sabato 30 luglio 2011

423 - Commento al Vangelo di domenica 31/7/2011, XVIII t.ord.

+ Dal Vangelo secondo Matteo (14,13-21)
Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”. Ma Gesù rispose: “Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare”. Gli risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci!”. Ed egli disse: “Portatemeli qua”. E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Se si riduce questo miracolo a un gesto di potenza compiuto da Gesù per dare prova dei suoi poteri divini, ci si deve confrontare con una serie di obiezioni cui è difficile sfuggire. Non è molto verosimile lo spostamento di una folla di tante migliaia di persone; l’ora tarda che prelude l’imminente calare delle tenebre non è la più adatta per procedere a una distribuzione del pane a tanta gente; da dove sono saltate fuori le dodici ceste, le avevano portate con sé vuote? Ma la considerazione più provocatoria è un’altra: che interesse può avere per l’uomo d’oggi il fatto che, duemila anni fa, Gesù abbia sfamato cinquemila uomini, se poi Dio permette che si continui a morire per mancanza di pane?
Cosa sia realmente accaduto quella sera nei pressi del lago di Tiberiade è difficile stabilire e non è questo che importa, gli evangelisti infatti riferiscono l’episodio in ben sei versioni, ciascuna con un suo messaggio specifico. Vediamo di cogliere quello che il brano di oggi ci vuole dare.
Era diffusa al tempo di Gesù la convinzione che il messia avrebbe compiuto segni e prodigi straordinari, che avrebbe radunato il popolo, lo avrebbe introdotto nel deserto ove si sarebbe ripetuto il miracolo della manna.
Presentandoci Gesù che entra nel deserto seguito da un’immensa moltitudine di persone che ha abbandonato le città (v. 13), l’evangelista vuole farci vedere in lui il nuovo Mosè. Israele era uscito dall’Egitto ed era entrato nella terra promessa, ma non aveva ancora raggiunto la libertà, non era ancora entrato in comunione con il suo Dio. Eccolo ora condotto di nuovo nel deserto.
Se si vuole spingere più avanti il parallelismo basta collocare il brano nel suo contesto. Matteo ha appena descritto il banchetto organizzato per il compleanno di Erode, quello in cui è avvenuta l’esecuzione del Battista (Mt 14,3-12), banchetto che rappresenta in modo vivo la società corrotta, oppressiva e sanguinaria che deve essere ripudiata da chi segue Cristo. È nel deserto che vengono poste le basi di una società nuova.
Eccone le caratteristiche: anzitutto ha come guida Gesù e come norma dei rapporti reciproci i suoi stessi sentimenti. Egli sente compassione (v. 14). Il verbo impiegato – splagknizomai – non indica un vago sentimento di commozione, ma un’emozione profonda, viscerale(spagkna in greco sono dette le viscere). Lo abbiamo già trovato questo termine: “Vedendo le folle, Gesù ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9,36).
Di fronte ai bisogni dell’uomo Gesù non è insensibile, si sente partecipe, è coinvolto fin nel suo intimo, gli si stringe il cuore, ma la suacommozione non lo porta allo scoraggiamento, non sfocia in imprecazioni, in vane parole di rammarico o in uno sterile pianto, diviene stimolo all’azione immediata in favore di chi soffre: “Sceso dalla barca, vide una grande folla… guarì i loro malati” (v. 14).
La com-passione, il patire-insieme ai fratelli sono la forza che porta anche il discepolo a impegnarsi nella costruzione di una società nuova. Solo chi ha assimilato la sensibilità del Maestro è mosso a intervenire, a compiere i suoi stessi gesti di amore. “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5) – raccomanda Paolo – “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri” (Rm 12,15-16).
Questo impellente bisogno interiore a compiere il bene è il segno inequivocabile della presenza nel discepolo dello Spirito di Cristo.
Non è solo con le malattie – con le manifestazioni della debolezza e fragilità dell’uomo – che Gesù si confronta. Anche l’impellente bisogno di cibo e la mancanza dei beni necessari alla vita vanno affrontati. Quale risposta dà Gesù alla fame che c’è nel mondo?
Se la soluzione fosse quella del miracolo, il brano di oggi non avrebbe molto da dirci perché a nessuno di noi è concesso di compiere simili prodigi. Con il suo gesto Gesù indica invece ciò che ogni discepolo può e deve fare affinché a nessuno manchi il pane. Egli non risolve il problema della fame senza la collaborazione dell’uomo.
La prima, subdola tentazione da cui mette in guardia è quella deldisimpegno, quella di voler “congedare le folle” affinché ognuno se la cavi da solo, andando nei villaggi a comperarsi da mangiare (v. 15). È la proposta avanzata dai discepoli che, evidentemente, non hanno capito che l’adesione a Cristo implica un impegno concreto in favore di chi è nel bisogno. Non occorre che vadano – risponde Gesù – siete voi stessi che dovete dare loro da mangiare (v. 16).
Immediatamente viene sollevata la difficoltà che è anche la nostra: ciò che abbiamo non può bastare (v. 17).
Se ognuno conserva egoisticamente per sé ciò che possiede, nel timore che un giorno gli possa mancare il necessario, nel mondo ci sarà sempre fame.
Gesù chiede al discepolo di consegnarli ciò che ha, anche se a lui sembra poco. Cinque pani e due pesci – sette pezzi di alimento – sono il simbolo della totalità. Nulla va trattenuto, la generosità deve essere senza limiti. La condivisione dei beni è la proposta di Cristo ed è l’unica in sintonia con il progetto di Dio che è Padre e che vuole che i suoi figli vivano come fratelli, che non accumulino per se stessi, che non si accaparrino i beni destinati a tutti. Quando ognuno metterà a disposizione degli altri ciò che possiede (non solo il denaro, ma tutto se stesso: il proprio tempo, le proprie attitudini, la propria intelligenza, le proprie capacità…), si assisterà al prodigio: ci sarà cibo per tutti e ne avanzerà. Sulla generosità dell’uomo, infatti, si riversa sempre la benedizione di Dio.
Il pane che Gesù distribuisce non è però solo quello materiale.
Come l’acqua, anche il pane era in Israele simbolo della sapienza di Dio. Sia i profeti che i saggi dell’AT vi alludono spesso: “La Sapienza ha imbandito la tavola – dice l’autore del libro dei Proverbi – a chi è privo di senno essa dice: ‘Venite, mangiate il mio pane” (Pr 9,1-5) e Amos annuncia che Dio manderà la fame e la sete nel paese, “non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore” (Am 8,11).
Un giorno Gesù ha affermato: “Non di solo pane, vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). Il cibo che egli dona e che alimenta la vita dell’uomo è la sua parola, anzi è egli stesso, parola di Dio che deve essere assimilata.
“Gesù prese i pani – dice Matteo – e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai suoi discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla” (v. 19). Queste parole ci sono familiari: sono quelle dell’eucaristia. L’evangelista le riprende per far comprendere ai cristiani delle sue comunità che, dopo aver assimilato il pane del vangelo che è donato loro attraverso la predicazione degli apostoli, devono accostarsi anche al banchetto eucaristico per essere saziati.
Gli uomini sfamati sono cinquemila. È il numero che simboleggia Israele. È a questo popolo che è offerto il pane, è lui il primo invitato al banchetto annunciato dai profeti. Dopo che Israele sarà stato saziato, ne avanzeranno dodici ceste. Dodici indica la nuova comunità, quella costituita, attorno a Gesù, dai dodici apostoli. A questo nuovo popolo non mancherà mai il pane – che è Cristo – ci sarà sempre un resto e ogni volta riprenderà la distribuzione.
Attraverso i suoi discepoli – ai quali ha consegnato il suo pane – è Gesù stesso che continua a sfamare gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.


Padre Fernando Armellini, biblista
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