martedì 31 maggio 2011

268 - Tu sei benedetta fra le donne

Volgi i tuoi occhi alla Vergine e contempla come vive la virtù della lealtà. Quando Elisabetta ha bisogno di Lei, il Vangelo dice che accorre «cum festinatione», con gioiosa sollecitudine. Impara! (Solco, 371)

Mio piccolo amico, ormai sai cavartela da solo. Accompagna con gioia Giuseppe e Maria Santissima e ascolterai le tradizioni della casa di Davide.
Sentirai parlare di Elisabetta e di Zaccaria, t'intenerirai per l'amore purissimo di Giuseppe; e il tuo cuore batterà forte ogni volta che verrà nominato il bambino che nascerà a Betlemme. Camminiamo in fretta verso le montagne, fino a un villaggio della tribù di Giuda (Lc 1, 39)
Siamo giunti. E' la casa in cui deve nascere Giovanni, il Battista. Elisabetta, riconoscente, rende lode alla Madre del suo Redentore: Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno! E donde a me tanto bene, che la Madre del mio Signore venga a visitarmi? (Lc 1, 42-43).
Il Battista sussulta nel seno di sua madre ( Lc 1, 41). L'umiltà di Maria trabocca nelMagnificat - E tu e io, che siamo anzi, eravamo dei superbi promettiamo di essere umili. (Santo Rosario, 2º mistero gaudioso)
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lunedì 30 maggio 2011

267 - Fate quello che vi dirà

In mezzo al giubilo della festa, a Cana, soltanto Maria si accorge che manca il vino... L'anima giunge fino ai minimi dettagli di servizio se, come Lei, vive appassionatamente intenta ai bisogni del prossimo, per il Signore. (Solco, 631)

Dei tanti invitati a quelle vivaci nozze di paese, soltanto Maria si avvede che manca il vino (cfr Gv 2, 3). Se ne accorge lei sola, e tempestivamente. Come ci risultano famigliari le scene della vita di Cristo! In esse la grandezza di Dio si intreccia con la vita più comune e quotidiana. È tipico della donna di casa avveduta e prudente notare una manchevolezza, badare ai piccoli dettagli che rendono amabile la vita: tale è il comportamento di Maria.

– Fate quello che vi dirà (Gv 2, 5).
Implete hydrias (Gv 2, 7), riempite d’acqua le giare, e il miracolo avviene. Così, con questa semplicità. Tutto normale. Quei servi facevano il loro mestiere. L’acqua era a portata di mano. Ed è la prima manifestazione della divinità del Signore. La cosa più banale diventa straordinaria, soprannaturale, quando abbiamo la buona volontà di dar retta a quello che Dio ci chiede.

Voglio, Signore, abbandonare nelle tue mani generose la cura di tutto ciò che è mio. Nostra Madre – tua Madre! – ti ha già fatto risuonare all’orecchio, come a Cana: non hanno!...

Se la nostra fede è debole, ricorriamo a Maria. Per il miracolo delle nozze di Cana, compiuto da Cristo per la preghiera di sua Madre, i suoi discepoli credettero in lui (Gv 2, 11). Maria, nostra Madre, intercede continuamente presso suo Figlio perché ci ascolti e si manifesti anche a noi, cosicché possiamo proclamare: «Tu sei il Figlio di Dio».

– Dammi, o Gesù, questa fede, che desidero davvero! Madre mia e Signora mia, Maria Santissima, fa’ che io creda!
(Santo Rosario, 2º Mistero luminoso).
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266 - Lo Spirito della verità darà testimonianza di me

Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l'ho detto. Non ve l'ho detto dal principio, perché ero con voi.

Gli amici di Gesù non saranno lasciati soli nelle persecuzioni e nelle circostanze dolorose: lo Spirito Santo li renderà abili alla testimonianza, confonderà i nemici del Cristo e lo glorificherà.
La missione specifica dello Spirito consisterà nel rendere testimonianza al Cristo, nel glorificarlo e nel prendere le sue difese davanti al mondo (Gv 16,8ss).
Nel mandare il Paraclito, Cristo non opera in modo autonomo o indipendente, perché egli lo invia "da presso il Padre" e questa persona divina "procede da presso il Padre". Egli, venendo sui discepoli, svolgerà la sua missione a favore di Gesù, rendendogli testimonianza. Il Paraclito è chiamato "Spirito della verità" perché è lo Spirito di Cristo che è la verità (Gv 14,6) e perché svolge la sua missione a favore di Cristo che è la verità.
I discepoli potranno testimoniare la loro fede in Cristo perché riceveranno nel cuore la testimonianza interiore dello Spirito. Questa persona divina suscita l’adesione vitale al Figlio di Dio (Gv 3,5ss) e conferma la fede profonda mediante la quale si riporta vittoria sul mondo incredulo (1Gv 5,5-6).
Gli apostoli potranno rendere testimonianza alla divinità del Cristo perché sono stati con lui fin dall’inizio.
Fortificati nella fede dallo Spirito Santo, saranno testimoni del Cristo dinanzi al mondo (Lc 24,48; At 1,8.22). Con la sua rivelazione sul Paraclito, Gesù vuole prevenire lo scandalo dei discepoli in tempo di prove e di persecuzioni. L’emarginazione dalla società civile e religiosa sarà il primo passo contro i cristiani. L’odio dei nemici di Gesù si manifesterà anche in atti di violenza che giungeranno fino all’assassinio; anzi, chi ucciderà i discepoli del Cristo penserà di rendere culto a Dio, perché non hanno conosciuto né il Padre né il Figlio. Gesù ha rivelato in anticipo ai suoi amici le persecuzioni degli uomini e la testimonianza dello Spirito perché non si meraviglino e non si spaventino di tanto odio del mondo. Gesù sta per tornare al Padre e sente il bisogno di premunire i discepoli dalle tentazioni dello sconforto e dell’apostasia. In tali circostanze dolorose i discepoli sperimenteranno angoscia e sofferenza, simili alle doglie del parto, ma la loro tristezza si trasformerà in gioia quando Gesù tornerà a prenderli con sé (Gv 16,21-22). Questa felicità sarà pregustata parzialmente in occasione dell’apparizione del Risorto ai Dodici (Gv 20,20).

Padre Lino Pedron

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sabato 28 maggio 2011

265 - Commento al vangelo del 29/5/2011

Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”.

Anche il vangelo di oggi, come quello della scorsa domenica, è tratto dal primo dei tre discorsi di addio pronunciati da Gesù durante l’ultima cena.
I discepoli hanno capito che Gesù sta per lasciarli, sono tristi e si chiedono come potranno continuare ad essergli uniti e ad amarlo se egli se ne va.
Gesù promette di non lasciarli soli, senza protezione e senza guida; dice che pregherà il Padre ed egli “invierà un altro Paraclito” che rimarrà per sempre con loro (v. 16). È la promessa del dono di quello Spirito che Gesù possiede in pienezza (Lc 4,1.14.18) e che sarà effuso sui discepoli.
Gesù chiarisce (vv. 15.17) che lo Spirito può essere accolto solo da coloro che sono in sintonia con lui, con i suoi progetti, con le sue opere di amore. Il mondo non può riceverlo.
Chi è questo mondo al quale non è destinato lo Spirito? I pagani, i lontani, chi non appartiene al gruppo dei discepoli, i membri di altre religioni?
Per mondo Gesù non intende le persone, ma quella parte del cuore dell’uomo – di ogni uomo – in cui regna la tenebra, il peccato, la morte. Là dove si celano odi, concupiscenze, passioni sregolate... lì è presente ilmondo, con il suo spirito, opposto a quello di Cristo. Lo ricorda Paolo ai corinti che si lasciavano guidare dallasapienza degli uomini: “Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio” (1 Cor 2,12).

Lo Spirito riceve due nomi. È chiamato Consolatore (Paraclito) e Spirito della verità. Sono le due funzioni che egli esercita nei credenti.
Consolatore non è una buona traduzione del grecoparákletos. Paraclito è un termine preso dal linguaggio forense e indica colui che è chiamato accanto.
Anticamente non c’era l’istituzione degli avvocati; ogni imputato doveva difendersi da solo, cercando di portare testimoni che lo scagionassero dalle accuse. Accadeva a volte che qualcuno, pur non essendo colpevole, non riuscisse a provare la propria innocenza oppure che, pur avendo commesso il crimine, meritasse il perdono. Per costui rimaneva un’ultima speranza: che in mezzo all’assemblea ci fosse un uomo onorato da tutti per la sua integrità morale e che questa persona irreprensibile, senza pronunciare alcuna parola, si alzasse e andasse a porsi al suo al fianco. Questo gesto equivaleva ad un’assoluzione. Nessuno più avrebbe osato chiedere la condanna. Questo “difensore” era chiamato... “paraclito”, cioè, “colui che è chiamato a fianco di chi si trova in difficoltà”.
Il senso di questo primo titolo è dunque quello di protettore, soccorritore, difensore.
Gesù promette ai discepoli un altro paraclito, perché ne hanno già uno, egli stesso, come spiega Giovanni nella sua prima lettera: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un paraclito presso il Padre: Gesù Cristo giusto” (1 Gv 2,1).
Gesù è paraclito in quanto nostro avvocato presso il Padre, non perché ci difende dalla sua ira, provocata dalle nostre colpe (il Padre sta sempre dalla nostra parte, come Gesù), ma perché ci protegge contro il nostro accusatore, il nostro avversario, il peccato. Il nemico è il peccato e Gesù sa come confutarlo, come ridurlo all’impotenza.
Il secondo paraclito non ha il compito di sostituire il primo, ma di svolgere una nuova missione, infatti è inviato assieme a Gesù che “ritorna” in mezzo ai suoi (v. 18). Gesù non è andato via, ha semplicemente cambiato tipo di presenza, non più quella fisica, ma quella da Risorto. Un modo nuovo il suo di stare a fianco dei discepoli, infinitamente più reale – pur nella sua invisibilità – più duraturo, illimitato rispetto a prima.
Lo Spirito è paraclito perché viene in soccorso dei discepoli nella loro lotta contro il mondo, cioè contro le forze del male (Gv 16,7-11).
Giovanni richiama ai cristiani delle sue comunità questa verità affinché, in mezzo alle difficoltà della vita, non si scoraggino, non disperino, non perdano la serenità, la pace del cuore, la gioia. Il discepolo crede nell’assistenza dello Spirito e non teme, non si abbatte nemmeno quando deve ammettere che in lui esistono ancora tante miserie spirituali, tante debolezze, tante cattive inclinazioni. È convinto della forza del Paraclitoed è sicuro di non uscire sconfitto. Il secondo titolo – che enuncia un’altra funzione del Paraclito – è Spirito della verità.
La sua opera a servizio della verità si esplica in vari modi.
Cominciamo dal più semplice. Tutti sappiamo cosa accade quando una notizia passa di bocca in bocca: è soggetta a deformazioni, si altera a tal punto da divenire irriconoscibile.
Il messaggio di Gesù è destinato a tutti gli uomini, deve essere predicato fino alla fine del mondo. Chi ci assicura che non si corromperà, che non subirà interpretazioni devianti? Umanamente l’impresa appare disperata, ma abbiamo la certezza che tutti potranno attingere alla sorgente pura del vangelo, perché nella Chiesa, incaricata di annunciarlo, è operante la forza dello Spirito della verità, promesso da Gesù.
Il suo servizio alla verità non si limita a questa parte che potremmo chiamare negativa. Egli non impedisce soltanto che si introducano errori nella trasmissione del messaggio di Cristo. Egli svolge un’altra funzione, positiva: introduce i discepoli nella pienezza della verità.
Ci sono verità che Gesù non ha esplicitamente trattato o che non ha sviluppato in tutti i dettagli, perché i discepoli non erano ancora in grado di capirle (Gv 16,12-15). Egli sapeva che, lungo i secoli, sarebbero sorti problemi e interrogativi nuovi. Dove si sarebbero potute trovare le risposte autentiche, conformi al suo pensiero?
Anche a questo livello Gesù promette l’intervento dello Spirito: egli è incaricato di introdurre il discepolo alla scoperta di tutta la verità. Non dirà nulla di nuovo o di contrario rispetto a lui, aiuterà a cogliere fino in fondo, fin nelle ultime conseguenze, il suo messaggio.
Da qui nasce il dovere dei cristiani di rimanere aperti agli impulsi dello Spirito che rivela sempre cose nuove. Egli è, per sua natura, colui che rinnova la faccia della terra (Sal 104,30).
È un peccato contro lo Spirito (e molto grave! Cf. Mt 12,31) opporsi al rinnovamento, rifiutare le innovazioni che favoriscono la vita delle comunità, che avvicinano a Cristo e ai fratelli, che accrescono la gioia e la pace, che aiutano a pregare meglio, che liberano i cuori da inutili paure.
Chi rimane caparbiamente affezionato a tradizioni religiose ormai desuete e logore, chi non si impegna diligentemente nello studio della parola di Dio, chi non accetta l’aggiornamento di riti, formule, gesti liturgici, chi dà risposte vecchie a problemi nuovi, chi non accoglie con gioia le scoperte dell’esegesi biblica, tutti costoro si collocano in opposizione allo Spirito della verità.
Il termine verità ha per l’evangelista Giovanni un significato ancora più profondo: indica Dio stesso che si manifesta in Gesù. Egli è la verità (Gv 14,6) perché in lui si realizza la totale rivelazione di Dio. Menzogna è rifiutare lui, fare una scelta di vita contraria alla sua. Satana, il nemico della verità, il “padre della menzogna” (Gv 8,44), è tutto ciò che allontana da Cristo.
Lo Spirito agisce in modo opposto: introduce nella “verità”, agisce nell’intimo di ogni uomo e fa sì che, liberamente, si inclini a scegliere Cristo, aderisca alla sua proposta. È come un vento che solleva verso l’alto e porta in modo irresistibile alla salvezza.
È difficile immaginare che l’impulso di questo Spirito non riesca a introdurre ogni uomo nella verità. Perché lasciarsi anche soltanto sfiorare dal dubbio che il mondo– che è ancora presente in ognuno noi – sia più forte di quest’impulso divino alla vita?

Fernando Armellini (biblista)

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264 - Voi non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo

Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che io vi ho detto: «Un servo non è più grande del suo padrone». Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato.

Gesù, dopo aver parlato dell’amore e dell’amicizia, tratta un tema antitetico, quello dell’odio. I discepoli devono amarsi fraternamente come Cristo li ha amati; essi però saranno odiati dal mondo proprio perché sono amici di Gesù. Come il mondo ha odiato e perseguitato Cristo, così odierà e perseguiterà i suoi discepoli. Il mondo, in quanto personificazione del male, odia la luce (Gv 3,20), lotta contro il Verbo-luce (Gv 1,5.10), perché preferisce le tenebre alla luce (Gv 3,19).
Questo mondo tenebroso, in potere del maligno (1Gv 5,19), odia il Cristo (Gv 7,7), ma con la glorificazione di Gesù è condannato (Gv 12,31) e sarà convinto di peccato dallo Spirito Santo (Gv 16,8).
Il mondo ostile a Gesù odia anche i suoi discepoli; essi sperimenteranno tribolazioni, ma non devono spaventarsi, perché il Cristo ha vinto il mondo (Gv 16,33). I cristiani partecipano a questa vittoria mediante la fede (1Gv 5, 4).
Nel vangelo di Giovanni, il mondo satanico, in concreto, è rappresentato dai giudei, dai capi del popolo che perseguitano il Cristo (Gv 5,16) e tentano di ucciderlo (Gv 5,18). Costoro odiano Gesù e di conseguenza odiano anche il Padre (Gv 15,23-24).
La ragione profonda di questo odio contro i discepoli sta nel fatto che essi non appartengono al mondo di satana, ma al nuovo popolo di Dio, perché Gesù li ha scelti per grazia.
Per illustrare la ragione di questo odio del mondo, Gesù ricorre al detto già utilizzato nel contesto della lavanda dei piedi per insegnare la necessità di imitare il suo esempio nell’umile servizio dei fratelli (Gv 13,16). Questa massima è qui utilizzata per informare i discepoli sull’inevitabilità delle persecuzioni. Ma i discepoli, perseguitati a causa della giustizia, ossia a motivo della persona di Gesù, devono considerarsi beati (Mt 5,10-11).
La ragione profonda di questo odio del mondo contro gli amici di Gesù è la loro appartenenza al Signore. I cristiani aderiscono all’uomo-Dio, per questo saranno osteggiati da quelli che si oppongono al regno di Cristo. Questo atteggiamento ostile dei nemici di Cristo è dovuto all’ignoranza nei confronti di Dio. Non solo i pagani, ma anche i giudei che perseguitano Gesù e i suoi discepoli, in realtà non conoscono il Padre (Gv 17,25). I nemici di Cristo, uccidendo i cristiani, penseranno di rendere gloria a Dio: Essi si comporteranno così perché non hanno conosciuto né il Padre né Gesù (Gv 16,3).
I giudei hanno rifiutato il loro Messia e continuano a vivere nel rifiuto di credere. Questo loro peccato è senza attenuanti dopo la venuta e la rivelazione del Figlio di Dio: il loro peccato è senza scusa. Questo peccato consiste nel rifiuto radicale di Cristo.

Padre Lino Pedron

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venerdì 27 maggio 2011

263 - Regina della pace, prega per noi

La Madonna così l'invoca la Chiesa è la Regina della pace. Per questo quando la tua anima, l'ambiente famigliare o professionale, la convivenza nella società o tra i popoli sono agitati, non cessare di acclamarla con questo titolo: «Regina pacis, ora pro nobis!» Regina della pace, prega per noi! Hai provato, almeno, quando perdi la serenità?... La sua immediata efficacia ti sorprenderà. (Solco, 874)

Non c'è pace in tanti cuori che tentano invano di compensare l'inquietudine dell'anima con un'attività incessante, con la minuscola soddisfazione di beni che non saziano, perché lasciano dietro di se il sapore amaro della tristezza. (...)
Cristo, nostra pace, è anche Via. Se vogliamo la pace, dobbiamo seguire i suoi passi. La pace è la conseguenza della guerra, della lotta. Lotta ascetica, intima, che ogni cristiano è tenuto a sostenere contro tutto ciò che nella sua vita non viene da Dio: la superbia, la sensualità, l'egoismo, la superficialità, la meschinità del cuore. È inutile reclamare la serenità esteriore quando manca la tranquillità nella coscienza, nell'intimo dell'anima,perché dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. (E' Gesù che passa, 73)

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262 - Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

I precetti dati da Gesù ai suoi discepoli sono tanti, ma il suo comandamento specifico, che li contiene tutti, è uno solo: l’amore scambievole tra i suoi discepoli.
L’elemento distintivo caratteristico dell’amore fraterno tra i discepoli è la sua misura e il suo modello: "Come io vi ho amati" (v. 12). Il Cristo si presenta come l’esemplare dell’amore forte ed eroico, fino al vertice supremo (Gv 13,1.34) e come il fondamento di questo amore: è lui che lo rende possibile all’uomo. Difatti la particella "come" (kathós) indica non solo un paragone, ma anche la base su cui poggia il comportamento del discepolo (Gv 6,57; 13,15).
Gesù può dare con efficacia il suo comandamento perché egli è il Maestro dell’amore e ne ha offerto agli amici la prova suprema con il sacrificio della vita (v. 13). Il dono della vita per gli amici costituisce il segno più eloquente dell’amore forte e concreto.
L’amore di Dio si è manifestato nel dono del suo Figlio unigenito (Gv 3,16; 1Gv 4,9-10). L’amore di Dio è sperimentabile e concreto. L’amore dei discepoli dev’essere altrettanto concreto e impegnativo.
L’amore autentico per il Signore si dimostra osservando i suoi comandamenti (1Gv 2,4-5). Chi non vive la parola di Cristo, che prescrive l’amore per i fratelli, non può amare Dio (1Gv 4,20-21).
Gesù considera amici i suoi discepoli perché li ha resi partecipi dei segreti della sua vita divina (v. 15). Egli ha rivelato loro il nome, cioè la persona del Padre e quindi li ha resi partecipi della vita di Dio rivelando e comunicando loro la vita del Padre (Gv 8,26. 40). Questo rapporto d’amore non è frutto di una scelta dei discepoli, ma è dono, è grazia.
Gli apostoli, e dopo di loro tutti i credenti, sono stati scelti dal Cristo per essere suoi amici e suoi missionari (v. 16).
Gesù preannuncia la fecondità apostolica dei suoi amici. Una delle conseguenze importanti di questa unione fruttuosa con Cristo è l’esaudimento delle loro richieste al Padre, fatte nel nome di Gesù (v. 16).

Padre Lino Pedron

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giovedì 26 maggio 2011

261 - Maria, Regina degli Apostoli

Che lezione straordinaria in ciascuno degli insegnamenti del Nuovo Testamento! Dopo che il Maestro, nell'ascendere alla destra di Dio Padre, ha detto loro: «Andate e predicate a tutte le genti», i discepoli sono stati pervasi da un senso di pace. Ma hanno ancora dei dubbi: non sanno che fare, e si riuniscono con Maria, Regina degli Apostoli, per trasformarsi in zelanti banditori della Verità che salverà il mondo. (Solco, 232)

Se meditiamo con criterio spirituale quel testo di san Paolo, comprenderemo di non avere altra scelta che di lavorare al servizio di tutte le anime. Fare diversamente sarebbe egoismo. Se consideriamo con umiltà la nostra vita, vedremo chiaramente che il Signore, oltre alla grazia della fede, ci ha concesso dei talenti, delle qualità. Nessuno di noi è un esemplare ripetuto in serie: Dio nostro Padre ci ha creati a uno a uno, distribuendo tra i suoi figli un diverso numero di beni. Dobbiamo mettere quei talenti, quelle qualità, al servizio di tutti, utilizzando i doni di Dio come strumenti per aiutare gli altri a scoprire Cristo.
(…) È compito dei figli di Dio far sì che tutti gli uomini entrino — liberamente — nella rete divina, e così giungano ad amarsi. Se siamo cristiani, dobbiamo trasformarci in pescatori, come quelli descritti dal profeta Geremia, con la metafora che anche Gesù ha impiegato spesso: «Seguitemi — dice a Pietro e ad Andrea —, vi farò pescatori di uomini» [Mt 4, 19]. (Amici di Dio, 258-260)

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260 - Messaggio Medjugorje 25/5/2011

Cari figli, la mia preghiera oggi è per tutti voi che cercate la grazia della conversione.

Bussate alla porta del mio cuore ma senza speranza e senza preghiera, nel peccato e senza il sacramento della riconciliazione con Dio.


Lasciate il peccato e decidetevi figlioli, per la santità.


Soltanto così posso aiutarvi, esaudire le vostre preghiere e intercedere davanti all’Altissimo.


Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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259 - Rimanete nel mio amore, perché la vostra gioia sia piena

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Come il Padre ama il Figlio, così il Figlio ama i suoi discepoli e, proprio perché li ama con un amore così grande, li scongiura di rimanere nel suo amore.

Gesù spiega come si rimane concretamente nel suo amore: osservando i suoi comandamenti, cioè vivendo la sua parola. Il Cristo si presenta come modello: egli ha custodito i precetti del Padre e perciò vive intimamente unito a lui. Gesù si rivela come la vite della verità, cioè come la fonte della rivelazione e della salvezza mediante la manifestazione della vita di amore del Padre per inondare di pace, di gioia piena e di felicità profonda il cuore dei suoi amici.
I precetti dati da Gesù ai suoi discepoli sono tanti, ma il suo comandamento specifico, che li contiene tutti, è uno solo: l’amore scambievole tra i suoi discepoli.

Padre Lino Pedron

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258 - Che sappiamo aprire l'anima

Tota pulchra es Maria, et macula originalis non est in te!» Sei tutta bella, o Maria, e la macchia originale non è in te!, canta giubilante la liturgia. Non c'è in Lei la minima ombra di doppiezza: ogni giorno chiedo a nostra Madre che sappiamo aprire l'anima nella direzione spirituale, affinché la luce della grazia illumini tutta la nostra condotta! Se la supplichiamo così, Maria ci otterrà il coraggio della sincerità, per essere più uniti alla Trinità Beatissima. (Solco, 339)

Non mi abbandonare, Signore mio: non vedi in che abisso senza fondo andrebbe a finire questo tuo povero figlio?
— Madre mia: sono anche figlio tuo. (Forgia, 314)

Affàcciati molte volte in oratorio, per dire a Gesù:... mi abbandono nelle tue braccia.
— Lascia ai suoi piedi ciò che hai: le tue miserie!
— In questo modo, nonostante il turbinìo di cose che ti porti dietro, non mi perderai mai la pace.
(Forgia, 306)

«Nunc coepi!» adesso comincio!: è il grido dell'anima innamorata che, in ogni momento, tanto se è stata fedele quanto se le è mancata generosità, rinnova il suo desiderio di servire di amare! con tutta lealtà il nostro Dio. (Solco, 161)
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martedì 24 maggio 2011

257 - Benedetta monotonia di avemarie!

Capisco che ogni Avemaria, ogni saluto alla Vergine, è un nuovo palpito di un cuore innamorato. (Forgia, 615)

«Vergine Immacolata, so bene di essere un povero miserabile, che non fa altro che aumentare tutti i giorni il numero dei propri peccati...». Mi hai detto che parlavi così con nostra Madre, l'altro giorno.
E ti ho consigliato, con sicurezza, di recitare il Santo Rosario: benedetta monotonia di avemarie che purifica la monotonia dei tuoi peccati!
(Solco, 475)

Il Rosario non lo si recita solo con le labbra, biascicando una dietro l'altra le avemarie. Questo è il borbottìo delle bigotte e dei bigotti. Per un cristiano, l'orazione vocale deve radicarsi nel cuore, in modo che, durante la recita del Rosario, la mente possa addentrarsi nella contemplazione di ciascuno dei misteri. (Solco, 477)

Rimandi sempre il Rosario a più tardi, e finisci per ometterlo a motivo del sonno. Se non disponi di altri momenti, recitalo per la strada e senza che nessuno se ne accorga. Per di più, ti aiuterà ad avere presenza di Dio. (Solco, 478)

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256 - Vi do la mia pace

Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: «Vado e tornerò da voi». Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate. Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco. Alzatevi, andiamo via di qui».

Gesù, dopo aver parlato dello Spirito Santo, dona ai suoi discepoli la sua pace. Essa sintetizza la pienezza dei beni messianici e si differenzia da quella del mondo che si esaurisce nella gioia effimera del piacere e del successo (Gv 16,20). Inondato dalla pace di Cristo, il cuore dei credenti non deve turbarsi o paventarsi per la prossima partenza del Maestro, perché egli ritornerà da loro (vv. 27-28).
I discepoli non devono rattristarsi, ma rallegrarsi perché Gesù va dal Padre che è più grande di lui. In realtà il Padre è più grande di tutti (Gv 10,29), anche del Figlio suo, perché è la fonte dell’essere, della vita e dell’agire del Figlio e di tutte le creature (Gv 5,19ss). Egli è l’ideatore delle storia e della salvezza.
Gesù informa in anticipo i suoi amici della sua partenza per favorire la loro fede quando questo avverrà (v. 29).
Gli avvenimenti finali della vita terrena di Gesù stanno concludendosi: il Rivelatore è alle ultime battute della sua missione. Il principe di questo mondo ha già scatenato la sua ultima offensiva (v. 30). Egli può dominare gli uomini e servirsene come satelliti, ma non ha alcun potere su Cristo. Con l’esaltazione del Cristo, il demonio è stato sconfitto e detronizzato (Gv 12,31), è stato giudicato e condannato (Gv 16,11).
Gesù però deve dimostrare il suo amore per il Padre, eseguendo il suo piano di salvezza che esige il suo sacrificio, perciò deve accettare la sconfitta della croce che è la vittoria effimera del principe di questo mondo.
Facendo la volontà del Padre, sottomettendosi spontaneamente alla sua passione dolorosa, Gesù mostra all’umanità fino a quale punto egli ama il Padre (v. 31). Questo sembra l’unico passo del vangelo di Giovanni nel quale si parla dell’amore di Gesù per il Padre. L’ultima frase di questo brano segna, senza alcun dubbio, la fine del primo discorso di Gesù durante l’ultima cena.

Padre Lino Pedron

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lunedì 23 maggio 2011

255 - Insegnami a trattare tuo Figlio!

Se non frequenti Cristo nell'orazione e nel Pane, come potrai farlo conoscere? (Cammino, 105)

Cerca di ringraziare Gesù nell'Eucaristia, cantando lodi alla Madonna, la Vergine pura, senza macchia, colei che ha messo al mondo il Signore.
— E, con audacia di bambino, azzàrdati a dire a Gesù: mio dolce Amore, sia benedetta la Madre che ti ha messo al mondo!
Sii certo che gli farai piacere, ed Egli infonderà nella tua anima un amore ancora più grande. (Forgia, 70)


Cerca Dio nel fondo del tuo cuore pulito, puro; nel fondo della tua anima quando gli sei fedele, e non perdere mai questa intimità!
— E se qualche volta non sai come parlargli, o che cosa dire, o non osi cercare Gesù dentro di te, rivolgiti a Maria, “tota pulchra” — tutta pura, meravigliosa —, per confidarle: Maria, Madre nostra, il Signore ha voluto che fossi tu, con le tue mani, a prenderti cura di Dio: insegnami — insegna a tutti noi — a trattare tuo Figlio! (Forgia, 84)
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254 - Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome vi insegnerà ogni cosa

Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Gli disse Giuda, non l'Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.


L'amore per la persona di Gesù è dimostrato custodendo i suoi precetti, ossia accogliendo la parola di Cristo, facendola penetrare nel cuore e custodendola gelosamente. Il vero discepolo, che dimostra di amare il Signore concretamente, sarà oggetto di un amore speciale del Padre e del Figlio. Questo amore del Cristo per i suoi amici avrà come effetto una speciale manifestazione (v. 21). Questo linguaggio misterioso provoca l'intervento di Giuda, non l'Iscariota, il quale chiede spiegazioni. Egli rivela la mentalità dei giudei in merito alla manifestazione del Messia.
Gli ebrei infatti attendevano il Messia che doveva fare la sua comparsa in modo spettacolare per rivelarsi davanti a tutti come re d'Israele e che avrebbe guidato la riscossa nazionale contro i dominatori pagani e instaurato definitivamente il regno di Dio.
La risposta di Gesù, a prima vista sembra ignorare la domanda di Giuda, ma in realtà è la risposta più profonda alla domanda dell'apostolo. Gesù chiarisce che la sua manifestazione agli amici non avverrà in modo spettacolare ed esterno, ma si realizzerà nell'intimo delle coscienze, con la sua venuta insieme al Padre nel cuore dei discepoli (v. 23). Il regno di Cristo infatti non è di carattere politico, non ha origine da questo mondo, ma si instaura con l'assimilazione della verità (Gv 18,36-37), osservando la sua parola (v. 23). Con tale interiorizzazione della
rivelazione del Cristo, i discepoli sono resi tempio di Dio, ospiteranno le persone del Padre e del Figlio.
Gesù si manifesterà realmente ai suoi amici che lo amano concretamente, perché tornerà da loro e abiterà per sempre nel loro cuore (v. 20), assieme al Padre (v. 23) e allo Spirito della verità (v. 17).
Nel v. 24 Gesù ribadisce una verità già annunciata precedentemente (v. 10): la sua parola, ascoltata dai discepoli, in realtà è del Padre che l’ha mandato.
Gesù mette in rapporto la sua rivelazione con l'azione dello Spirito santo. Egli, dimorando presso i suoi amici, ha rivelato la parola di Dio (v. 25), ma essi non hanno capito né fatto penetrare nel cuore la verità; di qui la necessità dell'intervento dello Spirito santo.

Quindi non solo Gesù, ma anche lo Spirito è maestro di fede: egli insegnerà ogni cosa ai credenti. Lo Spirito santo non eserciterà una funzione didattica prescindendo dalla rivelazione di Gesù, ma ricordando ai discepoli le parole di Gesù (v. 26) e introducendoli nella verità tutta intera (Gv 16,13).
Questo è il primo brano del vangelo di Giovanni che parla contemporaneamente del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Queste tre persone divine non sono considerate in modo astratto, ma nel loro rapporto con i discepoli di Gesù. Il Padre, il Figlio e la Spirito santo abitano nei cristiani che custodiscono la parola del Signore (vv. 18.23). Questa verità deve ispirare profondamente la spiritualità cristiana.

Padre Lino Pedron

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domenica 22 maggio 2011

253 - Richiesta di preghiere 22/2011

57) Alessandro dalla Toscana:
Chiedo una preghiera per la mia ex compagna Laura **** nata a **** il XX ora residente a Lucca. Chiedo di poterla riabbracciare e di continuare con lei il percorso di vita che abbiamo portato avanti per 9 anni...e che poi per tanti motivi si è bruscamente interrotto, che si ravveda e smetta di avere storielle con persone impegnate...e che torni da me e dalla sua famiglia...io l'aspetto come se nulla fosse successo grazie di cuore. Signore perdonala e riporta il suo cuore al mio

58) Grazia dal Veneto:
x favore pregate x Annamaria, Monica, Manuela, Irene, Giuseppina, Maviet, Paola

59) Luigi dalla Lombardia:
Cari fratelli e sorelle,preghiamo per una madre che ha già visto morire di leucemia la sua giovane figlia, ed ora anche a lei è venuto un tumore che si è già diramato in tutto il corpo,si chiama PIERA ed ha bisogno di tante orazioni, grazie.

60) Giuliana dal Lazio:
Vi chiedo cortesemente di pregare per mia nipote Martina che ha subito un'operazione all'occhio molto rischiosa e sta molto male. Grazie.

61) Francesco dalla Sicilia:
Madonnina nostra cara fai in modo che tutti i popoli si innamorino di Te e del Tuo Sacratissimo Cuore. Sarò Tuo schiavo per sempre
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252 - Partecipiamo alla sua maternità spirituale

Ricorri costantemente alla Santissima Vergine, Madre di Dio e Madre dell'umanità: ed Ella porterà, con soavità di Madre, l'amore di Dio alle anime che frequenti, perché si decidano a essere — nel loro lavoro ordinario, nella loro professione — testimoni di Cristo. (Forgia, 911)

Se ci identifichiamo con Maria, se imitiamo le sue virtù, potremo far sì che Cristo nasca, per virtù della grazia, nell'anima di molti che si identificheranno con Lui per opera dello Spirito Santo. Se imitiamo Maria, in qualche modo parteciperemo alla sua maternità spirituale. In silenzio, come la Madonna; senza farlo notare, quasi senza parole, con la testimonianza di un comportamento cristiano, integro e coerente, con la generosità di ripetere senza sosta un fiat che rinnovi costantemente la nostra intimità con Dio. (Amici di Dio, 281)

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251 - Commento al Vangelo del 22/5/2011

“Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”.
Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”. Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”.
Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.



Il brano del vangelo di oggi è tratto dal primo dei tre discorsi di addiopronunciati da Gesù durante l’ultima cena, subito dopo che Giuda è uscito per mettere in atto il suo proposito di tradimento. Sono chiamati così perché in essi Gesù sembra dettare le sue ultime volontà, prima di affrontare la passione e la morte.
La liturgia ce li fa meditare dopo la Pasqua per una ragione molto semplice: un testamento viene aperto e acquista il suo significato solo dopo la morte di chi lo ha dettato. Le parole pronunciate da Gesù durante l’ultima cena non erano riservate agli apostoli riuniti nel cenacolo, ma rivolte ai discepoli di tutti i tempi e il momento più indicato per comprenderle e meditarle è proprio il tempo di Pasqua.
Il brano di oggi inizia con una frase che può essere fraintesa: “Nella casa del Padre mio ci sono molti posti. Io vado a prepararvi un posto; quando l’avrò preparato ritornerò e vi prenderò con me. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via” (vv. 2-4).
Gesù sembra voler dire che è giunto per lui il momento di andare in cielo e promette che là preparerà un posto anche per i suoi discepoli.
Questa spiegazione non soddisfa, sia perché siamo convinti che in paradiso è già tutto pronto da molto tempo, sia perché l’idea delle poltroncine numerate, corrispondenti ai vari gradi di premio, con il pericolo che qualcuno possa anche rimanere senza posto, non entusiasma.
Il senso della frase è diverso, molto più concreto e attuale per noi e per la vita delle nostre comunità.
Gesù dice che deve percorrere un “cammino” difficile e aggiunge che i suoi discepoli dovrebbero conoscere molto bene questa “via”, perché ne ha parlato spesso.
Tommaso risponde, a nome di tutti: noi non conosciamo questa “via” e non riusciamo a intuire dove tu voglia andare.
Gesù spiega: percorrerà egli stesso, per primo, il “cammino”, poi, una volta compiuta la sua missione, tornerà e prenderà con sé i discepoli, infonderà loro il suo coraggio e la sua forza, così saranno resi capaci di seguire i suoi passi.
Ora è chiaro qual è la “via”: è il cammino verso la Pasqua, percorso difficile perché esige il sacrificio della vita. Gesù ne ha parlato tante volte, ma i discepoli si sono sempre mostrati restii a capire. Quando accennava al “dono della vita”, preferivano distrarsi, pensare ad altro.
In questa prospettiva diviene chiara anche la questione dei “molti posti nella casa del Padre”. Chi ha accettato di seguire la “via” percorsa da Gesù, si viene a trovare immediatamente nel regno di Dio, nella casa del Padre. Questa casa non è il paradiso, ma la comunità cristiana, è lì che ci sono molti posti, cioè, tanti servizi, tante mansioni da svolgere.
Sono molti i modi in cui si concretizza il dono della propria vita. I “molti posti” altro non sono che i “diversi ministeri”, le diverse situazioni in cui ognuno è chiamato a mettere a disposizione dei fratelli le proprie capacità, i molti doni ricevuti da Dio.
Fino al concilio Vaticano II i laici non erano considerati membri attivi della Chiesa; non partecipavano all’eucaristia, “assistevano”; non celebravano la riconciliazione, andavano a “ricevere” l’assoluzione. Erano spesso spettatori inerti di ciò che i preti facevano. Oggi abbiamo capito che ogni cristiano deve essere attivo, non per la carenza di preti, ma per il fatto che ha un compito da svolgere all’interno della comunità.
Gesù dice che, nello svolgimento del proprio ministero, non ci possono essere motivi di invidia e di gelosia: i “posti”, cioè, i servizi da rendere ai fratelli sono molteplici e solo chi non è ancora stato scosso dalla novità di vita, comunicata dalla fede nel Risorto, può restare inoperoso.
Nella società civile, il posto è valutato in base al potere, al prestigio sociale che conferisce, al denaro con cui è rimunerato. La domanda: “Che lavoro fai?” equivale a: “Quanto guadagni?”.
Il posto preparato per ciascuno da Gesù è valutato invece in base al servizio: il “posto” migliore è quello dove si possono servire di più e meglio i fratelli.
Il brano è un invito alla verifica della vita comunitaria: qual è la percentuale dei membri attivi? Ci sono degli impegni che nessuno si vuole assumere? C’è competizione per accaparrarsi la responsabilità di qualche incarico? Dei molteplici “posti di lavoro” preparati da Gesù ce ne sono ancora molti scoperti? Ci sono dei “disoccupati”? Perché?
La seconda parte del vangelo di oggi (vv. 8-12) è centrata sulla domanda di Filippo: “Signore, mostraci il Padre e questo ci basta”.
“Mostrami la tua gloria!” – aveva chiesto Mosè al Signore – e Dio gli aveva risposto: “Tu non puoi vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” (Es 33,18.20).
Pur coscienti di questa impossibilità di contemplare il Signore, i pii israeliti continuavano a implorare: “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” (Sal 27,8-9); “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Sal 42,3).
Filippo sembra farsi interprete di quest’intimo anelito del cuore umano. Sa che “Dio nessuno lo ha mai visto” (Gv 1,18), perché “abita una luce inaccessibile che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere” (1 Tm 6,16); ma ricorda anche la beatitudine riservata ai puri di cuore: “Vedranno Dio” (Mt 5,8) e pensa che Gesù possa soddisfare la sua segreta aspirazione. Avanza così una richiesta che sembra l’eco di quelle manifestate da Mosè e dai salmisti.
Nella sua risposta, Gesù indica il modo per vedere Dio: bisogna guardare a lui. Egli è il volto umano che Dio ha assunto per manifestarsi, per stabilire un rapporto di intimità, di amicizia, di comunione di vita con l’uomo. È “l’immagine del Dio invisibile” (Col 1,15), “l’irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Eb 1,3).
Per conoscere il Padre non si devono fare ragionamenti, non vale la pena perdersi in sottili disquisizioni filosofiche, basta contemplare Gesù, osservare ciò che fa, ciò che dice, ciò che insegna, come si comporta, come ama, chi preferisce, chi frequenta, chi accarezza e da chi si lascia accarezzare, con chi va a cena, chi sceglie, chi rimprovera, chi difende... perché così fa il Padre. Le opere che Gesù compie sono quelle del Padre (v. 10).
C’è un momento in cui il Padre manifesta pienamente il suo volto: è sulla croce. Lì c’è la rivelazione somma del suo amore per l’uomo, lì appare in tutto il suo splendore la sua gloria (Eb 1,3), lì brilla in pienezza la sua luce (2 Cor 4,6).
“Chi ha visto me ha visto il Padre” – può affermare Gesù (v. 9).
Ma questo vedere non si riduce allo sguardo di chi ha presenziato agli eventi, ai fatti, ai gesti concreti da lui compiuti. È uno sguardo di fede che viene richiesto, uno sguardo capace di andare oltre le apparenze, oltre il puro dato materiale, uno sguardo che colga nelle opere di Gesù la rivelazione di Dio.
Questo vedere equivale a credere.
Chi vede in lui il Padre, chi gli accorda piena fiducia ed è disposto a giocarsi la vita sui valori da lui proposti, compirà le sue stesse opere e ne farà di più grandi. Non si tratta dei miracoli, ma del dono totale di sé per amore.
Il Padre continuerà a realizzare nei discepoli le opere di amore che ha compiuto in Gesù.

Fernando Armellini (biblista)

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sabato 21 maggio 2011

250 - Messaggio Medjugorje straordinario dato a Ivan 20/5/2011

Apparizione straordinaria sul Podbrdo a Medjugorje alle ore 22:00

“Cari figli, oggi più che mai desidero invitarvi alla preghiera. Cari figli, satana desidera distruggere le famiglie di oggi, perciò desidero invitarvi al rinnovamento della preghiera famigliare. Pregate, cari figli, nelle famiglie, con i vostri figli, non permettete l’accesso a satana. Grazie, cari figli, perché anche oggi avete risposto alla mia chiamata”.


Poi la Madonna ha pregato un tempo lungo su tutti noi qui con le mani distese, ha pregato per i malati presenti, ci ha benedetti con la sua benedizione materna e ha benedetto tutto quello che abbiamo portato per la benedizione.

Poi la Madonna ha pregato un tempo lungo in modo speciale per la pace, la pace nel mondo.

Poi Ivan ha raccomandato tutti noi, i nostri bisogni, le nostre intenzioni, le nostre famiglie, in particolare tutti i malati.

Poi la Madonna ha continuato a pregare su tutti noi ed in questa preghiera se n’è andata nel segno della luce e della croce col saluto:

“Andate in pace, cari figli miei!”.

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249 - Il trono di Maria è la Croce

Ammira la fortezza della Madonna: ai piedi della Croce, con il più grande dei dolori umani —non c'è dolore come il suo dolore— piena di fortezza. —Chiedile questo vigore, per saper stare anche tu presso la Croce. (Cammino, 508)

Maestra di speranza. Maria annuncia che tutte le generazioni la chiameranno beata [Cfr Lc 1, 48]. Umanamente parlando, su quali motivi poggiava questa speranza? Chi era Lei, per gli uomini e per le donne del suo tempo? Le grandi eroine del Vecchio Testamento — Giuditta, Ester, Debora — ebbero già su questa terra una gloria umana, furono acclamate dal popolo, esaltate. Il trono di Maria, come quello di suo Figlio, è la Croce. E per tutto il resto della sua vita, fino a quando è assunta in Cielo in corpo e anima, è la sua silenziosa presenza a impressionarci. San Luca, che la conosceva bene, annota che la Madonna è accanto ai primi discepoli, in preghiera. Così conclude i suoi giorni terreni colei che doveva essere lodata da tutte le creature per l'eternità.
Quale contrasto tra la speranza della Madonna e la nostra impazienza! Spesso reclamiamo a Dio l'immediato pagamento del poco bene che abbiamo compiuto. Appena sorge la prima difficoltà, ci lamentiamo. Siamo, molto sovente, incapaci di reggere lo sforzo, di mantenere la speranza. Perché non abbiamo fede: Beata colei che ha creduto! Perché si compiranno le cose predette dal Signore [Lc 1, 45]. (Amici di Dio, 286)

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248 - Chi ha visto me, ha visto il Padre

Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: «Mostraci il Padre»? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

Gesù è l’unica persona che mette in rapporto con il Padre, che manifesta in modo perfetto la vita e l’amore di Dio per l’umanità, e comunica al mondo la salvezza che è la vita di Dio. Solo Gesù può condurre l’uomo a Dio, perché egli solo vive nel Padre e il Padre vive in lui.
L’intervento di Filippo riecheggia la domanda di Mosè rivolta al Signore: "Mostrami la tua gloria" (Es 33,18). Gesù gli risponde che egli vive nel Padre (vv. 9-10). L’apostolo avrebbe dovuto sapere che Gesù è una sola cosa con il
Padre (Gv 8,24.28.58; 10,30.38; 13,13). Di conseguenza, vedendo Gesù si vede il Padre (v. 9).
Data questa mutua immanenza del Padre e del Figlio, le parole dette da Gesù in realtà sono pronunciate dal Padre che dimora in lui e le opere da lui compiute sono fatte dal Padre (v. 10).
L’immanenza del Padre nel Figlio può essere accettata solo per fede, per questo Gesù esorta i discepoli a credere in questa verità, se non altro a motivo delle opere straordinarie da lui compiute.
Gesù spesso invita alla fede pura, basata solo sulla sua parola (Gv 4,21.48; 6,29), per cui proclama beato chi crede senza aver visto (20,29). Egli tuttavia fa appello anche alla prova divina delle opere meravigliose e straordinarie compiute nel nome di Dio, per autenticare la sua missione divina, invitando i suoi ascoltatori a credere almeno per questa ragione (Gv 5,36; 10,25.37-38; 11,15). Per questo motivo il peccato d’incredulità dei giudei è senza scuse (Gv 15,24).
Nel v. 12 Gesù usa l’espressione solenne: "In verità, in verità vi dico" per richiamare l’attenzione sull’importanza dell’argomento trattato. Egli assicura ai suoi amici che, se crederanno nella sua persona divina, potranno compiere opere meravigliose e segni straordinari. La motivazione di questa possibilità di compiere opere eccezionali sta nel fatto che Gesù ritorna al Padre, presso il quale esaudirà le richieste dei discepoli (v. 13).
Affinché la preghiera sia esaudita, dev’essere fatta nel nome di Gesù, cioè dev’essere rivolta a Dio per mezzo di Gesù, mossi dalla fede nella mediazione del Figlio di Dio. Gesù non lascia senza risposta le preghiere dei suoi amici

Padre Lino Pedron

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venerdì 20 maggio 2011

247 - Io sono la via, la verità e la vita

Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: «Vado a prepararvi un posto»? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».



Gesù riprende l’argomento della sua imminente partenza esortando i discepoli alla fiducia, perché egli sta andando a preparare loro un posto nel regno del Padre e poi tornerà a prenderli per portarli con sé.
I discepoli possono provare angoscia e tristezza per la separazione dal Maestro, ma Gesù li previene informandoli che la sua lontananza sarà temporanea.
La "casa del Padre" indica lo stato beato di intima unione in cui vive Dio con la sua famiglia. In questa casa dimora per diritto il Figlio (Gv 8,35), il quale può preparare dei posti per i suoi amici: in essa "vi sono molti posti" (v. 2). Lo stato di beatitudine consiste nell’essere con il Cristo glorioso.
Dal tema del viaggio verso la casa del Padre, Gesù, con naturalezza, passa a parlare della via (v. 4). Per giungere al Padre bisogna passare per il Figlio.
Tommaso desidera concretezza e chiarezza nei discorsi. Egli aveva capito che Gesù parlava di una via nel senso materiale di strada, mentre Gesù sta parlando della via come mezzo per giungere a Dio, come strumento per mettersi in contatto personale con il Padre. Per questa ragione, nella sua replica all’apostolo, Gesù proclama di essere la via per andare verso Dio.
Gesù proclama di essere il mediatore per mettersi in contatto personale con il Padre. Nessuno può arrivare a Dio con le proprie forze, né può servirsi di altri mediatori. Come nessuno può andare verso il Cristo, se non gli è concesso dal Padre (Gv 6,65), così nessuno può giungere al Padre senza la mediazione di Gesù (v. 6).
Gesù proclama anche di essere la verità e la vita. I sostantivi via, verità e vita sono applicati al Cristo per indicare le sue tre funzioni specifiche di mediatore, rivelatore e salvatore.
Gesù è l’unica persona che mette in rapporto con il Padre, che manifesta in modo perfetto la vita e l’amore di Dio per l’umanità, e comunica al mondo la salvezza che è la vita di Dio. Solo Gesù può condurre l’uomo a Dio, perché egli solo vive nel Padre e il Padre vive in lui.

Padre Lino Pedron

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giovedì 19 maggio 2011

246 - Preghiera di Giovanni Paolo II a San Pio

Umile e amato Padre Pio:
Insegna anche a noi, ti preghiamo, l'umiltà del cuore, per essere annoverati tra i piccoli del Vangelo, ai quali il Padre ha promesso di rivelare i misteri del suo Regno.
Aiutaci a pregare senza mai stancarci, certi che Iddio conosce ciò di cui abbiamo bisogno, prima ancora che lo domandiamo.
Ottienici uno sguardo di fede capace di riconoscere prontamente nei poveri e nei sofferenti il volto stesso di Gesù.
Sostienici nell'ora del combattimento e della prova e, se cadiamo, fa' che sperimentiamo la gioia del sacramento del Perdono.
Trasmettici la tua tenera devozione verso Maria, Madre di Gesù e nostra.
Accompagnaci nel pellegrinaggio terreno verso la Patria beata, dove speriamo di giungere anche noi per contemplare in eterno la Gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen!



(Omelia della canonizzazione di Padre Pio. Roma, 16 giugno 2002)
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245 - La Madonna ci apre la strada del Regno dei Cieli

Rendi più vivo, più soprannaturale il tuo amore per la Vergine. — Non andare da Maria soltanto per chiedere. Va' anche a dare!, a darle affetto; a darle amore per il suo Figlio divino; a manifestarle questo affetto con opere di servizio nei rapporti con gli altri, che sono essi pure figli suoi. (Forgia, 137)

Ritorniamo all'esperienza quotidiana, alla consuetudine con le nostre madri terrene. Che cosa desiderano più di tutto le mamme dai loro figli, da coloro che sono carne della loro carne e sangue del loro sangue? La loro massima aspirazione è di averli vicino. Quando i figli crescono e non è più possibile averli accanto, attendono con impazienza le loro notizie, si emozionano per tutto ciò che succede loro: dal più piccolo malessere agli avvenimenti più importanti.
Guardate: per Maria, nostra Madre, saremo sempre piccoli, perché la Madonna ci apre la strada del Regno dei Cieli, che sarà donato a chi si fa bambino [Cfr Mt 19, 14]. Dalla Madonna non ci dobbiamo mai separare. E come le renderemo onore? Frequentandola, parlandole, esprimendole il nostro affetto, meditando nel nostro cuore le scene della sua vita terrena, raccontandole le nostre lotte, i nostri successi e i nostri insuccessi. (Amici di Dio, 289-290)
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244 - Chi accoglie colui che manderò, accoglie me

In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto, ma deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

Gesù, al termine del suo gesto di umiltà e di servizio (la lavanda dei piedi), può esortare, con la forza dell'esempio, i discepoli al servizio vicendevole nella comunità cristiana. Egli fa leva sulla sua condizione divina di Signore e Maestro per invitare i discepoli a imitare il suo esempio di umile servitore dei fratelli (Gv 13,14).
Se il Figlio di Dio si è abbassato tanto per amore dei discepoli, a maggior ragione essi devono servirsi reciprocamente. Egli ha dato l'esempio che i suoi discepoli devono imitare: devono amarsi come Gesù li ha amati (Gv 13,34; 15,12) e devono prestarsi i più umili servizi a imitazione di Cristo che è venuto per servire (Mc 10,41-45; Lc 22,24-27).Con l’esortazione alla pratica delle sue parole, Gesù intende rivolgersi soprattutto al discepolo che sta per tradirlo; per questo specifica che non intende parlare di tutti i discepoli. Costoro, infatti, eccetto Giuda, hanno osservato la parola di Dio (Gv 17,6) e hanno creduto nell’Inviato del Padre (Gv 17,8). Gli undici apostoli fedeli a Cristo sono stati custoditi dal Figlio di Dio (Gv 15,16; 17,12) e il Padre li preserverà dal maligno (Gv 17,15).
Il caso di Giuda corrisponde al disegno divino, in quanto adempie la Scrittura che aveva già predetto il tradimento del Messia da parte di uno dei suoi amici più intimi (v. 18). Il testo biblico citato qui da Giovanni è il Sal 41,10. La denuncia anticipata del traditore favorisce la fede dei discepoli nella divinità di Gesù (v. 19).
Il brano si conclude con un detto di Gesù che troviamo anche nei sinottici (Mc 9,37 e par. ; Mt 10,40 e par.). In questo detto Gesù proclama che l’accoglienza riservata alla sua persona e ai suoi inviati, in realtà, è fatta al Padre.
Questo detto sull’accoglienza di Gesù probabilmente vuole insinuare, per antitesi, la gravità del rifiuto del Cristo da parte del traditore. Nel vangelo di Giovanni "accogliere Gesù" molto spesso significa credere in lui, aderendo alla sua persona divina (1,12; 3,33; 5,43).

Padre Lino Pedron

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mercoledì 18 maggio 2011

243 - Niente vale la pena, se non siamo accanto al Signore

Maria, tua Madre, ti porterà all'Amore di Gesù. E lì starai “cum gaudio et pace” — con gioia e pace, sempre “portato” — perché da solo cadresti e ti copriresti di fango — a grandi passi, per credere, per amare e per soffrire. (Forgia, 677)

Maria e Giuseppe fecero una giornata di viaggio e si misero a cercarlo fra parenti e conoscenti. Non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme [Lc 2, 44-45]. La Madre di Dio, che cercò affannosamente suo Figlio, smarrito senza sua colpa, che provò la gioia più grande nel ritrovarlo, ci aiuterà a rifare la strada, a rettificare ciò che sia necessario, quando per la nostra leggerezza o per i nostri peccati non riusciamo più a riconoscere Cristo. Ritroveremo così la gioia di riabbracciarlo, di dirgli che non lo perderemo mai più.
Maria è Madre della scienza, perché da Lei si impara la lezione più importante: che niente vale la pena, se non siamo accanto al Signore; che a niente servono tutte le meraviglie della terra, tutte le ambizioni soddisfatte, se nel nostro petto non arde la fiamma dell'amore vivo, la luce della santa speranza che è un anticipo dell'amore senza fine nella Patria definitiva. (Amici di Dio, 278)

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martedì 17 maggio 2011

242 - Io e il Padre siamo una cosa sola

Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le
strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».


La festa della dedicazione del tempio di Gerusalemme ricorreva a metà dicembre. Con tale solennità i giudei celebravano l’anniversario della purificazione del tempio operata da Giuda Maccabeo (cfr 1Mac 4,36-59; 2Mac 10,1- 8). I giudei mascherano la loro intenzione ipocrita, dichiarando di avere l’animo sospeso; fingono di avere il desiderio sincero di conoscere la verità. Gesù risponde richiamando le sue precedenti dichiarazioni, dalle quali potevano dedurre facilmente la sua messianicità. Egli, per invitare ancora una volta i suoi avversari alla fede, fa appello alla testimonianza delle sue opere straordinarie compiute nel nome del Padre: esse sono la garanzia divina della sua messianicità. I giudei non accettano la testimonianza divina delle opere compiute da Gesù perché non sono pecore di Cristo: le pecore di Cristo ascoltano la sua voce, i giudei invece non credono. Le pecore di Gesù si trovano in mani sicure, perché sono custodite con cura dal Padre e dal Figlio, queste due persone che vivono in comunione e in intimità perfetta, come dice Gesù: "Io e il Padre siamo una cosa sola" (v. 30). Le parole di Gesù, di essere una cosa sola con Dio, si rivelano scandalose agli orecchi degli increduli giudei. In questo testo Giovanni pone sulla bocca di Gesù tre affermazioni che mettono in risalto l’identità delle pecore e le loro caratteristiche in rapporto a Cristo: ascoltano la sua voce, lo seguono e non periranno mai. La qualità fondamentale di chi è aperto alla fede è anzitutto l’ascolto: "Chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato ha la vita eterna" (Gv 5,24). Chi ascolta il Maestro ha la vita e diventa suo confidente. E a sua volta è conosciuto da lui con una unione personale e profonda che si concretizza ell’amore (Gv 10,4). Ma l’ascolto implica il seguire Gesù, ed è azione e impegno. Chi si fida di Gesù, che "ha parole di vita eterna" (Gv 6,68), gode dei beni messianici e porta frutti di vita duratura (Gv 10,10-15; 14,6). Inoltre chi lo segue sarà custodito da lui (Gv 17,12), nessun ladro lo potrà rapire e nessuna prova o persecuzione lo vincerà perché Gesù, cosciente della sua missione, lo custodisce e lo preserva dai pericoli nella sicurezza e nella pace. Solo chi appartiene al gregge di Cristo riconosce nella sua parola la qualità di Messia e di buon Pastore, che agisce a nome del Padre, in unità di azione e di amore. Il credente, a differenza di colui che non è delle pecore di Cristo, sente vicino nella sua vita il Signore che gli dà sicurezza, perché in lui vede il Padre che gli dona la vita eterna, che è conoscenza del Padre e del Figlio (Gv 6,40; 17,3.22).

Padre Lino Pedron

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241 - Ricorri con fiducia alla Vergine

Quando ti vedi con il cuore arido, senza sapere che cosa dire, ricorri con fiducia alla Vergine. Dille: Madre mia Immacolata, intercedi per me. Se la invochi con fede, Lei ti farà gustare in mezzo a questa aridità la vicinanza di Dio. (Solco, 695)

Contempliamo ora la sua santissima Madre, che è anche nostra Madre. Sul Calvario, accanto al patibolo, è in orazione. Non è un atteggiamento nuovo in Maria. Tale è stato sempre il suo comportamento, nel compimento dei suoi doveri, nelle occupazioni del focolare. Mentre si dedicava alle cose della terra, rimaneva attenta a Dio. Cristo, perfectus Deus, perfectus homo [Simbolo Quicumque], volle che anche sua Madre, la creatura eccelsa, la piena di grazia, ci confermasse nello slancio di innalzare sempre lo sguardo all'amore divino. Pensate alla scena dell'Annunciazione: l'Arcangelo che scende a comunicare il messaggio divino — l'annuncio che Ella sarebbe divenuta la Madre di Dio — la trova ritirata in orazione. Maria è interamente raccolta nel Signore quando Gabriele le porge il suo saluto: Salve, piena di grazia, il Signore è con te [Lc 1, 28]. Qualche giorno più tardi, prorompe dalle sue labbra la gioia del Magnificat, l'inno mariano che lo Spirito Santo ci ha tramandato attraverso l'attenta fedeltà di san Luca, frutto del rapporto abituale della Vergine Santissima con Dio.
Maria, nostra Madre, ha meditato lungamente le parole dei santi personaggi dell'Antico Testamento — uomini e donne che aspettavano il Signore — e i fatti di cui erano stati protagonisti. Ammirava quell'abbondanza di prodigi, quella profusione di misericordia che Dio aveva riversato sul suo popolo tante volte ingrato. Nel considerare tanta tenerezza celeste, incessantemente rinnovata, si effonde l'ardore del suo Cuore immacolato: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore. Egli ha rivolto lo sguardo alla bassezza della sua serva [Lc 1, 46-48]. I primi cristiani, figli di questa Madre buona, hanno imparato da Lei. Anche noi possiamo e dobbiamo imparare. Amici di Dio, 241)

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lunedì 16 maggio 2011

240 - Il buon pastore dà la vita per le pecore

Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare.
Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».


Con la solenne proclamazione: "Io sono il buon Pastore" (v.11) Gesù chiarisce le precedenti allusioni alla sua missione pastorale. Egli realizza pienamente le promesse dell’Antico Testamento (Ger 3,15; 23,3-4; Sal 23) tra le quali l’oracolo di Ezechiele 34,1-25 ha un ruolo primario. Nella parte finale di questo brano di Ezechiele Dio promette il pastore definitivo della discendenza di Davide, il Messia che regnerà su Israele (Ez 34,23ss). Con l’espressione "deporre l’anima a favore delle pecore" è indicato il dono della vita, il dono supremo di Gesù per salvare l’umanità che egli ama. Gesù dispone pienamente della sua vita e può deporla come un vestito (Gv 13,4) per riprenderla quando vuole (v.8): egli è il Signore della vita e della morte. Il mercenario, l’operaio stipendiato, non espone al pericolo la sua vita per salvare il gregge che non è suo. I capi di Israele si sono comportati da mercenari, come ladri e briganti, come lupi che sbranano e uccidono; per questo Dio strapperà loro di bocca le sue pecore (Ez 34,10). La conoscenza di cui parla Gesù in questo brano dev’essere intesa in senso biblico come scambio di amore profondo. Essa non consiste in una nozione intellettiva, ma in una penetrazione nell’essere della persona conosciuta. Il buon pastore Gesù ama il suo gregge come ama il Padre suo. Il pensiero del buon Pastore corre anche alle pecore che non sono del recinto ebraico: anch’esse saranno conquistate al suo amore e così tutta l’umanità diventerà un solo gregge sotto la guida dell’unico vero pastore Gesù.
Egli vuole salvare non solo gli ebrei, ma l’umanità intera (3,16-17; 4,42; 12,47).
Con la conversione dei pagani al vangelo si rompono gli steccati tra i due recinti del mondo, quello dei giudei e quello degli altri popoli, per formare un unico popolo di Dio. "Egli (Cristo) è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo" (Ef 2,14). L’unità del genere umano è operata dalla morte di croce di Gesù: egli è morto per radunare in unità i dispersi figli di Dio (Gv 11,52). Il Padre ama il Cristo perché egli dona la sua vita a favore del suo gregge. Gesù è sempre obbediente alla volontà del Padre, fino alla morte di croce (Fil 2,8). La morte di Gesù quindi non trova la sua spiegazione ultima nella violenza e nell’odio degli uomini, ma è un evento salvifico del piano divino, accettato liberamente da Cristo: egli depone la sua anima per poi riprenderla di nuovo, in conformità al comando del Padre. Gesù allude chiaramente al suo potere divino di risorgere dai morti. La morte e la risurrezione rappresentano il culmine della volontà del Padre nei confronti del Figlio (Gv 14,31).
Questo brano sottolinea l’amore tenero e profondo del buon Pastore per le sue pecore. La conoscenza reciproca tra il pastore e le pecore indica un amore concreto e forte, un rapporto intimo tra persone.

Padre Lino Pedron

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239 - La Vergine ti aiuterà sempre a compiere la Volontà di Dio

Non si può condurre una vita pura senza l'aiuto divino. Dio vuole la nostra umiltà, vuole che chiediamo il suo aiuto, attraverso la Madre nostra e sua. Devi dire alla Vergine, proprio adesso, nella solitudine piena di compagnia del tuo cuore, parlando senza rumore di parole: Madre mia, questo mio povero cuore qualche volta si ribella... Ma se tu mi aiuti... — E ti aiuterà, affinché tu lo custodisca puro e prosegua per il cammino a cui Dio ti ha chiamato: la Vergine ti aiuterà sempre a compiere la Volontà di Dio. (Forgia, 315)

Non si può vivere una vita limpida senza l'aiuto divino. Dio vuole che siamo umili e chiediamo il suo aiuto. Devi supplicare con fiducia la Vergine, ora, nella solitudine piena di compagnia del tuo cuore, senza suono di parole: «Madre mia, questo povero cuore si ribella scioccamente... Se tu non mi proteggi...». Lei ti aiuterà a conservarlo puro e a percorrere il cammino che Dio ha preparato per te.
Figli miei, ci vuole umiltà, umiltà. Impariamo sul serio a essere umili. Per custodire l'Amore è necessario essere prudenti, vigilare con cura e non lasciarsi dominare dal timore. Tra gli autori classici di spiritualità, ve ne sono molti che paragonano il demonio a un cane arrabbiato, tenuto alla catena: se non ci avviciniamo, non ci morderà, anche se ringhia di continuo. Se coltivate nelle vostre anime l'umiltà, sicuramente eviterete le occasioni, reagirete col coraggio di fuggire; e cercherete ogni giorno l'aiuto del Cielo, per avanzare con garbo su un sentiero da innamorati. (Amici di Dio, 180)

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domenica 15 maggio 2011

238 - Commento al Vangelo del 15/5/2011

“In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

La quarta domenica di Pasqua è detta domenica del buon Pastore perché, in ognuno dei tre anni del ciclo liturgico, viene proposto un brano del capitolo 10 del vangelo di Giovanni. Oggi è riportata la prima parte di questo capitolo (vv. 1-10) dove il tema di Gesù buon Pastore non viene sviluppato, ma solo accennato; l’immagine centrale infatti è quella della porta. Più avanti, nel suo lungo discorso ai giudei, Gesù proclamerà: “Io sono il buon pastore” (v. 11); oggi egli si presenta, per due volte, come la porta (v. 7). A questa immagine se ne aggiungono altre: il recinto, i ladri e i briganti, il guardiano, gli estranei. Chi sono, chi rappresentano, qual è il significato della “similitudine”?
Premettiamo una nota esplicativa sulle usanze dei pastori della Palestina.
L’ovile era un recinto circondato da mura di pietra sulle quali venivano posti fasci di spine o lasciati crescere rovi per impedire alle pecore di uscire e ai ladri di entrare. Poteva trovarsi davanti a una casa oppure essere costruito all’aperto, lungo il pendio di una montagna; in questo secondo caso era in genere utilizzato da più pastori che vi introducevano le loro pecore durante la notte; uno di loro vegliava, mentre gli altri dormivano.
Dire – come fa Luca nel racconto della nascita di Gesù (Lc 2,8) – che chi montava di guardia “vegliava”, non è del tutto esatto. In realtà, armato di un bastone, costui si posizionava all’entrata dell’ovile – che non aveva porta – si accoccolava e, in quella posizione, sbarrando l’accesso, diveniva egli stesso “la porta”. In genere si appisolava, ma la sua presenza era sufficiente per dissuadere i predoni dall’accostarsi all’ovile e per impedire ai lupi di entrare nel recinto. Alle pecore si poteva avvicinare soltanto chi egli lasciava passare.
Al mattino, quando ogni pastore si presentava alla porta, le pecore ne riconoscevano immediatamente il passo e la voce, si alzavano in piedi e lo seguivano, sicure di essere condotte in pascoli di erbe fresche e in oasi con acqua pura e abbondante. Lo seguivano perché si sentivano amate e protette, il pastore non le aveva mai né deluse né tradite.
Partendo da questa esperienza di vita del suo popolo, Gesù imposta una parabola che non è immediatamente chiara: in essa si accumulano e si sovrappongono immagini enigmatiche per gli stessi giudei (v. 6).

Cominciamo col dividerla in due parti.
Nella prima (vv. l-6) viene introdotta la figura del vero pastore.
L’inizio del discorso è piuttosto brusco e provocatorio. Contiene misteriose allusioni a pericoli, a nemici, ad aggressori: “Chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi si arrampica da un’altra parte, è un ladro e un brigante” (v. 1); poi entra in scena il vero pastore. La caratteristica che lo contraddistingue è la tenerezza: conosce le sue pecore per nome e le chiama, “una per una”.
Per Gesù non esistono masse anonime; egli si interessa a ciascuno dei suoi discepoli, tiene conto delle doti, dei pregi e delle debolezze di ognuno. Contempla lieto i capretti che, giovani ed agili, sgambettano e corrono avanti a tutti, ma le sue premure, le sue attenzioni vanno ai più deboli del gregge: “porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri” (Is 40,11). Capisce le loro difficoltà, non forza i tempi, non impone ritmi insostenibili, valuta la condizione di ognuno, aiuta e rispetta.
In contrapposizione a questo pastore, compaiono i ladri e i banditi. Chi sono? Come riconoscerli? A chi si riferisce Gesù?
Al suo tempo non mancavano certo i “pastori”.
C’erano i capi religiosi e i capi politici che si atteggiavano a guide premurose del bene del popolo, ma in realtà cercavano soltanto il proprio interesse; i loro obiettivi erano il dominio, il prestigio personale, lo sfruttamento; i loro metodi la violenza e la menzogna.
Non erano pastori autentici, per questo un giorno Gesù, di fronte alle folle, si commosse “perché erano come pecore senza pastore”, le condusse fuori, le fece adagiare “sull’erba verde” e distribuì loro in abbondanza il pane e l’alimento della sua parola (Mc 6,34-44).
Si noti, in questa prima parte del brano evangelico, l’insistenza sulla “voce del pastore”, che è “ascoltata” (v. 3), “riconosciuta” (v. 4) e immediatamente distinta da quella degli estranei (v. 5).
Anche dopo la risurrezione Gesù sarà riconosciuto per la sua voce.
Gli occhi dei discepoli saranno tratti in inganno: verrà preso per un viandante, per un fantasma (Lc 24,15.37), per un pescatore (Gv 21,4); ma l’udito no, non poteva sbagliarsi, la sua voce era inconfondibile.
Oggi questa voce continua a risuonare, nitida e viva nella parola del vangelo. È l’unica che al discepolo risuona familiare, le altre che vi si sovrappongono, anche se forti e insistenti, gli risultano estranee.
Chi è “istruito dallo Spirito” è in grado, in mezzo al frastuono di tante altre voci, di discernere quella del pastore, e fugge quando ode i passi dei ladri e dei predoni: gli impostori che vengono solo per trascinarlo in cammini di morte.

Nella seconda parte del brano (vv. 7-10), Gesù si presenta prima come “la porta delle pecore”, poi come “la porta”. Se si tiene presente il chiarimento dato sopra, potremmo dire che egli è il guardiano che si posiziona sull’entrata come “porta”.
La porta ha una duplice funzione: lascia passare i padroni di casa e impedisce l’ingresso agli estranei. Sono queste due funzioni che vengono sviluppate, in altrettante allegorie, da Gesù.
Egli è colui che decide chi può avere accesso alle pecore e chi deve stare lontano dal gregge (vv. 7-8). Può passare, ed è riconosciuto come vero pastore, colui che ha assimilato i suoi stessi sentimenti e le sue medesime disposizioni nei confronti delle pecore, chi è disposto cioè a donare la vita come egli ha fatto.
I ladri e i banditi sono coloro che sono venuti prima di lui (v. 8). Certamente egli non si riferiva ai profeti e ai giusti dell’AT.
Ladri erano i capi religiosi e politici del suo tempo che sfruttavano, opprimevano e causavano ogni sorta di sofferenze al popolo.
Banditi erano i rivoluzionari che volevano costruire una società più libera e più giusta; coltivavano ideali nobili, ma ricorrevano a metodi sbagliati, fomentavano l’odio per il nemico, predicavano il ricorso alla violenza, proponevano l’uso delle armi. Chi agisce in questo modo non ha gli stessi sentimenti e le stesse disposizioni di Gesù: non passa attraverso la porta.
Nell’ultimo versetto (v. 10) viene ripresa questa contrapposizione. In un drammatico crescendo è descritta l’opera del ladro: egli ruba, uccide, distrugge. Tre verbi che riassumono le opere di morte. Chiunque si accosta all’uomo per togliergli vita è “ladro”, sta dalla parte del maligno, è “figlio del diavolo” che “fu omicida fin da principio” (Gv 8,44).
L’azione del pastore è antitetica: viene per portare vita e vita in abbondanza. Attraverso la porta non passano solo i pastori, ma entrano ed escono anche le pecore. Gesù si presenta come porta anche in questo senso (v. 9). Solo chi passa attraverso di lui raggiunge pascoli ubertosi, trova il “pane che sazia” (Gv 6) e “l’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4), ottiene la salvezza.
Gesù è una porta stretta (Mt 7,14) perché chiede la rinuncia a se stessi, l’amore disinteressato agli altri, ma è l’unica che conduce alla vita; tutte le altre sono tranelli, trabocchetti che fanno precipitare in baratri di morte: “Larga è la porta e spaziosa è la via che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa” (Mt 7,13).

Fernando Armellini (biblista)

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sabato 14 maggio 2011

237 - Aiuto dei cristiani

«Auxilium christianorum!» Aiuto dei cristiani: così recita convinta la litania lauretana. Hai provato a ripetere questa giaculatoria nei tuoi momenti difficili? Se lo fai con fede, con tenerezza di figlia o di figlio, comproverai l'efficacia dell'intercessione di tua Madre, Santa Maria, che ti condurrà alla vittoria. (Solco, 180)

È il momento di ricorrere alla Madonna, tua Madre celeste, perché ti accolga fra le sue braccia e ti ottenga da suo Figlio uno sguardo di misericordia. E cerca subito di formulare propositi concreti: taglia finalmente, anche se fa male, quell'ostacolo piccolo che Dio e tu ben conoscete. La superbia, la sensualità, la mancanza di senso soprannaturale, faranno combutta per sussurrarti: «Proprio quello? Ma se è una sciocchezza, una cosa di poco conto!». Tu rispondi, senza dialogare con la tentazione: «Mi piegherò obbedendo anche a questa richiesta divina». Non te ne mancheranno i motivi: l'amore si dimostra in modo particolare nelle piccole cose. Normalmente, i sacrifici che il Signore ci chiede, i più impegnativi, sono piccoli, ma continui e preziosi come il battito del cuore.
Quante madri hai tu conosciuto che siano state protagoniste di un episodio eroico, straordinario? Poche, pochissime. Eppure, di madri eroiche, veramente eroiche, che non figurano in nessuna cronaca spettacolare, che non faranno mai notizia — come si dice —, tu e io ne conosciamo molte: vivono in continua abnegazione, sacrificando con gioia i loro gusti e le loro inclinazioni, il loro tempo, le loro possibilità di affermazione o di successo, per tappezzare di felicità i giorni dei loro figli. (Amici di Dio, 134)
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236 - Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più granquesto: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

Come il Padre ama il Figlio, così il Figlio ama i suoi discepoli e, proprio perché li ama con un amore così grande, li scongiura di rimanere nel suo amore.
Gesù spiega come si rimane concretamente nel suo amore: osservando i suoi comandamenti, cioè vivendo la sua parola. Il Cristo si presenta come modello: egli ha custodito i precetti del Padre e perciò vive intimamente unito a lui.
Gesù si rivela come la vite della verità, cioè come la fonte della rivelazione e della salvezza mediante la manifestazione della vita di amore del Padre per inondare di pace, di gioia piena e di felicità profonda il cuore dei suoi amici.
I precetti dati da Gesù ai suoi discepoli sono tanti, ma il suo comandamento specifico, che li contiene tutti, è uno solo: l’amore scambievole tra i suoi discepoli.
L’elemento distintivo caratteristico dell’amore fraterno tra i discepoli è la sua misura e il suo modello: "Come io vi ho amati" (v. 12). Il Cristo si presenta come l’esemplare dell’amore forte ed eroico, fino al vertice supremo (Gv 13,1.34) e come il fondamento di questo amore: è lui che lo rende possibile all’uomo. Difatti la particella "come" (kathós) indica non solo un paragone, ma anche la base su cui poggia il comportamento del discepolo (Gv 6,57; 13,15).
Gesù può dare con efficacia il suo comandamento perché egli è il Maestro dell’amore e ne ha offerto agli amici la prova suprema con il sacrificio della vita (v. 13). Il dono della vita per gli amici costituisce il segno più eloquente dell’amore forte e concreto.
L’amore di Dio si è manifestato nel dono del suo Figlio unigenito (Gv 3,16; 1Gv 4,9-10). L’amore di Dio è sperimentabile e concreto. L’amore dei discepoli dev’essere altrettanto concreto e impegnativo.
L’amore autentico per il Signore si dimostra osservando i suoi comandamenti (1Gv 2,4-5). Chi non vive la parola di Cristo, che prescrive l’amore per i fratelli, non può amare Dio (1Gv 4,20-21).
Gesù considera amici i suoi discepoli perché li ha resi partecipi dei segreti della sua vita divina (v. 15). Egli ha rivelato loro il nome, cioè la persona del Padre e quindi li ha resi partecipi della vita di Dio rivelando e comunicando loro la vita del Padre (Gv 8,26. 40). Questo rapporto d’amore non è frutto di una scelta dei discepoli, ma è dono, è grazia.
Gli apostoli, e dopo di loro tutti i credenti, sono stati scelti dal Cristo per essere suoi amici e suoi missionari (v. 16).
Gesù preannuncia la fecondità apostolica dei suoi amici. Una delle conseguenze importanti di questa unione fruttuosa con Cristo è l’esaudimento delle loro richieste al Padre, fatte nel nome di Gesù (v. 16).

Padre Lino Pedron

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venerdì 13 maggio 2011

235 - Signore, con il tuo aiuto, lotterò

Il canto umile e gioioso di Maria, nel Magnificat, ci ricorda l'infinita generosità del Signore con quanti si fanno come bambini, con quanti si abbassano e sanno sinceramente di essere nulla. (Forgia, 608)

Che importa inciampare, se nel dolore della caduta ritroviamo l'energia che ci raddrizza di nuovo e ci spinge a proseguire con slancio rinnovato? Non dimenticate che santo non è chi non cade, ma chi si rialza sempre, con umiltà, con santa ostinazione. Se nel libro deiProverbi si legge che il giusto cade sette volte al giorno [Cfr Pro 24, 16], tu e io — povere creature come siamo — non dobbiamo né meravigliarci né scoraggiarci di fronte alle nostre miserie personali, ai nostri inciampi, perché potremo sempre proseguire se cerchiamo la forza in Colui che ci ha promesso: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò [Mt 11, 28]. Grazie, Signore, quia tu es, Deus, fortitudo mea [Sal 42, 2], perché sei sempre stato Tu, e soltanto Tu, Dio mio, la mia fortezza, il mio rifugio, il mio sostegno.
Se davvero vuoi progredire nella vita interiore, sii umile. Ricorri con costanza, con fiducia, all'aiuto del Signore e della sua Madre benedetta, che è anche tua Madre. Con serenità, tranquillamente, per quanto possa farti male la ferita ancora non rimarginata del tuo ultimo scivolone, abbraccia di nuovo la croce e ripeti: «Signore, con il tuo aiuto, lotterò per non fermarmi, risponderò fedelmente ai tuoi inviti, senza paura dei ripidi pendii, né dell'apparente monotonia del lavoro abituale, né dei cardi e dei rovi del sentiero. Sono certo che la tua misericordia mi assiste, e che al termine del cammino troverò la felicità eterna, la gioia e l'amore per l'infinità dei secoli». (Amici di Dio, 131)

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234 - La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
Questo brano riprende il tema del mangiare la carne di Gesù per richiamarlo e svilupparlo, e per associargli il tema del bere il suo sangue. Il mangiare la carne di Gesù e il bere il suo sangue hanno come effetto salvifico la vita eterna o il rimanere in comunione intima con la persona divina di Cristo.
Dopo le mormorazioni dei giudei, Gesù non attenua il suo linguaggio sulla necessità di mangiare la sua carne, anzi, rincara la dose aggiungendo anche la necessità di bere il suo sangue; e nel brano seguente sostituirà il verbo faghèin con il verbo tròghein, termine molto crudo che indica l’azione del masticare con i denti.
Le parole di Gesù sono di un verismo così accentuato che non possono essere interpretate solo nel senso di interiorizzazione della rivelazione. Questo linguaggio si applica sicuramente all’Eucaristia. Evidentemente la cena
eucaristica non prescinde dalla fede; anzi, il mangiare la carne del Signore e il bere il suo sangue è una dimostrazione di fede.
Le parole di Gesù sulla condizione per possedere la vita eterna sono esplicite: bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue. La fede in Gesù si concretizza e si dimostra nel mangiare la sua carne e nel bere il suo sangue.
Con la comunione al corpo e al sangue di Cristo è seminato in noi il germe della risurrezione che porterà il suo frutto più maturo nell’ultimo giorno. "La risurrezione non farà che mettere in attività le forze che la comunione al
corpo e al sangue del Salvatore ha deposto nell’uomo per la risurrezione finale del suo essere" (Loisy). L’alimento della carne e del sangue di Cristo nutre veramente e in modo perfetto e definitivo, perché è fonte di risurrezione e di vita eterna.
La comunione tra Gesù e il discepolo si concretizza in un’azione di vita. Il Cristo diventa fonte e fine dell’esistenza del cristiano che mangia la sua carne, in modo analogo a quanto avviene in seno alla Trinità. Come il Padre dà la vita al Figlio, così il Figlio dà la vita a colui che si nutre dell’Eucaristia.
Nel v. 58 Gesù chiude il discorso confrontando l’effetto diverso del nutrimento della manna e del mangiare il pane del cielo che è la sua persona. Il contrasto tra il nutrimento perituro e imperfetto della manna - simbolo della legge mosaica - e la persona del Verbo incarnato, rivelazione definitiva e perfetta di Dio, è chiaro

Padre Lino Pedron

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giovedì 12 maggio 2011

233 - Io sono il pane vivo, disceso dal cielo

Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

La ragione ultima della fede si trova nell’attrazione del Padre perché gli uomini aderiscano al Figlio suo. La citazione dei profeti: "E tutti saranno ammaestrati da Dio" potrebbe ispirarsi a Ger 31,33-34 e a Ez 36,23-27, ma il testo più vicino a quello citato da Giovanni è Is 54,13: "E porrò … tutti i tuoi figli ammaestrati da Dio". Anche qui, come in Gv 6,31, la citazione non sembra trovarsi alla lettera nell’Antico Testamento. Giovanni adatta il testo alle sue prospettive teologiche, tra le quali spicca l’universalismo della salvezza. Egli infatti non parla solo di "tutti i figli di Gerusalemme", ma di " tutti" semplicemente, interpretando la nuova alleanza in prospettiva universalistica.
La fede è dono di Dio e affonda le sue radici nell’azione divina del Padre. Quindi crede in Gesù solo chi " ha ascoltato e imparato dal Padre" (v. 45).
Gesù, dopo aver detto che il motivo ultimo della fede sta nell’attrazione del Padre, soggiunge: "Chi crede ha la vita eterna" (v. 47). La vita eterna dipende dalla fede. E la fede consiste nell’ascoltare e mangiare Gesù, che è il pane celeste che fa vivere eternamente.
Dopo la solenne proclamazione di essere il pane della vita, Gesù fa il confronto tra la manna mangiata dai padri nel deserto e il pane che è la sua persona. La manna non procurò l’immortalità perché tutti nel deserto morirono, compreso Mosè, ma chi mangia Gesù non morirà mai. L’azione del mangiare indica l’interiorizzazione della parola del Figlio di Dio e l’assimilazione della sua persona con una vita di fede profondissima. Il mangiare il pane vivente che è Gesù, significa far propria la verità del Cristo, anzi la persona del Cristo che è la verità, ossia la rivelazione piena e perfetta del Padre.
Nel v. 51 Gesù aggiunge un nuovo elemento che preannuncia la tematica centrale dell’ultima sezione del discorso (vv. 53-58): il pane della vita è la carne di Gesù per la vita del mondo. Il pane del cielo è la carne di Gesù, ossia la sua persona sacrificata per la salvezza dell’umanità con la passione e morte gloriosa.
L’amore di Dio per gli uomini raggiunge la sua massima espressione nella morte di Gesù in croce: sulla croce egli dona tutto se stesso per il mondo.

Padre Lino Pedron

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