venerdì 30 settembre 2011

620 - Aiutali in modo tale che risulti quasi impossibile che lo notino

Il pensiero della morte ci aiuterà a coltivare la virtù della carità, perché forse questo istante concreto di convivenza è l'ultimo che ti è dato di trascorrere con questo o con quest'altro...: essi o tu, o io, possiamo mancare in qualsiasi momento. (Solco, 895)


Mi potrai dire: e perché dovrei sforzarmi? Non ti rispondo io, ma san Paolo: L'amore del Cristo ci spinge [2 Cor 5, 14]. L'intero spazio di un'esistenza è poco per dilatare le frontiere della tua carità. Dai primissimi inizi dell'Opus Dei mi sono impegnato al massimo a ripetere instancabilmente, perché le anime generose si decidano a tradurlo in opere, il grido di Cristo:Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri [Gv 13, 35]. Ci riconosceranno proprio da questo, perché la carità è il movente di qualsiasi attività di un cristiano. (...)
Vorrei farvi notare che, dopo venti secoli, il mandato del Maestro appare con tutta la forza della sua novità, ed è come la credenziale del vero figlio di Dio.
Lungo la mia vita di sacerdote, ho predicato spessissimo che per molti, disgraziatamente, il mandato continua ad essere nuovo, perché mai o quasi mai si sono sforzati di praticarlo: è triste, però è così. Ed è chiarissimo che l'affermazione del Messia è perentoria: da questo vi riconosceranno, se vi amerete gli uni gli altri! Sento pertanto la necessità di ricordare costantemente quelle parole del Signore. San Paolo aggiunge: Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo [Gal 6, 2]. Minuti perduti, magari con la falsa scusa che ti avanza tempo... Mentre ci sono tanti tuoi fratelli, tanti tuoi amici, sovraccarichi di lavoro! Con delicatezza, con garbo, con il sorriso sulle labbra, aiutali in modo tale che risulti quasi impossibile che lo notino; e che neppure ti possano mostrare gratitudine perché la squisitezza discreta della tua carità ha fatto in modo che non la si avvertisse. (Amici di Dio, 43-44)
-----------

619 - Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato

Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi preecipiterai! Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».

Le città di Corazìn, di Betsàida e di Cafàrnao erano i luoghi nei quali Gesù aveva sviluppato, più che altrove, la sua attività. Di questa attività vengono messi in particolare rilievo i miracoli, nei quali si era manifestata la potenza divina di Gesù. Il centro dell’attività di Gesù era Cafàrnao, la "sua città" (Mt 9,1). Ad essa, come alle altre due città, aveva offerto salvezza, potenza e gloria. Ma esse non hanno corrisposto. Gesù sa che Tiro e Sidone, le due città pagane ritenute il centro del materialismo e dello sfruttamento dei poveri (cfr Is 23,1-11; Ez 26-28), avrebbero fatto penitenza se avesse compiuto in esse i miracoli compiuti a Corazìn, a Betsàida e a Cafàrnao.
L’esclamazione "Guai a te!" non è una minaccia, ma un grido di compianto e di lamento, "ahimè!" (cfr Lc 6,24 ss). È il dolore di Dio per il male dell’uomo, il dolore dell’Amore non riamato. La pena del giudizio non è "Guai a te!", ma "Guai a me per te". Diventa infatti la croce di Cristo, che è l’"ahimè!" di Dio per l’uomo.
In sé il rifiuto, come ogni altro male, non è direttamente contro Dio, ma contro chi lo rifiuta e così fa il proprio male. Ma come il male dell’amato tocca profondamente chiunque ama, così il male dell’uomo tocca infinitamente il cuore di Dio, perché egli ama l’uomo in modo infinito. Per questo il peccato provoca il lamento e la sofferenza reale di Dio. La croce di Cristo esprime insieme la serietà del suo amore e la gravità del nostro male. Il vero amore, quando non è amato, non minaccia. Non può che lamentarsi e morire di passione. La passione di Dio è infinita come il suo amore.
Da questo si può capire la libertà, ma anche la tremenda responsabilità di rifiutare la salvezza offerta da Dio. Ma, ancor più, il giudizio del rifiuto e il male che ne consegue non ricadono su di noi, ma su di lui che continua ad amare e ad offrirsi, senza lasciarsi condizionare dal nostro rifiuto e dalla durezza del nostro cuore. Infatti "il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui" (Is 53,5), e "colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" ( 2Cor 5,21), e ancora "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi" ( Gal 3,13). Questo "ahimè!" di Dio è il più forte annuncio della salvezza e non, come qualcuno erroneamente crede, la minaccia della dannazione eterna. Gesù non condanna Corazìn, Betsàida e Cafàrnao, ma vuole far comprendere loro la grandezza del dono d’amore che esse hanno rifiutato, perché si ravvedano e l’accolgano. Il fine di ogni parola di Dio all’uomo non è la condanna, ma la conversione.
La missione ha il suo principio e la sua sorgente nell’amore del Padre, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (cfr 1Tm 2, 3-4). Egli ha mandato il suo Figlio per la salvezza del mondo (cfr Gv 3,16). Come Gesù è l’apostolo del Padre, così anche noi siamo gli apostoli di Gesù, designati a continuare la sua missione di salvezza. Nei suoi messaggeri è presente Gesù e in Gesù è presente il Padre. La parola detta dai messaggeri, quando parlano secondo il vangelo, è la parola di Gesù e, in definitiva, la parola del Padre: "Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato" (v.16).
Esiste una catena inscindibile tra i messaggeri, Gesù e il Padre. Per la sua mediazione verso il popolo Gesù si serve dei messaggeri. L’uomo viene condotto a Dio dall’uomo. Tra i due atteggiamenti, ascoltare o disprezzare, non esiste una via di mezzo. Nessuno può restare indifferente di fronte alla parola di Dio. Chi non è con Gesù, è contro di lui. Chi non osserva la sua parola, la rifiuta e la disprezza. L’annuncio del regno di Dio è la forma più alta di testimonianza cristiana, perché associa alla passione di Cristo: ci espone insieme con lui, inviato a testimoniare l’amore del Padre, al rifiuto, alla persecuzione e alla croce.


Padre Lino Pedron
-----------

giovedì 29 settembre 2011

618 - Raccomandati a San Raffaele

Ridi perché ti dico che hai “vocazione matrimoniale”? —Ebbene, l'hai: proprio così, vocazione. Raccomandati a San Raffaele, che ti guidi, come guidò Tobia, casto sino alla fine del cammino. (Cammino, 27)


Mi dici che nel tuo petto hai fuoco e acqua, freddo e calore, passioncelle e Dio...: una candela accesa a San Michele e un'altra al diavolo.
Tranquillizzati: finché vorrai lottare non ci sono due candele accese nel tuo petto, ma una sola, quella dell'Arcangelo. (Cammino, 724)


Come ridevi, schiettamente, quando ti consigliai di porre i tuoi verdi anni sotto la protezione di San Raffaele! Perché ti conduca, come il giovane Tobia, a un matrimonio santo, con una moglie buona, bella e ricca —ti dissi scherzando.
E poi, come sei rimasto pensoso, quando aggiunsi il consiglio di metterti anche sotto il patrocinio dell'apostolo adolescente, Giovanni: se mai il Signore ti chiedesse di più. (Cammino, 360)


La Vergine Santa Maria, Maestra della dedizione senza limiti. Ti ricordi? Con una lode rivolta a Lei, Gesù Cristo afferma: «Chi compie la volontà del Padre mio, questi questa è mia madre!...». Chiedi a questa Madre buona che nella tua anima prenda forza forza di amore e di liberazione la sua risposta di esemplare generosità: «Ecce ancilla Domini» Eccomi, sono la serva del Signore! (Solco, 33).
-----

617 - Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo

Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l'albero di fichi». Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l'albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo».

Gesù, che legge nel cuore dell’uomo, riconosce la prontezza, la ricerca sincera e il desiderio di Natanaele di incontrarsi con lui. E Gesù, vedendolo arrivare così aperto e disponibile, lo previene e lo saluta come un autentico rappresentante d’Israele in cui non c’è falsità.
Secondo la spiegazione di qualcuno, Natanaele sarebbe chiamato da Gesù "israelita", cioè degno del nome di Israele, perché questo nome significa "colui che vede Dio" e a Natanaele viene promessa la visione degli angeli che scendono e salgono sul figlio dell’uomo (v. 51).
Gesù conosce bene Natanaele, anche se lo incontra per la prima volta, perché egli conosce tutti (2, 24) e sa cosa c’è nell’uomo (2, 25). E Gesù dà a Natanaele una prova di conoscerlo bene: egli l’ha visto quando era sotto il fico.
Sedere sotto il fico significa meditare e insegnare la Scrittura. Natanaele, dunque, è un uomo applicato allo studio della Scrittura che cerca e attende la venuta del Messia. Anche mentre ascoltava la spiegazione delle Scritture, era accompagnato e sostenuto dallo sguardo amoroso di Dio.
Natanaele, toccato nell’intimo del suo cuore per la conoscenza che Gesù ha di lui (nota solo a Dio), riconosce in Gesù il Messia ed esclama: "Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele" (v.49).
Con la sua fede nel Messia, Natanaele è già disposto ad un’ulteriore rivelazione di Gesù, che gli dice: "Vedrai cose maggiori di queste!" (v. 50). Gesù parla di una rivelazione continua del Padre, di un movimento di salita e discesa degli angeli, richiamando la scena di Giacobbe, nella quale il patriarca "fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa" (Gen 28,12).
Il salire e scendere è un richiamo alla realtà umana e divina di Gesù. Egli, pur essendo tra gli uomini, è in comunione col Padre, è il "luogo" dove si manifesta il Padre, è la "casa di Dio", è la "porta del cielo"(cfr Gen 28,17).
Gesù è la rivelazione del Padre, è il punto di unione tra cielo e terra, è il mediatore tra Dio e gli uomini, è la nuova scala di Giacobbe di cui Dio si serve per dialogare con l’uomo. In Gesù l’uomo trova il luogo ideale per fare esperienza di Dio che salva. La piena e definitiva rivelazione di Dio si avrà solo in Gesù risorto e seduto alla destra del Padre nei cieli, dove salgono e scendono gli angeli di Dio.
Natanaele è stato trasformato dall’incontro con Gesù perché in lui non c’è falsità; si è accostato a Gesù con cuore sincero e semplice.


Padre Lino Pedron
--------------

mercoledì 28 settembre 2011

616 - Se noi ci diamo, Egli ci si dà. Bisogna avere piena fiducia

Questo post (come tutti quelli con etichetta "Angolo dello Spirito") riporta testi di san Josemaría Escrivá


La chiamata del Signore la vocazione si presenta sempre così: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua». Sì: la vocazione esige rinuncia, sacrificio. Però come risulta gradevole il sacrificio «Gaudium cum pace», gioia e pace se la rinuncia è completa! (Solco, 8)


Se accetti che Dio comandi sulla tua barca, che sia Lui il padrone..., che sicurezza! Anche quando sembra assente, quando sembra addormentato, quando sembra non darsi pensiero, mentre si leva la tempesta nelle tenebre più fitte. San Marco racconta che gli apostoli ebbero a trovarsi in circostanze simili; e Gesù, vedendoli tutti affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, già verso l'ultima parte della notte andò verso di loro camminando sul mare... «Coraggio, sono io, non temete!» Quindi salì con loro sulla barca e il vento cessò [Mc 6, 48, 50-51].
Figli miei, succedono tante cose sulla terra...! Potrei dirvi delle pene, delle sofferenze, dei maltrattamenti, del martirio — non sto esagerando —, dell'eroismo di tante anime. Davanti ai nostri occhi, nella nostra mente, talvolta prende corpo l'impressione che Gesù dorma, che non ci stia a sentire; ma san Luca racconta come Gesù si comporta con i suoi amici: Ora, mentre i discepoli navigavano, egli si addormentò. Un turbine di vento si abbatté sul lago, imbarcavano acqua ed erano in pericolo. Accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Maestro, maestro, siamo perduti!». E lui, destatosi, sgridò il vento e i flutti minacciosi; essi cessarono e si fece bonaccia. Allora disse loro: «Dov'è la vostra fede?» [Lc 8,23-25],
Se noi ci diamo, Egli ci si dà. Bisogna avere piena fiducia nel Maestro, abbandonarsi nelle sue mani senza lesinare; dimostrargli, con le opere, che la barca è sua; che vogliamo che Egli disponga a suo piacimento di tutto ciò che ci appartiene. (Amici di Dio, 22)
--------------

615 - Ti seguirò dovunque tu vada

Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Séguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

La nostra intelligenza è ottusa perché la nostra volontà ha dei desideri e delle priorità che si oppongono alla sequela di Cristo. La nostra volontà è divisa tra il desiderio di seguire lui e quello di tenere le nostre sicurezze materiali, affettive e personali. Siamo chiamati a prendere delle decisioni e a superare le ambiguità della nostra volontà. Essa vorrebbe il fine, ma senza volere i mezzi.
È necessaria una decisione che rompa con i condizionamenti del proprio io: in altre parole bisogna vivere la povertà, la castità e l’obbedienza, senza le quali non si riesce a seguire Gesù.
Essere discepoli significa avere lo stesso destino del Maestro. Egli è un ripudiato, un respinto dagli uomini, un senza-patria, un uomo continuamente in viaggio che opera instancabilmente la salvezza. Per gli uomini è duro essere senza patria, non potersi rifugiare sotto un tetto protettore, non poter sostare in un accampamento ospitale. Persino gli animali più irrequieti, come le volpi e gli uccelli, hanno una dimora. Il discepolo di Gesù deve essere pronto ad andare, ad essere respinto, a rinunciare al rifugio di una casa. Il chiamato dei vv. 59-60 è pronto, ma non immediatamente. Vuole soltanto compiere prima il suo dovere di seppellire suo padre. La richiesta di una dilazione appare quindi più che giustificata. Ma Gesù non ammette nessun rinvio. Esige che lo segua incondizionatamente.
È una risposta che sembra spietata, assolutamente estranea al sentimento e al buon senso umano, quasi del tutto immorale. Ma non è così. Questo tale chiede di fare "prima" la sua volontà e poi quella di Dio. Gesù aveva insegnato: "Cercate prima il regno di Dio" (Mt 6,33). Diversamente c’è sempre qualcos’altro prima del Signore e il Signore non è più il Signore.
Seppellire il padre è un dovere di pietà filiale (Es 20,12; Lv 19,3). Ma anche un dovere, posto come prioritario, allontana dal regno di Dio. È il dramma della fede di Abramo: prima l’amore per il figlio promesso da Dio o l’amore per Dio che l’ha promesso? Prima il dono o il Donatore?
La realtà umana, anche la più grande, non va assolutizzata. Porre la creatura prima del Creatore è invertire il rapporto vitale uomo-Dio. La chiamata al regno di Dio esige che nessun affetto sia mai prioritario e assolutizzato rispetto a Dio. È la "castità" dell’uomo, che è la sposa di Dio e deve amare solo lui in modo assoluto. Il resto lo ama in lui e per lui. Egli deve vedere in ogni dono il Donatore e amare, attraverso il dono, Colui che dona. Ciò che occupa il primo posto nel nostro tempo e nei nostri programmi è l’oggetto principale del nostro amore, è il nostro Dio. Per questo tale, il padre morto era più importante del Dio vivo. Annunciare la vita ai morti nello spirito e risuscitarli è più importante che seppellire i morti nel corpo.
La terza figura del discepolo, presentata nei vv. 61-62, assomma le difficoltà dei primi due. È lui che si propone ed è lui che pone la priorità. Questo episodio richiama la vocazione di Eliseo da parte di Elia che concesse al discepolo di congedarsi dai suoi (1Re 19,19 ss). Ma ora qui c’è ben più che Elia (cfr Lc 11, 31-32): c’è il Figlio che va ascoltato (cfr Lc 9,35). La sua presenza esige obbedienza assoluta. La risposta di Gesù parte ancora da un’immagine suggerita dalla vocazione di Eliseo, chiamato mentre stava arando con dodici paia di buoi: egli bruciò il suo aratro e sacrificò i suoi buoi per un’altra semina, quella della parola di Dio.
Volgersi indietro è l’atteggiamento del rimpianto, dell’esitazione. Quando arriva Gesù non c’è tempo da perdere. Questa scelta per Cristo esige una frattura con il passato. Chi ara e guarda indietro per continuare diritto il solco già tracciato non è adatto per il regno di Dio. L’obbedienza a Gesù esige che ognuno lasci il solco tracciato fino a questo momento: è la conversione continua. Chi è attaccato a persone, a cose o al proprio io, e cerca altre sicurezze che non siano l’obbedienza alla Parola (cfr Lc 9,35), è messo male per il regno di Dio. La radice comune di tutte le tentazioni è l’attaccamento al proprio io. Chi supera questa tentazione ha superato anche tutte le altre. Per questo Gesù dice: "Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso" (Lc 9,23).


Padre Lino Pedron
------------------

martedì 27 settembre 2011

614 - Lotta contro quella fiacchezza

Sei tiepido se fai pigramente e di malavoglia le cose che si riferiscono al Signore; se vai cercando con calcolo o con furbizia il modo di diminuire i tuoi doveri; se non pensi che a te stesso e alla tua comodità; se le tue conversazioni sono oziose e vane; se non aborrisci il peccato veniale; se agisci per motivi umani. (Cammino, 331)


Lotta contro quella fiacchezza che ti fa pigro e rilassato nella vita spirituale. —Bada che può essere il principio della tiepidezza..., e, come dice la Scrittura, i tiepidi Dio li vomiterà. (Cammino, 325)


Che poco Amore di Dio hai quando cedi senza lottare perché non è un peccato grave! (Cammino, 328)


Come farai a venir fuori da questo stato di tiepidezza, di deplorevole languore, se non impieghi i mezzi? Lotti molto poco e, quando ti applichi, lo fai come per dispetto e di malavoglia, quasi desiderando che i tuoi deboli sforzi non abbiano effetto, per poterti così autogiustificare: per non essere esigente con te stesso e perché gli altri non esigano di più da te.
Stai facendo la tua volontà; non quella di Dio. Finché non cambi, sul serio, non sarai felice, né raggiungerai la pace che adesso ti manca.
Umìliati davanti a Dio, e cerca di volere per davvero. (Solco, 146)
-------

613 - Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.

Gesù, che si dirige coraggiosamente verso Gerusalemme, esprime la sua decisione totale di fare la volontà del Padre, morendo per amore sulla croce. Il verbo "sarebbe stato tolto dal mondo" (v.51) indica il compiersi del disegno di Dio. Gesù viene tolto dal mondo dagli uomini ed elevato fino al cielo da Dio. La stessa parola esprime le due facce di un’unica realtà, vista rispettivamente come azione dell’uomo e come azione di Dio. L’uomo compie il sommo male togliendo di mezzo il Figlio di Dio e Dio compie il sommo bene innalzandolo a sé nella gloria. Gesù è l’inviato del Padre che accoglie tutti e proprio per questo non viene accolto (quasi) da nessuno. Il peccato di tutti è il non accogliere la piccolezza di Dio in Gesù; è questa piccolezza la sua vera grandezza!
Giacomo e Giovanni si sentono associati con Gesù, ma non capiscono che l’unico suo potere è l’impotenza di uno che si consegna per amore.
Egli non porta il fuoco che brucia i nemici, ma l’amore che li perdona. Lo zelo senza discernimento, principio di tutti i roghi di tutti i tempi, è esattamente il contrario dello Spirito di Cristo. Giovanni, più tardi (At 8,15-17), ritornerà in Samaria con Pietro, e invocherà sugli stessi samaritani l’Amore del Padre e del Figlio: il fuoco dello Spirito, l’unico che Dio conosce e che il discepolo deve invocare sui nemici. Gesù è la misericordia che vince il male non solo dei samaritani, ma anche e prima ancora, dei suoi discepoli. Egli rivela un Dio di compassione e di tenerezza, ignoto a tutti, ai vicini e ai lontani. Anche se a lunga scadenza, l’impotenza di un Dio che ama avrà l’ultima parola, perché l’ultima parola è Amore. Luca vuole ricordare l’insuccesso con cui si apre questo ultimo viaggio di Gesù. Il primo viaggio era cominciato con il rifiuto dei galilei, suoi compaesani di Nàzaret (4,30), questo con l’ostilità e la mancanza di ospitalità da parte dei samaritani. Questi due fatti anticipano il rifiuto finale degli ebrei di Gerusalemme.
La reazione degli apostoli rispecchia una mentalità bellicosa che Gesù contraddice senza lasciare la ben che minima possibilità di fraintendimenti o di eccezioni. I samaritani respingono il suo invito, ma egli non respinge i samaritani e tanto meno si vendicherà di loro. Egli combatte in modo energico l’opinione dei suoi discepoli che si ostinano a pensare al Messia potente, sempre vittorioso e imbattibile, che dispone di fuoco e fulmini per distruggere tutto e tutti. Un tale modo di pensare è proprio di satana, che aveva invitato Gesù a ricorrere ai prodigi per imporre la sua credibilità (cfr Lc 4,1-13). Ma egli non ha assecondato l’istigazione del demonio allora, né asseconda quella dei discepoli ora, perché provengono ambedue dalla stessa matrice, quella di imporre il bene con la forza, che è sempre una forma di violenza. Un sistema missionario che Gesù non adotta e non approva, ma che affiorerà di frequente nel corso dei secoli. Il vangelo è una proposta che deve farsi strada da sé, con la forza del suo contenuto, e non con imposizioni esterne fisiche o morali.


Padre Lino Pedron
------

lunedì 26 settembre 2011

612 - Chi ama Dio dà tutto se stesso

Il tempo è il nostro tesoro, il «denaro» per comprare l'eternità. (Solco, 882)


Che brutta cosa vivere avendo come occupazione l'ammazzare il tempo, che è un tesoro di Dio! Non ci sono scuse ammissibili per giustificare questo modo di agire. Nessuno dica: dispongo solo di un talento, non posso guadagnarci nulla. Anche con un solo talento puoi operare in modo meritorio [San Giovanni Crisostomo, In Matthaeum homiliae, 78, 3]. Che tristezza non trarre partito, il frutto legittimo, da tutte le facoltà, poche o molte, che Dio concede all'uomo perché si dedichi al servizio delle anime e della società!
Quando il cristiano ammazza il suo tempo sulla terra, si mette in pericolo di ammazzare il suo Cielo: quando per egoismo si tira indietro, si nasconde, si disinteressa. Chi ama Dio non solo offre ciò che possiede — qualunque cosa sia — al servizio di Cristo: dà tutto se stesso. Non vede — come chi guarda con occhi miopi — il proprio io nella salute, nel prestigio, nella carriera. (Amici di Dio, 46)
----------

611 - Preghiera del mattino

Signore, tu ci hai dato come esempio un bambino, perché solo se saremo umili e semplici entreremo nel tuo regno.
Allontana da noi ogni tentazione dell'orgoglio e concedici di vedere il tuo volto in ogni uomo, affinché lo serviamo con amore.
-----------

610 - Chi è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande

Nacque poi una discussione tra loro, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».

Dopo la prima predizione della passione, Gesù aveva insegnato il giusto rapporto dell’io con se stesso: l’io si salva perdendo se stesso per Gesù, e si perde nel volere salvare se stesso lontano da Gesù (Lc 9, 23-24).
Ora, dopo la seconda predizione, insegna il rapporto dell’io con gli altri (vv.46-48) e subito dopo il rapporto del "noi" con gli altri (vv. 49-50). La paura che porta a cercare di autosalvarsi rende egoisti e avidi di cose (la ricchezza), di persone (potere e vanagloria) e di Dio stesso considerato come oggetto da strumentalizzare secondo i nostri fini (autosufficienza).
La fiducia in Dio, conosciuto come amore, invece porta a perdersi il lui, rende capaci di amare e induce alla povertà, all’umiliazione e all’umiltà. È chiaro quindi perché i discepoli pongono resistenza al cammino di umiltà della passione di Dio per l’uomo: hanno in sé il peccato del protagonismo. È il peccato di Adamo che voleva occupare il primo posto. È l’autoaffermazione, primo ed ultimo frutto dell’egoismo. È il peccato "originale" perché sta all’origine di tutti i mali: di quelli del singolo che non si accetta come creatura (= dipendenza nell’essere) di Dio, e di quelli della comunità, la quale, invece che luogo di fraternità, diventa un campo di battaglia per la supremazia. È il peccato che divide da Dio e dagli altri. Solo la conoscenza di Dio può rendere umili e solo l’umiltà può farci penetrare sempre più nella conoscenza di Dio, perché Dio è umile. In questo brano Gesù rivela il mistero della vera grandezza: essa è piccolezza e umiltà, perché il Figlio dell’Altissimo si è fatto il più piccolo di tutti. Gesù capovolge il criterio di realizzazione: non è più l’autoaffermazione, ma l’umiliazione.
In questo brano Gesù spiega anche la vera gerarchia nella comunità dei discepoli: Il più grande è il più piccolo. Perché il più piccolo è lui stesso. Chi accoglie il più piccolo infatti accoglie Dio che si è fatto piccolo per accogliere tutti. Contro ogni stoltissima ambizione di carriera e di arrivismo nella Chiesa, Gesù dichiara che la vera gerarchia trova al suo primo posto l’ultimo, perché il Figlio dell’uomo si è fatto servo di tutti. Questo tema sarà ripreso nell’ultima cena (Lc 22, 24 ss). Per Gesù è grande colui che più di tutti si è rimpicciolito per far crescere gli altri a suo apparente scapito e per far posto agli altri, anteponendoli a se stesso. La fede o la mancanza di fede è comprendere o no il mistero della piccolezza e dell’umiltà di Gesù nostro Signore e Dio, nato in una stalla e morto sulla croce per amore. Il "manifesto" di Cristo porta scritto con lettere di sangue: povertà, umiliazione, umiltà; quello di satana: ricchezza, vanagloria, superbia. Dobbiamo esaminarci sotto quale bandiera stiamo militando. I vv. 49-50 ci insegnano che il principio del settarismo nelle chiese, origine di ogni divisione, è il "noi" ecclesiale che si pone al posto dell’io di Gesù.
Ai discepoli che tentano di impedire la cacciata dei demoni nel nome di Gesù solo perché operata da uno che non è dei loro, non sta tanto a cuore la salvezza dei fratelli, quanto l’affermazione di se stessi e l’esclusiva
dell’appoggio del Signore. Non interessa loro tanto la liberazione dal demonio, quanto, paradossalmente, la sua affermazione che si è annidata e nascosta nell’orgoglio collettivo. Questo orgoglio collettivo cerca l’affermazione del "noi" mediante l’esclusione degli altri, invece che il nome del Signore e il bene dei fratelli. Questo atteggiamento del "noi" è un impedimento a vincere il maligno. È anzi un’alleanza con lui, e per di più segreta, ignara e a fin di bene, come quella di Pietro quando cerca di ostacolare il cammino di Gesù verso la croce (Mc 8, 32-33). Se Gesù si è fatto piccolo ed escluso per accogliere e includere tutti, anche noi dobbiamo lasciare ogni ricerca di potere e di grandezza personale e comunitaria per non escludere nessuno. La libertà non è dominare sugli altri e fare quello che si vuole, ma capacità di amare come Gesù. La libertà è sacrificio di sé fino alle estreme conseguenze, nel nome di Gesù: è libertà dagli idoli della ricchezza e del potere e dalla schiavitù dell’io e del noi da cui viene ogni male. Questa libertà è tanto più ampia quanto più è stretto il legame con il Signore.


Padre Lino Pedron
------------

domenica 25 settembre 2011

609 - Messaggio Medjugorje del 25/9/2011

Cari figli, vi invito affinché questo tempo sia per tutti voi il tempo per testimoniare.
Voi che vivete nell’amore di Dio e avete sperimentato i Suoi doni, testimoniateli con le vostre parole e con la vostra vita perchè siano gioia ed esortazione alla fede per gli altri.
Io sono con voi e intercedo incessantemente presso Dio per tutti voi perché la vostra fede sia sempre viva, gioiosa e nell’amore di Dio.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
---------

608 - Preghiera del mattino

Padre del mio Signore e Salvatore Gesù Cristo, nulla esiste in me di valido e di santo, se non quando tu abiti, con il tuo amore, nel mio cuore.
Dirigi i miei passi sul sentiero della vita e concedi che questo nuovo giorno sia un tempo nel quale io possa fare, con profonda libertà, l'esperienza di una grande affezione filiale verso di te.
-----------

607 - I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.

«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.

Matteo ha fatto confluire in questa parabola elementi molto diversi: oltre all’opposizione tra il dire e il fare che concludeva il discorso della montagna (7,21; cfr 23,3), si vede apparire quello del pentimento, mentre viene ripresa l’allusione a Giovanni Battista e alla fede (cfr 21,23-27); il tutto nel quadro di una vigna che richiama la parabola degli operai (19,30—20,16) e annuncia quella dei vignaioli omicidi (21,33-46).
Nel regno di Dio contano i fatti, non le parole. I due figli sono i "giusti" e i "peccatori" (cfr 9,13). Un detto rabbinico insegna: "I giusti promettono poco e fanno molto; gli empi parlano molto e non fanno nulla". Il test è la docilità o meno all’appello di Giovanni Battista. I pubblicani e le prostitute, che in un primo tempo avevano rifiutato la volontà del Padre manifestata nelle legge, hanno creduto a Giovanni Battista e, tramite lui, hanno scoperto la via della salvezza nel regno annunciato da Gesù, mentre i capi d’Israele non lo ascoltarono e non gli credettero.
Questo brano trasmette molta consolazione e fiducia. Nessun peccatore deve scoraggiarsi. Questo testo annuncia un nuovo ordinamento di Dio, che contrasta con il modo di vedere umano e lo supera.


Padre Lino Pedron
******************

606 - Richiesta di preghiere 36/2011

117) Giovanni dalla Liguria:
Saluti a tutti voi pregate per me i miei cari defunti e il mio amico Alessandro. Sono in peccato.


118) Antonella dalla Lombardia:
Vergine Santa intercedi presso il Padre. Ti chiedo la Grazia di guarire mia figlia Azzurra dagli attacchi di panico che gli sono venuti quando ha lasciato la setta dei testimoni di geova. Benedici tutta la mia famiglia. Toglimi le ansie che mi assalgono quando penso al futuro. Non mi sento in pace, mi sembra sempre di fare poco e male. E poi non ho l'affetto e la comprensione della mia famiglia di origine. Devono solo rimproverarmi e farmi vedere gli sbagli commessi e le angosce per il futuro. Non ne posso più ... Pensaci tu Signore Gesù, mi consegno nelle tue mani! Lode e gloria a Te!!! Antonella!


119) Farid** da Frosinone:
Ave Maria sono ub terziario francescano dell'Immacolata. Vi chiedo preghiere per mio figlio Davide per liberazione dal diavolo


120) Antonella:
Padre santo voglio subito la grazia di guarire il prof M., che insegna al liceo classico, nella classe di mio figlio Cosimo. Commette troppe ingiustizie!!! Pensaci tu, confido in te! Antonella


121) Roberto dall’Emilia Romagna
Ringraziandovi per le gentili preghiere precedenti (che hanno sortito notevole effetto positivo), chiedo nuove preghiere per Carlo, operato ai polmoni, perchè il decorso post-operatorio proceda nel migliore dei modi. Grazie infinite Roberto


122) Hazzie, dall'Inghilterra, chiede preghiere per la sua salute (soffre della sindrome di Asperger e di depressione). Ci chiede di pregare anche per i suoi studi universitari e perché riesca a farsi dei nuovi amici.


123) Antonello:
Chiedo preghiere perché i problemi lavorativi di questi giorni si risolvano nel migliore dei modi. Vi chiedo di pregare anche perché si realizzi il progetto che Dio ha per me e io sappia comprenderlo e accoglierlo con gioia. Dio vi benedica.
****************************************************

sabato 24 settembre 2011

605 - Metti tutto nelle mani di Dio

Oltre alla sua grazia copiosa ed efficace, il Signore ti ha dato la testa, le mani, le facoltà intellettuali, per far fruttare i tuoi talenti. Dio vuole costantemente operare miracoli — risuscitare i morti, dare l'udito ai sordi, la vista ai ciechi, la capacità di camminare agli storpi... —, per mezzo della tua attività professionale santificata, trasformata in olocausto gradito a Dio e utile alle anime. (Forgia, 984)


La tua barca — i tuoi talenti, le tue aspirazioni, i tuoi successi — non vale niente se non la metti a disposizione di Gesù Cristo, se non lasci che Egli vi salga dentro liberamente, se la trasformi in idolo. Tu da solo, con la tua barca, se fai a meno del Maestro, soprannaturalmente parlando viaggi dritto al naufragio. Soltanto se accetti, se cerchi la presenza e la guida del Signore, sarai al riparo dalle tempeste e dai frangenti della vita. Metti tutto nelle mani di Dio: i tuoi pensieri, le belle avventure della tua fantasia, le tue nobili ambizioni umane, i tuoi amori puliti, devono passare per il cuore di Cristo. Altrimenti, presto o tardi, coleranno a picco col tuo egoismo. (Amici di Dio, 21)
------------

604 - Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato

Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

Gesù annuncia chiaramente, per la seconda volta, la sua morte, ma i discepoli non capiscono e non vogliono capire ciò che egli dice. Hanno appena assistito al miracolo della guarigione dell’epilettico-indemoniato e preferiscono rimanere in questa atmosfera trionfalistica di successo che entrare in previsioni disastrose per il Maestro e, di conseguenza, disastrose e funeree anche per loro. La sua azione vittoriosa sul demonio ha suscitato ammirazione, la sua passione suscita incomprensione.
Il comportamento degli apostoli, che preferiscono non sapere e non vedere, piuttosto che rendersi conto e affrontare le situazioni scomode, è una tattica troppo frequente anche nella nostra vita e all’interno della Chiesa. Si preferiscono le cose sbalorditive e le situazioni trionfalistiche invece dell’annuncio dell’umiliazione di Cristo fatto obbediente fino alla morte di croce(cfr Fil 2,8).
Bisognerebbe invece fare nostre le parole di Paolo apostolo: "Quanto a me, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo"(Gal 6,14). Cristo morto per amor nostro sulla croce è la notizia più sbalorditiva e più beatificante: ci rivela che Dio ha voluto più bene a noi che a se stesso.
Davanti alla passione di Cristo bisogna uscire dall’ambiguità. O si diventa realmente discepoli credenti, accettando la vera grandezza di Dio che è la sua umiltà e piccolezza che si manifesta nel consegnarsi a noi totalmente indifeso, o ci chiudiamo alla fede rifiutandoci di comprendere il mistero della sofferenza e della morte di Dio.
Gesù ci dice: "Mettetevi bene in mente queste parole". Vuole che ci piantiamo nelle orecchie "queste parole". Queste parole non riguardano la sua azione, ma la sua passione, la sua passione d’amore. Dio è l’Amore infinito che si fa infinitamente piccolo per consegnarsi nelle nostre mani, per rivelarci la sua passione d’amore per noi. Se non si capisce l’impotenza di Dio che si consegna nelle mani degli uomini, non si può capire di che genere sia la potenza di Dio e, meno ancora, il suo "silenzio" e la sua "assenza" nella storia dell’umanità. L’amore non è dare cose, ma se stessi. E il dono totale di se stessi, il "consegnarsi" totalmente all’altro, mette in stato di assoluta povertà e impotenza. Ecco perché sono necessari la povertà e l’umiltà, l’impotenza e il "consegnarsi" di Dio nelle nostre mani: perché "Dio è amore" (1Gv 4, 8.16).
Il verbo "consegnare" indica l’azione del Padre che ci consegna il Figlio, l’azione del Figlio che si consegna a noi, l’azione di Giuda che lo consegna al sommo sacerdote e al sinedrio, l’azione del sommo sacerdote e del sinedrio che lo consegnano a Pilato, l’azione di Pilato che lo consegna perché sia crocifisso, e, per finire in bellezza, l’azione di Gesù che consegna la sua vita nelle mani del Padre. Un unico verbo costituisce il più grande male dell’uomo che tradisce il Figlio di Dio, e il sommo bene di Dio che, in questa consegna di se stesso, manifesta la sua passione segreta, il suo amore infinito per l’uomo.
La rivelazione di Gesù in croce ci salva, perché ci porta a conoscere e a credere all’amore che Dio ha per noi (1Gv 4,16).


Padre Lino Pedron
--------

venerdì 23 settembre 2011

603 - Il Signore ha incontrato voi e me sulla nostra stessa strada

La donazione è il primo passo di un itinerario di sacrificio, di gioia, di amore, di unione con Dio. E così, tutta la vita si riempie di una benedetta pazzia, che fa trovare felicità dove la logica umana non vede altro che rinuncia, sofferenza, dolore. (Solco, 2)


Anche a me, come al Signore, piace molto parlare di barche e di reti, per far sì che tutti ricaviamo dalle scene evangeliche propositi fermi e ben precisi. San Luca ci racconta di certi pescatori che lavavano e rammendavano le reti lungo le rive del lago di Genezaret. Gesù si avvicina alle barche attraccate lungo la riva ed entra in una di esse, quella di Simone. Con quanta naturalezza il Maestro entra nella barca di ciascuno di noi! Per complicarci la vita, come si sente commentare in tono di lamento. Il Signore ha incontrato voi e me sulla nostra stessa strada, per complicarci l'esistenza delicatamente, amorosamente.
Dopo aver predicato dalla barca di Pietro, si rivolge ai pescatori: Duc in altum, et laxate retia vestra in capturam! [Lc 5,4], prendete il largo, e gettate le reti. Fiduciosi nella parola di Cristo, obbediscono, e ottengono quella pesca prodigiosa.
E guardando Pietro che, come Giacomo e Giovanni, non riusciva a capacitarsi, Il Signore spiega: «Non temere; da ora in poi sarai pescatore di uomini». Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. (Amici di Dio, 21)
------------

602 - Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

Fino a questo punto del vangelo erano gli uomini che si interrogavano su Gesù e lo interrogavano. Ora è Gesù che interroga. Egli esige la nostra risposta.
Il nodo centrale di questo brano è il passaggio dalla risposta di Pietro a quella di Cristo: si passa da un messianismo glorioso a quello del Servo sofferente di Dio che si consegna al Padre. È il mistero della croce che fa da discriminante nella fede in Gesù. È lo scandalo che esige conversione profonda e continua. La fede e la sequela di Cristo si decidono sulla strettoia della croce.
Il discepolo non è colui che mette in questione Gesù, ma colui che si lascia mettere in questione da lui.
La domanda è rivolta ai "voi", ai discepoli nettamente distinti dalla folla. Di conseguenza, la risposta di Pietro è a nome di tutti: egli esprime la fede della Chiesa. Nel vangelo di Luca la funzione di Pietro è assai evidenziata. La sua risposta riconosce in Gesù il Cristo, il Messia atteso, colui che deve venire secondo la promessa di Dio (Lc 23, 35).
Ma Dio esaudisce la sua promessa, non i nostri desideri. Per questo Gesù, come Cristo di Dio, deluderà le attese messianiche dell’uomo (Lc 23, 35-39; 24, 21). È il Cristo che viene da Dio e torna a Dio portando con sé anche noi.
Questa opera di Cristo, che è la salvezza, compie ciò che noi non osavamo sperare in un modo che non sapevamo pensare. Sinceramente ognuno di noi avrebbe fatto un progetto diverso da quello di Dio per salvare il mondo e, in buona fede, lo avrebbe ritenuto più intelligente, migliore e più spiccio di quello escogitato dalla sapienza del Padre (cfr 1Cor 1, 18-25).
Il problema non è tanto il riconoscere che Gesù è il Cristo di Dio, ma "come" è il Cristo di Dio. Gesù non è il Cristo dell’attesa umana, ma il Figlio dell’uomo che affronta il cammino del Servo sofferente di Dio: è la prima autorivelazione piena di Gesù, il nocciolo della fede cristiana, il suo mistero di morte e di risurrezione redentrice.
Il "bisogna" indica il compimento della volontà di Dio rivelata nella Scrittura. Tale volontà nasce dalla sua essenza, che è il suo amore riversato su di noi peccatori. Dio "deve" morire in croce per noi peccatori, perché ci ama e noi siamo sulla croce. Il mistero di Gesù è la sofferenza del Servo di Dio che ama il Padre e i fratelli. La croce è il nostro male che lui si addossa perché ci ama: è il suo perdersi per salvarci. La sua sofferenza è prodotta da tutte le forme del male che abbiamo escogitato per salvarci: l’avere, il potere e il sapere o, in altri termini, la ricchezza, la vanagloria e la superbia (cfr 1Gv 2, 16). Per questo il potere rifiuta Gesù e poi lo uccide. Ma l’ultima parola non è "morte", ma "risurrezione".
Questo volto di Gesù, il Figlio obbediente di cui qui sono tracciati i lineamenti netti e duri, sarà presentato sempre più chiaramente in tutta la seconda parte del vangelo di Luca.


Padre Lino Pedron
---------------

giovedì 22 settembre 2011

601 - Hai degli errori... e che errori!

Non spaventarti, non scoraggiarti, nello scoprire che hai degli errori... e che errori! — Lotta per strapparli. E, finché lotti, convinciti che è bene sperimentare tutte queste debolezze, perché, altrimenti, saresti un superbo: e la superbia allontana da Dio. (Forgia, 181).


Gesù, se tutti noi riuniti nel tuo Amore fossimo perseveranti! Se riuscissimo a tradurre in opere gli slanci che Tu stesso accendi nei nostri cuori! Domandatevi molto spesso: perché sono su questa terra? E in questo modo otterrete di portare a perfetto compimento — pieno di carità — gli impegni giornalmente intrapresi e la cura delle cose piccole. Faremo tesoro dell'esempio dei santi: persone come noi, di carne e ossa, con fragilità e debolezze, ma che seppero vincere e vincersi per amore di Dio; considereremo il loro comportamento e — come le api che estraggono da ogni fiore il nettare migliore — metteremo a frutto il loro modo di lottare. Voi e io impareremo anche a scoprire tante virtù in quanti ci circondano — ci danno lezioni di lavoro, di abnegazione, di allegria... —, e non indugeremo troppo sui loro difetti; soltanto lo stretto imprescindibile. per poterli aiutare con la correzione fraterna. (Amici di Dio, 20)
---------------

600 - Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?

Il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», 8altri: «È apparso Elia», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti». 9Ma Erode diceva: «Giovanni, l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

Erode, come tutti coloro che non vogliono cambiare, si fa le domande e si dà anche le risposte. Così alla fine ne sa quanto prima. Perché a parlare non si impara niente; ad ascoltare, invece, si può imparare qualcosa. Se poi si ascolta il Cristo, allora si impara tutto quello che serve per avere la vita e averla in abbondanza (cfr Gv 10,10). Ma Erode non vuole ascoltare perché non vuole cambiare le sue convinzioni di comodo. Egli vive per il potere e strumentalizza tutto per mantenere il potere. O Gesù serve al suo potere, o lo elimina. Egli cerca Gesù per ucciderlo (Lc 13,31) e lo vedrà per deriderlo, nientificarlo e mandarlo a morte (Lc 23,11).
Era stato chiamato a conversione dal Battista, ma aveva preferito spegnere la parola di Dio, ucciderla, piuttosto che convertirsi. Leggiamo nel libro dei Proverbi 15,32:"Chi ascolta il rimprovero, acquista senno". Ma Erode è giunto al livello ultimo del male, la stupidità, in cui non si distingue più il bene dal male: è la cecità totale. Quando essa è cosciente, è il peccato contro lo Spirito santo. Per Erode, Gesù è un concorrente da conoscere bene per eliminarlo più facilmente.


Padre Livio Pedron
---------------

mercoledì 21 settembre 2011

599 - Signore, voglio davvero essere santo

Che la tua vita non sia una vita sterile. —Sii utile. —Lascia traccia. —Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore. Cancella, con la tua vita d'apostolo, l'impronta viscida e sudicia che i seminatori impuri dell'odio hanno lasciato. —E incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore. (Cammino, 1)


Cerchiamo di alimentare in fondo al nostro cuore un desiderio ardente, una gran voglia di raggiungere la santità, anche se ci vediamo pieni di miserie. Non spaventatevi: quanto più si procede nella vita interiore, tanto più chiaramente ci si accorge dei difetti personali. L'aiuto della grazia diventa come una specie di lente d'ingrandimento, per cui la più piccola inezia di fango, il granello di polvere quasi impercettibile, risaltano in dimensioni gigantesche, perché l'anima acquisisce la finezza divina, e così anche la più piccola ombra disturba la coscienza che apprezza soltanto il lindore di Dio. Ripeti con me, dal fondo del cuore: Signore, voglio davvero essere santo, voglio davvero essere un tuo degno discepolo e seguirti incondizionatamente. E subito farai il proposito di rinnovare quotidianamente i grandi ideali da cui in questo momento ti senti animato. (Amici di Dio, 20)
-------

598 - Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori

Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Séguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.  Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

In questo testo Gesù appare come un profeta, un missionario itinerante che passando annuncia la parola di Dio. La potenza della sua parola si rivela anche nelle trasformazioni che opera interiormente, nel cuore degli uomini.
Questo brano ci insegna quale dev'essere l'atteggiamento, la disponibilità dell'uomo davanti a Cristo. L'uomo chiamato da Dio, in questo caso, è un appaltatore di imposte, un uomo lontano, per professione, dai problemi religiosi e malvisto da tutti, evitato come peccatore pubblico e persona di malavita. Gesù, invece, lo sceglie e lo invita a far parte del gruppo dei suoi discepoli. La lezione della chiamata di Matteo viene ribadita e convalidata dal banchetto di addio per i suoi amici, in casa sua; tutta gente della sua categoria e reputazione a cui Gesù si associa volentieri. La scena del banchetto in casa di Matteo viene turbata dall'intervento dei farisei (v.11). Ma Gesù giustifica il suo atteggiamento prima col proverbio:" Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati" (v.12), poi con una citazione biblica:" Misericordia io voglio, e non sacrificio" (Os 6,6).
Gesù si rivolge di preferenza ai peccatori perché hanno più bisogno della sua presenza e assistenza, come i malati hanno bisogno del medico più dei sani. I peccatori sono degli ammalati, cioè persone moralmente malferme e infelici, bisognose di cure e di guarigione. La citazione di Osea 6,6 ripresenta il nucleo centrale della volontà di Dio: la misericordia. La carità, dunque, ha il primato su tutte le altre leggi. Anzi, Gesù la antepone allo stesso culto di Dio (v.13). Il tempio di Dio è l'uomo (cfr 1Cor 3,16), non l'edificio di pietra. L'invito di Gesù a lasciare l'offerta davanti all'altare per andare a ricercare il fratello offeso, ci impartisce lo stesso insegnamento (cfr Mt 5,24).
L'uomo è importante come Dio, con un particolare non trascurabile: che Dio sta bene e può aspettare, l'uomo sta male e ha bisogno immediato di soccorso. San Vincenzo de’ Paoli insegnava:" Il servizio dei poveri dev'essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi.
Se nell'ora dell'orazione avete da portare una medicina o un soccorso al povero, andatevi tranquillamente. Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Dio, ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa". Se non si tiene conto del prossimo, il culto diventa un falso servizio a Dio e si rivolge contro il prossimo. La presunta giustizia dei farisei li rende ingiusti col prossimo. Il loro presunto amore per Dio li autorizza a odiare il prossimo. Gesù non è venuto a chiamare i giusti o a frequentare gli ambienti puliti: è venuto a convertire i peccatori e a pulire gli ambienti. Egli invita i farisei a confrontarsi con le Scritture (Os 6,6) per capire se il comportamento giusto è il loro o il suo. Il confronto, naturalmente, è a favore di Gesù. Solo lui compie in modo perfetto la parola di Dio e la beatitudine dei misericordiosi (Mt 5,7). La battuta finale:" Non sono venuto a chiamare i giusti" (v.13) sembra contenere una venatura di "cristiana" ironia nei confronti dei farisei di allora, che si ritenevano giusti. Essa vale anche per i farisei di oggi.


Padre Lino Pedron
-----------

martedì 20 settembre 2011

597 - Rendergli gloria, lodarlo ed estendere il suo regno

Questo post (come tutti quelli con etichetta "Angolo dello Spirito") riporta testi di san Josemaría Escrivá

Nel servizio di Dio, non ci sono mansioni di scarso rilievo: tutte sono molto importanti. — L'importanza della mansione dipende dal livello spirituale di chi la svolge. (Forgia, 618)


Capite dunque perché l'anima non ritrova il sapore della pace e della serenità quando si allontana dal suo fine, quando dimentica che Dio l'ha creata per la santità? Sforzatevi di non perdere mai il punto di mira soprannaturale, neppure nei momenti di riposo e di distensione, necessari quanto il lavoro alla vita di ciascuno.
Potete arrivare al vertice della vostra professione, potete ottenere i trionfi più clamorosi, come frutto della vostra liberissima iniziativa nelle attività temporali; ma se perdete il senso soprannaturale che deve presiedere ogni nostra occupazione umana, avete deplorevolmente sbagliato strada.
Al cospetto di Dio, e questo, in definitiva, è ciò che conta, è vittorioso colui che lotta per comportarsi da cristiano autentico: non ci può essere una soluzione intermedia. Per questo conoscete persone che, giudicando umanamente la loro situazione, dovrebbero essere molto felici, e invece trascinano un'esistenza inquieta, amara; sembra che vendano allegria a profusione, ma appena si gratta la loro anima affiora un gusto aspro, più amaro del fiele. Questo non capiterà a nessuno di noi, se davvero cerchiamo di compiere in ogni momento la Volontà di Dio, di rendergli gloria, di lodarlo e di estendere il suo regno a tutte le creature. (Amici di Dio, nn. 10-12)
---------------

596 - Preghiera del mattino

"Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".
Eppure, a chi potremmo rivolgerci se non a te, Vergine Maria, Madre di Dio e degli uomini, quando cerchiamo di fare la volontà di Dio mettendo in pratica l'insegnamento di suo Figlio?
Tu, Madre degli uomini, hai saputo trovare a Cana le parole giuste per attirare l'attenzione di tuo Figlio sulla mancanza di vino, affinché nessuna ombra turbasse la luminosa felicità dei giovani sposi, alle soglie di una nuova vita.
Sii nostra interprete presso tuo Figlio, nostro Signore.
Chiedigli di guardarci con occhi comprensivi.
Veda la nostra miseria, perdoni le nostre debolezze, ci sostenga con la sua grazia nei nostri sforzi per diventare suoi veri discepoli.
-------------

595 - Passò tutta la notte pregando e scelse dodici ai quali diede anche il nome di apostoli

In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo,Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore. Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Gesù ha compiuto la sua prima manifestazione, ha avuto il suo primo incontro con il popolo e le autorità religiose del paese; ora ha bisogno di una lunga notte di riflessione, di preghiera e di contatto con il Padre. L'opera che ha avviato è destinata a sopravvivere nel tempo, per questo egli deve scegliere degli uomini che condividano la sua causa e la portino avanti nei secoli. Secondo il vangelo di Luca, la Chiesa e la sua organizzazione essenziale provengono direttamente da Cristo.
Gesù sale sul monte per trovare nell'incontro con il Padre la chiarezza necessaria per scegliere i dodici apostoli. Il numero dodici richiama quello dei patriarchi dell'Antico Testamento. Si delinea così la nascita del nuovo popolo di Dio. La preghiera sta all'origine di ogni scelta e azione apostolica di Gesù e della Chiesa. Il giorno della Chiesa spunta dalla notte di Gesù passata in comunione col Padre. Ciò non vuole assolutamente dire che le scelte che il Padre e il Figlio fanno, chiamando i dodici e gli altri dopo di loro lungo i secoli, saranno le migliori secondo la nostra logica umana. La struttura portante della Chiesa è zoppicante fin dall'inizio, sempre aperta al tradimento e al rifiuto del Signore. Pietro e Giuda ne sono le figure emblematiche. E tutto questo non è uno spiacevole imprevisto, ma è una realtà che fa parte del progetto di salvezza. Il motivo che spinge la gente verso Gesù è il bisogno di ascoltare la parola di Dio e di essere guarita. Come la parola del serpente portò il male e la morte (cfr Gen 3), così la parola di Dio guarisce dal male e dà la vita. C'è infatti una stretta connessione tra l'ascolto della parola di Dio e la guarigione, come tra la disobbedienza alla parola di Dio e la morte (cfr Dt 11,26-32). "Il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte" (Rm 5,12) perché l'uomo ha ascoltato il serpente. L'uomo diventa ciò che ascolta. Se ascolta Dio diventa figlio di Dio, se ascolta il diavolo diventa figlio del diavolo.
Come la gente di allora, anche noi possiamo toccare e sperimentare la potenza di Gesù se ascoltiamo la sua parola. La parola di Dio infatti "è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1,16). Infatti "è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione" (1Cor 1,21).


Padre Lino Pedron
-------------

lunedì 19 settembre 2011

594 - Preghiera del mattino

Il sole sorge all'orizzonte.
All'inizio di questa nuova giornata, unisco la mia lode ai canti dei pellegrini, lodo il tuo nome, o Gesù Cristo, luce per l'uomo d'oggi, che vieni sulla terra per tutti i poveri che sperano.
Giungi fino a me e risana la mia cecità; tocca i miei occhi affinché possano vedere verso quale amore tu ci guidi.
-------------

593 - Che ciascuno di voi sia un altro Cristo

Ti è costato molto allontanare e dimenticare le tue piccole preoccupazioni, le tue ambizioni personali: povere e scarse, però ben radicate. In cambio, adesso sei ben convinto che la tua ambizione e la tua occupazione sono i tuoi fratelli, e soltanto loro, perché nel prossimo hai imparato a scoprire Gesù Cristo. (Solco, 765)


Se non vogliamo sprecare inutilmente il tempo — e non valgono le false scuse delle difficoltà dell'ambiente esterno, che non sono mai mancate fin dai primi tempi del cristianesimo —, dobbiamo tenere ben presente che Cristo, in via ordinaria, ha vincolato alla vita interiore l'efficacia del la nostra azione per attirare chi ci circonda. Come condizione per l'influsso dell'attività apostolica, Cristo ha posto la santità; o meglio, il nostro sforzo per essere fedeli, dato che santi, finché siamo sulla terra, non lo saremo. Sembra incredibile, ma Dio e gli uomini hanno bisogno, per parte nostra, di una fedeltà senza palliativi, senza eufemismi, che giunga alle estreme conseguenze, senza mediocrità e senza compromessi, nella pienezza di una vocazione cristiana assunta e praticata con grande cura.
Forse qualcuno di voi sta pensando che io alluda esclusivamente a gruppi scelti di persone. Non lasciatevi ingannare tanto facilmente dalla codardia o dalla comodità. Sentite, invece, l'urgenza divina che ciascuno di voi sia un altro Cristo, ipse Christus, lo stesso Cristo; in poche parole, l'urgenza che il vostro comportamento si svolga in coerenza alle norme della fede, perché la nostra santità — la santità a cui aspiriamo — non è una santità di seconda categoria, che non può esistere. (Amici di Dio, 6)
---------------------

592 - La lampada si pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce

«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c'è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».

L'ascolto della parola di Dio è una luce che accende il discepolo perché faccia luce a chi è ancora nelle tenebre. Chi ha realmente accolto la parola, la trasmette agli altri; chi è luminoso, illumina. La missionarietà della Chiesa è un fatto naturale come per la luce illuminare. Se non illumina, non è luce; se non evangelizza, non è la Chiesa di Cristo. La lampada simboleggia il vangelo, che non può essere tenuto nascosto, ma deve espandersi e illuminare il mondo. Ogni cristiano ha preso in mano la fiaccola del vangelo e deve tenerla in alto, in modo che sia più visibile a coloro che vogliono entrare nella comunità cristiana. La comunità cristiana è il luogo aperto a tutti, la casa sul monte, ben visibile anche ai lontani, la casa della luce. Il richiamo al comportamento insensato di chi pone la lampada sotto il vaso o sotto il letto, non è assolutamente fuori luogo. La luce del vangelo può essere tenuta nascosta per non lasciarsi coinvolgere nel suo chiarore, per dormire sonni tranquilli, per non alzarsi dalle situazioni di pigrizia spirituale o di peccato. Quando la luce che promana dal Cristo e dal suo vangelo illumina, risveglia, mette a nudo situazioni di peccato e scopre la nostra pigrizia e infingardaggine, si preferisce nasconderla o, addirittura, spegnerla. San Giovanni ha scritto:" La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" (Gv 3,19). Il testo di oggi è un invito e un ammonimento ad essere lampade accese, luminose per i membri della comunità e per tutti. "Non c'è nulla di nascosto che non deva essere manifestato, nulla di segreto che non deva essere conosciuto e venire in piena luce" (v.17). Questa frase è un'allusione al mistero inesauribile di Cristo. Ci sarà sempre qualcosa di nascosto, che deve essere scoperto o riscoperto nella persona di Cristo e nel suo vangelo. La conoscenza del Signore non sarà mai perfetta, esauriente, definitiva. Gesù ha detto;" Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che ha udito e vi annunzierà le cose future" (Gv 16, 12-13).
"Fate attenzione a come ascoltate" (v.18). Questa frase ci richiama la spiegazione della parabola del seminatore (vv.11-14). " Come ascoltate" significa: con quale atteggiamento, disponibilità, prontezza il cristiano si mette all'ascolto della parola. Il vangelo trova sempre buona accoglienza in quelli che sono già ben disposti, viene rifiutato sovente da quelli che sono lontani dalla verità. Quasi nessuno rifiuta la verità per partito preso, ma perché è convinto di averla già in sé; perché è convinto che la sua verità è più vera di quella che gli altri gli annunciano. Ma, come ci insegna il vangelo, il rifiuto dell'ascolto della parola di Dio può produrre amare sorprese.


Padre Lino Pedron
--------------

domenica 18 settembre 2011

591 - Preghiera del mattino

Grazie, Signore, di avermi chiamato a lavorare nella tua vigna, oggi, con i problemi, le difficoltà, le sfide e le speranze di questo tempo che è il tuo tempo.
Signore, nella tua vigna c'è spazio per tutti e tu chiami ad ogni ora; che io non mi erga mai a giudice di nessuno e di nessuna situazione ma sappia invece godere dei doni che riservi ai miei fratelli e sorelle.
Signore, rendimi capace di vivere e testimoniare l'universale vocazione alla santità nella mia concreta condizione di vita.
------------------

590 - Sei invidioso perché io sono buono?

Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: «Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò». Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: «Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?». Gli risposero: «Perché nessuno ci ha presi a giornata». Ed egli disse loro: «Andate anche voi nella vigna». Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: «Chiama i lavoratori e da' loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi». Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: «Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?». Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

I due detti di Gesù: "Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi" (Mt 19, 30) e "così gli ultimi saranno primi e i primi gli ultimi" (Mt 20, 16) servono come inclusione della parabola degli operai della vigna. Il messaggio è questo: rinunciare ad essere grandi per diventare piccoli, accettare che l’ultimo riceva quanto il primo. Il Regno è un dono gratuito, una grazia da accogliere. Spontaneamente siamo tentati anche noi di mormorare contro il Signore della vigna, perché il suo modo di agire mette a soqquadro i nostri criteri di valutazione, di retribuzione equa, di giustizia sociale, di merito. Ma trasferendo le nostre misure sul piano della salvezza, noi poniamo il problema in modo sbagliato: essere ingaggiati nella vigna del Signore, essere chiamati al Regno è una grazia, un onore, una gioia, una fortuna.
E se Dio chiama tutti e a tutte le ore e accorda il medesimo dono straordinario e gratuito che è la salvezza, ciò deve farci straordinariamente felici, anche perché, erroneamente, tutti riteniamo di essere operai della prima ora che reclamano la salvezza come un diritto, mentre in realtà ci viene concessa come dono. Dio si riserva la libertà dalla scelta per grazia, che abbatte la presunzione umana. A imitazione di Dio, i "primi" sono invitati a guardare agli "ultimi" con bontà e non con cuore cattivo. L’amore di Dio raggiunge tutti gli uomini e non fa differenze. Il salario è sempre lo stesso e non può essere diviso perché il premio della vita è Gesù Cristo.


Padre Lino Pedron
-------------------------

sabato 17 settembre 2011

589 - Il lavoro, un segno dell'amore di Dio

Questo post (come tutti quelli con etichetta "Angolo dello Spirito") riporta testi di san Josemaría Escrivá

Ti sta aiutando molto -mi dici- questo pensiero: dall'epoca dei primi cristiani, quanti commercianti si saranno fatti santi? E vuoi dimostrare che anche adesso è possibile... Il Signore non ti abbandonerà in questo impegno. (Solco, 490)


Quel che ho sempre insegnato - da quarant'anni a questa parte - è che ogni lavoro umano onesto, sia intellettuale che manuale, deve essere realizzato dal cristiano con la massima perfezione possibile: vale a dire con perfezione umana (competenza professionale) e con perfezione cristiana (per amore della volontà di Dio e al servizio degli uomini). Infatti, svolto in questo modo, quel lavoro umano, anche quando può sembrare umile e insignificante, contribuisce a ordinare in senso cristiano le realtà temporali - manifestando la loro dimensione divina - e viene assunto e incorporato nell'opera mirabile della Creazione e della Redenzione del mondo. In tal modo il lavoro viene elevato all'ordine della grazia e si santifica: diventa opera di Dio, operatio Dei, opus Dei.
Ricordando ai cristiani le parole meravigliose del libro della Genesi - dove si dice che Dio creò l'uomo perché lavorasse -, abbiamo fatto attenzione all'esempio di Cristo, che trascorse quasi tutta la sua esistenza terrena nel lavoro di artigiano, in un villaggio. Noi amiamo questo lavoro umano che Egli adottò come condizione di vita, che coltivò e santificò. Noi vediamo nel lavoro, nella nobile fatica creatrice degli uomini, non solo uno dei valori umani più elevati, lo strumento indispensabile per il progresso della società e il più equo assetto dei rapporti fra gli uomini, ma anche un segno dell'amore di Dio per le sue creature e dell'amore degli uomini fra di loro e per Dio: un mezzo di perfezione, un cammino di santità. (Colloqui con Mons. Escrivá, 10).
-----------

588 - Preghiera del mattino

Padre, gloria a te, che ti prepari a far nascere Cristo nel tempo stabilito.
Gloria a te, Signore unico e beato, Re dei re, Signore dei dominanti, che, solo, sei immortale.
Concedici, quando Gesù verrà, di abitare con lui nella tua luce inaccessibile che si aprirà per noi grazie alla tua misericordia.
Venga infine il giorno in cui tu ci giudicherai e ci deificherai.
Padre, nella tua bontà, concedici il desiderio di restare irreprensibili e saldi per il giorno della sua venuta.
Maranatha!
------------

587 - Il seme caduto sul terreno buono sono coloro che custodiscono la Parola e producono frutto con perseveranza

Poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un'altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un'altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono.8Un'altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano. Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l'hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dalloro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.

Il seminatore presentato da questa parabola non è un contadino incapace, ma un grande ottimista che spera che anche le pietre diventino terra feconda e che dal suolo arido della strada spuntino spighe piene e mature. In altre parole: Gesù annuncia la sua parola a tutti, cattivi e buoni, "perché Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità" (1Tm 2,4).
Dio non ha preclusioni verso nessun uomo. Anche se desideroso di essere accolto, Gesù non sceglie il terreno secondo criteri di opportunità: si rivolge a tutta la gente che viene a lui da ogni parte. Egli è venuto a salvare i peccatori (5,32), a guarire i malati (5,31). La sua azione è diretta ai nemici più ostinati, ai peccatori più induriti. Non ha guardato ai buoni, ai santi e agli eletti, dimenticando gli altri (come spesso facciamo noi), ma ha rivolto lo sguardo e l'attenzione a tutti.
Le parti di terreno improduttivo, su cui ha gettato ugualmente il seme, lasciano intendere la sua buona volontà, la sua fiducia e il suo impegno. L'azione e la parola di Dio sono destinate a tutti, cattivi e buoni. Il seminatore Gesù è fiducioso e sostenuto da grande coraggio. I cristiani, che sono gli operai dell'evangelizzazione, devono continuare ad avere fiducia. La loro azione, alla fine, sarà premiata. Dio non si stanca di attendere la conversione dell'uomo: allo stesso modo ha agito il Cristo e devono agire i suoi inviati. Dopo tanti insuccessi si può arrivare a dei risultati superiori ad ogni attesa.
La legge dell'evangelizzazione, come emerge da questo testo, è deludente e insieme consolante. Il successo passa attraverso l'insuccesso. L'evangelizzazione avanza lentamente; solo i missionari coraggiosi, capaci di saper credere e attendere, vedranno i risultati delle loro fatiche. La parabola del seminatore è la parabola dell'ottimismo di Gesù nell'efficacia dell'annuncio della Parola: dev'essere il fondamento dell'ottimismo e della speranza del cristiano nell'annuncio gioioso di Gesù, parola di salvezza. "A voi è dato di conoscere i misteri del regno di Dio" (v.10). Conoscere i misteri del regno di Dio significa viverli. Nel Nuovo Testamento la parola mistero non indica una verità segreta, ma il disegno di salvezza, nascosto da secoli e svelato in Gesù Cristo. In questo contesto di Luca, "conoscere i misteri del regno di Dio" equivale a raggiungere la salvezza in Gesù.
"Gli altri"(v.10) o "quelli di fuori"(Mc 4,11) sono gli avversari di Gesù e degli apostoli. I due gruppi abituali del vangelo sono: da una parte i discepoli (gli apostoli e coloro che ascoltano) e dall'altra gli scribi, i farisei e il loro seguito. Questi ultimi si sono manifestati ostili al discorso semplice, in parabole, adottato da Cristo. Le motivazioni di questa scelta di Gesù, di parlare in parabole, sono di carattere pratico, pastorale: "Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola, seconda quello che potevano intendere" (Mc 4,33).
Perché la parola di Dio porti frutto nell'uomo e raggiunga il suo scopo deve entrare e mettere radice in lui. Deve stabilire con l'uomo un rapporto di vita, cioè deve comunicargli la vita nuova, la vita di Dio. La fede è la parola di Dio ascoltata. Il credente è l'uomo che accoglie Dio nella sua vita.
Siccome la parola di Dio è semente buona, il problema reale è l'uomo. "I semi caduti lungo la strada"(v.11) sono coloro che vivono nella superficialità, nella banalità, nell'ovvietà, nel buon senso, che è tutt'altro che neutro nei confronti di Dio. "Quelli sulla pietra"(v.13) sono gli egoisti, che non aprono il cuore né a Dio né al prossimo.
"Il seme caduto in mezzo alle spine"(v.14) sono coloro che ospitano gli alleati del demonio nel proprio cuore. Il primo alleato sono le preoccupazioni, l'affanno, l'ansia, l'inquietudine, anche per cose buone. L'affanno e la paura sono la spia della mancanza di fede. Il secondo alleato è la ricchezza. Nel vangelo di Luca la povertà è il volto concreto della fede e della carità, perché porta a fidarsi di Dio e a condividere con i fratelli. La fiducia nel dio mammona (che significa: ciò che si possiede) sostituisce la fiducia in Dio (cfr Lc, 11,41; 12,33-34; 14,33; 16,13; At 2,44; 4,32.34; ecc.). Il terzo alleato sono i piaceri della vita (cfr Lc 12,45; 14,15 ss; ecc.) di cui è impossibile fare l'elenco completo. Questi sono i punti deboli dell'uomo che diventano facilmente alleati del diavolo nel soffocare la parola di Dio. Se la parola di Dio vuole portare frutto dev'essere annunciata, ascoltata, accolta nel cuore e creduta. Dev'essere accolta e mantenuta saldamente, nonostante le tentazioni. "Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che... producono frutto con la loro perseveranza" (v.15), cioè con costanza e fermezza. La parola di Dio trasforma l'uomo, ma non senza la collaborazione dell'uomo. Sant'Agostino ha scritto: "Chi ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te".


Padre Lino Pedron
-------------------

venerdì 16 settembre 2011

586 - Cercarlo, trovarlo, frequentarlo, amarlo

Questo post (come tutti quelli con etichetta "Angolo dello Spirito") riporta testi di san Josemaría Escrivá


La vita interiore si irrobustisce con la lotta nelle pratiche quotidiane di pietà, che devi compiere — anzi: che devi vivere! — amorosamente, perché il nostro cammino di figli di Dio è cammino d'Amore. (Forgia, 83)


Nello sforzo di identificarci con Cristo, mi piace distinguere quattro gradini: cercarlo, trovarlo, frequentarlo, amarlo. Forse vi rendete conto di trovarvi solo nella prima tappa. Cercatelo con fame, cercatelo in voi stessi con tutte le vostre forze. Se agite con tale impegno, oso garantirvi che lo avete già trovato, e che avete incominciato a frequentarlo e ad amarlo, ad avere la vostra conversazione nei cieli.
Cerca di attenerti a un piano di vita, con costanza: alcuni minuti di orazione mentale, assistere alla santa Messa — ogni giorno se ti è possibile — e ricevere la Comunione, ricorrere con regolarità al santo Sacramento del perdono — anche se la tua coscienza non ti accusa di peccato mortale —, la visita a Gesù nel Tabernacolo, la recita del santo Rosario con la contemplazione dei misteri, e tante altre pratiche stupende che già conosci o puoi imparare.
Non dimenticare che quello che conta non è fare molte cose; limitati a compiere, con generosità, quelle cose che puoi fare ogni giorno, sia che ne abbia o no la voglia. Quelle pratiche ti condurranno, quasi senza che te ne avveda, all'orazione contemplativa. Germoglieranno sempre di più dalla tua anima gli atti di amore, le giaculatorie, gli atti di ringraziamento e di riparazione, le comunioni spirituali. E tutto ciò mentre assolvi i tuoi obblighi: mentre prendi il telefono o sali su un mezzo di trasporto, mentre chiudi o apri una porta, quando passi davanti a una chiesa, quando inizi un nuovo compito, o mentre lo svolgi o quando lo concludi; farai tutto alla presenza di Dio tuo Padre. (Amici di Dio, 300 e 149)
-------

585 - Fidarci di te

Dio mio,
alle volte devo fare
un pezzo di strada con qualcuno,
ascoltare, incoraggiare,
aprirgli gli occhi
sul tuo mondo meraviglioso.


Egli, talvolta,
non ne percepisce neppure il fascino,
per qualcosa che tristemente ha perduto
o sogna qualcosa di impossibile.


Signore,
aiutaci a fidarci di te,
della tua provvidenza.
Guardandoci, fa' che ci sentiamo privilegiati,
appagati e pieni di gratitudine.


Nel tuo amore c'è tutto ciò
di cui abbiamo bisogno.


Elke Fischer
-----------