Presentazione della Beata Vergine Maria
Lc 19,41-44
Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso
anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti
stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te
pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
In questo brano Luca dà l’ultimo tocco al ritratto di Gesù, immagine perfetta del Padre. Il pianto di Gesù rivela il
mistero più grande di Dio : la sua passione per noi. Ciò che Dio aveva detto a Geremia, si avvera ora in Gesù: "Tu
riferirai questa parola: ‘I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da grande calamità è
stata colpita la figlia del mio popolo, da una ferita morta." (Ger 14,17).
Gesù piange su Gerusalemme. La
condanna cadrà su di lei. Gesù non può impedirla. Le lacrime manifestano la sua impotenza. Il suo pianto
impotente nasconde un profondo mistero. Dio nasconde la sua potenza nell’amore di Gesù che salva e nella sua
debolezza.
Egli prende con tanta serietà la libertà dell’uomo, che preferisce piangere impotente in Gesù, piuttosto
che togliere alla creatura umana la sua libertà. Il pianto di Gesù è l’ultimo invito alla penitenza per la città ostinata
nel suo rifiuto e nel suo male.
Le parole che Gesù rivolge a Gerusalemme non sono minacce, né la sua distruzione sarà castigo di Dio. Dio è
misericordioso e perdona (cfr Es 34,6-7; Sal 86,15; 103,8; Gio 4,2; ecc.).
Le parole di Gesù sono una
constatazione sofferta del male che il popolo fa a sé stesso. Il male, dal quale mette inutilmente in guardia
Gerusalemme, ricadrà infatti su di lui. In croce, sarà assediato, angustiato e distrutto da tutta la cattiveria del
mondo e dall’abbandono di tutti. Il pianto di Gesù esprime la sua debolezza estrema, che è la forza dell’amore, che
portò lui alla croce (cfr 2Cor 13,4) e noi alla salvezza.
Gesù aveva detto: "Beati voi che ora piangete" (Lc 6,21). Ora è lui stesso che piange. Egli realizza in sé il
mistero del regno di Dio su questa terra: un seme gettato nel pianto.
Ma chi semina nel pianto mieterà con giubilo
(Sal 126,5-6).
Il motivo del lamento sta nel fatto che nel giorno della sua entrata in Gerusalemme, essa non ha compreso "la
via della pace". Di conseguenza, avendo rifiutato il Cristo che è la nostra pace (Cfr Ef 2,14), iniziano per lei i giorni
di guerra, che continueranno fino alla sua distruzione.
Questo giorno dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme porta a compimento la lunga storia di offerte di salvezza
da parte di Dio alla città santa. Questo è il momento in cui dovrebbe esserle donata la pace, la salvezza.
Gerusalemme dovrebbe solamente riconoscere che Gesù è il principe della pace, inviato da Dio. Ma essa, che ha
ucciso i profeti e lapidato coloro che Dio le aveva mandato per salvarla, rifiuta questo riconoscimento. Ricordiamo
un lamento precedente di Gesù su Gerusalemme: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro
che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi
non avete voluto! Ecco, la vostra casa viene lasciata deserta" (Lc 13,34-35).
Il popolo di Gerusalemme si chiude
alla parola di Dio: "Sono un popolo insensato e in essi non c’è intelligenza: se fossero saggi, capirebbero,
rifletterebbero sulla loro fine" (Dt 32,28-29). In questo momento si adempie ancora ciò che Dio aveva detto al
profeta Geremia riguardo a Gerusalemme: "Tu mi hai respinto, dice il Signore, mi hai voltato le spalle e io ho steso
la mano su di te per annientarti; sono stanco di avere pietà" (Ger 15,6).
Gesù annuncia il verdetto di Dio sulla sua nazione, ma lo fa a malincuore, con dolore, piangendo, non esultando
di gioia per la vendetta di Dio che si abbatte sui peccatori. Gesù non è venuto per punire, ma per salvare; per
recare la pace, non la guerra. Israele si era allontanato da Dio, l’aveva dimenticato e offeso; Gesù viene a ristabilire
i buoni rapporti tra di loro.
Il suo stesso modo di presentarsi, semplice, umile rivelava lo scopo pacifico della sua
venuta. Un messia di questo genere non poteva non suscitare fiducia. Gerusalemme non ha riconosciuto il giorno
del perdono e della grazia, e allora dovrà fare la conoscenza col giorno dell’ira e dello sterminio dei suoi abitanti. La
distruzione di Gerusalemme è vista come un castigo divino in risposta al rifiuto del Messia.
La grazia, la bontà di
Dio, quando è rifiutata, diventa ira, vendetta, castigo.
Ma, a questo punto, ci domandiamo come possiamo mettere d’accordo le pagine del vangelo che ci presentano
Dio come amore e misericordia con questa pagina in cui sembra che il volto del Dio-Amore sia totalmente stravolto
e negato.
Il vangelo di Giovanni ci aiuta a capire meglio il motivo della distruzione di Gerusalemme: "Pilato disse ai giudei:
‘Ecco il vostro re!’. Ma quelli gridarono: ‘Via, via, crocifiggilo!’. Disse loro Pilato: ‘Metterò in croce il vostro re?’.
Risposero i sommi sacerdoti: ‘Non abbiamo altro re all’infuori di CesarÈ. Allora lo consegnò loro perché fosse
crocifisso" (Gv 19,14-16).
La dichiarazione pubblica e solenne dei sommi sacerdoti manifesta senza equivoci il
rifiuto di Dio e del suo Cristo come re e salvatore d’Israele, e la scelta di Cesare come loro re e salvatore. E il
nuovo signore di Israele, l’imperatore di Roma, ha agito secondo la logica di tutti i potenti di questo mondo,
distruggendo e massacrando il popolo ribelle. Sono gli eserciti dell’impero romano che hanno distrutto
Gerusalemme, non Dio.
Le potenze del male sono tenute lontane dalla protezione di Dio. Il giorno in cui allontaniamo Dio dalla nostra
vita, esse si comportano come le belve quando cacciamo via il domatore che le teneva debitamente a bada: ci
sbranano. E non perché sono state aizzate contro di noi dal domatore indispettito e vendicativo, ma perché questa è la loro condotta naturale di belve.
Quando rifiutiamo il regno di Dio, cadiamo immediatamente sotto il potere del
demonio, che "è stato omicida fin da principio" (Gv 8,44).
Padre Lino Pedron
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