Gesù Cristo, venuto dal Cielo per liberarci dalla schiavitù e dalle insidie di satana, e per tracciarci il cammino della vita, volle affrontare il maligno per smascherarlo innanzi alle anime, per confonderne la tracotanza, e glorificare Dio con atti di dedizione e di amore che dovevano riparare le nostre deficienze. La tentazione che Egli volle subire è certamente un altissimo mistero, così ricco di verità e d’insegnamenti che l’anima vi si smarrisce.
Prima di tutto è misteriosissimo il fatto stesso della tentazione, perché il Redentore era perfettissimamente ordinato in tutte le sue potenze ed era la stessa Sapienza, l’Ordine, la Santità, l’Armonia; non poteva, dunque, subire una tentazione che comporta, per necessità, o un turbamento nelle potenze, o un’illusione di falsa luce. Anche noi, pur potendo essere tentati in tanti modi, non potremmo essere tentati, per esempio sull’inesistenza del sole, quando esso ci riscalda e ci illumina.
La tentazione suppone nell’anima o nella natura fisica una debolezza che satana sfrutta, perché, in fondo, la tentazione è un’insidia che potremmo chiamare anche una feroce irrisione. Ora, su quale debolezza del Redentore satana avrebbe potuto edificare la sua tentazione? Fu Gesù stesso, nel suo amore e nella sua carità, a mettersi nelle condizioni di avvertire una debolezza e, non potendola sentire nell’anima perché perfettissima, la sentì nel corpo, digiunando per quaranta giorni e quaranta notti. Il novello Adamo aveva un contatto col primo, al quale, innocente e santo, satana non poté procurare altra tentazione che sfruttando la necessità naturale che egli aveva di cibarsi. Non poteva penetrare l’anima, non poteva agitarne le potenze armonizzate e sottomesse alla ragione, e tentò penetrarvi attraverso la necessità del cibo, e turbarne così le aspirazioni.
Gesù Cristo, subito dopo il battesimo di Giovanni, fu condotto dallo Spirito Santo, disceso in forma di colomba su di Lui, fin nelle aspre regioni deserte che si stendono ad ovest di Gerico, su di una squallida montagna alta 473 metri, chiamata anche oggi montagna della Quarantena; vi fu condotto per esservi tentato dal diavolo.
Il primo Adamo fu messo nell’Eden, giardino delizioso, per subirvi la prova e meritarsi il premio; il secondo Adamo che doveva riparare le colpe del primo, fu condotto in un’orrida solitudine per subirvi una prova. Il primo Adamo ebbe ogni abbondanza di frutti prelibati, e gliene fu proibito uno solo; il novello Adamo digiunò completamente, e stette fra aride e infeconde pietre. Digiunò nel corpo ed espanse nel Padre tutta l’anima sua, con tale veemenza d’amore, da non avvertire la fame che quando ritornò a quella vita normale di pellegrinaggio terreno da Lui stesso accettata e abbracciata. Strettamente parlando, potrebbe dirsi anche naturale il suo lungo digiuno, perché, quando l’anima è quasi tratta fuori del corpo in un’estasi di pacifico amore, le necessità fisiche sono minime, e il corpo potrebbe anche conservarsi in vita, nutrendo i suoi organi a spese delle riserve accumulate prima.
Era logico che il novello Adamo opponesse al primo un pieno digiuno, e l’opponesse contemplando le divine grandezze; Egli additò, così, all’uomo, la via per essere simile a Dio nei riflessi della sua gloria e del suo amore, la via maestra delle rinunce generose per le conquiste del divino.
Satana aveva detto che il segreto per essere simile a Dio era il non rinunciare neppure all’unico frutto proibito, ribellarsi, dare il sopravvento ai sensi; Gesù Cristo additò la via opposta e, lungi dall’andare presso l’albero della proibizione, come Adamo, andò in mezzo alle pietre.
Anche questo è sublime! Le pietre, il deserto, lo squallore non potevano avere attrattive per i sensi, spingevano l’anima al Cielo, l’anima che cerca solo ciò che è grande. Il Redentore cercò l’arida solitudine per insegnare alle nostre anime a non fermarsi alle piccole cose della terra, e a tendere a Dio attraverso le stesse privazioni delle quali la vita ci dà occasione.
«Se tu sei il Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane»
Satana si accostò a Gesù Cristo in forma sensibile, come di uomo, secondo l’opinione dei Padri. Aveva sentito sulle rive del Giordano la voce del Padre: Questo è il mio Figlio diletto e, volendo accertarsi se era veramente il Figlio di Dio, e nello stesso tempo volendo applicare la potenza di Lui alla ricerca di ciò che era terreno e staccarlo dalla fiducia nel Signore, disse: Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane.
Le pietre del deserto, simbolo della desolazione della nostra vita, richiamarono l’attenzione di satana; egli che si sforza d’attrarci alla vita materiale, infiorandola con le sue funeste illusioni, avrebbe voluto che quelle pietre diventassero pani per attrarre l’umanità affamata del Redentore, e avrebbe voluto che Egli stesso, con la sua potenza, avesse realizzato questo miracolo. In fondo era quello che aveva fatto e fa col genere umano, il quale, nelle sue attività assillanti che tutto l’assorbono, cerca di mutare in pane le pietre, e di nutrire l’anima di tutte le vanità della terra.
Dalla risposta di Gesù Cristo, si rileva chiaramente che questa era l’intenzione del tentatore: sostituire alla fiducia nella divina provvidenza la fiducia nella propria attività, e dissipare nella ricerca del proprio comodo le nobili attività dello spirito.
Gesù Cristo, a questa tentazione, oppose le parole con le quali Dio, per mezzo di Mosè, esortò il popolo alla piena fiducia nella sua provvidenza, in vista dei prodigi operati da Lui nel deserto: Dio ti afflisse con la fame – disse Mosè alla moltitudine – e ti diede per cibo la manna che né tu né i tuoi padri conoscevate, per farti vedere che l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio (Dt 8,3). Di queste parole di Mosè, Gesù citò solo le ultime, per dire al tentatore che Egli era pienamente abbandonato a Dio, e per affermare la necessità del cibo spirituale per l’uomo.
Era la condanna del materialismo brutale per il quale satana riduce tutta la vita umana ad un problema di stomaco.
Era la condanna anticipata di tutte le sovversioni sociali, morali e religiose che satana avrebbe provocato nel mondo, insinuando malignamente che l’uomo vive solo di pane. Era velatamente l’affermazione solenne del cibo di vita, del Pane eucaristico che avrebbe dovuto cibare l’uomo nel suo pellegrinaggio.
«Se sei il Figlio di Dio, gettati giù…»
Satana, confuso dalle parole del Redentore, ricorse ad un altro espediente per vincerlo: lo trasportò di un tratto in Gerusalemme, e lo pose sul pinnacolo del tempio, ossia sulla parte più alta dell’edificio, probabilmente sulla più alta cima del portico reale, incitandolo a gettarsi giù, per mostrare la sua fiducia nel Signore che l’avrebbe salvato, secondo ciò che stava scritto nel salmo 90. Il versetto citato dal demonio era da lui falsamente interpretato, perché la custodia degli angeli, promessa per liberarci dai pericoli, non poteva riguardare i pericoli provocati da noi con orgogliosa presunzione. Vinto da una parola divina citata da Gesù, satana cita, a sua volta, una parola della Scrittura, per indurre Gesù Cristo alla presunzione.
Satana voleva provocare un prodigio innanzi alla moltitudine che stava nel tempio, e suscitare un movimento popolare intorno al Redentore? Noi non lo crediamo, perché, anzi, tendeva di fargli fare del male; prima l’aveva tentato ad aver fiducia nella propria potenza, ora lo tenta ad aver fiducia nella propria virtù, per condurlo, poi, ad aver fiducia in lui solo e a darsi a lui, vista l’inanità della sua fiducia in Dio. Dal contesto, è chiaro che satana credeva che Gesù Cristo non sarebbe riuscito né a mutare le pietre in pani né a rimanere incolume in una caduta; voleva fargli toccare con mano l’impotenza della preghiera e della fiducia in Dio, e spingerlo all’apostasia piena dal Signore. Gesù Cristo rispose con un’altra parola ispirata: Non tenterai il Signore Dio tuo. La fiducia, infatti, è abbandono nelle mani del Signore, non è presunzione d’imporgli la propria volontà; l’anima che confida non può presumere di avere dei miracoli senza strettissima necessità né di esporsi temerariamente ai pericoli spirituali e corporali; dandosi al Signore è soccorsa dagli angeli e, offrendosi a Lui come figlia, è provveduta da Lui come Padre.
Nelle parole del Redentore è tracciato tutto un programma delle vie dello spirito, fondato su un’illimitata fiducia in Dio e, nel medesimo tempo, su di un grande equilibrio di sapienza e di umiltà nelle aspirazioni del cuore che impedisca di passare dal campo della realtà a quello della fantasia. Dio non fa opere superflue proprio perché è infinita Sapienza né trascura, senza necessità, le leggi naturali da Lui stesso poste nel mondo; bisogna dunque attendere tutto dalla sua parola, ossia dalla sua volontà, e non tentarlo, presumendo di ottenere effetti clamorosi dove non è necessario.
«Tutto questo io ti darò se, prostrato, mi adorerai»
Satana, confuso ancor più dalla risposta di Gesù Cristo, volle dargli un ultimo assalto che s’illuse potesse essere decisivo. Aveva sospettato che fosse il Messia, e credeva che dovesse avere un regno terreno, come lo credevano gli Ebrei; pensò di poter attrarre, nell’orbita del suo tenebroso potere, quel regno che sapeva dover essere universale; non pensava al regno spirituale o, se ci pensava, voleva tramutarlo in un regno temporale, a base di orgogliosa gloria; avrebbe voluto anticipare gli eventi della storia, e coronare egli il Re universale, per renderlo suo vassallo.
Tutta la stolta impudenza di satana emerge nell’ultima sua tentazione, ed egli si smaschera da sé nelle sue tenebrose mire. Sapeva che il Messia doveva conquistare il suo regno con aspri dolori e umiliazioni inaudite, e pensò di porlo su di un’altra via, su quella della gloria terrena, per rendere vano il suo regno nelle anime; lo trasportò perciò su di un alto monte, non materialmente, perché da nessun monte potrebbero vedersi i regni della terra; lo elevò al di sopra delle grandezze umane, mostrandogliele in una sintesi viva, quasi le vedesse da un monte.
Non poteva disordinare la fantasia del Redentore, facendogli avere impressioni di gloria e di grandezza, e perciò formò fuori di Lui quello che avrebbe fatto dentro di Lui attraverso la fantasia: lo sollevò in alto, e fece passare sotto i suoi occhi la gloria dei regni del mondo, esclamando: Tutto questo ti darò se prostrato mi adorerai. Era il sommo dell’impudenza e della stoltezza, e Gesù non tollerò oltre che satana avesse insistito, ma lo ricacciò negli abissi con una parola che dovette fulminarlo: Vattene satana, poiché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo, e servi a Lui solo.
Satana aveva tentato travolgere la vita del Redentore, voce di gloria infinita in Dio Uno e Trino, in una voce di orgogliosa gloria umana.
Tre tentazioni opposte a Dio Uno e Trino: una Potenza divina ridotta a servire alle necessità corporali; una Sapienza divina ridotta quasi ad un gioco di prestigio; un Amore divino ridotto ad adorare lo stesso satana.
Aveva visto, sulle rive del Giordano, la luce della Santissima Trinità nel Redentore e voleva cancellarla per odio; voleva che la voce della potenza servisse al compiacimento orgoglioso di se stesso che la sapienza deviasse nella stoltezza, e che l’amore deviasse nell’idolatria.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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