martedì 28 aprile 2009

Ai tre Arcangeli

Venga dal cielo nelle nostre case l’Angelo della Pace, Michele, venga portatore di serena pace e releghi nell’inferno le guerre, fonte di tante lacrime.
Venga, Gabriele, l’Angelo della forza, scacci gli antichi nemici e visiti i templi cari al cielo, che Egli trionfatore ha fatto elevare sulla Terra.
Ci assista Raffaele, l’Angelo che presiede alla salute; venga a guarire tutti i nostri malati e a dirigere i nostri incerti passi per i sentieri della vita.

per la famiglia unita

Signore, Padre Santo, Dio Onnipotente ed eterno,noi Ti benediciamo e Ti ringraziamo per questa nostra famiglia che vuol vivere unita nell'amore.
Ti offriamo le gioie e i dolori della nostra vita e Ti presentiamo le nostre speranze per l'avvenire.
O Dio, fonte di ogni bene, dona alla nostra mensa il cibo, conservaci nella salute e nella pace, guida i nostri passi sulla via del bene.
Fa' che dopo aver vissuto felici in questa casa, ci ritroviamo ancora tutti uniti nella felicità del Paradiso. Amen

L'eco della vita

Padre e figlio stanno passeggiando nella foresta. A un certo punto il bambino inciampa e cade. Il forte dolore lo fa gridare: "Ahhhhh!". Con sua massima sorpresa, ode una voce tornare dalla montagna: "Ahhhhh!".
Pieno di curiosità, grida: "Chi sei?" ma l'unica risposta che riceve è: "Chi sei?". Questo lo fa arrabbiare, così grida: "Sei solo un codardo!" e la voce risponde: "Sei solo un codardo!"
Perplesso, guarda suo padre e gli chiede cosa stesse succedendo.
E il padre gli risponde: "Sta' a vedere, figliolo!", e poi urla: "Ti voglio bene!" e la voce gli risponde: "Ti voglio bene!". Poi urla "Sei fantastico!" e la voce risponde: "Sei fantastico!" Il bambino era sorpreso, ma ancora non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
Così suo padre gli spiegò: "La gente lo chiama 'eco', ma in verità si tratta della vita stessa. La vita ti ridà sempre ciò che tu le dai: è uno specchio delle tue proprie azioni. Vuoi amore? Dalle amore! Vuoi più gentilezza? Dalle più gentilezza. Vuoi comprensione e rispetto? Offrili tu stesso. Se desideri che la gente sia paziente e rispettosa nei tuoi confronti, sii tu per primo paziente e rispettoso. Ricorda, figlio mio: questa legge di natura si applica a ogni aspetto delle nostre vite." Nel bene e nel male, si riceve sempre ciò che si dà: ciò che ci accade non sono buona o cattiva sorte, bensì lo specchio delle nostre azioni.

dapra francesco

La saggezza è presso gli umili

«Quia respexit humilitatem ancillae suae» perché vide la bassezza della sua schiava... Ogni giorno di più mi persuado che l'umiltà autentica è la base soprannaturale di tutte le virtù! Parla con la Madonna, perché ci addestri a camminare per questo sentiero. (Solco, 289)

Se meditiamo la Sacra Scrittura, vedremo come l'umiltà è il requisito indispensabile per disporsi ad ascoltare Dio. La saggezza è presso gli umili [Pro 11, 2], dice il libro dei Proverbi. Umiltà significa vederci come siamo, senza palliativi, secondo verità. Costatando la nostra pochezza, ci apriremo alla grandezza di Dio: è questa la nostra grandezza.

Lo comprendeva bene la Madonna, la Santa Madre di Gesù, la creatura più eccelsa tra quante sono esistite ed esisteranno sulla terra. Maria glorifica il potere di Dio che ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili [Lc 1 , 52]. E aggiunge che in Lei si è realizzata ancora una volta questa divina volontà: Perché ha guardato l'umiltà della sua serva, d'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata [Lc 1, 48].

Maria si mostra santamente trasformata, nel suo cuore purissimo, di fronte all'umiltà di Dio: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio Di Dio [Lc 1, 35].

L'umiltà della Vergine è conseguenza dell'insondabile abisso di grazia che si opera con l'incarnazione della Seconda Persona della Trinità Beatissima nel seno di sua Madre sempre Immacolata. (Amici di Dio, nn. 96)

lunedì 27 aprile 2009

Sant'Alberto Magno

Alberto Magno di Bollstädt, conosciuto anche come Sant'Alberto il Grande, Alberto di Colonia o Doctor Universalis, figlio minore del Conte di Bollstädt, nacque a Lauingen (Svevia) nel 1205 o nel 1206, anche se molti storici indicano quale suo anno di nascita il 1193.
Da giovane, comunque, fu mandato a proseguire i suoi studi presso l'Università di Padova, città scelta sia perché vi risiedeva un suo zio, sia perché Padova era famosa per la sua cultura delle arti liberali, per le quali il giovane svevo aveva una speciale predilezione. Nell'anno 1223, dopo aver ascoltato i sermoni del Beato Giordano di Sassonia, secondo Maestro Generale dell'ordine dei predicatori, divenne domenicano.
Gli storici non riportano se gli studi di Alberto continuarono a Padova, Bologna, Parigi, o Colonia. Comunque, dopo averli completati, insegnò teologia a Hildesheim, Friburgo, Ratisbona, Strasburgo e Colonia. Si trovava nel convento di Colonia, intento nello studio del Liber Sententiarum di Pietro Lombardo, quando, nel 1245, gli fu ordinato di recarsi a Parigi. Qui si laureò all'università che più di ogni altra veniva celebrata come scuola di teologia. Durante il viaggio da Colonia e Parigi ebbe tra i suoi ascoltatori Tommaso d'Aquino, un giovane silenzioso e riflessivo del quale riconobbe il genio ed a cui predisse la futura grandezza.
Il nuovo discepolo accompagnò il suo maestro a Parigi e, nel 1248, tornò con lui al nuovo Studium Generale di Colonia, del quale Alberto era stato nominato Rettore, mentre Tommaso divenne secondo professore e Magister Studentium. Al Capitolo Generale dei Domenicani tenutosi a Valenciennes nel 1250, insieme a Tommaso d'Aquino ed a Pierre de Tarentaise, elaborò le norme per la direzione degli studi e per la determinazione del sistema di meriti all'interno dell'ordine. Quindi, nel 1254, fu eletto provinciale per la Germania, incarico difficile che ricoprì con efficienza e responsabilità. Nel 1256 si recò a Roma per difendere gli ordini mendicanti dagli attacchi di Guglielmo di Saint-Amour, il cui libro, De novissimis temporum periculis, fu condannato da Papa Alessandro IV il 5 ottobre 1256. Durante la sua permanenza nell'Urbe, Alberto ricoprì l'ufficio di Maestro del Sacro Palazzo. Nel 1257, per dedicarsi allo studio ed all'insegnamento, rassegnò le dimissioni dall'ufficio di provinciale. Nell'anno 1260 fu consacrato vescovo di Ratisbona. Umberto di Romans, Maestro Generale dei Domenicani, temendo di perdere i servigi di Alberto, tuttavia, cercò di impedirne la nomina, ma fallì. Alberto, infatti, governò la diocesi fino al 1262 quando, dopo che furono accettate le sue dimissioni, riprese volontariamente l'ufficio di professore presso lo Studium di Colonia. Nel 1274 fu invitato da Papa Gregorio X a partecipare ai lavori del secondo Concilio di Lione, alle cui conclusioni prese parte attiva. L'annuncio della morte di San Tommaso a Fossanova, durante il viaggio che aveva intrapreso per partecipare ai lavori del Concilio, fu un duro colpo per Alberto, che lo commentò dichiarando che "La luce della Chiesa" si era estinta.
Il suo antico spirito e vigore tornarono a galla nel 1277, quando fu annunciato che Etienne Templier, arcivescovo di Parigi, ed altri volevano condannare gli scritti di San Tommaso perché li consideravano poco ortodossi. Per tale motivo si mise in viaggio alla volta di Parigi, deciso a difendere la memoria del suo discepolo. Qualche tempo dopo, nel 1278 (anno in cui scrisse il suo testamento), ebbe dei vuoti di memoria; la sua forte mente a poco a poco si offuscò, il suo corpo, fiaccato da una vita austera di privazioni e di lavoro, cedette sotto il peso degli anni e morì il 15 novembre 1280.
Fu sepolto nella chiesa parrocchiale di Sant'Andrea a Colonia. Alberto Magno è considerato il più grande filosofo e teologo tedesco del medioevo sia per la sua grande erudizione che per il suo impegno a livello logico-filosofico nel far coesistere fede e ragione applicando la filosofia aristotelica al pensiero cristiano.
Fu, inoltre, anche il maestro di San Tommaso d'Aquino.
Fu beatificato da Papa Gregorio XV nel 1622. Nel settembre 1872, i vescovi tedeschi, riuniti a Fulda, inviarono alla Santa Sede una petizione per la sua canonizzazione. Finalmente, nel 1931, Papa Pio XI lo elevò agli onori dell'altare e lo proclamò Dottore della Chiesa.
Nel 1941 Papa Pio XII lo dichiarò patrono dei cultori delle Scienze naturali.
Significato del nome Alberto: «di illustre nobiltà» (tedesco

domenica 26 aprile 2009

Regala ciò che non hai...

Occupati dei guai, dei problemi del tuo prossimo. Prenditi a cuore gli affanni, le esigenze di chi ti sta vicino. Regala agli altri la luce che non hai, la forza che non possiedi, la speranza che senti vacillare in te, la fiducia di cui sei privo. Illuminali dal tuo buio. Arricchiscili con la tua povertà.
Regala un sorriso quando tu hai voglia di piangere. Produci serenità dalla tempesta che hai dentro. "Ecco, quello che non ho te lo dono".
Questo è il tuo paradosso. Ti accorgerai che la gioia a poco a poco entrerà in te, invaderà il tuo essere, diventerà veramente tua nella misura in cui l'avrai regalata agli altri.

Alessandro Manzoni

Siamo misericordiosi

Siamo misericordiosi, imitando le gru, delle quali si dice che, quando vogliono arrivare a un dato luogo, volano altissime per meglio individuare da un osservatorio più alto il sito da raggiungere. Quella che conosce il percorso precede lo stormo, ne scuote la fiacchezza del volo, lo incita con la voce; e se la prima perde la voce o diventa rauca, subito ne subentra un'altra. Tutte si prendono cura di quelle stanche, in modo che se qualcuna viene meno, tutte si uniscono, sostengono quelle stanche finché con il riposo ricuperano le forze.
Siamo dunque misericordiosi come le gru: posti in un più alto osservatorio della vita, preoccupiamoci per noi e per gli altri; facciamo da guida a chi non conosce la strada; con la voce della predicazione stimoliamo i pigri e gli indolenti; diamo il cambio nella fatica, perché senza alternare il riposo alla fatica non si resiste a lungo; carichiamoci sulle spalle i deboli e gli infermi, perché non vengano meno lungo la via; siamo vigilanti nell'orazione e nella contemplazione del Signore.

Tanti anni di lotta...

È sopraggiunta la nuvolaglia della svogliatezza, della caduta d'interesse. Sono scesi acquazzoni di tristezza, con la netta sensazione di trovarti legato. E, per completare, ti ha teso l'agguato una spossatezza che nasce da una realtà più o meno oggettiva: tanti anni di lotta..., e sei ancora così indietro, così lontano. Tutto questo è necessario, e Dio vi fa assegnamento: per conseguire il «gaudium cum pace» la vera pace e la vera gioia, dobbiamo aggiungere alla convinzione di essere figli di Dio, che ci riempie di ottimismo, il riconoscimento della nostra personale debolezza. (Solco, 78)

Anche nei momenti in cui più brutalmente costatiamo i nostri limiti, possiamo e dobbiamo rivolgerci a Dio Padre, a Dio Figlio e a Dio Spirito Santo, consapevoli di partecipare alla vita divina. Non esistono ragioni sufficienti a farci volgere indietro lo sguardo; il Signore è con noi. Dobbiamo affrontare i nostri doveri fedelmente e lealmente, cercando in Gesù l'amore e lo stimolo per comprendere gli errori altrui e superare i nostri. E così la nostra miseria, la tua, la mia e quella di tutti gli uomini, servirà di sostegno al regno di Cristo.

Riconosciamo le nostre infermità, ma confessiamo la potenza di Dio. La vita cristiana deve essere informata dall'ottimismo, dalla gioia, dalla certezza che il Signore vuole servirsi di noi. Consapevoli di essere parte della Chiesa santa, di essere saldamente ancorati alla roccia di Pietro e sostenuti dall'azione dello Spirito Santo, ci decideremo a compiere il piccolo dovere di ogni istante: seminare ogni giorno un po'. Il raccolto traboccherà dai granai. (E' Gesù che passa, 160)

Sereno davanti alle preoccupazioni

Se avendo fissato lo sguardo in Dio sai mantenerti sereno davanti alle preoccupazioni, se impari a dimenticare le piccolezze, i rancori e le invidie, ti risparmierai la perdita di molte energie, di cui hai bisogno per lavorare con efficacia, al servizio degli uomini. (Solco, 856)

Lotta contro le asprezze del tuo carattere, contro il tuo egoismo, contro la tua comodità, contro le tue antipatie... Oltre al fatto che dobbiamo essere corredentori, il premio che riceverai pensaci bene sarà in strettissima relazione con la semina che avrai fatto. (Solco, 863)

Compito del cristiano: annegare il male nella sovrabbondanza del bene. Non si tratta di far campagne negative, né di essere antiqualcosa. Al contrario: si tratta di vivere di affermazioni, pieni di ottimismo, con gioventù, allegria e pace; di guardare tutti con comprensione: quelli che seguono Cristo e quelli che lo abbandonano o non lo conoscono.Ma comprensione non significa astensionismo, né indifferenza, bensì azione.(Solco, 864)

Paradosso: da quando mi sono deciso a seguire il consiglio del Salmo: «Getta sul Signore il tuo affanno, ed Egli ti darà sostegno», di giorno in giorno ho meno preoccupazioni per la testa... E al tempo stesso, con il lavoro opportuno, si risolve ogni cosa con più chiarezza! (Solco, 873)

sabato 25 aprile 2009

Attendiamo il premio, pieni di speranza

Dall'«Omelia» di un autore del secondo secolo

Fratelli miei, facciamo la volontà del Padre, il quale ci ha chiamati perché,praticando la virtù, avessimo la vita; correggiamo le cattive inclinazioni che cidispongono ai delitti e fuggiamo l'empietà perché non ci sorprendano dei mali. Seinfatti cercheremo di fare il bene, ci seguirà sempre la pace. Questa non si lasciatrovare da coloro che sono guidati da timori umani e preferiscono i beni presentialla promessa dei beni futuri.
Essi non sanno quante amarezze nascondono i piaceridi questo mondo, quali delizie invece i beni futuri. E se fossero soli nel tenerequesta linea di condotta il male non sarebbe tanto grande. Il peggio si é che con le loro perverse opinioni corrompono anime innocenti e non sanno che, così facendo, incontreranno una doppia condanna per sé e per chi li ascolta.
Cerchiamo di servire Dio con cuore puro e saremo giusti. Se invece non lo serviremo per mancanza difede nelle sue promesse, saremo ben miserabili. E' stato scritto infatti: Miseri sono coloro che hanno l'animo doppio e incostante e dicono: Tutto questo lo abbiamo già sentito al tempo dei nostri padri; ma noi, pur aspettando di giorno in giorno, non abbiamo visto nulla di ciò che fu predetto. O stolti, paragonatevi a una pianta da frutto. Prendete come esempio una vite. In un primo tempo é priva anche di foglie. In seguito spuntano le gemme, quindi viene il tenero grappolo acerbo e finalmente ecco l'uva matura.
Così anche il mio popolo ha sopportato calamità e angustie; ma poi non ne riceverà che bene. Fratelli miei, non siamo di animo doppio, ma sopportiamo pieni di speranza, per riportare a suo tempo il premio. Colui che ha promesso é fedele, e renderà aciascuno in misura delle proprie opere. Se compiremo opere di giustizia davanti a Dio, entreremo nel suo regno e riceveremo in premio ciò che orecchio non udì, né occhio vide, né mai entrò in cuore d'uomo (cfr. 1 Cor 2, 9). Attendiamo di ora in ora il regno di Dio nella carità e nella giustizia, poiché non conosciamo il giorno della venuta del Signore. Facciamo penitenza in tempo, diamoci con salda volontà a fare il bene, perché siamo pieni di stoltezza e di malizia. Cancelliamo dalla nostra anima i peccati di ieri e dedichiamoci a una vera penitenza, per meritare la salvezza. Guardiamoci dall'adulazione e procuriamo di fare del bene non solo ai fratelli, maanche a coloro che sono estranei alla nostra fede. Pratichiamo con essi la giustizia,perché il nome di Dio non sia bestemmiato per colpa nostra (cfr. Rm 2, 24).

Santa Margherita di Scozia

Nel suo celebre quadro, rappresentante il Paradiso, il Beato Angelico pose, fra molti frati, anche un Re e una Regina, volendo significare che la corona reale può unirsi all'aureola della santità. Sono infatti moltissimi i personaggi di sangue reale che fanno parte del martirologio e, fra questi, molte Margherite fra le quali, oltre a quella di oggi, c'è da segnalare: Margherita figlia del Re di Lorena, benedettina del XIII secolo; Margherita figlia del Re d'Ungheria, domenicana dello stesso secolo; Margherita figlia del Re di Baviera, vedova del XIV secolo; Margherita di Lorena (1463-1521), allevata come figlia dal Re Renato di Sicilia, Duca d'Angiò.
Margherita di Scozia nacque intorno al 1046, probabilmente in Ungheria. Era nipote di Edmondo II, detto Fianchi di Ferro, e figlia di Edoardo, rifugiatosi in terra straniera per sfuggire a Canuto, usurpatore del trono d'Inghilterra. Sua madre, Agata, sorella della Regina d'Ungheria, discendeva dal Re Magiaro Santo Stefano. Morto l'usurpatore Canuto, Edoardo ritornò in Inghilterra, quando Margherita aveva 9 anni, ma, dopo qualche tempo, la famiglia reale dovette fuggire ancora, questa volta in Scozia. Qui il Re Malcom III chiese la mano di Margherita cosicché , a ventiquattro anni, si sedeva sul trono di Scozia. Da questo matrimonio nacquero 6 figli maschi e 2 femmine che Margherita educò amorosamente e cristianamente; due figli, infatti, Edmondo (†1100) e Matilde (†1118) furono, anch'essi, proclamati santi. Suo marito, Malcom III, non era né malvagio né violento, soltanto un po' rude e ignorante. Non sapeva leggere, ed aveva un grande rispetto per la moglie istruita. Baciava i libri di preghiera che le vedeva leggere con devozione; chiedeva costantemente il suo consiglio. Ella non insuperbì per questo ma si mantenne discreta, rispettosa e modesta. Fu caritatevole verso i poveri, gli orfani, i malati, che assisteva e faceva assistere al Re.
Per la Scozia non corsero mai anni migliori di quelli passati sotto il governo veramente cristiano di Malcom III e di Margherita, la quale, benvoluta dai sudditi, amata dal marito, venerata dai figli, dedicava tutta la sua vita al bene della sua anima e al benessere degli altri. Non avendo dolori propri, cercò di lenire quelli degli altri; non avendo disgrazie familiari o dinastiche, cercò di soccorrere i disgraziati; non conoscendo né miseria né mortificazioni, cercò di consolare i miseri e gli umiliati. Durante la malattia, che la portò successivamente alla morte, apprese che il marito e il figlio maggiore erano caduti nella battaglia di Ainwick contro Guglielmo detto il Rosso.
A chi, con cautela, cercava di attenuare la crudeltà della notizia, Margherita fece capire di averla già avuta anzi ringraziò Dio di quel dolore che le sarebbe servito a scuotere, nelle ultime ore, i peccati di tutta la vita. Ciò non significava disamore e insensibilità verso il marito e il figlio morti. Ella sperava, anzi ne era certa, di riunirsi a loro, dopo quel doloroso passo, oltre la porta della morte, nella luce della Redenzione.
Morì a Edimburgo il 16 Novembre 1093.

Sant' Elisabetta d'Ungheria

Elisabetta, figlia di Andrea II il Gerosolimitano, re d'Ungheria, Galizia e Lodomira, e della sua prima moglie Gertrude di Merania, nacque a Sárospatak nel 1207. Nel 1211, a soli quattro anni di età è già fidanzata; i suoi genitori l'hanno promessa in sposa a Ludovico IV, figlio ed erede del sovrano di Turingia (all'epoca, questa regione tedesca è una signoria indipendente, il cui sovrano ha il titolo di Landgraf, langravio), Ermanno I, per sugellare l'alleanza delle due dinastie nella lotta contro l'imperatore Ottone IV. Subito viene condotta nel regno del futuro marito, per vivere e crescere lì, tra la città di Marburgo e Wartburg il castello presso Eisenach, dove venne educata dalla futura suocera, Sofia di Baviera. Nel 1217 muore il langravio di Turingia, Ermanno I. Gli succede il figlio, Ludovico IV, che nel 1221 sposa solennemente la quattordicenne Elisabetta. Ora i sovrani sono loro due. Lei viene chiamata «Elisabetta di Turingia».
Nel 1222 nasce il loro primo figlio, Ermanno. Seguono due bambine: nel 1224 Sofia (poi moglie di Enrico II di Brabante) e nel 1227 (29 settembre) Gertrude, che divenne badessa di Altenberg; quest'ultima viene al mondo già orfana di padre: l'11 settembre del 1227 Ludovico IV morì ad Otranto, mentre aspettava per imbarcarsi con Federico II alla volta della Terra Santa, dove doveva partecipare alla sesta crociata. Vedova a vent'anni con tre figli, Elisabetta riceve indietro la dote, e c'è chi fa progetti per lei: può risposarsi, a quell'età, oppure entrare in un monastero come altre regine, per viverci da regina, o anche da penitente in preghiera.
Si pose sotto la direzione spirituale del teologo Corrado di Marburgo: entrò nel Terzo Ordine Regolare di San Francesco e ritiratasi nell'ospedale, che aveva fatto erigere nel 1228 a Marburgo con i soldi della sua dote, si dedicò alla cura dei malati, visitandoli due volte al giorno, fino alla sua morte. Dopo la sua morte, il confessore rivelerà che, ancora vivente il marito, lei si dedicava ai malati, anche a quelli ripugnanti: «Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto, altri li portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre, senza mettersi tuttavia in contrasto con suo marito».«esteriori» , ispirati non a semplice benevolenza, ma al rispetto vero per gli «inferiori» : come il farsi dare del tu dalle donne di servizio. Ed era poi attenta a non eccedere con le penitenze personali, che potessero indebolirla e renderla meno pronta all'aiuto. Vive da povera e da povera si ammala, rinunciando pure al ritorno in Ungheria, come vorrebbero i suoi genitori, re e regina. Collocava la sua dedizione in una cornice di normalità che includeva anche piccoli gesti
Muore a Marburgo, a 24 anni, il 17 novembre 1231 ed è subito «gridata santa» da molte voci che inducono papa Gregorio IX a ordinare l'inchiesta sui prodigi che le si attribuiscono. Questo lavoro fu reso difficile da complicazioni anche tragiche: muore assassinato il confessore di lei e l'arcivescovo di Magonza cerca di sabotare le indagini ma Roma le fa riprendere.
Venne proclamata santa a Perugia da papa Gregorio IX il 27 maggio 1235 (festa della Pentecoste): la memoria liturgica della santa, originariamente fissata al 19 novembre, fu spostata nel 1969 al 17 novembre, suo dies natalis.
In Ungheria peró la sua festa continua ad essere celebrata il 19 novembre. È patrona dei panettieri e degli ospedalieri (secondo la tradizione, avrebbe trasformato in rose i pani che aveva nascosto per i poveri e gli ammalati) ed è, con san Luigi dei Francesi, patrona principale del Terzo Ordine Regolare di San Francesco.
I suoi resti, trafugati da Marburgo, durante i conflitti al tempo della Riforma protestante, sono ora custoditi in parte a Vienna.

San Leone I

Papa e Dottore della Chiesa

Il pontificato di Papa Leone I, come quello di san Gregorio I, fu il più significativo ed importante dell'antichità cristiana. In un periodo in cui la Chiesa stava sperimentando i più grandi ostacoli al suo progresso in conseguenza della rapida disintegrazione dell'Impero d'occidente mentre l'oriente era profondamente agitato da controversie dogmatiche, questo papa guidò il destino della Chiesa romana.
Secondo il Liber Pontificalis Leone nacque in Toscana in una data ignota e suo padre si chiamava Quintianus. Le prime evidenze storiche certe su Leone parlavano di lui come diacono della Chiesa romana sotto papa Celestino I (422-432). In questo periodo, comunque, era già noto al di fuori di Roma. Durante il pontificato di Sisto III (432-440), Leone I fu inviato in Gallia dall'imperatore Valentiniano III per ricomporre una disputa e far riconciliare Flavio Ezio, il comandante militare della provincia ed il prefetto del pretorio, Albino. Questo incarico è una prova della grande fiducia riposta, nell'intelligente e capace diacono, dalla corte imperiale. Mentre Leone si trovava ancora in Gallia apprese che Sisto III era morto, il 19 agosto 440, e che era stato già eletto lui, Leone, scelto unanimamente dal popolo. Al suo ritorno a Roma, Leone fu consacrato: era il 29 settembre.
L’Impero è in agonia e la giovane Chiesa è travagliata da scontri dottrinali e discordie. Con l’energia e la persuasione, Leone rafforza in Occidente l’autorità della Sede di Pietro e affronta duri contrasti in dottrina. L’abate orientale Eutiche, influente a Costantinopoli, sostiene che in Cristo esiste una sola natura (monofisismo), contro la dottrina della Chiesa sulle due nature, distinte ma non separate, nella stessa persona. Leone ottiene che l’imperatore Teodosio convochi nel 449 un concilio a Efeso (Asia Minore). Ma qui parlano solo gli “eutichiani”, senza ascoltare i legati di Leone. Negando validità a questo concilio, il Papa persuade il nuovo imperatore Marciano a indirne un altro nel 451: è il grande concilio di Calcedonia (presso Bisanzio), quarto ecumenico, che approva solennemente la dottrina delle due nature.
Intanto l’Occidente vive tempi di terrore. L’Impero non ha più un vero esercito e gli Unni di Attila, già battuti da Ezio nel 451, si riorganizzano in fretta e piombano sull’Alta Italia nel 452. Lo Stato impotente chiede a papa Leone di andare da Attila con una delegazione del Senato. S’incontrano presso Mantova dove Leone convince il capo unno a lasciare l’Italia, anche col pagamento di un tributo (la leggenda parlerà poi di una visione celeste che terrorizò Attila). Tre anni dopo, i Vandali d’Africa sono davanti a Roma col re Genserico. A difendere gli inermi c’è solo Leone che non può impedire il saccheggio ma ottiene l’incolumità dei cittadini ed evita l’incendio dell’Urbe. Leone sente fortemente la responsabilità di successore di Pietro; arricchisce la Chiesa col suo insegnamento; chiede obbedienza ai vescovi, ma li sostiene col consiglio personale, li orienta in dottrina, nello splendido latino dei suoi scritti, per "tenere con costanza la giustizia" e "offrire amorosamente la clemenza", poiché "senza Cristo non possiamo nulla, ma con Lui possiamo tutto".
Fece costruire una basilica sulla tomba di papa Cornelio sulla Via Appia; fece ricostruire il tetto della basilica di San Paolo fuori le mura, che era stato stato distrutto dal fulmine, e fece iniziare altre opere di miglioramento nella basilica stessa. Inoltre, persuase l'imperatrice Galla Placidia, come si evince dall'iscrizione, a far mettere in opera il grande mosaico dell'Arco di Trionfo che è sopravvissuto fino ai nostri giorni
Papa Leone non fu meno attivo nell'elevazione spirituale delle congregazioni romane, ed i suoi sermoni, dei quali si sono conservati ben 96, sono straordinari per la loro profondità, chiarezza di dizione ed elevatezza di stile. I primi cinque manifestavano l'alta concezione della dignità del suo ufficio, così come la completa convinzione del primato del vescovo di Roma, dimostrata in maniera così chiara e decisiva dalla sua opera di pastore supremo. Delle sue lettere, che sono di grande importanza per la storia della chiesa, se ne conservano 143, oltre ad altre 30 che gli furono inviate. Il cosiddetto Sacramentarium Leonianum è una raccolta di orazioni e prefazioni della messa, composto nella seconda metà del VI secolo.
Papa Leone morì il 10 novembre 461 e fu sepolto nel vestibolo di San Pietro in Vaticano. Nel 688 papa Sergio I fece traslare i suoi resti all'interno della basilica, e vi fece erigere sopra un altare. Essi, attualmente, si trovano in San Pietro, sotto l'altare, della cappella della Madonna della Colonna, a lui dedicato, dove furono traslati nel 1715.

Nel 1754 papa Benedetto XIV lo innalzò alla dignità di dottore della Chiesa (doctor ecclesiae). La Chiesa Cattolica Romana, fino al 1971, celebrava la sua festa l'11 aprile. Da quella data in poi, invece, la memoria viene celebrata il 10 novembre. Le Chiese Ortodosse orientali lo commemorano, invece, il 18 febbraio

venerdì 24 aprile 2009

Preghiera semplice

Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, fa ch'io porti amore,
dove è offesa, ch'io porti il perdono,
dove è discordia, ch'io porti la fede,
dove è l'errore, ch'io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch'io porti la speranza.
Dove è tristezza, ch'io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch'io porti la luce.
Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto:
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato, quanto ad amare
Poichè: Sì è: Dando, che si riceve:
Perdonando che si è perdonati;
Morendo che si risuscita a Vita Eterna.
Amen.

Santa Teresa di Gesù Bambino

Santa Teresa del Bambin Gesù, al secolo Thérèse Françoise Marie Martin, nacque il 2 gennaio 1873, ultimogenita di Louis Martin e Zelie Guerin, in rue Saint-Blaise 42, ad Alençon, cittadina della Normandia situata nel nord della Francia. I suoi genitori avevano desiderato entrambi di abbracciare la vita monastica: tuttavia i due si conobbero e, dopo un breve fidanzamento, il 13 luglio 1858, decisero di sposarsi pur vivendo il loro matrimonio nella castità. Andati ad abitare in via del Pont-Neuf, vissero per dieci mesi come fratello e sorella. Accadde invece che il loro confessore e padre spirituale li dissuase da questo proposito: nacquero loro così nove figli (ai quali diedero come secondo nome Maria): di questi quattro morirono ancora neonati. Dopo due mesi dalla nascita di Teresa, a metà marzo 1873, Zelie fu costretta a dare a balia l'ultima figlia presso una contadina, Rosa Taillè, dove visse per un anno. Zelie si ammalò di un tumore al seno, i cui primi sintomi si erano manifestati fin dal 1865, e morì nel 1877, quando Thérèse aveva appena quattro anni. Nei suoi manoscritti Teresa racconta che questa fu la prima bara che vide. La seconda fu soltanto quindici anni dopo, quando si trovò di fronte alla bara di madre Genoveffa di santa Teresa, anch'essa una delle figure più significative della sua breve vita. Le due sorelle maggiori di Teresa, Pauline prima e Marie dopo, sostituirono la madre, ma presto una dopo l'altra si fecero monache carmelitane. Quando Pauline entrò in monastero il 2 ottobre 1882, la crisi innescata dalla morte della madre si acuì sempre di più e Thérèse giunse a somatizzare anche gravemente il suo stato psichico. Desiderò seguire la sorella entrando pure lei in convento, ma ciò le fu negato perché era ancora troppo giovane (aveva solo 9 anni). Questa prima crisi si risolse nel giro di pochi mesi, ma si riacutizzò con l'ingresso in convento dell'altra sorella, Maria, nel 1886. La nevrosi si risolse improvvisamente e miracolosamente nella notte di Natale 1886. Da questa conversione scaturì in lei il bisogno di una ricerca e di una conoscenza approfondità di Dio, che Teresa definì "Scienza d'amore" ; questa ricerca sfociò poi nel desiderio di diventare suora carmelitana, seguendo le orme delle sorelle. Teresa decise quindi, seguendo l'esempio di Teresa d'Avila, di «mettersi sulle tracce» di Gesù, diventando anch'essa monaca, ma, essendo minorenne, non poteva ancora essere accettata nel monastero di Lisieux. Teresa infatti aveva solo 14 anni e per questo doveva chiedere prima l'autorizzazione a suo padre e al suo co-tutore: lo zio Guerin. Le monache del Carmelo avevano dato già il loro parere favorevole. Ottenuta l'autorizzazione del padre prima, quella dello zio (più difficilmente) poi, Teresa si trovò di fronte all'opposizione del parroco di Saint-Jacques, il reverendo Delatroètte, che le consigliò di rivolgersi al vescovo. Lei, piangente ma risoluta a raggiungere il suo scopo, disse che se anche il vescovo di Bayeux, Flavien-Abel-Antoinin Hugonin, non le avesse dato il permesso si sarebbe rivolta direttamente al Papa. Ottenuto il rifuto del vescovo, nel novembre 1887, insieme al padre Louis ed alla sorella prediletta Celine, Teresa attraversò tutta l'Italia diretta a Roma per rivolgere questa sua richiesta direttamente a papa Leone XIII. A Roma, all'udienza con Leone XIII, nonostante il divieto di parlare in presenza del Papa imposto dal vescovo di Bayeux, Teresa si inginocchiò davanti al Pontefice, chiedendogli di intervenire in suo favore presso le autorità ecclesiastiche competenti, sebbene non avesse ancora raggiunto l'età minima per l'ammissione in convento. Il Papa, tuttavia, non diede l'ordine auspicato ma le rispose che, se la sua entrata in monastero era scritta nella volontà di Dio, quest'ordine l'avrebbe dato il Signore stesso che certamente aveva più autorità del suo servo in terra. Sulla via del ritorno il Vescovo cambiò opinione su Thérèse, e, una volta tornati a casa, scaricando ogni responsabilità futura sulle carmelitane di Lisieux che spalleggiavano sin dall'inizio la vocazione di Thérèse, diede il proprio permesso. Fu così che, a poco più di quindici anni, il 9 aprile 1888 Teresa fece il suo ingresso al Carmelo, dove assunse il nome di "Teresa del Bambin Gesù", aggiungendovi in seguito "del Volto Santo" così che il nome completo di Thèrèse da religiosa è "Teresa del Bambin Gesù del Volto Santo". A Lisieux passò nove anni che si rivelarono di grande ricchezza spirituale. Nel 1893 fu nominata vice-maestra delle novizie, in aiuto a madre Maria Gonzaga. Nel 1894 morì papà Martin, che nei precedenti anni era stato colpito da arteriosclerosi cerebrale che gli aveva procurato stati di agitazione e gravi turbe psichiche. Come disse Teresa, fu un calvario per tutta la famiglia. Celine era l'unica della famiglia a non essersi fatta suora, ma quando Louis morì anche Celine entrò al Carmelo portandosi una delle recenti invenzioni della nuova era tecnologica, la macchina fotografica, ed è a lei che si devono le fotografie di Thérèse. Con il suo arrivo tutta la famiglia Martin, escludendo solo Leonie, era al completo nello stesso Carmelo di Lisieux. Nel 1895 Teresa ricevette l'ordine di scrivere la sua autobiografia dalla superiora del monastero (che era sua sorella maggiore): ha così modo di mettere per scritto la sua ricerca spirituale dell'amore e di farsi conoscere. Nacque così il Manoscritto autobiografico A, redatto quando ancora non era iniziata la prova della fede. In seguito, nel settembre 1896 e poi in giugno 1897, sempre in obbedienza alla nuova priora, madre Maria di Gonzaga, redasse rispettivamente gli altri due manoscritti: (catalogati come B e C) che nell'insieme formarono quell'opera postuma che prese il titolo di Storia di un'anima, nella quale racconta la sua vocazione e la semplicità della sua vita. La carmelitana ha chiaramente precisato il suo progetto sin dall'inizio del Manoscritto: « Mi ha chiesto di scrivere spontaneamente ciò che mi si presentasse al pensiero; non è dunque la mia vita propriamente detta che mi accingo a scrivere, ma i miei pensieri sulle grazie che il buon Dio s'è degnato accordarmi. » (Teresa di Lisieux "Manoscritto autobiografico A") Quasi contemporaneamente, nell'aprile del 1896, la suora contrasse la tubercolosi, malattia che nel giro di 18 mesi la portò alla morte. Questo periodo di malattia per consuetudine fu denominato "notte della fede" (« Bisogna avere viaggiato sotto questo buio tunnel per comprenderne l'oscurità - Thérèse Martin, Manoscritto autobiografico C,5v - ») e costituì il "calvario" di Thérèse in due sensi: nel corpo, per via della tubercolosi, che a quei tempi era molto difficile curare e guarire; nello spirito, per via della profonda crisi della fede che l'accompagnò. Durante questo periodo, come scrisse nel Manoscritto C, ella fu tentata di abbandonare la sua vocazione e si sentiva spinta all'ateismo ed al materialismo. Il grande desiderio di Teresa di recarsi in missione in Indocina non si realizzò mai a causa della sua malattia. Il progredire inarrestabile di essa, tuttavia, non le impedì di prendersi cura dei missionari in partenza per il sud-est asiatico e pregare per loro. A questo scopo, madre Maria di Gonzaga affidò quali fratelli spirituali, secondo una consuetudine del tempo, i missionari Maurice Belliere e Adolphe Roulland, missionari rispettivamente in Africa ed in Cina, affinché essa sostenesse, per mezzo della preghiera, il loro lavoro apostolico. Thérèse che aveva sempre desiderato avere un fratello sacerdote ed anche per questo si rammaricava per la morte precoce dei suoi veri fratelli di sangue, scrisse: dello scambio epistolare di Thérèse ed i missionari sono rimaste 36 lettere, di cui 11 di Thérèse a Belliere, 11 di Belliere a Thérèse, 8 di Roulland a Thérèse e 6 di Thérèse a Roulland. A partire dall'8 luglio 1897 Teresa lascia definitivamente la sua cella per l'infermeria del monastero e due giorni dopo interrompe la composizione del manoscritto C, che rimase così incompiuto. All'8 settembre risale il suo ultimo autografo, su una immagine di Nostra Signora delle Vittorie a lei molto cara. La santa morì a soli 24 anni, il 1° ottobre 1897, mormorando «Non posso respirare; non posso morire. Ma voglio soffrire ancora» e, rivolta al Crocefisso: «Io ti amo, mio Dio, io ti amo». Il giorno dopo il suo corpo venne esposto nel coro, dietro le grate. Davanti al feretro sfilarono fino alla domenica sera parenti, amici e fedeli facendo toccare al corpo esanime di Teresa rosari e medaglie, secondo l'usanza di quei tempi. La mattina del 4 ottobre un carro funebre trainato da due cavalli condusse la salma della grande mistica nel nuovo cimitero delle Carmelitane e ne occupò il primo posto. Pio XI nel 1925 la proclamava santa e due anni dopo la dichiarava «Patrona delle Missioni»; dal 1944, assieme a Giovanna d'Arco, è considerata anche patrona di Francia. Dal 19 ottobre 1997, dopo che la richiesta di dottorato era stata fatta alla Santa Sede, una prima volta nel 1932 e poi ripresa nel 1987, Giovanni Paolo II l'ha nominata Dottore della Chiesa: è il 33° Dottore della Chiesa e la terza donna a ricevere questo riconoscimento dopo Teresa d'Avila e Caterina da Siena, entrambe dichiarate dottore della Chiesa da Paolo VI nel 1970.

Speranza

Ci è stato promesso ciò che attualmente non possediamo; e poiché è verace colui che ha promesso, noi ci rallegriamo nella SPERANZA, anche se, non possedendo ancora quello che desideriamo, il nostro desiderio appare come un gemito.
E' fruttuoso per noi perseverare nel desiderio fino a quando ci giunga ciò che è stato promesso e così passi il gemito e gli subentri solo la lode. La storia del nostro destino ha due fasi: una che trascorre ora in mezzo alle tentazioni e tribolazioni di questa vita, l'altra che sarà nella sicurezza e nella gioia eterna. Per questo motivo è stata istituita per noi anche la celebrazione dei due tempi, cioè quello prima di Pasqua e quello dopo Pasqua. Il tempo che precede la Pasqua raffigura la tribolazione nella quale ci troviamo; invece quello che segue la Pasqua, rappresenta la beatitudine che godremo. Ciò che celebriamo prima di Pasqua, è anche quello che operiamo. Ciò che celebriamo dopo Pasqua, indica quello che ancora non possediamo. Per questo trascorriamo il primo tempo in digiuni e preghiere. L'altro, invece, dopo la fine dei digiuni lo celebriamo nella lode. Ecco perché cantiamo: alleluia. Impegnatevi a lodare con tutto il vostro essere: cioè non solo la vostra lingua e la vostra voce lodino Dio, ma anche la vostra coscienza, la vostra vita, le vostre azioni»
(Dai «Commenti sui salmi» di Sant'Agostino, vescovo - Sal. 148, 1-2).

Se sarete bambini non avrete dispiaceri

Se sarete bambini non avrete dispiaceri: i bambini dimenticano subito i loro guai per tornare ai giochi abituali. —Pertanto, abbandonandovi, non avrete di che preoccuparvi, giacché riposerete nel Padre. (Cammino, 864)

All'inizio degli anni quaranta, mi recavo spesso a Valenza. Non avevo alcun mezzo umano, e con coloro che — come ora voi — si riunivano col povero sacerdote che vi parla, facevo orazione ovunque si potesse, qualche sera sulla spiaggia deserta. Come i primi amici del Maestro, ricordi? San Luca scrive che, alla partenza da Tiro, diretti con Paolo a Gerusalemme, tutti ci accompagnarono con le mogli e i figli sin fuori dalla città, e inginocchiati sulla spiaggia pregammo [Cfr. At 21,5.].
Un giorno, a sera inoltrata, durante un meraviglioso tramonto valenziano, vedemmo avvicinarsi una barca alla riva: ne balzarono fuori degli uomini bruni, forti come rocce, bagnati, a torso nudo, bruciati dal vento da sembrare di bronzo. Incominciarono a tirar fuori dall'acqua la rete tesa in mare dalla barca per la pesca a strascico: era piena di pesci lucenti, d'argento. Tiravano vivacemente, affondando i piedi nella sabbia, con sorprendente energia. D'improvviso sopraggiunse un bimbo, anche lui abbronzato: si avvicinò alla corda, l'afferrò con le sue manine e incominciò a tirare con evidente imperizia. Quei pescatori rudi, per nulla raffinati, certamente si sentirono intenerire il cuore, e consentirono al bambino di collaborare; non lo allontanarono, anche se più che altro era d'intralcio.
Pensai a voi e a me; a voi, che ancora non conoscevo, e a me; a questo nostro tirare le reti tutti i giorni, in tanti aspetti. Se ci presentiamo davanti a Dio nostro Signore come quel bambino, convinti della nostra debolezza, ma disposti ad assecondare i Suoi progetti, raggiungeremo la meta più facilmente: porteremo a riva la rete, piena di frutti abbondanti, perché dove le nostre forze vengono meno, interviene la potenza di Dio.(Amici di Dio, 14)

giovedì 23 aprile 2009

sono stata negli abissi dell'Inferno

Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'Inferno.
É un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi della coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale, acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie.
Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti.
Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda ed indescrivibile.
Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità.
Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c'è mai stato e nessuno sa come sia.
Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. I demoni hanno dimostrato un grande odio contro di me, ma per ordine di Dio hanno dovuto ubbidirmi. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno. Quando ritornai in me, non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là soffrono così tremendamente, per questo prego con maggior fervore per la conversione dei peccatori, ed invoco incessantemente la misericordia di Dio per loro.

Dal "Diario" di Santa Faustina Kowaslka, Libreria Editrice vaticana
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Storia di un'anima

Mi sono chiesta a lungo perché il Buon Dio facesse delle preferenze, perché tutte le anime non ricevessero un uguale grado di grazie; mi stupivo vedendolo elargire favori straordinari ai Santi che l'avevano offeso, come San Paolo e sant'Agostino e che Egli costringeva, per così dire, a ricevere le sue grazie; o leggendo la vita dei Santi che Nostro Signore si è compiaciuto di coccolare dalla culla alla tomba, senza lasciare sul loro cammino alcun ostacolo che impedisse loro di elevarsi verso di Lui, e prevenendo queste anime con favori tali che non potevano fare a meno di conservare immacolato lo splendore della loro veste battesimale, mi domandavo perché i poveri selvaggi, per esempio, morivano così numerosi prima di aver solo sentito pronunciare il nome di Dio...
Gesù si è degnato di istruirmi su questo mistero, ha messo davanti ai miei occhi il libro della natura, e ho capito che tutti i fiori che ha creato sono belli, che lo splendore della rosa e il candore del Giglio non cancellano il profumo della piccola violetta o la semplicità incantevole della margheritina...
Ho capito che se tutti i fiorellini volessero essere delle rose, la natura perderebbe il suo manto primaverile, i campi non sarebbero più smaltati di fiorellini...
Così accade nel mondo delle anime che è il giardino di Gesù. Egli ha voluto creare i grandi Santi che possono essere paragonati al Giglio e alle rose, ma ne ha creati anche di piccoli, e questi devono accontentarsi di essere delle pratoline e delle violette, destinate a rallegrare lo sguardo del Buon Dio quando lo abbassa ai suoi piedi; la perfezione consiste nel fare la Sua volontà, nell'essere quello che Lui vuole...
Ho capito anche che l'amore di Nostro Signore si rivela tanto all'anima più semplice, che non oppone alcuna resistenza alla sua grazia, quanto all'anima più sublime; infatti, dato che il gesto più proprio dell'amore è di abbassarsi, se tutte le anime assomigliassero a quelle dei Santi dottori che hanno illuminato la Chiesa con lo splendore della loro dottrina, il Buon Dio non scenderebbe abbastanza in basso giungendo fino al loro cuore; ma Egli ha creato il bambino che non sa niente e fa sentire solo deboli grida, ha creato il povero selvaggio che è guidato solo dalla legge naturale ed è fino al loro cuore che Egli si degna di abbassarsi, sono proprio questi i suoi fiori di campo la cui semplicità lo rapisce... Discendendo in questo mondo il Buon Dio mostra la sua grandezza infinita.
Come il sole rischiara sia i cedri sia ogni fiorellino, come se esso fosse l'unico sulla terra, così Nostro Signore si occupa in modo particolare di ogni anima come se essa non avesse uguali; e come in natura tutte le stagioni sono regolate in modo da far sbocciare, nel giorno stabilito, anche la più umile margheritina, allo stesso modo tutto concorre al bene di ogni anima.

Tratto da: "Storia di un'anima", di Santa Teresa di Lisieux
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Signore Gesù

Signore Gesù aiutami nella mia ricerca della Luce.
So che Tu mi guidi sulla giusta strada.
Ma quante volte ho lasciato la Tua mano per percorrere bui sentieri.
Ma poi come un bimbo sempre Ti ho cercato e Tti cerco.
Manda Signore il Tuo spirito nel nostro cuore.
Sia Lode a Te.

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O Signore

O Signore come peccatore, mi prostro ai tuoi piedi.
Vorrei deporre infiniti doni d'amore, ma tra le mie mani

c'è solo la miseria delle mie cattiverie,
dei miei dinieghi verso i fratelli.
O Signore manda il tuo spirito nel mio cuore
affinche' rischiari di luce la mia vita.
Lode a te o Signore.
Sia fatta la Tua volontà.

Ai tuoi piedi

Ai tuoi piedi depongo Signore
I miei innumerevoli peccati.
Oh Signore se fossero azioni nobili
allora la mia sera sarebbe dolcissima.
Ma non ho altro da offrirti
se non la mia miseria
ed il mio fragile amore.

Ama

Ama finche’ non ti fa male, e se ti fa male, proprio per questo sara’ meglio.
Perche’ lamentarsi?
Se accetti la sofferenza e la offri a Dio, ti dara’ gioia.
La sofferenza e’ un grande dono di Dio: chi l’accoglie,
chi ama con tutto il cuore, chi offre se stesso ne conosce il valore.

Madre Teresa di Calcutta

Grazie Signore per tutto cio' che oggi mi hai donato.
Perdona le mie fragilita'
A te mi affido.
Alla tua misericordia mi dono.

mercoledì 22 aprile 2009

Se vedi chiaramente il tuo cammino, seguilo

Perché non ti dai a Dio una buona volta..., sul serio..., adesso? (Cammino, 902)

Se vedi chiaramente il tuo cammino, seguilo.
—Perché non respingi la vigliaccheria che ti trattiene?(Cammino, 903)

“Andate, predicate il Vangelo... Io sono con voi...”. —Lo ha detto Gesù... e lo ha detto a te. (Cammino, 904)

“Et regni eius non erit finis”. —Il suo Regno non avrà fine!Non ti dà gioia lavorare per un regno così? (Cammino, 906)

“Nesciebatis quia in his quae Patris mei sunt oportet me esse?” —Non sapevate che devo occuparmi delle cose che riguardano il servizio del Padre mio? Risposta di Gesù adolescente. E risposta a una Madre come sua Madre, che da tre giorni lo va cercando, credendolo perduto. —Risposta che ha per complemento quelle parole di Cristo trascritte da San Matteo: “Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me”.(Cammino, 907)

Tu sei sale, anima d'apostolo

Tu sei sale, anima d'apostolo. —“Bonum est sal”— il sale è buono, si legge nel Santo Vangelo; “si autem sal evanuerit” —ma se il sale diventa scipìto... non serve a nulla, né per la terra, né per il concime; lo si getta via come cosa inutile. Tu sei sale, anima d'apostolo. —Ma se diventi scipìto... (Cammino, 921)

Noi cattolici dobbiamo procedere nella vita come apostoli: con la luce di Dio, con il sale di Dio. Senza paura, con naturalezza, ma con tale vita interiore, con tale unione con Dio, da illuminare, da evitare la corruzione e le ombre, da distribuire il frutto della serenità e l'efficacia della dottrina cristiana. (Forgia, 969)

In momenti di disorientamento generale, quando invochi il Signore — per le anime che sono sue! —, sembra come se non ti ascoltasse, come se fosse sordo alle tue invocazioni. Arrivi persino a pensare che il tuo lavoro apostolico sia vano.— Non ti preoccupare! Continua a lavorare con la stessa gioia, con la stessa vibrazione, con lo stesso slancio. — Permettimi di insistere: quando si lavora per Dio, nulla è infecondo! (Forgia, 978)

Figlio mio: tutti i mari del mondo sono nostri, e proprio dove la pesca è più difficile, essa è ancor più necessaria. (Forgia, 979)

Con la tua dottrina di cristiano, con la tua vita integra e con il tuo lavoro ben fatto, devi dare, nell'esercizio della tua professione, nel compimento dei doveri del tuo ufficio, buon esempio a quelli che ti circondano: parenti, amici, colleghi, vicini, alunni... — Non puoi essere un pasticcione. (Forgia, 980)

Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato

Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Esposizioni sui salmi, Sal 126

«Vano è per voi levarvi prima della luce» dice un salmo (126,2). Tali erano i figli di Zebedeo, i quali, prima di umiliarsi conformandosi alla passione del Signore, già si sceglievano il posto dove assidersi: uno alla sua destra, l'altro alla sua sinistra. Volevano «levarsi prima della luce»... Così anche Pietro. Si levò prima della luce quando osò dare al Signore il suggerimento di non patire per noi.
Gesù aveva parlato della sua passione, causa della nostra salvezza, e delle umiliazioni che l'avrebbero accompagnata: difatti egli patì e fu umiliato. Ascoltando le parole con cui il Signore prediceva la sua prossima passione, Pietro restò esterrefatto, tanto più che poco prima l'aveva definito Figlio di Dio. Temette che avesse davvero a morire e gli disse: «Lungi da te questo, Signore! Sia a te propizio Iddio! Non ti accadrà una cosa del genere» (cfr Mt 16,22). Voleva levarsi prima della luce e dare suggerimenti alla luce. Ma cosa fece il Signore? Lo costrinse a levarsi dopo la luce. «Va' dietro a me»... «Va' dietro a me, in modo che io preceda e tu segua. Passa per la strada dove son passato io; non pretendere di guidarmi là dove tu saresti contento d'andare»...
Con che senno volete dunque essere esaltati prima della luce, o figli di Zebedeo? Ci sia lecito parlare così e servirci del loro nome: tanto essi non si adireranno contro di noi! Inoltre, se queste cose sono state scritte di loro, è perché gli altri evitassero la superbia della quale essi furono rimproverati. Con che criterio, quindi, volete levarvi prima della luce? È vano per voi. Volete essere glorificati prima di subire le umiliazioni? Ma lo stesso vostro Signore, lui che è la vostra luce, per essere esaltato fu prima umiliato! Ascoltate cosa dice Paolo. «Essendo di natura divina, non ritenne un'appropriazione indebita la sua uguaglianza con Dio.... Per amor nostro egli si svuotò prendendo la forma di schiavo, e divenendo simile all'uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e morte di croce. Per questo, Dio lo esaltò» (Fil 2,6s).

Agiamo da figli di Dio?

Un figlio di Dio non ha paura della vita e non ha paura della morte, perché il fondamento della sua vita spirituale è il senso della filiazione divina: Dio è mio Padre, egli pensa, ed è l'Autore di ogni bene, è tutta la Bontà. — Ma tu e io, agiamo davvero da figli di Dio? (Forgia, 987)

La nostra condizione di figli di Dio ci porterà — insisto — ad avere spirito contemplativo in mezzo a tutte le attività umane — luce, sale e lievito, attraverso l'orazione, la mortificazione, la cultura religiosa e professionale — facendo diventare realtà questo programma: quanto più siamo immersi nel mondo, tanto più dobbiamo essere di Dio. (Forgia, 740)

Quando si lavora per Dio, bisogna avere “complesso di superiorità”, ti ho ricordato.
Ma questa, mi domandavi, non è una manifestazione di superbia? — No! È una conseguenza dell'umiltà, di un'umiltà che mi fa dire: Signore, Tu sei colui che è. Io sono la negazione. Tu hai tutte le perfezioni: la potenza, la fortezza, l'amore, la gloria, la sapienza, il dominio, la dignità... Se io mi unisco a Te, come un figlio che si mette nelle forti braccia di suo padre o nel grembo dolce di sua madre, sentirò il calore della tua divinità, sentirò le luci della tua sapienza, sentirò scorrere nel mio sangue la tua fortezza. (Forgia, 342)

Dio ci sta vicino continuamente

Bisogna convincersi che Dio ci sta vicino continuamente. Viviamo come se il Signore fosse lassù, lontano, dove brillano le stelle, e non pensiamo che è sempre anche al nostro fianco. E lo è come un Padre amoroso —vuol bene a ciascuno di noi più di quanto tutte le madri del mondo possano voler bene ai loro figli— per aiutare, ispirare, benedire... e perdonare. (Cammino, 267)

Cerca riposo nella filiazione divina. Dio è un padre pieno di tenerezza, di infinito amore. Chiamalo Padre molte volte al giorno e digli — da solo a solo, nel tuo cuore — che lo ami, che lo adori, che senti l'orgoglio — che ti riempie di forza — di essere suo figlio. Vivrai così un autentico programma di vita interiore che ha come perno quelle norme di pietà con Dio — poche, ripeto, ma costanti —, che ti permetteranno di acquistare i sentimenti e le maniere di un buon figlio.

Devo ancora metterti in guardia contro il pericolo dell'assuefazione — vera tomba della pietà —, che si presenta di frequente mascherata dall'ambizione di realizzare o intraprendere gesta importanti, mentre si trascura per comodità il dovere quotidiano. Quando avverti questa tentazione, mettiti sinceramente alla presenza del Signore: pensa se il tedio di dover lottare sempre sullo stesso punto non dipende dal fatto di non avere cercato Dio; guarda se è venuta meno — per mancanza di generosità, di spirito di sacrificio — la perseveranza fedele nel lavoro. In questa situazione, le norme di pietà, le piccole mortificazioni, l'attività apostolica che non ottiene frutto immediato, ci appaiono tremendamente sterili. Siamo vuoti e forse cominciamo a sognare nuovi progetti, per far tacere la voce del nostro Padre del Cielo, che reclama lealtà totale. E, con l'anima ossessionata dalle cose grandi, lasciamo da parte la realtà più sicura, il cammino che senza dubbio ci conduce direttamente alla santità: segno certo che abbiamo perso la prospettiva soprannaturale, che è venuta meno la convinzione di essere bambini piccini, come pure la persuasione che nostro Padre opererebbe in noi meraviglie, se ricominciassimo con umiltà. (Amici di Dio, 150)

Arrivò una donna di Samaria ad attingere acqua

Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Trattato 15, 10-12. 16-17; CCl 36, 154-156)

«E arrivò intanto una donna» (Gv 4, 7): figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma ormai sul punto di esserlo. E' questo il tema della conversione. Viene senza sapere, trova Gesù che inizia il discorso con lei.
Vediamo su che cosa, vediamo perché «Venne una donna di Samaria ad attingere acqua». I samaritani non appartenevano al popolo giudeo: erano infatti degli stranieri. E' significativo il fatto che questa donna, la quale era figura della Chiesa, provenisse da un popolo straniero. La Chiesa infatti sarebbe venuta dai pagani, che, per i giudei erano stranieri.
Riconosciamoci in lei, e in lei ringraziamo Dio per noi. Ella era una figura non la verità, perché anch'essa prima rappresentò la figura per diventare in seguito verità. Infatti credette in lui, che voleva fare di lei la nostra figura. «Venne, dunque, ad attingere acqua». Era semplicemente venuta ad attingere acqua, come sogliono fare uomini e donne.
«Gesù le disse: Dammi da bere. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani» (Gv 4, 7-9).
Vedete come erano stranieri tra di loro: i giudei non usavano neppure i recipienti dei samaritani. E siccome la donna portava con sé la brocca con cui attingere l'acqua, si meravigliò che un giudeo le domandasse da bere, cosa che i giudei non solevano mai fare. Colui però che domandava da bere, aveva sete della fede della samaritana. Ascolta ora appunto chi è colui che domanda da bere. «Gesù le rispose: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10).
Domanda da bere e promette di dissetare. E' bisognoso come uno che aspetta di ricevere, e abbonda come chi è in grado di saziare. «Se tu conoscessi», dice, «il dono di Dio».
Il dono di Dio è lo Spirito Santo.
Ma Gesù parla alla dottrina in maniera ancora velata, e a poco a poco si apre una via al cuore di lei. Forse già la istruisce. Che c'è infatti di più dolce e di più affettuoso di questa esortazione: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva»?Quale acqua, dunque, sta per darle, se non quella di cui è scritto: «E' in te sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
Infatti come potranno aver sete coloro che «Si saziano dell'abbondanza della tua casa»? (Sal 35, 9).
Prometteva una certa abbondanza e sazietà di Spirito Santo, ma quella non comprendeva ancora, e, non comprendendo, che cosa rispondeva? La donna gli dice: «Signore dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4, 15). Il bisogno la costringeva alla fatica, ma la sua debolezza non vi si adattava volentieri. Oh! se avesse sentito: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò»! (Mt 11, 28). Infatti Gesù le diceva questo, perché non dovesse più faticare, ma la donna non capiva ancora.

Pescatori d'uomini

“Sapendomi pescatore di uomini… non pesco?”
Il Signore vuole da te un apostolato concreto, come quello della pesca di quei centocinquantatré grossi pesci e non altri, presi alla destra della barca. E mi domandi: come mai, pur sapendomi pescatore di uomini, vivendo a contatto con molti compagni, e pur potendo capire verso chi deve essere diretto il mio apostolato specifico, non pesco?... Mi manca Amore? Mi manca vita interiore? Ascolta la risposta dalle labbra di Pietro, nell'altra pesca miracolosa: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla; tuttavia, sulla tua parola, getterò la rete». In nome di Cristo, ricomincia di nuovo. Rinvigorito: via quella fiacchezza! (Solco 377)

L'apostolato, ansia che consuma interiormente il cristiano della strada, non è qualcosa di diverso dal compito di ogni giorno: si confonde col lavoro quotidiano, quando esso è trasformato in occasione di incontro personale con Cristo. In questo lavoro, impegnandoci gomito a gomito negli stessi problemi dei nostri compagni, dei nostri amici, dei nostri parenti, potremo aiutarli a raggiungere Cristo, che ci attende presso la riva del lago. Come Pietro prima di essere apostolo, pescatore; dopo essere stato eletto apostolo, pescatore. Prima e dopo la stessa professione.
Passa accanto agli apostoli, accanto ad anime che si sono date a Lui: ed essi non se ne rendono conto. Quante volte c'è Cristo, e non accanto a noi, ma in noi; eppure viviamo una vita tanto umana! Cristo è vicino, ma i suoi figli non gli rivolgono uno sguardo d'affetto, né una parola d'amore, né gli dedicano un'opera di zelo.
Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontano da terra se non un centinaio di metri [Gv 21, 8]. Subito mettono la pesca ai piedi del Signore, perché è sua.

Così noi impariamo che le anime sono di Dio, che nessuno su questa terra può attribuirsene la proprietà, e che l'apostolato della Chiesa — che è annuncio e realtà di salvezza — non si fonda sul prestigio di qualcuno, ma sulla grazia divina. (Amici di Dio, 264-267)

Dio ama chi dona con gioia

Soffri! —Ebbene, ascolta: “Lui” non ha il Cuore più piccolo del nostro. —Soffri? È bene che sia così. (Cammino, 230)

Ti avverto che le grandi penitenze sono compatibili anche con le cadute spettacolari provocate dalla superbia. Invece, con il continuo desiderio di piacere a Dio nelle piccole battaglie personali — ad esempio, sorridere quando non se ne ha voglia; e vi posso assicurare che, talvolta, un sorriso costa più di un'ora di cilicio —, è difficile dar spago all'orgoglio, alla ridicola ingenuità di considerarci eroi illustri: ci vediamo come bambini capaci di offrire al loro padre soltanto delle cose da nulla, che però sono ricevute con immensa gioia.
Allora il cristiano deve sempre essere mortificato? Sì, ma per amore. Forse fino a questo momento non ci eravamo sentiti spinti a seguire così da vicino le orme di Cristo. Forse non ci eravamo resi conto che possiamo unire al suo sacrificio redentore le nostre piccole rinunce: per i nostri peccati, per i peccati degli uomini di ogni tempo, per il malvagio lavoro di Lucifero che continua ad opporre a Dio il suo non serviam! Come oseremo dire senza ipocrisia: «Signore, mi fanno male le offese che feriscono il tuo amabilissimo Cuore», se non saremo decisi a privarci di una piccola cosa, o ad offrire un piccolo sacrificio a lode del suo Amore?
La penitenza — vera riparazione — ci lancia sul cammino della dedizione, della carità. Dedizione per riparare, e carità per aiutare gli altri, come Cristo ha aiutato noi.Da ora in poi, abbiate fretta di amare. L'amore impedirà di lamentarci, di protestare. Perché spesso sopportiamo le contrarietà, è vero; però ci lamentiamo, e allora, oltre a sprecare la grazia di Dio, gli impediamo, in futuro, di esigerci ancora. Hilarem enim datorem diligit Deus [2 Cor 9, 7].

Dio ama chi dona con gioia, con la spontaneità che nasce da un cuore innamorato, senza le smancerie di chi si dona come per fare un piacere. (Amici di Dio, 139-140)

martedì 21 aprile 2009

L'uomo anela a sapere

L'uomo, per sua natura, anela a sapere; ma che importa il sapere se non si ha il timor di Dio? Certamente un umile contadino che serva il Signore è più apprezzabile di un sapiente che, montato in superbia e dimentico di ciò che egli è veramente, vada studiando i movimenti del cielo. Colui che si conosce a fondo sente di valere ben poco in se stesso e non cerca l'approvazione degli uomini. Dinanzi a Dio, il quale mi giudicherà per le mie azioni, che mi gioverebbe se io anche possedessi tutta la scienza del mondo, ma non avessi l'amore? Datti pace da una smania eccessiva di sapere: in essa, infatti, non troverai che sviamento grande ed inganno. Coloro che sanno desiderano apparire ed essere chiamati sapienti. Ma vi sono molte cose, la cui conoscenza giova ben poco, o non giova affatto, all'anima. Ed è tutt'altro che sapiente colui che attende a cose diverse da quelle che servono alla sua salvezza. I molti discorsi non appagano l'anima; invece una vita buona rinfresca la mente e una coscienza pura dà grande fiducia in Dio. Quanto più grande e profonda è la tua scienza, tanto più severamente sarai giudicato, proprio partendo da essa; a meno che ancor più grande non sia stata la santità della tua vita.

Vanità è dunque ricercare le ricchezze

Vanità è dunque ricercare le ricchezze, destinate a finire, e porre in esse le nostre speranze. Vanità è pure ambire agli onori e montare in alta condizione. Vanità è seguire desideri carnali e aspirare a cose, per le quali si debba poi essere gravemente puniti. Vanità è aspirare a vivere a lungo, e darsi poco pensiero di vivere bene. Vanità è occuparsi soltanto della vita presente e non guardare fin d'ora al futuro. Vanità è amare ciò che passa con tutta rapidità e non affrettarsi là, dove dura eterna gioia. Ricordati spesso di quel proverbio: "Non si sazia l'occhio di guardare, né mai l'orecchio è sazio di udire" (Qo 1,8). Fa', dunque, che il tuo cuore sia distolto dall'amore delle cose visibili di quaggiù e che tu sia portato verso le cose di lassù, che non vediamo. Giacché chi va dietro ai propri sensi macchia la propria coscienza e perde la grazia di Dio.

Trova il tempo

Trova il tempo di pensare
Trova il tempo di pregare
Trova il tempo di ridere
È la fonte del potere
È il più grande potere sulla Terra
È la musica dell'anima.

Trova il tempo per giocare
Trova il tempo per amare ed essere amato
Trova il tempo di dare
È il segreto dell'eterna giovinezza
È il privilegio dato da Dio
La giornata è troppo corta per essere egoisti.

Trova il tempo di leggere
Trova il tempo di essere amico
Trova il tempo di lavorare
E' la fonte della saggezza
E' la strada della felicità
E' il prezzo del successo.

Trova il tempo di fare la carità
E' la chiave del Paradiso.

(Iscrizione trovata sul muro della Casa dei Bambini di Calcutta.)

Preghiera per le anime del purgatorio

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto. Gloria al Padre..

1) Gesù, per il sudore di Sangue che versasti nell'Orto degli Ulivi, quando Ti vedesti ricoperto del cumulo dei peccati degli uomini di tutti i tempi e ne avesti un grande ribrezzo, ma per nostro amore li accet­tasti su di Te, Vittima espiatoria dell'umanità, abbi misericordia delle Anime dei miei parenti che soffrono in Purgatorio.
Padre nostro Ave Maria L'eterno riposo
2) Gesù, per la crudele flagellazione che soffristi legato alla colonna, docile bersaglio di un'umanità empia e scellerata, abbi misericordia delle Anime dei miei amici e conoscenti che penano in Purgatorio.
Padre nostro Ave Maria L'eterno riposo

3) Gesù, per il casco di spine che Ti procurò terribili fitte alla testa e abbondanti perdite di sangue, abbi misericordia dell'Anima più abbandonata, priva di suf­fragi, e di quella che è più lontana ad essere liberata dalle pene del Purgatorio.
Padre nostro Ave Maria L'eterno riposo

4) Gesù, per quei dolorosi passi che facesti con la Croce sulle spalle che Ti procurò una piaga dolorosis­sima, abbi misericordia dell'Anima più prossima ad uscire dal Purgatorio, e per le pene che provasti insie­me alla tua Santissima Madre quando Vi incontraste lungo la via del Calvario, libera dalle pene del Purgatorio le Anime che furono devote della più tenera e addolorata delle madri.
Padre nostro Ave Maria L'eterno riposo

5) Gesù, per il tuo santissimo corpo steso sulla Croce, per i piedi e le mani trafitte da grossi chiodi, per la morte crudele e per il tuo santissimo Cuore aperto dalla lancia, abbi pietà e misericordia delle Anime del Purgatorio; liberale dalle pene che soffrono, chiamale a Te, accoglile finalmente tra le tue braccia in Paradiso.
Padre nostro Ave Maria L'eterno riposo
.
Preghiamo
Padre misericordioso, che nella tua grande bontà e nel tuo immenso amore, non hai abbandonato le Anime che soffrono in Purgatorio, anzi, sei felice di alleviarne le pene per mezzo delle nostre preghiere, Ti preghiamo di sollevarle dai tormenti e di esaudirne le preghiere e le suppliche. Ti ricordiamo, Padre, il Sangue versato da Gesù nella dolorosa Passione e Morte che sostenne per noi e per loro. Per tutti i peccati che le Anime che ora soffrono in Purgatorio commisero, Ti offro in riparazione la sua vita santissima e per le pene a cui soggiacciono con tanto dolore, Ti offro tutte le penitenze, i digiuni, i sacrifici, le preghiere, le fatiche, le afflizioni, i colpi, le ferite, la Passione e la Morte che Gesù, innocente e santo, volontariamente sostenne, e Ti prego, per tali offerte, di condurle alla gioia eterna. Amen.

Recita giornaliera di tre Ave Maria

Santa Matilde di Hackeborn, monaca benedettina morta nel 1298, pensando con timore al momento della sua morte, pregava la Madonna di assisterla in quel mo mento estremo. Consolatissima fu la risposta della Madre di Dio: «Sì, farò quello che mi domandi, figlia mia, però ti chiedo la recita giomaliera di Tre Ave Maria: la prima per ringraziare l’Eterno Padre per avermi resa onnipotente in Cielo e in terra; la seconda per onorare il Figlio di Dio per avermi data tale scienza e sapienza da sorpassare quella di tutti i Santi e di tutti gli Angeli, e per avermi circonfusa di tanto splendore da illuminare, come sole splendente, tutto il Paradiso; la terza per onorare lo Spirito Santo per aver acceso nel mio cuore le fiamme più ardenti del suo amore e per avermi fatta così buona e benigna da essere, dopo Dio, la più dolce e la più misericordiosa».
Ed ecco la speciale promessa di Maria Santissima che vale per tutti:
«Nell’ora della morte, io:
1) ti sarò presente confortandoti e allontanando ogni forza diabolica;
2) t’infonderò luce di fede e conoscenza affinché la tua fede non venga tentata per ignoranza;
3) t’assisterò nell’ora del tuo trapasso infondendo nell’anima tua la sua vita del divino Amore affinché prevalga in te tanto da mutare ogni pena e amarezza di morte in grande sua vita»
(Liber specialis gratiae - p. I - cap. 47).
La speciale promessa di Maria Santissima ci assicura quindi tre cose:
1) la sua presenza nel momento della nostra morte per confortarci e tenere lontano il demonio con le sue tentazioni;
2) l’infusione di tanta luce di fede da escludere ogni tentazione che potrebbe causarci l’ignoranza religiosa;
3) nell’ora estrema della nostra vita, la Madre di Dio ci colmerà di tanta dolcezza di amore divino da non farci sentire la pena e l’amarezza della morte.
Molti Santi, fra cui Sant’Alfonso Maria de Liquori, San Giovanni Bosco, Padre Pio da Pietralcina, furono zelanti propagatori della devozione delle Tre Ave Maria.
In pratica, per ottenere la promessa di Maria, basta recitare con devozione mattina o sera (meglio ancora se mattina e sera) Tre Ave Maria secondo l’intenzione manifestata dalla Madonna a Santa Matilde.
È lodevole aggiungere una preghiera a San Giuseppe, Patrono dei moribondi: «Ave Giuseppe, pieno di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetto fra gli uomini e benedetto è il frutto di Maria, Gesù. O San Giuseppe, Padre putativo di Gesù e Sposo della sempre Vergine Maria, prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte. Amen».
Qualcuno potrebbe pensare: se con la recita giornaliera delle Tre Ave Maria mi salverò, allora potrò continuare a peccare tranquillamente, tanto mi salverò lo stesso!
No; pensare questo è farsi ingannare dal demonio, perché le anime rette sanno benissimo che nessuno può salvarsi senza la sua libera corrispondenza alla grazia di Dio, che ci spinge suavemente a fare il bene e a fuggire il male, come insegna Sant’Agostino: «Chi ha creato te senza di te, non salverà senza di te».
La pratica delle Tre Ave Maria è un mezzo che ai buoni ottiene le grazie necessarie per condurre una vita cristiana e di morire in grazia di Dio; ai peccatori, che cadono per fragilità, se con perseveranza recitano le Tre Ave Maria giornaliere otterranno prima o poi, almeno prima della morte la grazia di una sincera conversione, di un vero pentimento e quindi si salveranno; invece ai peccatori che recitano le Tre Ave Maria con cattiva intenzione, e cioè per continuare maliziosamente la loro vita peccaminosa con la presunzione di salvarsi lo stesso per la promessa della Madonna, costoro, meritando castighi e non misericordia, certamente non persevereranno nella recita giornaliera delle Tre Ave Maria e quindi non otterranno la promessa della Madonna, perché Lei ha fatto la speciale promessa non per farci abusare della misericordia divina ma per aiutarci a perseverare nella grazia santificante fino alla nostra morte; per aiutarci a rompere le catene che ci legano al demonio, per convertirci e ottenere la felicità eterna del Paradiso.
Qualcuno potrebbe obiettare che ci sia grande sproporzione nell’ottenere la salvezza eterna con la semplice recita giornaliera di Tre Ave Maria. Ebbene al Congresso Mariano di Einsiedeln in Svizzera, il Padre G. Battista de Blois rispondeva così: «Se questo mezzo vi sembra sproporzionato al fine che con esso si vuole raggiungere (la salvezza eterna), non vi resta che reclamare presso la Santa Vergine che lo ha arricchito della sua speciale promessa. O meglio ancora dovete prendervela con Dio stesso che Le ha accordato un tale potere. Del resto non è forse nelle abitudini del Signore operare le più grandi meraviglie con dei mezzi che sembrano i più semplici e sproporzionati? Dio è padrone assoluto dei suoi doni. E la Vergine Santissima, nella sua potenza d’intercessione, risponde con generosità sproporzionata al piccolo omaggio, ma proporzionata al suo amore di Madre tenerissima». Per questo il Venerabile Servo di Dio Luigi Maria Baudoin scrisse: «Recitate ogni giorno le Tre Ave Maria. Se siete fedeli nel pagare questo tributo di omaggio a Maria, io vi prometto il Paradiso».

Consacrazione al Sacro Cuore di Gesù

Io…..., dono e consacro al Cuore adora­bile di Gesù la mia persona e la mia vita, le mie azioni, pene e sofferenze per non più servirmi di alcuna parte del mio essere, se non per onorarlo, amarlo e glorificarlo.
E' questa la mia irrevocabile volontà: essere tutto suo e fare ogni cosa per suo amore, rinunciando a tutto ciò che può dispiacergli.
Ti scelgo, Sacro Cuore di Gesù, come unico oggetto del mio amore, custode della mia vita, pegno della mia salvezza, rimedio della mia fragilità e inco­stanza, riparatore di tutte le colpe del­la mia vita e rifugio sicuro nell'ora del­la mia morte.
Sii, o Cuore di bontà e di misericordia, la mia giustificazione presso Dio Padre e allontana da me la sua giusta indi­gnazione. Cuore amoroso di Gesù, pon­go in te la mia fiducia, perchè temo tut­to dalla mia malizia e debolezza, ma spero tutto dalla tua bontà.
Distruggi in me quanto può dispiacer­ti. Il tuo puro amore s'imprima profon­damente nel mio cuore in modo che non ti possa più dimenticare o essere separato da te.
Ti chiedo, per la tua bontà, che il mio nome sia scritto in te, poichè voglio vivere e morire come tuo vero devoto. Sacro Cuore di Gesù, confido in te!
(S. Margherita Maria Alacoque)

O Madre mia

O Madre mia,é nel vostro cuore che io vengo ad affidare le angosce del mio cuore e attingervi forza e coraggio.
Santa Bernadette Quaderno di note intime p.28

Preghiera di S.Gaspare del Bufalo al Sangue di Gesù

O sangue prezioso del mio Signore, che io ti benedica in eterno.
O amore del mio Signore divenuto piagato!
Quanto siamo lontani dalla conformità alla tua vita.
O sangue di Gesù Cristo, balsamo delle nostre anime,
sorgente di misericordia,
fa' che la mia lingua,
imporporata di sangue nella quotidiana celebrazione della Messa,
ti benedica adesso e sempre.
O Signore, chi non ti amerà?
Chi non arderà di affetto verso di te?
Le tue piaghe, il tuo sangue, le spine, la croce,
il divin sangue in particolare, versato fino all'ultima stilla,
con quale voce eloquente grida al mio povero cuore!
Poiché tu agonizzasti e moristi per me per salvarmi,
io darò, se occorre, anche la vita, perché giunga al possesso beato del cielo.
O Gesù, sei stato fatto per noi redenzione.
Dal tuo costato aperto, arca di salvezza, fornace di carità,
uscì sangue ed acqua segno dei sacramenti e della tenerezza del tuo amore,
o Cristo, che ci hai amati e lavati nel tuo sangue!

lunedì 20 aprile 2009

La benedizione

Il segno di croce significa ritornare a Cristo
Con la sua morte in croce per amore dei peccatori Cristo ha levato dal mondo la maledizione del peccatore. L'uomo però continua sempre a peccare e la Chiesa deve sempre aiutare a effettuare la Redenzione in nome del Signore. E ciò avviene in modo particolare per mezzo della S. Messa e dei Sacramenti, ma anche per mezzo dei Sacramentali: benedizioni dei sacerdoti, acqua santa, ceri benedetti, olio benedetto, ecc.
Ogni segno di croce fatto con fede è già un segno di benedizione
La croce irradia una corrente di benedizione per tutto il mondo, per ogni anima che crede in Dio e nella forza della croce. Ogni uomo unito a Dio può compiere la Redenzione ogni volta che fa un segno di croce.
La benedizione appartiene assolutamente ai cristiani
Il Signore ha detto: " In verità, in verità vi dico: qua­lunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà " (Gv 16,23). Dunque: là dove c'è il nome del Signore, c'è la benedizione ; là dove c'è il segno della sua S. Croce, là si trova aiuto.
" Tu ti lamenti della cattiveria del mondo, o della mancanza di riguardo e dell'incomprensione della gente che ti circonda. La tua pazienza e i tuoi nervi vengono messi a dura prova e spesso ti scappano, malgrado le migliori intenzioni. Trova una buona volta il mezzo e la ricetta della benedizione giornaliera (Padre Kieffer O. Cap.).
Prendi ogni mattino un po' d'acqua santa, fa' un segno di croce e di': "In nome di Gesù benedico tutta la mia famiglia, benedico tutti coloro che incontrerò. Benedico tutti coloro che si raccomandano alle mie preghiere, benedico la nostra casa e tutti coloro che vi entrano ed escono ."
Ci sono moltissime persone, uomini e donne, che lo fanno ogni giorno. Anche se questo atto non si sente sempre, esso ha sempre un effetto positivo. La cosa principale è questa: fare il segno di croce adagio e dire la formula di benedizione con il cuore!
" Oh, quante, quante persone ho benedetto! ", così disse la moglie di un tenente colonnello, Maria Teresa. " Io ero la prima che si alzava in casa mia: benedicevo con l'acqua santa mio marito, che stava ancora dormendo, prega­vo spesso china su di lui. Poi entravo nella camera dei bambini, svegliavo i piccoli, ed essi recitavano le preghiere del mattino a mani giunte e ad alta voce. Poi facevo loro un segno di croce sulla fronte, li bene­divo e dicevo qualcosa sugli angeli custodi. Quando tutti erano usciti di casa, ricominciavo a benedire. Andavo per lo più in ogni camera, implo­rando protezione e benedizioni. Dicevo anche: `Mio Dio, proteggi tutti coloro che mi hai affidato: tienili sotto la tua protezione paterna, con tutto ciò che posseggo e che devo amministrare, poiché tutto appartiene a te. Tu ci hai dato tante cose: conserva­le, e fa' che esse ci servano, ma che non siano mai occasione di peccato'. Quando in casa mia ci sono ospiti, io prego parecchie volte per loro, prima che entrino in casa mia e mando loro la benedizione. Spesso mi è stato detto che da me c'era qualcosa di speciale, si sentiva una gran pace. Io ho sentito in me e negli altri che le benedizioni hanno una gran forza viva ".
Cristo vuole essere sempre operante nei suoi apostoli benedicenti.
La benedizione sacerdotale
Vogliamo distinguere bene i Sacramenti dai Sacramentali. I Sacramentali non sono stati istituiti da Cristo e non comunicano la grazia santificante, ma predispongono a riceverla, in virtù della nostra fede, nei meriti infiniti di Gesù Cristo. La benedizione del Sacerdote attinge dalle ricchezze infinite del Cuore di Gesù, e perciò ha una forza salvifica e santificante, una potenza esorcizzante e protettiva. Il sacerdote celebra la S. Messa ogni giorno, amministra i Sacramenti, quando è necessario, ma può benedire continuamente e ovunque. Così pure lo può un Sacerdote malato, perseguitato o incarcerato.
Un sacerdote incarcerato in un campo di concentramento ha fatto questo racconto commovente. Aveva lavorato tanto tempo a Dachau in una fabbrica delle SS. Un giorno fu pregato da un contabile di andare subito in un'abitazione, costruita in una soffitta, e di benedire la sua famiglia: " Io ero vestito come un povero detenuto di un campo di concentramento. Non mi era forse mai capitato di stendere le mie braccia benedicenti con una commozione tale come in quel momento. Malgrado fossi stato marchiato da vari anni come elemento indesiderato, reietto, di rifiuto, ero tuttavia ancora un sacerdote. Mi avevano pregato di dar loro la benedizione, l'unica e ultima cosa che potevo dare ancora ".
Una contadina molto credente racconta: " In casa mia si ha una grande fede. Quando un sacerdote entra da noi, è come se entrasse il Signore: la sua visita ci rende felici. Non lasciamo mai che un sacerdote esca dalla nostra casa, senza chiedergli la benedizione. Nella nostra famiglia di 12 figli la benedizione è qualcosa di tangibile ".
Un sacerdote spiega:
" È vero: nelle mie mani è stato messo un preziosissimo tesoro immenso. Cristo stesso vuole operare con grande forza mediante la benedizione fatta da me, uomo debole. Come un tempo, egli andava benedicendo attraverso la Palestina, così vuole che il sacerdote continui a benedire. Sì, noi sacerdoti siamo dei milionari, non in denaro, ma nella grazia che comunichiamo agli altri. Noi possiamo e dobbiamo essere delle trasmittenti di benedizioni. In tutto il mondo ci sono antenne che captano onde di benedizioni: malati, carcerati, emarginati, ecc. Inoltre con ogni benedizione che diamo, aumenta la nostra forza benedicente, e cresce il nostro zelo nel benedire. Tutto ciò riempie i sacerdoti di ottimismo e di gioia! E questi sentimenti crescono con ogni benedizione che diamo con fede ".
Anche nei nostri tempi difficili.

Non importa, fa’ il bene

Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici.
Non importa, fa’ il bene!
Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici.
Non importa, fa’ il bene!
Il bene che fai verrà domani dimenticato.
Non importa, fa’ il bene!
L’onestà e la sincerità ti renderanno vulnerabile.
Non importa, fa’ il bene!
Da’ al mondo il meglio di te e ti prenderanno a calci.
Non importa, fa’ il bene!
(Madre Teresa di Calcutta)

Evitare l'eccessiva familiarità

"Non aprire il tuo cuore al primo che capita" (Sir 8,22); i tuoi problemi, trattali invece con chi ha saggezza e timore di Dio.
Cerca di stare raramente con persone sprovvedute e sconosciute; non metterti con i ricchi per adularli; non farti vedere volentieri con i grandi.
Stai, invece, accanto alle persone umili e semplici, devote e di buoni costumi; e con esse tratta di cose che giovino alla tua santificazione.
Non avere familiarità con alcuna donna, ma raccomanda a Dio tutte le donne degne. Cerca di essere tutto unito soltanto a Dio e ai suoi angeli, evitando ogni curiosità riguardo agli uomini. Mentre si deve avere amore per tutti, la familiarità non è affatto necessaria. Capita talvolta che una persona che non conosciamo brilli per fama eccellente; e che poi, quando essa ci sta dinanzi, ci dia noia solo al vederla. D'altra parte, talvolta speriamo di piacere a qualcuno, stando con lui, e invece cominciamo allora a non piacergli, perché egli vede in noi alcunché di riprovevole.

Preghiera alla Vergine di Guadalupe

Madre Santissima di Guadalupe,
che hai mostrato il Tuo amore e la Tua tenerezza
ai popoli del continente americano,
colma di gioia e di speranza
tutti i popoli e tutte le famiglie del mondo.
A Te, che precedi e guidi
il nostro cammino di fede verso la patria eterna,
affidiamo le gioie, i progetti,
le preoccupazioni e gli aneliti di tutte le famiglie.
O Maria, a Te ricorriamo
confidando nella Tua tenerezza di Madre.
Non ignorare le preghiere che Ti rivolgiamo
per le famiglie di tutto il mondo in questo periodo cruciale
della storia, piuttosto, accoglici tutti
nel Tuo cuore di Madre
e accompagnaci nel nostro cammino verso la patria celeste.
Amen.
Benedetto XVI - 18 gennaio 2008 Incontro mondiale delle famiglie

Così come nasce un fiore

Il seme si sentiva oppresso
nella zolla arida ma la terra lo confortava con il suo calore
e la rugiada dissetava la sua arsura.
Timida la prima fogliolina fa capolino fra quelle zolle
si guarda intorno spaurita e
pian piano
ad una ad una altre la seguono
e le si stringono accanto.
Poi fra quelle foglie raggianti compare
una piccola perla.
Si eleva si gonfia e si schiude
sorridendo ai raggi del sole.
Così come nasce un fiore.
Il seme si sentiva oppresso nel suo seno
ma il cuore lo confortava con il suo calore
e le lacrime dissetavano la sua arsura.
Timido il primo sorriso si disegnava
su quel volto mentre pian piano
un fiore sbocciava su quelle labbra
sorridendo ad un altro sole.
Così come nasce un fiore.

sonia

domenica 19 aprile 2009

Nell'Eucarestia il segreto della vita

Lo scopo principale dell'Eucarestia: ridurre tutto nella vita di Gesù. Non è tanto la sua vita che si effonde, quanto è la sua vita che ci assorbe. E' una verità che noi non abbiamo mai considerato, e per questo ci meraviglia tante volte di non sentire la vita eucaristica, e ci stupiamo.
Eppure questo è logico. Direi - anzi - che quanto più è grande la sua dedizione eucaristica, tanto meno la creatura ne sente, perchè allora essa è maggiormente assorbita dalla vita di Gesù. Essa può avvertire in se stessa i frutti della sua presenza, ma quello che Eglifa in un' anima, quando la possiede, non lo avvertirà che molto confusamente, è solo molto umiliata e molto raccolta.
Cerchiamo di intendere bene questo grande mistero e svaniranno tante difficoltà sul Sacramento dell'Amore Eucaristico. Noi, infatti, non sappiamo spiegarci come nella privazione non lo avvertiamo spesso più che nell'abituale comunione.
Rimaniamo perplessi e, tante volte ci passano persino tanti dubbi che discacciamo, ma che rimangono nel fondo dell'anima e sono solo soffocati da un atto di fede.
Gesù si da a noi vivo e vero come parte del suo corpo mistico.Come il cuore manda il sangue a tutti gli organi, e ne attiva le funzioni, così Egli nell'Eucarestia è il Cuore del suo corpo mistico, e fa circolare il Suo Sangue in ogni Suo membro. Noi non siamo più individui isolati, ciascuno per suo conto, nel suo interesse personale; siamo - invece - parte dei un disegno che risponde al suo amore per il Padre, alla manifestazione della sua gloria. Egli quindi cicomunica la sua vita, per renderci in Lui parte attiva di questo disegno, per manifestare in tutta la Chiesa la Gloria di Dio. Ogni fedele è nutrito da Lui, proporzionatamente a questo disegno, ed è assorbito dalla sua vita. Ora, il sangue umano non nutrisce ugualmente tutte le membra del corpo, ma nutrisce il cervello, perchè pensi, ossia sia l'organo materiale del pensiero, nutrisce i capelli perché vegetino, i muscoli perché si muovano, ecc. Noi non ci accorgiamo neppure di questa circolazione; eppure essa è il segreto della nostra vita. Nella stessa maniera la vita eucaristica si diffonde e rende alcune anime contemplative, altre attive, altre vittime; altre tipo e figura di una misericordia speciale di Dio. Ognuna risponde ad un fine speciale del suo amore ed è assorbita da Lui. Guardiamo quel che fa un capitano: egli forma il suo piano di azione, e poi, per mezzo del comando, lo comunica all'esercito schierato. Ogni soldato comunica con il capitano, ma evidentemente, non è il soldato che si serve del capitano, ma questi si serve del soldato. Se è un soldato. Se è un soldato intelligente che ha familiarità col capitano, lo visita , lo serve più fedelmente. Può sentirci più familiarità, può sentirsi più sicuro nelle sue mani, può obbedire ai suoi ordini, e, quasi avverte la sua presenza, anche quando è lontano da lui e deve attraversare un burrone, deve mettersi in una trincea. Di tale natura è precisamente il sentimento che possiamo sentire nell'Eucarestia, quando visitando Gesù, conoscendolo meglio, impariamo ad essere familiari con Lui. Questo diletto è tanto lontano dall'essere la percezione della sua vita.
Oh, se noi penetrassimo nella vita del suo Cuore, se la sentissimo rimarremmo bruciati! Se il soldato non è familiare col capitano, comunica con lui più aridamente; ma basta che comunichi con lui perché serva al suo ammirabile piano.
Egli non se ne accorge neppure, e sotto gli ordini suoi si muove e va dove deve andare, anche quando si sente stanco; anche quando vorrebbe intendere perchè deve andare in quel burrone o in quella trincea.La vita eucaristica ci assorbe in Gesù, ci muove, ci attiva ma sempre in Lui.
E' Gesù che percepisce quello che compie; Egli che ci muove, che utilizza tutto il nostro essere, le nostre miserie, le nostre debolezze, lo stato nostro particolare, ed in ogni atto della nostra vita diffonde Se stesso, e noi rimaniamo nella sua vita: In me manet et ego in eo. Se la sua effusione eucaristica aumenta, questo non avviene già per divertirci, per dilettarci, per consolarci; e per la gloria di Dio che Egli si effonde, ed allora ci assorbe di più nella sua vita per la Gloria di Dio. Noi allora, a secondo dei fini di questa gloria, possiamo sentire in noi anche pena, spasimo, tormento, oscurità, oppressioni, tentazioni, ed Egli lavora mentre in noi si manifestano queste miserie. Una corrente elettrica può rendere incandescente un filo, ma può anche ridurre l'acqua in ghiaccio e solidificarla, come può scomporla e renderla idrogeno ed ossigeno. L'acqua che si agghiaccia prende più consistenza; l'acqua che si scompone par che si distrugga... la stessa corrente produce il fuoco ed il ghiaccio, il corpo solido ed il gas, ed ogni elemento che le si sottopone non può pretendere di diventare solo elettrizzato e mandare scintille; ma deve essere posseduto dalla corrente, secondo quel che serve all'ordine ed alla produzione dell'officina. Così, Gesù, nell'Eucarestia. La Gloria di Dio è il grande fine è il grande fine della sua vita; noi viviamo in Lui per servire a questa solenne glorificazione. Egli nell'Eucarestia si diffonde nelle anime, le assorbe, le attrae nella sua attività, le muove nella sua vita, le utilizza, le purifica, le perfeziona... è un lavoro tutto suo, del quale molto poco un'anima si accorge. E' in Lui che l'armonia di tutte le anime che partecipano alla sua vita diventa armonia di gloria per Dio.Gesù poi in loro si effonde e, secondo le disposizioni con le quali lo ricevono, Egli le abbellise. Gesù è il sole che si riflette nella goccia di ruguada, si divide in vari colori nel prisma; accende là dove è concentrato il suo fuoco, feconda là dove trova germe vitale da sviluppare, uccide là dove trova un germe cattivo da distruggere; illumina, riscalda, e poi svapora l'acqua, e la fa salire verso il cielo in vapori che concentrano in pioggia. Egli, nel darsi ad un'anima, l'assorbe nel piano della sua azione, si effonde in lei secondo le sue disposizioni, la nutrisce. Le meraviglie della sua azione si compiono in Lui solo, l'anima può solo avvertirne un riflesso confuso. Così da una stazione telegrafica non si avverte quel che succede, se no per il ruore che fa il tasto del telegrafo. Un sordo non si accorge neppure di questo rumore. E' in distanza, là dove la corrente è ricevuta che si vede l'effetto e si legge il telegramma. Il tasto, nella stazione trasmittente, si abbassa e stabilisce la comunicazione della corrente; essa è presa dalla stazione ricevente, ed è attiva nel telegrafo, diventando parola.Sicché è Gesù la vita nell'Eucarestia: noi comunichiamo con Lui, per dargli il concorso nostro nel compimento della grande azione di gloria per Dio. Quando ci comunichiamo Egli vive in noi, e noi siamo suo tempio. Tutto il nostro piccolo essere fluisce allora in Lui, ed ogni attività nostra che in noi rimane quale era, la muta in Lui e la utilizza nella sua vita. Non muta il fuoco in se stesso tutto quello che si accosta ad esso? Gesù è come un calore potente che attrae in un punto tutta la circolazione del sangue. Allora noi, anzichè perderci in piccolezze, nel volerlo sentire, nel volerci consolare, dobbiamo pensare solo ad offrirci a Lui coe nullità, che si abbandona all'attività viva e divina del suo amore.
Oh, noi non possiamo intendere che cosa è Gesù nel cuore di una sua creatura!... Ha sete di diffondersi, anzi di assorbire in Sè ogni creatura! Noi vediamo quale torto gli fanno quelle anime che tralasciano una Comunione.
Esse diventano allora come leve di una grande macchina, che non funzionano più, e, per quanto è in loro, fanno una ferita nel corpo mistico, determinano la paralisi di una della sue attività! La creatura per nutrire se stessa può contentarsi di ricevere Gesù, così come ora lo riceve ma, per diventare nelle sue mani strumento della sua azione, deve vivere in Lui Sacramentato come Gesù vive in lei.