Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati. Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù: «Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, và al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te».
La grande tristezza dei discepoli deriva dalla loro incapacità di comprendere che la risurrezione, già annunciata nella trasfigurazione (Mt 17, 1-8), dev’essere preceduta necessariamente dalla sofferenza e dalla morte. E’ ancora e sempre questione di poca fede. I veri figli di Dio (quelli che riconoscono in Gesù il Figlio prediletto del Padre) sono liberi dalle imposte per il tempio perché Gesù, che è più importante del tempio (Mt 12, 6), li libera da esse. Ma Gesù tiene conto del rischio dello scandalo che un tale atteggiamento potrebbe provocare. Questo brano inoltre sottolinea, attraverso l’unica moneta che paga la tassa per Gesù e per Pietro, il destino comune che lega Pietro al suo Signore. La nostra realtà di figli di Dio non ci dispensa dalle mediazioni umane; si tratta di scoprire, nel profondo delle schiavitù quotidiane della nostra condizione di uomini, il modo nel quale il Figlio di Dio ci ispira di viverle come figli liberi.
Padre Lino Pedron
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