XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Lc 14,25-33
Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: «Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro». Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
La parabola della grande cena (Lc 14,16-24) aveva dimostrato che un gran numero di invitati erano mancati all’appuntamento per ragioni di interessi personali: non avevano saputo sacrificare qualcosa di proprio per fare spazio all’invito ricevuto. Gesù vuole risparmiare alla gente il ripetersi di un simile errore e di un’altra delusione. Egli è in cammino verso Gerusalemme dove l’attende la passione, la morte e la glorificazione.
La molta gente che lo segue sa dove sta andando?, e conosce quali sono le condizioni per seguirlo? Chi segue Gesù deve mettere in second’ordine ogni altra persona e cosa. La parola «odiare» va intesa nel senso di amare meno, posporre, mettere al secondo posto.
Matteo presenta queste stesse parole di Gesù in una forma molto più comprensibile per noi: «Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me» (Mt 10,37). Nessuno deve illudersi che la salvezza sia a buon mercato. Come è stata cara per lui (1Cor 6,20; 7,23; 1Pt 1,18-19), così sarà anche per chi lo segue. Per seguire Gesù bisogna sacrificare qualsiasi legame, anche quello familiare, ed essere pronti anche a morire.
Dopo l’esperienza di Gesù, la croce era diventata il simbolo delle sofferenze sopportate per il regno di Dio. Umanamente parlando, la croce non è un bene, non piace né a Dio né agli uomini, ma è un mezzo indispensabile per non dispiacere a Dio e per piacere agli uomini.
Le due parabole della costruzione di una torre e della partenza di un re per la guerra sono la spiegazione di ciò che precede. Esse ci insegnano che prima di prendere delle decisioni bisogna riflettere, perché è meglio non intraprendere un’impresa, piuttosto che affrontarla con mezzi inadeguati e fallire lo scopo. Farsi discepolo di Gesù è una scelta seria che coinvolge tutta la vita.
Con questa presa di posizione Gesù voleva anche impedire che si unissero a lui degli esaltati, che di fronte a delle scelte di fede e di amore, subito si stancano e rimettono continuamente in discussione ciò che non è discutibile, come leggiamo nel vangelo di Giovanni: «Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: ‘Questo linguaggio è duro: chi può intenderlo?’. Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: ‘Questo vi scandalizza?…
Gesù infatti sapeva fin dall’inizio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che l’avrebbe tradito’… Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,60-66).
Il discepolo di Gesù deve mettere in second’ordine le persone care, la propria vita, il proprio onore: a maggior ragione le cose che possiede! I beni terreni tiranneggiano l’uomo e assediano i suoi pensieri e la sua vita. Gesù ha detto: «Non potete servire Dio e mammona» (Lc 16,13).
È la sintesi del discorso.
L’unica ricchezza del discepolo è la sua povertà. L’unica sua forza è la sua debolezza (2Cor 12,10). La povertà è il volto concreto dell’amore: chi ama dà tutto sé stesso.
Padre Lino Pedron
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