lunedì 21 novembre 2011

751 - L’offerta della vedova al tempio

Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli e disse: «In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere».

Stando Gesù nel recinto del tempio, presso l’atrio delle donne, dove c’era il tesoro, cioè la cassa per le offerte che dovevano servire per il culto, osservò dei ricchi che vi gettavano delle monete. Le gettavano con un gesto d’indifferenza e di superficialità, come chi dà una cosa superflua che non gli serve. Mancava, nel loro atto, l’amore a Dio; si erano trovati a passare per l’atrio delle donne e, vedendovi le tredici aperture del tesoro, vi avevano negligentemente gettato dentro una moneta. Quand’ecco sopraggiunse una povera vedova che veniva apposta per dare la sua offerta, come può rilevarsi dal contesto; il suo atteggiamento era di grande devozione e bontà. Cavò dalla sua tasca due spiccioli, conservati accuratamente in qualche piega dell’abito e li gettò nella cassa, con la placida soddisfazione di chi ha dato tutto quello che aveva.
Il suo cuore donò a Dio contemporaneamente un atto di fervido amore, ed essa, senza pensare di essere notata, e tanto meno di esserlo dal Giudice eterno, si allontanò.
È probabile che qualcuno abbia notato la meschinità di quell’offerta, e che abbia disprezzato per questo la povera donna, perché Gesù parlò in tono di chi vuol difendere una persona e disse solennemente: Io vi dico in verità che questa vedova povera ha messo più di tutti. Poteva sembrare un assurdo quest’affermazione così recisa, ma Gesù ne soggiunse subito la ragione, dicendo che tutti gli altri avevano offerto parte di quel che loro avanzava, mentre la vedovella aveva dato tutto quello che aveva per vivere.
Le nostre offerte al Signore
L’osservazione di Gesù sull’elemosina della povera donna non era inutile; Egli ci dava la misura delle offerte che dobbiamo a Dio, e ce ne additava l’esempio nella vedovella. Noi, infatti, siamo troppo abituati a dare al Signore quello che ci avanza e a darlo senza generosità e senza vero amore. Se si facesse il conto di ciò che diamo a noi stessi e alle creature e di ciò che diamo a Dio, ne verrebbe fuori un bilancio mostruoso.
La giornata passa quasi tutta nella completa dimenticanza di Dio, ed a Lui, quando capita, si dà solo una parte minima di ciò che avanza. Questa parte sembra sempre eccessiva e ogni giorno subisce un taglio, pur essendo nostra suprema felicità il parlare col Signore.
Un esempio tipico di questo spirito di avarizia nel trattare con Dio lo abbiamo nella maniera villana con la quale lo mettiamo sempre all’ultimo posto in confronto con le creature. Le leggi, gli usi del mondo, i nostri usi domestici sono pieni di questa ingiustizia spaventosa.
Se parliamo con un uomo qualunque e un altro ci interroga, noi non gli rispondiamo senza aver prima terminato il discorso col primo; quando si tratta di Dio, invece, basta il più futile motivo per interrompere il discorso che stiamo facendo con Lui, e dar retta clamorosamente agli altri. È l’inurbanità di ogni momento! Non c’è verso che veniamo meno ad un uso o ad una legge del mondo, anche se sconveniente o cattiva; ma quando si tratta di Dio è sempre a discapito della sua Legge o del suo onore che si agisce.
È spaventoso, per esempio, pensare che una dama della corte o della nobiltà crede suo dovere imprescindibile l’andare al teatro, ai vari ricevimenti, alla giostra in abito immodesto; conta per lei più un uso mondano che la Legge di Dio e crede suo dovere più non disgustare l’occhio di gente futile o traviata che l’occhio di Dio.
Al Signore, ella dà il minimo di ciò che le avanza nella vita e lo dà negligentemente; al mondo dà tutta se stessa, senza che alcuno trovi a ridire nulla; anzi molte volte tra gli stessi applausi delle anime pie, le quali giungono a vedere in lei l’eroismo di sottomettersi al mondo, senza pensare che è eroico sottrarsene.
È penosissimo pensarlo, ma pure è così e non raramente questa terribile illusione ha confuso persino anime sante. Se è contro la Legge di Dio andare scollate, come può essere conciliabile con la Legge di Dio per una regina, una dama di corte o una nobile?
E se il vedere uno spettacolo poco onesto è proibito al cristiano, come può essere lecito o tollerato in chi, stando in alto, deve dare esempio al cristiano? Regnanti, nobili, ricchi danno a Dio, solo parte di quello che loro avanza, e questo è deplorevolissimo, e nessuna convenienza umana può scusarlo.
Bisogna dare a Dio tutto ciò che si ha per vivere, benché innanzi a Lui sia come i due spiccioli della vedovella; bisogna dargli tutta la vita e deve assolutamente finire questa strana miscela di pietà e di mondo, di modestia e d’immodestia, di umiltà e di orgoglio, di egoismo e di carità che non forma la santità ma l’acidume del cristianesimo. È necessario ponderare che siamo debitori principalmente e unicamente a Dio e che le false convenienze sociali sono per Lui un’ingiuria grave e per noi un atto di apostasia.
Don Dolindo Ruotolo
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