e cerco da Lui la pace per voi e la pace tra di voi. 
Pregate e adorate mio Figlio perché nei vostri cuori entri la sua pace e la sua gioia. 
Prego per voi perché siate sempre più aperti alla preghiera. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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Solennità del Natale e benedizioni di Papa Francesco

Alle ore 12 di oggi, Solennità del Natale del Signore, dalla Loggia Centrale della Basilica Vaticana il Santo Padre Francesco, prima di impartire la Benedizione «Urbi et Orbi», ha rivolto il tradizionale Messaggio natalizio ai fedeli presenti in Piazza San Pietro e a quanti lo hanno ascoltato attraverso la radio e la televisione. Questo il testo del Messaggio del Santo Padre per il Natale 2014: Cari fratelli e sorelle, buon Natale! Gesù, il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, è nato per noi. E’ nato a Betlemme da una vergine, realizzando le antiche profezie. La vergine si chiama Maria, il suo sposo Giuseppe. Sono le persone umili, piene di speranza nella bontà di Dio, che accolgono Gesù e lo riconoscono. Così lo Spirito Santo ha illuminato i pastori di Betlemme, che sono accorsi alla grotta e hanno adorato il Bambino. insieme con gli appartenenti ad altri gruppi etnici e religiosi, patiscono una brutale persecuzione. Il Natale porti loro speranza, come ai numerosi sfollati, profughi e rifugiati, bambini, adulti e anziani, della Regione e del mondo intero; muti l’indifferenza in vicinanza e il rifiuto in accoglienza, perché quanti ora sono nella prova possano ricevere i necessari aiuti umanitari per sopravvivere alla rigidità dell’inverno, fare ritorno nei loro Paesi e vivere con dignità. Possa il Signore aprire alla fiducia i cuori e donare la sua pace a tutto il Medio Oriente, a partire dalla Terra benedetta dalla sua nascita, sostenendo gli sforzi di coloro che si impegnano fattivamente per il dialogo fra Israeliani e Palestinesi. Gesù, Salvatore del mondo, guardi quanti soffrono in Ucraina e conceda a quell’amata terra di superare le tensioni, vincere l’odio e la violenza e intraprendere un nuovo cammino di fraternità e riconciliazione. Cristo Salvatore doni pace alla Nigeria, dove altro sangue viene versato e troppe persone sono ingiustamente sottratte ai propri affetti e tenute in ostaggio o massacrate. Pace invoco anche per altre parti del continente africano. Penso in particolare alla Libia, al Sud Sudan, alla Repubblica Centroafricana e a varie regioni della Repubblica Democratica del Congo; e chiedo a quanti hanno responsabilità politiche di impegnarsi attraverso il dialogo a superare i contrasti e a costruire una duratura convivenza fraterna. Gesù salvi i troppi fanciulli vittime di violenza, fatti oggetto di mercimonio e della tratta delle persone, oppure costretti a diventare soldati; bambini, tanti bambini abusati. Dia conforto alle famiglie dei bambini uccisi in Pakistan la settimana scorsa. Sia vicino a quanti soffrono per le malattie, in particolare alle vittime dell’epidemia di Ebola, soprattutto in Liberia, in Sierra Leone e in Guinea. Mentre di cuore ringrazio quanti si stanno adoperando coraggiosamente per assistere i malati ed i loro familiari, rinnovo un pressante invito ad assicurare l’assistenza e le terapie necessarie. Gesù Bambino. Il mio pensiero va a tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita; sia a quei bambini sfollati a motivo delle guerre e delle persecuzioni, abusati e sfruttati sotto i nostri occhi e il nostro silenzio complice; e ai bambini massacrati sotto i bombardamenti, anche là dove il figlio di Dio è nato. Ancora oggi il loro silenzio impotente grida sotto la spada di tanti Erode. Sopra il loro sangue campeggia oggi l’ombra degli attuali Erode. Davvero tante lacrime ci sono in questo Natale insieme alle lacrime di Gesù Bambino! Cari fratelli e sorelle, che lo Spirito Santo illumini oggi i nostri cuori, perché possiamo riconoscere nel Bambino Gesù, nato a Betlemme dalla Vergine Maria, la salvezza donata da Dio ad ognuno di noi, ad ogni uomo e a tutti i popoli della terra. Il potere di Cristo, che è liberazione e servizio, si faccia sentire in tanti cuori che soffrono guerre, persecuzioni, schiavitù. Che con la sua mansuetudine questo potere divino tolga la durezza dai cuori di tanti uomini e donne immersi nella mondanità e nell’indifferenza, nella globalizzazione dell’indifferenza. Che la sua forza redentrice trasformi le armi in aratri, la distruzione in creatività, l’odio in amore e tenerezza. Così potremo dire con gioia: "I nostri occhi hanno visto la tua salvezza". Con questi pensieri, buon Natale a tutti!
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martedì 23 dicembre 2014

Commento al Vangelo del 22-12-2014

Dal Vangelo secondo Luca (1,46-55)
In quel tempo, Maria disse: “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”. 

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON 
Questo cantico è molto vicino a quello che intonerà Gesù quando, esultando nello Spirito Santo, scoprirà che la benevolenza del Padre si rivela ai piccoli (Lc 10,21-22). Maria esalta l'opera di salvezza che Dio sta realizzando tra gli uomini. Questo inno si sviluppa come un mosaico di citazioni e di allusioni bibliche, che trova un parallelo nel cantico di Anna (1Sam 2,1-10), considerato generalmente come la sua fonte principale sia dal punto di vista della situazione che della tematica e della formulazione. 
Qualche esegeta suggerisce di leggere questo cantico di Maria sullo sfondo della grande liberazione dell'Esodo e in particolare del celebre Cantico del mare (Es 15,1-18.21). Maria canta la grandezza di Dio. Riconosce che Dio è Dio. La conseguenza della scoperta di Dio grande nell'amore è l'esultanza dello spirito. La scoperta dell'amore immenso di Dio per noi vince la paura. Chi conosce il vero Dio, gioisce della sua stessa gioia. 
Il motivo del dono di Dio a Maria non è il suo merito, ma il suo demerito, la sua umiltà (da humus=terra, parola da cui deriva anche "uomo"). Maria è il nulla assoluto, che solo è in grado di ricevere il Tutto. Dio è amore. L'amore è dono. Il dono è tale solo nella misura in cui non è meritato. Dio quindi è accolto in noi come amore e dono solo nella misura della coscienza del nostro demerito, della nostra lontananza, della nostra piccolezza e umiltà oggettive. Maria è il primo essere umano che riconosce il proprio nulla e la propria distanza infinita da Dio in modo pieno e assoluto. 
Il merito fondamentale di Maria è la coscienza del proprio demerito: ella riconosce la propria infinita nullità. Per questo, giustamente, la Chiesa proclama Maria esentata dal peccato originale, che consiste nella menzogna antica che impedisce all'uomo questa umiltà fiduciosa, che dovrebbe essere tipica della creatura (cfr Sal 131). 
L'umiltà di Maria non è quella virtù che porta ad abbassarsi. La sua non è virtù, ma la verità essenziale di ogni creatura, che lei riconosce e accetta: il proprio nulla, il proprio essere terra-terra. Tutte le generazioni gioiranno con lei della sua stessa gioia di Dio, perché in lei l'abisso di tutta l'umanità è stato colmato di luce e si è rivelato come capacità di concepire Dio, il Dono dei doni. Dio è amore onnipotente. Lo ha mostrato donando totalmente se stesso. Il suo nome (la sua persona) è conosciuto e glorificato tra gli uomini perché Dio stesso santifica il suo nome rivelandosi e donandosi al povero. Maria sintetizza in una sola parola tutti gli attributi di colui che ha già chiamato Signore, Dio, Salvatore, Potente, Santo: il nome di Dio è Misericordia. Dio è amore che non può non amare. E' misericordia che non può non sentire tenerezza verso la miseria delle sue creature. San Clemente di Alessandria afferma che "per la sua misteriosa divinità Dio è Padre. Ma la tenerezza che ha per noi lo fa diventare Madre. Amando, il Padre diventa femminile" (Dal Quis dives salvetur, 37, 2). 
Maria descrive la storia biblica della salvezza in sette azioni di Dio. La descrizione con i verbi al passato significa quello che Dio ha già fatto nell'Antico Testamento, ma anche quello che ha compiuto nel Nuovo, perché il Cantico, composto dalla comunità cristiana, canta l'operato di Dio alla luce della risurrezione di Cristo già avvenuta. A proposito di questa rivoluzione operata da Dio, che rovescia i potenti dai troni e manda a mani vuote i ricchi, notiamo che anche questa è un'opera grandiosa e commovente della misericordia di Dio: quando il potente cade nella polvere e il sazio prova l'indigenza, essi sono posti nella condizione per essere rialzati e saziati da Dio. 
Nell'esperienza del vuoto e nel crollo degli idoli, l'uomo si trova nella condizione migliore per cercare Dio. In Maria è presente Dio fatto uomo. In lui si realizzano le promesse di Dio. E' per la fede in Cristo che si è discendenza di Abramo (Lc 3,8). Il compimento della promessa fatta da Dio ad Abramo è definitivo: "In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gen 12,3).
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domenica 21 dicembre 2014

Commento al Vangelo del 21-12-2014, Domenica 4^ Avvento "B"

Dal Vangelo secondo Luca (1,26-38) 
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei. 

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON 
Nell'annunciazione di Giovanni Battista l'angelo Gabriele va al tempio di Gerusalemme. 
Nell'annunciazione di Gesù l'angelo va a Nazaret, territorio che era ritenuto pagano e trascurato da Dio, quella Galilea dalla quale "non era sorto alcun profeta" (Gv 7,52). 
Natanaele si chiede: "Può venire qualcosa di buono da Nazaret?" (Gv 1,46). Dio sceglie ciò che non ha appariscienza, ciò che è umile e disprezzato dagli uomini. La legge dell'incarnazione è questa: "Gesù annientò se stesso...umiliò se stesso" (Fil 2,7-8). Ma a Gerusalemme, nel tempio, nel culto solenne, nel sacerdote che presiede la celebrazione Dio non trova la fede, cioè non trova amore, ubbidienza e accoglienza. A Nazaret invece, nella Galilea dei pagani, lontana dal tempio e dal culto, trova una fanciulla sconosciuta, la Maria, piena di grazia, di fede e di disponibilità. 
Nell'Antico Testamento Dio abita nel tempio, nel Nuovo elegge la sua dimora tra gli uomini (Gv 1,14). Maria è il nuovo tempio, la nuova città santa, il popolo nuovo in mezzo al quale prende dimora Dio. Il nome di Gesù significa: Dio salva. "Jahvé, il tuo Dio, è dentro di te, potente salvatore" (Sof 3,17). Il nome nuovo che Maria riceve: "Piena-di-grazia" è l'investitura per una particolare missione nel piano di Dio, destinata a modificare la sua vita e il corso intero della storia. L'espressione "il Signore è con te" indica la protezione e l'assistenza che Dio le accorda in vista del compito che è destinata ad assolvere. 
Il turbamento di cui parla il vangelo (v. 29) indica la presenza di Dio e sottolinea l'origine divina della comunicazione che Maria riceve, ed è segno che le parole dell'angelo sono piene di mistero. Maria cerca di capirne il significato ponendosi delle domande, ma inutilmente. Alla fine deve chiederne la spiegazione all'angelo. L'angelo dà la spiegazione di ciò che ha affermato nel saluto iniziale. La grazia accordata a Maria è la nascita miracolosa di un figlio. Dio attuerà il suo disegno intervenendo con la potenza del suo Spirito. Le perplessità di Maria alle parole dell'angelo riecheggiano quelle di Abramo all'annuncio della nascita di suo figlio (Gen 18,14). La fede in Dio che può operare meraviglie e cose impossibili all'uomo, ha salvato dall'incredulità Abramo; la stessa fede salva Maria (v. 37). "Servi di Dio" sono coloro che hanno ricevuto una missione particolarmente importante e contemporaneamente danno prova di disponibilità, di remissività e di fede. 
Sulla bocca di Maria l'espressione "serva del Signore" riassume la sua missione e il coraggio con cui ha accettato l'invito divino che dà un significato nuovo e inatteso alla sua vita. "Serva del Signore" è il nome che ella stessa si attribuisce dopo quello datole dai genitori: Maria, e quello annunciatole dall'angelo: Piena-di-grazia. Maria è la serva del Signore perché accetta umilmente il disegno di Dio, anche se non riesce a comprenderne tutta la portata e tutte le conseguenze. 
L'espressione "avvenga a me", nel testo originale greco, è una forma verbale chiamata ottativo e contiene in sé un desiderio ardente e un entusiasmo vivo di vedere attuato quanto le è stato proposto. 
Maria ci insegna che la volontà di Dio va accolta con fede ed eseguita con gioia.
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venerdì 19 dicembre 2014

Commento al Vangelo del 18-12-2014

Dal Vangelo secondo Matteo (1,18-24) 
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele”, che significa Dio-con-noi. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. 

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON 
Nella genealogia di Gesù Cristo, Matteo ci ha dato una visione teologica del susseguirsi della generazioni. Ora prosegue questa sua concezione presentando il ruolo e la missione di Giuseppe dal punto di vista di Dio. Giuseppe è un uomo giusto (v.9). Il suo problema non è principalmente la situazione nuova che si è creata con la sua promessa sposa Maria, ma il suo rapporto con questo bambino che sta per nascere e la responsabilità che egli sente verso di lui. Giuseppe è detto giusto perché sintetizza nella sua persona l'atteggiamento dei giusti dell'Antico Testamento e in particolare quello di Abramo (cfr Mt 1,2-21 con Gen 17,19). 
La giustizia di Giuseppe non è quella "secondo la legge" che autorizza a ripudiare la propria moglie, ma quella "secondo la fede" che chiede a Giuseppe di accettare in Maria l'opera di Dio e del suo Spirito e gli impedisce di attribuirsi i meriti dell'azione di Dio. Di sua iniziativa Giuseppe non ritiene di poter prendere con sé una persona che Dio si è riservata. Egli si ritira di fronte a Dio, senza contendere, e rinuncia a diventare lo sposo di Maria e il padre del bambino che sta per nascere; per questo decide di rinviare segretamente Maria alla sua famiglia. 
Giuseppe è giusto di una giustizia che scopriremo nel seguito del vangelo, quella che si esprime nell'amore dato senza discriminazioni a chi lo merita e a chi non lo merita (Mt 5,44-48) ed è riassunto nella "regola d'oro": "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7,12). L'uomo giusto è misericordioso come Dio è misericordioso. La crisi di Giuseppe ha lo stesso significato dell'obiezione di Maria in Luca 1,29. Maria era turbata perché non sapeva che cosa significasse il saluto dell'angelo. 
Giuseppe è incerto perché non sa spiegarsi ciò che è avvenuto in Maria. Maria può chiedere la spiegazione all'angelo, ma Giuseppe non sa a chi rivolgersi; per questo decide di mettersi in disparte aspettando che qualcuno venga a liberarlo dalle sue perplessità. Matteo mette in rilievo l'identità messianica di Gesù affermando la sua discendenza da Davide, al quale Dio aveva promesso un discendente che avrebbe regnato in eterno sulla casa di Giacobbe (cfr Lc 1,33; 2Sam 7,16). 
Quindi, secondo la genealogia, Gesù è il discendente di Davide non in virtù di Maria, ma di Giuseppe (v.16). E' per questo che Matteo presenta Giuseppe come destinatario dell'annuncio con il quale gli viene dato l'ordine di prendere Maria con sé e di dare il nome a Gesù. Giuseppe, riconoscendo legalmente Gesù come figlio, lo rende a tutti gli effetti discendente di Davide. Gesù verrà così riconosciuto come figlio di Davide ( Mt 1,1; 9,27; 20,30-31; 21,9; 22,42). Il nome di Gesù significa "Dio salva". La promessa di salvezza contenuta nel nome di Gesù viene presentata in termini spirituali come salvezza dai peccati (v. 21). Anche per Luca la salvezza portata da Gesù consiste nella remissione dei peccati (Lc 1,17). 
In queste parole c'è il netto rifiuto di un messianismo terreno: Gesù non è venuto a conquistare il regno d'Israele o a liberare la sua nazione dalla dominazione straniera. La singolarità dell'apparizione dell'angelo consiste nel fatto che essa avviene in sogno. Matteo forse presenta Giuseppe secondo il modello del patriarca Giuseppe, viceré d'Egitto (Gen 37,5ss). La cosa importante è che l'apparizione dell'angelo chiarisce con sicurezza che la direttiva viene da Dio. Nel versetto 22 troviamo la prima citazione dell'Antico Testamento. Questa è preceduta dalla formula introduttiva: "Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta". Con questa espressione Matteo vuol darci l'idea del compimento delle intenzioni di Dio contenute nella Scrittura. E' importante notare che attraverso il profeta ha parlato Dio. Con la citazione di Isaia 7,14 Matteo presenta la generazione di Gesù come un parto verginale. Gesù quale Emmanuele, Dio con noi, costituisce un motivo centrale del vangelo di Matteo. Questa citazione di Isaia forma un'inclusione con l'ultima frase del vangelo: "Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28, 20). Giuseppe, uomo giusto, si desta dal sonno e agisce. L'esecuzione descrive la sua obbedienza. Pur prendendo con sé Maria, egli non la conosce. Il conoscere indica già in Gen 4,1 il rapporto sessuale. L'imposizione del nome di Gesù ad opera di Giuseppe assicura di fronte alla legge la discendenza davidica del figlio di Maria.
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mercoledì 17 dicembre 2014

Novena di Natale: primo giorno, 16 dicembre

Aprite i vostri cuori perché Gesù vuole abitare in essi dopo Natale."
Esiste un luogo ben preciso per incontrare Dio: è il nostro cuore.
Anche nel Vangelo Gesù ci dice che se osserveremo la Sua parola, Egli verrà con il Padre a porre la sua dimora in noi.
Gesù desidera i nostri cuori come abitazione!
Dunque, se questo è il desiderio di Gesù,  non possiamo restare indifferenti.
In questi giorni di attesa, impegniamoci ad aprire in profondità il nostro cuore per prepararci alla nascita di Gesù in noi.


Impegno di oggi: trovare qualche momento nella giornata per aprire il nostro cuore a Gesù.
Offriamogli tutto cio' che sentiamo come un impedimento all'abbandono: il nostro passato, accidia, scrupoli, peccati, timori...
e poi non pensiamoci più, decisi a cancellarli nella prossima confessione: Gesù Bambino davvero desidera entrare nel nostro cuore, tutti gli ostacoli devono essere allontanati con decisione!


Riflettiamo...
La fede ha ancora in assoluto una sua possibilità di successo?...perchè essa trova corrispondenza nella natura dell'uomo. Nell'uomo vi è una inestinguibile aspirazione nostalgica verso l'infinito. Nessuna delle risposte che si sono cercate è sufficiente; solo il Dio che si è reso finito, per lacerare la nostra finitezza e condurla nell'ampiezza della Sua infinità, è in grado di venire incontro alle domande del nostro essere. Perciò anche oggi la fede cristiana tornerà a trovare l'uomo. [Benedetto XVI] 
Il cuore da sempre è inteso come il luogo da cui fluisce e in cui rifluisce l'amore. E' il luogo in cui custodiamo coloro che amiamo e che ci amano, primo fra tutti nostro Signore Gesù.
Egli, come Bambino, vuole nascere nel nostro cuore e crescervi fino a impregnare di Sè ogni altro amore, ad esserne sorgente e alveo e foce, per creare, tramite noi, un oceano di amore tutto intorno.
D'altra parte "la parola cuore sintetizza le urgenze che mettono in moto l'uomo...L'esigenza di felicità, di giustizia, di amore, dell'essere soddisfatti nel senso tenero e totale del termine: questo è il cuore" (Don Giussani).
Dunque la Madonna, nell'annunciarci che Gesù vuole abitare nel nostro cuore, ci dice che Egli vuole soddisfare quelle esigenze originarie, almeno come anticipo (il centuplo promesso a chi Lo segue), per poi completare la Sua opera in Paradiso. E qui si giocano la nostra libertà e la nostra povertà: la libertà di riconoscerLo presente tra noi e di accoglierLo nel nostro cuore con tutto l'amore di cui la Sua grazia ci rende capaci e che occorre mendicare; il distaccarci dai beni terreni, siano persone che materiali, pur amando le prime e usando i secondi, facendoci poveri di tutto, ma ricchi di Lui, non possedendo nulla che non sia Lui, non confidando in nulla che non sia Lui.
L'avvenimento dell'incarnazione riaccade da sempre, in risposta al nostro desiderio, spesso censurato da noi stessi, ma inestinguibile, di intessere un rapporto con Dio. Egli traspare attraverso la realtà quotidiana delle varie circostanze, attraverso volti e momenti di persone cambiate dal Suo amore, rifatte dalla Sua misericordia e la fede è riconoscere la Sua presenza tra noi, presenza amorosa e provvida. Ancora una volta, come dice il Papa, "la fede cristiana tornerà a trovare l'uomo": è questo il Natale!
Allora apriamo i nostri cuori perchè Gesù li inondi di Sè.
Troviamo un momento nella giornata in cui facciamo memoria della immensa grazia che Dio ci ha accordato dando inizio alla storia della salvezza con l'incarnazione e la nascita del Suo Figli diletto Gesù Cristo.
E chiediamo al Santo Spirito di ricordarci di offrire al Padre ogni dolore e ogni gioia della giornata, riconoscendo che tutto da Lui è donato e permesso per la nostra conversione ed edificazione.
Facciamo un bell'esame di coscienza per prepararci alla Confessione, al fine di purificare il cuore e accogliere in un'abitazione degna il nostro signore Gesù.
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martedì 16 dicembre 2014

Commento al Vangelo del 15-12-2014

Dal Vangelo secondo Matteo (21,23-27)
In quel tempo, entrato Gesù nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: “Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?” Gesù rispose: “Vi farò anch'io una domanda e se voi mi risponderete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?”. Ed essi riflettevano tra sé dicendo: “Se diciamo: ''dal cielo'', ci risponderà: ''perché dunque non gli avete creduto?''; se diciamo ''dagli uomini'', abbiamo timore della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta”. Rispondendo perciò a Gesù, dissero: “Non lo sappiamo”. Allora anch'egli disse loro: “Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose”. 

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON 
I gesti di Gesù irritano i responsabili del culto e della dottrina. Si erano già sdegnati il giorno prima per la cacciata dei venditori dal tempio e per le acclamazioni dei bambini. Ma Gesù li aveva zittiti citando il Sal 8,3. Ora gli pongono esplicitamente la domanda: "Con quale autorità hai fatto questo? Chi ti ha dato questa autorità?" (21,23). 
Gesù però non risponde e pone a sua volta una domanda. Il loro rifiuto a pronunciarsi è la prova che la loro ricerca non è sincera. Non avevano creduto a Giovanni Battista che annunciava i tempi messianici: "Colui che viene dopo di me è più potente di me..., egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco" (3,11), ora non credono a Gesù. 
Rifiutare di credere a Giovanni Battista è mettersi nella situazione di non credere a Gesù. Nel vangelo di Matteo, Giovanni Battista è in tutto e per tutto in funzione di Gesù. Partendo dal Battista si può argomentare in favore di Gesù e del suo vangelo.
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domenica 14 dicembre 2014

Commento al Vangelo del 14-12-2014, Domenica 3^ Avvento "B"

Dal Vangelo secondo Giovanni (1,6-8.19-28)
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. 

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON 
Gesù, la luce venuta nel mondo, è preceduto da un testimone, Giovanni il Battista, che ha la missione di parlare a favore della luce. Questo uomo mandato da Dio ha un compito ben definito nel piano della salvezza, e lo stesso suo nome "Giovanni" lo rivela: annunciare che "Dio è pieno di amore misericordioso" per tutta l’umanità. 
Il ruolo del Battista è unico: "venne come testimone, per dare testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo suo" (v. 7). Giovanni è il testimone di Gesù che riceve la testimonianza che il Padre dà al Figlio nel battesimo e che vede lo Spirito scendere e rimanere su Gesù (Gv 1,32-34). Egli è colui che conduce l’uomo alla fede in Gesù-Luce. Per comprendere bene la testimonianza di Giovanni Battista, bisogna chiarire cosa significa il termine "giudei". Nel linguaggio del Vangelo di Giovanni, essi sono i capi religiosi che entrano in polemica con Gesù, sono gli avversari di Gesù e di Giovanni Battista, sono i rappresentanti del mondo che non crede. 
Essi vanno distinti dagli "israeliti", che sono invece quelli che ascoltano la parola di Gesù (cfr Gv 1,47) e sono i "poveri di Dio", il "resto d’Israele" che attende il Messia. La delegazione, composta da persone autorevoli, come sacerdoti e leviti, pone al Battista la fondamentale domanda della sua identità: "Tu chi sei?". Giovanni confessa con schiettezza di non essere il Cristo, il Salvatore atteso da Israele. A questa prima risposta negativa seguono altre domande degli inviati: "Chi sei allora, sei Elia?…Sei tu il profeta?" ( v. 21). Il Battista risponde con prontezza e decisione anche a queste domande. Egli non è Elia o il Profeta, personaggi attesi per il tempo messianico. Il disorientamento dei suoi interlocutori è grande. 
Agli inviati, che ancora una volta cercano una spiegazione sulla sua identità, presenta sé stesso con le parole di Isaia: "Voce di uno che grida nel deserto" (v. 23), e prepara la via al Cristo, vera salvezza. Egli è la voce che invita a ritornare nel deserto per preparare spiritualmente il cammino al Messia. Egli non richiama l’attenzione su di sé, ma su colui che sta per arrivare. I giudei, però, non sono soddisfatti delle sue risposte e gli domandano ancora: "Perché dunque battezzi, se tu non sei il Cristo, né Elia, né il Profeta?" (v. 24). Ed egli con la sua precisa risposta giustifica il suo operato e la sua missione: "Io battezzo con acqua" (v. 26). Giovanni pratica questo rito perché ogni uomo si disponga ad accogliere la rivelazione del salvatore d’Israele. La definitiva conferma che egli non è il Messia, Giovanni la dà ai suoi interlocutori dicendo che il Cristo è già presente in mezzo al popolo. Egli non accosta la sua persona a quella del Salvatore per fare un confronto, ma solo per mettere in risalto la grandezza e la dignità del Cristo. La sua vita ha dimensioni di eternità e Giovanni non è degno di rendergli il più umile dei servizi, come quello di slacciare i sandali, che pure era un compito riservato agli schiavi. 
La subordinazione del Battista a Gesù è totale. Con la parola e con la vita egli offre al Messia una testimonianza che cerca di suscitare la fede di tutti verso il grande sconosciuto che vive tra gli uomini e che essi non conoscono. La sua umiltà e la sua fedeltà sono esemplari: egli allontana sempre più l’attenzione e lo sguardo da sé per orientare tutti verso il suo Signore.
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martedì 9 dicembre 2014

Immacolata Concezione di Maria

Maria, aurora di Cristo
Il Natale cristiano (25 dicembre), sostituisce l’antica festa pagana del “sole invitto” o del sole che, dopo il solstizio d’inverno del 21, riprende il suo cammino vittorioso sul buio invernale verso gli sfolgorii estivi. Solo Cristo, infatti, è per noi il “sole”, la“luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1,9), poiché è Lui che ci libera dalle tenebre del peccato e ci guida verso lo splendore del Padre.
Maria, sua Madre, è come l’aurora che Lo precede, gli fa strada, anzi Lo introduce nella nostra storia. È naturale, quindi, che proprio nella celebrazione dell’Avvento, la Chiesa punti gli occhi su di Lei, immune dal peccato e piena di Grazia fin dal suo concepimento.
Lungo tutto il cammino dell’Avvento, mentre andiamo verso il Signore che viene come una luce nella notte, Ella rimane il modello esemplare di come si attende e di come si accoglie il Verbo di Dio.
L’Immacolata Concezione, evento di salvezza
L’8 dicembre 1854, Pio IX proclamava solennemente:
«La Beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per singolare Grazia e privilegio di Dio onnipotente e in vista dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia di peccato originale».
E cioè: Maria, in vista dei meriti di Gesù Cristo, dunque in forza della Redenzione operata dal suo Figlio, fu favorita da Dio dal primo istante della sua esistenza con il dono della Grazia Divina e, di conseguenza, non ha conosciuto quello stato da noi chiamato “peccato originale”.
Il Concilio Ecumenico, afferma che Maria «congiunta alla stirpe di Adamo con tutti gli uomini bisognosi di salvezza, fu redenta in modo sublime in vista dei meriti del Figlio suo».
Con l’Immacolata Concezione, l’opera salvifica di Cristo non viene, quindi, mutilata ma, anzi, viene messa in luce la sua forza che supera gli effetti del tempo, facendo della Vergine non soltanto la prima redenta, ma la “pre-redenta”.
Qualsiasi sia l’interpretazione che viene o verrà data al peccato originale, la fede della Chiesa crede che Maria non ha conosciuto alcuna ombra di peccato, perché “concepita senza peccato” e, quindi “piena di Grazia”, come la saluta l’Angelo dell’Annunciazione.
La Chiesa cattolica è pervenuta a formulare questa verità dogmatica, solo attraverso un lungo e travagliato percorso storico di riflessione sulla Divina Rivelazione. Di conseguenza, anche la storia della festa dell’Immacolata è complessa e discontinua.
I testi della solennità
Vogliamo adesso addentrarci nella considerazione dei testi della festa dell’Immacolata Concezione, per comprendere il suo significato più profondo:
- I testi scritturistici, quali il protovangelo (Gn 3,9-15.20) o l’annuncio dell’Angelo (Lc 1,26-38), non provano nel loro senso letterale questa verità, ma sono prove indirette, esplicitate dalla Tradizione vivente della Chiesa.
Lo Spirito Santo, cioè, «ha chiarito alla Chiesa questa dimensione della Madre di Dio, sospingendola alla lettura globale del piano di salvezza testimoniato nella Bibbia». Unitamente alla lettura di Ef 1,3-6.11-12, essi danno alla celebrazione liturgica un inquadramento storico – salvifico: la Concezione Immacolata, non appare solo un privilegio personale ed irrepetibile di Maria che La isola da noi e dal nostro destino, ma piuttosto come un evento di salvezza a vantaggio di tutti.
- I testi liturgici sono un variegato composito di vecchio e di nuovo: I canti d’ingresso e di Comunione e le tre orazioni proprie, nei quali si descrive il privilegio di Maria in rapporto a Cristo, provengono dalla Messa approvata da Pio IX; il resto, compreso il prefazio che utilizza Ef 5,27, è nuovo, si ispira sia alla Lumen Gentium che alla Sacrosantum Concilium e sottolinea le implicanze antropologiche ed ecclesiali del mistero celebrato. Il tutto, un ibrido ben fuso di diversi momenti dottrinali, un luogo di sintesi di grande attualità.
Significato della solennità: tre temi interdipendenti
Si può affermare che la celebrazione, sviluppa tre temi interdipendenti:
il privilegio personale di Maria;
il suo significato teologico nei riguardi della Chiesa;
la sua esemplarità per quanti vivono l’Avvento.
Paolo VI afferma che nella festa dell’8 dicembre si ha:
«La celebrazione congiunta della Concezione Immacolata di Maria, della preparazione radicale della venuta del Salvatore e del felice esordio della Chiesa senza macchia e senza ruga».
Per comprendere pienamente il senso e l’insegnamento della Liturgia, le tre dimensioni non vanno separate: fermandosi solo al privilegio personale della Vergine, senza scoprire e sottolineare le sue implicanze nella vita e nella missione della Chiesa, si rischia di non far tesoro della riflessione conciliare sul rapporto Maria – Chiesa, di isolare il discorso mariano dal discorso cristiano, di non percepire il nesso della festa dell’Immacolata col tempo dell’Avvento.
Il privilegio personale di Maria
I testi liturgici, riprendono e arricchiscono gli elementi contenuti nella definizione dogmatica di Pio IX:
a) essi ricordano, in primo luogo, la preservazione dal peccato: la colletta e l’orazione sulle offerte, indicano il peccato in generale; il prefazio e l’orazione dopo la Comunione puntualizzano che si tratta esattamente del peccato originale;
b) in secondo luogo precisano che questo è avvenuto “PER GRAZIA DI DIO” e per “SINGOLARE PRIVILEGIO”, con un richiamo ben preciso alla definizione dogmatica del 1854 e con una piccola diversificazione della formula “in vista dei meriti di Gesù Cristo” in “in previsione della morte di lui”. Non si fa cenno alla Resurrezione che con la morte costituisce un tutt’uno del mistero pasquale di salvezza, forse per rispettare il principio della Scolastica che ritiene che i “meriti” di Cristo dipendono unicamente dalla sua “morte”, in quanto si può meritare solo fin quando si è in vita;
c) in terzo luogo i testi, mettono in risalto il fine di questo prodigioso intervento di Dio, che è essenzialmente cristologico: Dio ha voluto così preparare una degna dimora per il Figlio suo che da Lei doveva nascere, perché la Madre del Redentore non fosse una fonte inquinata ma purissima:
Testi della Messa della solennità dell'Immacolata Concezione:
«O Padre, che nell’Immacolata Concezione della Vergine, hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, ed in PREVISIONE DELLA MORTE DI LUI l’hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi a noi, per sua intercessione, di venire incontro a Te in santità e purezza di spirito. Per il nostro Signore».
«Accetta, Signore, il Sacrificio di salvezza, che Ti offriamo nella solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine, e come noi La riconosciamo preservata PER TUA GRAZIA da ogni macchia di peccato, così, per sua intercessione, fa che siamo sempre liberati da ogni colpa. Per Cristo nostro Signore».
«Tu hai preservato la Vergine Maria da ogni macchia di peccato originale, perché, piena di Grazia, diventasse degna Madre del tuo Figlio. Da Lei, Vergine purissima, doveva nascere il Figlio, agnello innocente che toglie le nostre colpe».
«Il Sacramento che abbiamo ricevuto, Signore Dio nostro, guarisca in noi le ferite di quella colpa da cui, PER SINGOLARE PRIVILEGIO, hai preservato la beata Vergine Maria, nella sua immacolata concezione. Per Cristo nostro Signore».
L’Immacolata e la Chiesa
La Concezione Immacolata di Maria interessa tutta la Chiesa che, chiamata ad essere la Sposa di Cristo, tutta gloriosa, senza macchia né ruga ma santa ed immacolata (Cfr. Ef 5,25) e a diventare la città santa, la nuova Gerusalemme pronta come la sposa adorna per il suo sposo (Cfr Ap 21,2), vede in questo evento il momento inaugurale della Grazia di Cristo sulla terra, l’inizio della piena attuazione del piano salvifico di Dio, la cui finalità è costruire un Regno di Grazia e santità.
In questo inizio prodigioso, la Chiesa ammira il frutto più grande della Redenzione, l’esordio della nuova creatura in Cristo, la terra vergine delle origini.
La Concezione Immacolata, quindi, e l’esistenza stessa di questa Creatura mai contagiata dal peccato e sempre ripiena di Dio, ci parlano della nostra vocazione personale; dischiudono agli occhi della nostra contemplazione quel destino di Grazia e di gloria che è comune a tutta la Chiesa: l’Immacolata anticipa la meta a cui tutti siamo chiamati.
«In Lei hai segnato l’inizio della Chiesa, Sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza e Tu, sopra ogni altra creatura, La predestinavi per il tuo popolo Avvocata di Grazia e modello di santità».
Conclusione: vivere nella pienezza di Grazia
La solennità dell’Immacolata ci richiama, in definitiva, al dovere di condurre una vita irreprensibile e lontana dal peccato, alla costante lotta, quindi, che ognuno di noi deve ingaggiare contro il potere del male, lotta dalla quale, con la Grazia di Dio, dobbiamo uscire vittoriosi, per essere e restare puri, immacolati e santi al suo cospetto.
In questa lotta senza confine, infatti, il verdetto di Dio è a favore dell’uomo: mentre abbandona il serpente alla sua maledizione, Egli si prende premurosa cura dell’uomo e specifica che concederà una benedizione di salvezza all’umanità e la Donna schiaccerà per sempre il capo del serpente infernale (Gn 3,13-15).
In Maria Immacolata, piena di Grazia e Madre di Dio, si realizza, a modello di tutti, la vocazione salvifica dell’uomo; in Lei il Padre mostra attuato il suo piano di salvezza; in Lei, prima creatura nata dalla benedizione in Cristo nello Spirito, brilla lo splendore della figliolanza divina che permette all’uomo di chiamare Dio “Abba”, Padre.
Colmata dal supremo favore divino, anche la Vergine dell’8 dicembre, ci resta, quindi, vicina: ci mostra il fascino della vita in Dio e ci invita, con la trasparenza pura, immacolata e luminosa del suo volto di Donna che ne ha trovato il favore, ad accogliere nella Fede, nell’amore e nella assidua sequela scevra dal peccato, il Signore Gesù, nel quale è ogni benedizione in cielo e in terra.
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domenica 7 dicembre 2014

Commento al Vangelo del 7-12-2014, Domenica 2^ Avvento "B"

Dal Vangelo secondo Marco (1,1-8) 
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaia: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». 

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON 
Il vangelo di Marco non ci presenta una dottrina o una ideologia, ma una persona concreta, Gesù Cristo, Figlio di Dio, che va accolto come nuovo criterio di vita. Lo stesso vangelo, come contenuto, è proprio questo Gesù, e le prime parole di Gesù non sono altro che una manifestazione, una presentazione di sé stesso. Gesù esordisce «predicando il vangelo di Dio» (1,14), cioè sé stesso (1,1), e dice: «Il tempo dell’attesa è finito. Io sono qui. Rivolgetevi a me e credetemi» (1,15). Il Dio che ci rivela il vangelo di Marco è colui che nessuno avrebbe potuto sospettare: l’uomo Gesù, il crocifisso dalla religione e dal potere. Sotto la croce si svela il segreto: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio» (15,39). 
Tutto il vangelo è un cammino crescente verso la rivelazione finale del Figlio di Dio in Gesù, il crocifisso. Marco vuole portarci alla contemplazione di Dio-Amore crocifisso. Questo è il vangelo, la buona notizia, che distrugge ogni immagine di Dio che l’uomo da sempre si costruisce o distrugge. 
Quanto Marco pone come inizio del suo vangelo, Giovanni lo pone come conclusione: «Questi (segni) sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,31). Come si può constatare, lo scopo dei vangeli è sempre e solo questo: dare al mondo la gioiosa notizia che Gesù di Nazaret è Dio che ci salva. 
Similmente a Paolo, di cui è discepolo, Marco identifica il vangelo con Cristo: nella proclamazione del vangelo (13,9–11) Cristo è fatto presente. Il vangelo non è primariamente una narrazione su Gesù, ma una proclamazione del Cristo risorto che il vangelo rende nuovamente presente. I greci chiamavano vangelo (euanghélion) la proclamazione di una vittoria e il sacrificio che la celebrava, oppure l’intronizzazione di un nuovo re. Il senso religioso di questo termine lo dobbiamo cercare nell'Antico Testamento. Isaia al cap. 52,7, per fare un esempio, ci presenta così il lieto annunzio: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene, che annunzia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio!». 
I contenuti di questa bella notizia sono: pace, bene, salvezza, regno di Dio. Si potrebbe quindi tradurre così questo primo versetto: «Inizio della buona notizia di salvezza che è Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio». Tutto il vangelo di Marco sarà lo svolgimento del tema di questo primo versetto: fino a 8,29 per arrivare alla proclamazione di Pietro: «Tu sei il Cristo»; e fino a 15,39 per giungere all'affermazione del centurione: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!». Due professioni di fede che riprendono e svelano i due titoli che il primo versetto del vangelo attribuisce a Gesù. 
Questa parola «principio» echeggia all'inizio della Bibbia quando Dio creò l’universo (Gen 1,1): Dio è la sorgente della vita del mondo e dell’uomo. Il Gesù presentato dal vangelo di Marco è il «principio» di un mondo nuovo, dei cieli nuovi e della terra nuova, dove abita l’uomo nuovo. Il vangelo è la buona notizia che Dio non è il padre-padrone, giudice onniveggente e spietato. Egli è il Padre che perdona e accoglie sempre, con un amore infinitamente più grande del nostro bisogno e di quanto possiamo immaginare. 
La nostra miseria è l’unica misura della sua misericordia. 
Solo la croce rivelerà chi è Dio per noi e chi siamo noi per lui: lui è amore senza limiti e noi siamo suoi figli amati non nonostante il nostro peccato, ma a motivo del nostro peccato. 
La misericordia è l’amore di Dio che incontra la miseria dell’uomo. Il vangelo, attraverso il racconto della vita di Gesù, ci dona questa nuova esperienza di Dio. Infatti il vangelo è «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16). 
Il vangelo, la buona notizia, è Gesù stesso. La sua carne, la sua vita di uomo ci rivela chi è Dio. Un Dio totalmente altro rispetto a quello di ogni religione e di ogni ateismo. 
Ciò che lui fa e dice è una continua smentita di ogni nostra ovvietà e la sua croce è la distanza infinita che Dio ha posto tra sé stesso e l’idolo. La storia di Gesù è la critica più radicale di ogni religione e di ogni ateismo: spiazza tutti, giusti ed empi, presentando l’umanità di Dio ucciso dai giusti e morto in croce per gli empi, e quindi salvezza per tutti. 
Tutto il vangelo è Parola che illumina il mistero di Dio crocifisso per l’uomo. Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio: in questi nomi è significata tutta la persona, la storia e la missione del Salvatore. Gesù significa: Jahvè salva. Cristo o Messia: è colui che ha ricevuto l’unzione dell’olio, il consacrato; è colui che Israele attende come strumento di Dio per la salvezza del popolo. 
Gesù è il Cristo, ma non nella linea politica e nazionalistica, ma nella linea della croce e della risurrezione: «Ma egli (Gesù) replicò: "E voi chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo". E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E incominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare» (8,29–31), Figlio di Dio: questo titolo ha chiaramente il senso teologico che gli attribuiva la comunità cristiana post-pasquale del tempo di Marco. 
È un titolo che Marco usa con sobrietà. Viene usato soprattutto in tre testi importanti: al Battesimo (1,11), alla Trasfigurazione (9,7) e nella professione di fede del centurione ai piedi della croce (15,39). Ma quale significato preciso dobbiamo attribuire al titolo «Figlio di Dio»? È proprio per rispondere a questa domanda che Marco racconta la vicenda di Gesù. 
Perché c’è modo e modo di pensare il Figlio di Dio. Sembrerebbe logico, per esempio, pensarlo unicamente nella linea della gloria e della potenza. Marco invece racconta una vicenda che ci costringe a pensarlo nella linea della povertà e della sofferenza: e questa è la tesi centrale del suo vangelo. 
Se il Figlio di Dio si fosse manifestato nella forma splendida di un imperatore, non sarebbe stata una bella notizia: non sarebbe stata novità, liberazione, speranza. Ma, anche se la storia di Gesù di Nazaret si fosse fermata alla croce, non sarebbe stata una lieta notizia: sarebbe stata una prova ulteriore che l’amore è sconfitto, che la speranza degli umili e dei martiri è vana. La gioiosa notizia sta nel fatto che Gesù di Nazaret, il crocifisso, è risorto (16,6), è il Figlio di Dio, è il Signore. È importante mantenere uniti i due aspetti di Gesù: uomo e Dio, crocifisso e risorto, Gesù di Nazaret e Signore. Sta in questa unione la lieta notizia. Compito della Chiesa non è semplicemente quello di parlare di Dio, ma del Dio che si è rivelato in Gesù di Nazaret, il crocifisso. È proprio di fronte a Gesù morente che il primo pagano si converte. Il centurione riconosce in Gesù il Figlio di Dio non vedendo i suoi prodigi, ma vedendolo morire; quindi non nella potenza, ma nella debolezza; non nella gloria, ma nell'umiliazione della sconfitta. Nella concezione dell’evangelista, il lieto annunzio appare simultaneamente come intervento decisivo di Dio nella storia umana (1,15; 8,35; 10,29), come proclamazione di tale intervento per il mondo (13,10; 14,9) e come presenza dello stesso Signore risorto, vivente e operante, oggi, nella vita di ogni uomo (16,15). 
L’agire di Gesù continua ancora oggi nella chiesa (16,15–20). Per questo il vangelo di Marco narra solamente ciò che fu l’inizio, il principio, il punto di partenza. Se oggi possiamo predicare il vangelo è perché intorno agli anni trenta in Palestina è passato Gesù di Nazaret, predicando, guarendo, perdonando, soffrendo, morendo; è perché di Gesù di Nazaret si può dire con verità: «È risorto!» (16,6). 
Gesù è la causa efficiente, l’origine, la fonte. Il vangelo, oggi, è Gesù che continua ad agire nei suoi inviati, nella sua Chiesa che è il Cristo diffuso e comunicato, il prolungamento della sua umanità. Annunciare il vangelo non vuol dire riferire una notizia come fa l’annunciatore del telegiornale, non vuol dire aggiornare una persona sugli ultimi avvenimenti lieti. Il vangelo non è solo la notizia della salvezza, il bollettino della vittoria; è una forza che produce la salvezza: «Il vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16). Annunciare il vangelo ad una persona vuol dire metterla sotto la forza dell’azione di Gesù, Dio che salva. 
La storia di Gesù di Nazaret è il momento a cui la predicazione deve sempre ricondursi, che la Chiesa deve continuamente meditare, e sul quale l’esistenza cristiana deve perennemente modellarsi. Il vangelo non è apparso come qualcosa di grandioso e di perfettamente costituito: ebbe un inizio umile e uno sviluppo graduale. Ha percorso la strada del piccolo seme che diventa albero (4,30-32). La lieta notizia di Gesù non emerge dalla storia e non si spiega solo con essa: è l’irruzione nel mondo della novità di Dio. È una notizia attesa e desiderata (Antico Testamento), ma anche inaspettata e sorprendente. Tutti aspettavano il Messia, ma nessuno avrebbe potuto sospettare che il Messia fosse Dio in persona. Alcuni vorrebbero vedere nel vangelo di Marco un itinerario di fede per i catecumeni (coloro che ricevono l’insegnamento orale, che ascoltano dalla viva voce). 
Un fatto è certo: Marco prende per mano il lettore e l’accompagna fino alla professione di fede piena in Gesù «Cristo, Figlio di Dio». Il vangelo non colloca il Cristo-Figlio di Dio nei cieli, al di fuori della nostra storia. Il Cristo è «Gesù». È un uomo tra gli uomini. Cristo si trova ormai nella storia, nelle situazioni concrete, negli uomini. 
È necessario saper leggere e discernere la presenza dell’azione di Dio all'interno della nostra storia personale e sociale. Dio è qui! Dio è con coi e in noi. In questo modo si afferma l’unità tra Dio e l’uomo, contro ogni separazione, la quale fa sì che Dio sia senza l’uomo (e ciò è la radice di ogni alienazione religiosa) e che l’uomo sia senza Dio (e ciò è la radice di ogni concezione idolatrica dell’uomo). 
Il vangelo toglie la divisione tra l’uomo e gli altri uomini annunciando l’unità tra Gesù e tutti gli uomini. Toglie la separazione tra gli elementi negativi (la morte) e gli aspetti positivi (la risurrezione) della vita, annunciando l’unità tra di essi: la morte e la risurrezione di Gesù sono due aspetti inseparabili come le facce di una stessa medaglia. Dal vangelo di Marco impariamo a non annunciare mai l’una senza l’altra. Nel vangelo vengono così superate e risolte tutte le scissioni e le contraddizioni che caratterizzano l’uomo e il suo mondo. La citazione della Scrittura viene qui attribuita al profeta Isaia. In realtà questa citazione ne riunisce due di cui solo l’ultima proviene dal libro di Isaia (40,3) mentre l’altra si riferisce a Mi 3,1. Giovanni è la voce che grida nel deserto: «Preparate la strada del Signore che è Gesù». Qui si dà chiaramente a Gesù il nome Kyrios, il nome di Jahvè, di Dio, La predicazione e il battesimo di Giovanni sono rivolti a tutti indistintamente; e la gente risponde all'appello e accorre. 
Giovanni Battista si inserisce nella grande tradizione profetica di cui Elia è insieme il punto di partenza (Zc 13,4) e la conclusione (Mi 3,23). Il suo abbigliamento ricorda quello del Tisbita: un perizoma di pelle o di peli di cammello (2Re 1,8), e la sua alimentazione è quella dei nomadi del deserto (Gen 43,11). Questi dettagli sul genere di vita del Battista lo presentano come il tipo dei profeti dell’Antico Testamento; il suo messaggio riassume tutta l’attesa messianica. Tutto il profetismo d’Israele, presentato sommariamente come la voce che invita a preparare la strada del Signore, e concentrato nella persona di Giovanni, viene subito messo da parte, superato dall’annuncio di Gesù che esso preparava: all’arrivo della Parola (Gesù) cessa la voce (il profeta). La predicazione di Giovanni si articola in due momenti: il primo è l’invito a riconoscere i propri peccati e a convertirsi (1,4–6); il secondo è la testimonianza resa ad un altro (1,7–8). 
La strada del Signore si prepara svuotando l’uomo dalle sue sicurezze e dalla sua superbia, spingendolo a riconoscersi peccatore e bisognoso di grazia e di perdono; poi orientandolo verso la salvezza che Dio gli dona purché l’attenda con desiderio e l’accolga con gioia. Non è che Dio perdoni perché ci siamo convertiti; egli perdona da sempre e per questo possiamo convertirci. L’azione di Dio previene sempre l’azione dell’uomo. 
Il suo perdono precede la nostra conversione, e la rende un evento di salvezza. Perdonare è l’opera di Dio per eccellenza, nella quale egli rivela la sua essenza più intima: la misericordia. Peccare in ebraico significa «fallire il bersaglio». Peccatore è colui che non raggiunge il suo fine, come una freccia che manca il segno. Siccome il fine dell’uomo è amare Dio come Dio lo ama, il peccato è l’incapacità di amare che taglia all'uomo le sue relazioni e lo chiude in una solitudine infernale. Il vangelo di Gesù (la buona notizia di Dio che salva) è destinato a chi si riconosce perduto e peccatore; ne è escluso solo chi si ritiene giusto e non vuole riconoscersi peccatore. Giovanni e Gesù non sono semplicemente posti uno accanto all'altro, ma confrontati. 
Giovanni dichiara che Gesù è più forte di lui e si riconosce indegno di fargli da schiavo (v. 7). Vengono confrontati anche i rispettivi battesimi: Giovanni immerge gli uomini nell’acqua del Giordano, Gesù li immerge nello Spirito di Dio (v. 8). Ogni commento è superfluo. Il Battista anticipa l’annuncio del Cristo e ne prefigura la vita: una vita povera e coerente fino al martirio. Perché Marco parla di Giovanni e di Gesù servendosi dei testi e del linguaggio dell’Antico Testamento fino al punto di descrivere il vestito del Battezzatore con le stesse parole con cui la bibbia descrive quello del grande profeta Elia (2Re 1,8)? I motivi sono due. Nella fede di Marco, Gesù è il punto di arrivo di una lunga storia. Tutto ciò che si narra nella Bibbia prima di lui tendeva verso di lui. Egli era l’annunziato dei profeti e l’atteso delle genti. 
Il secondo motivo è eminentemente pratico: far capire che la storia di Gesù era parte integrante, anzi il culmine della storia della salvezza. Il ricorso alle Scritture fu una delle chiavi più importanti di cui la primitiva comunità cristiana si è servita per schiudere all’intelligenza il mistero di Gesù e di sé stessa. Il modo cristiano di leggere l’Antico Testamento si differenzia da quello giudaico. La caratteristica di fondo della lettura cristiana sta nel fatto che l’attualizzazione delle Scritture e il compimento delle profezie sono concentrati su una persona e su un avvenimento decisivo: il Cristo. Gesù non è soltanto il maestro che istruisce i discepoli nelle Scritture: egli è colui del quale parlano le Scritture (Gv 5,39). L’Antico Testamento è letto a partire dalla risurrezione di Gesù, da un fatto veramente accaduto e non semplicemente da un’attesa, da una speranza. È per questo che i cristiani sono convinti di poter leggere l’Antico Testamento più a fondo dei giudei e scoprirvi significati che essi non vedono (2Cor 3,12-18). Chi è dunque Gesù? Gesù è il Signore la cui strada dev'essere preparata (v. 3); è più potente e più degno di Giovanni Battista (v. 7); è colui che battezza con lo Spirito Santo (v. 8). Preparare la strada e raddrizzare i sentieri significa cambiare vita. La realtà è questa: il Signore viene per dare agli uomini il perdono di Dio e per trasformarli con il dono dello Spirito. Senza di lui gli uomini sono nel peccato e incapaci di vera libertà. Isaia si serve del linguaggio del suo universo arcaico: visita ufficiale, precursori spediti a preparare il vitto e l’alloggio, invito agli abitanti del villaggio ad occuparsi dello stato delle vie d’accesso. 
Qui si tratta dello stato delle anime. Giovanni invita tutti a fare pulizia nella coscienza e ad aprire il cuore per accogliere l’amore di Dio. Gli ebrei attendevano un’effusione dello Spirito per gli ultimi tempi (Gl 3,1), collegata con una purificazione mediante l’acqua (Ez 36,25–26). Gesù ci battezza nello Spirito (= vita) Santo (= di Dio). il desiderio abissale che Dio ha messo nell'uomo è l’avere desiderio di lui: nel battesimo lo colma pienamente con il dono di sé. Deus sitit sitiri: Dio desidera di essere desiderato da noi. Dio ha sete che noi abbiamo sete di lui. 
In questo primo brano del vangelo, Marco ci presenta immediatamente il Battista: in lui prendono voce il desiderio e la domanda di Dio che permeano tutto l’Antico Testamento. Il Battista, infatti, sintetizza in poche parole tutto l’Antico Testamento nella sua linea essenziale: attesa del giudizio di Dio (v. 2) e liberazione degli uomini dalla condanna. Egli chiude l’Antico Testamento e preannuncia il Nuovo. È l’indice puntato su Gesù. È la porta che introduce nella novità assoluta del vangelo. Ora, il Signore è presente e si lascia trovare. Quindi bisogna rivolgersi a lui. Da qui nasce il vigoroso appello alla conversione (v. 4) che il Battista continuamente ci rivolge e la chiamata a un nuovo esodo. Infatti: «Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme» (v. 5). Questo ultimo esodo, inizio del cammino della nuova liberazione, è tutto diverso da quello dall'Egitto e da quello dalla schiavitù di Babilonia. La gente esce ora dalla Giudea e da Gerusalemme, che avevano costituito la meta degli esodi precedenti, e riattraversa il Giordano, ma in senso inverso: è un esodo verso una nuova patria. La Giudea e Gerusalemme, infatti, sono il luogo da cui uscire per liberarsi dalla schiavitù della legge, che uccide, e accogliere lo Spirito che dà la vita (2Cor 3,6): bisogna uscire dalla propria giustizia (Fil 3,7ss.) per accogliere il Signore che non è più nel luogo santo e inaccessibile, ma qui fra gli uomini, nell’uomo Gesù, nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). L’esodo del verso 5 è l’esodo del vangelo: l’esodo definitivo verso la patria promessa, verso l’Assoluto: «Sarete come Dio». Il vangelo è il messaggio della salvezza, l’annuncio della volontà salvifica di Dio: la misericordia è offerta ai peccatori, la speranza è donata ai disperati, il senso della vita e della storia è rivelato ai dubbiosi e agli incerti, il cammino è indicato ai disorientati. 
È la buona novella, il lieto annuncio, un grido di gioia: perché l’uomo prigioniero è liberato e l’uomo perduto è ritrovato.
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mercoledì 3 dicembre 2014

Commento al Vangelo del 3-12-2014

Dal Vangelo secondo Matteo (15,29-37)
In quel tempo, Gesù venne presso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermò là. Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificava il Dio di Israele. Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: “Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada”. E i discepoli gli dissero: “Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?”. Ma Gesù domandò: “Quanti pani avete?”. Risposero: “Sette, e pochi pesciolini”. Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li diede ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati. Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene.  

COMMENTO AL VANGELO - P. LINO PEDRON 
Questo testo rimanda alle profezie di Isaia per il tempo messianico (Is 35,5-6). Solo una comunità risanata e liberata dai suoi mali può essere invitata alla festa messianica, anticipata nel segno del pane distribuito a tutti con abbondanza. Nel vangelo di Matteo il monte è il luogo della rivelazione di Dio, sia mediante la parola (5,1; 28,16), sia attraverso i gesti di soccorso (14, 23). 
Gesù realizza qui quanto aveva promesso nel brano delle beatitudini: i poveri, gli afflitti e gli affamati trovano la consolazione e la sazietà. Egli ha compassione per il popolo che lo segue da tre giorni e ha esaurito le provviste di cibo. Questa compassione è attribuita spesso a Gesù dal vangelo di Matteo che lo presenta come il messia misericordioso. 
E' una commozione interna e viscerale, un sentire profondo e intenso che spinge Gesù a soccorrere il suo popolo mediante la missione dei dodici (9,36), le guarigioni (14,13; 20,24) e la moltiplicazione del pane (14,14). La fame e la miseria sono un male, e Gesù comanda ai suoi discepoli di combatterle, segnalando loro con fatti concreti la direzione da seguire. Egli ha cominciato, i suoi discepoli devono portare a termine la sua opera. 
Se l'azione dei cristiani non distrugge i mali che tormentano la vita dell'uomo, non ricalca quella del Cristo. 
Gesù recita la benedizione sul pane, atto proprio del capo-famiglia, che riconosce così Dio quale datore dei beni per il sostentamento dell'uomo. La sequenza dei verbi prendere, benedire, spezzare, dare costituisce la natura della benedizioni ebraiche e allude all'ultima cena. 
I cristiani che partecipano alla cena del Signore o che rileggono il miracolo della moltiplicazione del pane sono chiamati a spezzare con Gesù il pane e la stessa vita per gli altri. Il cristiano, saziato dal Cristo, offrirà a tutti l'abbondanza dei beni ricevuti: la pace, la felicità, l'amicizia con Dio e con i propri fratelli. 
La beneficenza materiale e spirituale instaura il regno di Dio sulla terra.
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