Lc 21,12-19
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi
alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa
del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in
mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché
tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai
genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da
tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.
Prima della distruzione di Gerusalemme, i cristiani sono stati perseguitati dai giudei e dall’impero romano, come
ci descrive Luca negli Atti degli apostoli. Essi sono colpiti per la loro fede in Gesù: "A causa del mio nome" (v. 12).
Essere cristiani è un reato.
Aderendo a Gesù si rischia di passare nel numero dei malfattori.
Ma l’evangelista invita a tener presenti anche i risvolti positivi delle persecuzioni. Esse offrono occasioni di testimoniare
il Signore con la vita e le parole. L’azione giudiziaria serve alla predicazione, il carcere, all’attività missionaria.
Il vangelo di Gesù è annunziato attraverso le sofferenze dei martiri: il loro esempio è più eloquente
dell’annuncio dei predicatori.
I cristiani di Gerusalemme, costretti a fuggire dalla città, portano il vangelo nelle campagne della Giudea e della
Samaria (cfr At 8,1-4) e giungono fino in Fenicia, a Cipro e ad Antiochia (cfr At 11,19; 15,3).
Pietro, Giovanni, Stefano
sono condotti davanti al sinedrio, Paolo davanti ai governatori romani, e tutti recano il messaggio di Cristo là
dove altrimenti non sarebbe mai arrivato.
Paolo scrive ai Filippesi che la sua carcerazione è occasione per annunciare il vangelo: "Desidero che sappiate,
fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del vangelo, al punto che in tutto il pretorio e ovunque
si sa che sono in catene per Cristo; in tal modo la maggior parte dei fratelli, incoraggiati nel Signore dalle mie catene,
ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno" (Fil 1,12-14).
La fedeltà a Cristo mette i discepoli in contrasto con tutti coloro che non accolgono la fede cristiana. Se Gesù e
la sua parola sono rifiutati, anche i cristiani saranno rifiutati. Gesù ha detto: "Se il mondo vi odia, sappiate che prima
di voi ha odiato me" (Gv 15,18).
Lo storico romano Tacito riassume così il suo giudizio sui cristiani: "Odiosi
all’intero genere umano".
Il cristiano è colui che per vocazione deve resistere fino alla fine con la pazienza, che non è rassegnazione, ma
resistenza costante e inflessibile.
Nel libro dell’Apocalisse leggiamo: "Colui che deve andare in prigionia, andrà in
prigionia; colui che deve essere ucciso di spada, di spada sia ucciso. In questo sta la perseveranza e la fede dei
santi" (13,10).
Per questa via il fedele giungerà alla vita eterna.
La pazienza è la caratteristica di Gesù che si fa carico del male. Anche il discepolo viene associato al suo mistero
di morte e risurrezione: perdendo la vita, la salva (cfr Lc 9,24).
Nel martirio il cristiano acquista la propria identità
con Gesù, il Figlio morto e risorto.
Padre Lino Pedron
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