Mt 13,18-23
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel
suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul
terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l'accoglie subito con gioia, ma non ha in
sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a
causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta
la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la
Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la
Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Matteo non ci trasmette solo la parabola, ma ci offre anche un’attualizzazione che trasforma la parabola indirizzata ai predicatori in una catechesi per i convertiti. La spiegazione si rivolge ai fedeli e insiste sulla necessità delle
disposizioni interiori perché la Parola ascoltata sia capita e porti frutto. Le disposizioni più importanti sono l’apertura
e la sensibilità ai valori del regno di Dio, il coraggio di fronte alle persecuzioni, la costanza o perseveranza, la resistenza allo spirito maligno e la libertà interiore.
Il mistero del comprendere o del non comprendere (v. 11) ha un riferimento a Dio. I misteri sono conoscibili solo
con l’aiuto di una particolare luce che viene da Dio. Ci si può chiedere in che rapporto stiano tra loro, secondo Matteo, il credere e il conoscere.
Per Matteo la fede è principalmente fiducia riposta interamente nella persona di Gesù. La conoscenza si fonda sulla fede e viene concessa alla fede.
Non è la prima volta che nella storia della salvezza si verificano insuccessi come quelli di Gesù. Sembra anzi il
destino di tutti i profeti. Gesù ha scelto il linguaggio in parabole perché il popolo d’Israele non ha voluto «vedere e
ascoltare» quanto Gesù aveva annunciato e proposto loro in termini semplici e chiari.
I discepoli, invece, sono chiamati a conoscere in pienezza «i misteri del regno di Dio», cioè il piano che Dio ha
sull’umanità, rivelato da Gesù stesso attraverso le sue parabole.
La constatazione «a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (v.
12; cf. Mt 25,29) descrive la dinamica paradossale della rivelazione: i discepoli, proprio perché seguono Gesù,
possono giungere a una conoscenza sempre più profonda di essa; le folle, al contrario, non avendo preso una decisione favorevole nei suoi confronti, si allontanano sempre più dalla logica del Regno.
La seconda parte della risposta di Gesù indica la vera e propria motivazione del suo parlare in parabole (v. 13).
Questo linguaggio mette in evidenza l’atteggiamento della folla che, pur vedendo e ascoltando, non riesce a comprendere. Si tratta di un discernimento che la folla non riesce a fare, proprio perché non ha deciso di mettersi al
seguito di Gesù. Essa non capisce Gesù e di conseguenza non capisce il suo linguaggio.
Lo scandalo del rifiuto del Messia rientra nel progetto di Dio attestato dalle Scritture. Mentre di solito Matteo inserisce i testi biblici per offrire al lettore una conferma e un commento, in questo passo pone sulle labbra di Gesù il
testo di Isaia. Proprio l’introduzione attraverso il verbo «compiere» (anapleroo) mostra come l’incomprensione della
folla porta a compimento la parola di Dio.
Nella terza parte della risposta (v. 16) Gesù evidenzia il privilegio dei discepoli. A differenza della folla, essi
possono «vedere e ascoltare».
La motivazione della loro felicità viene preceduta dall’espressione «in verità vi dico»
con la quale Gesù garantisce la certezza della sua affermazione. Egli colloca i suoi discepoli al vertice di una storia
di promesse, i cui destinatari distribuiti in due categorie: «i profeti e i giusti» (v. 17). Questa espressione associa
coloro che hanno annunciato la volontà di Dio, i profeti, e coloro che l’hanno attuata, i giusti (cfr Mt 10,41; 23,29).
Questi sono i rappresentanti della storia biblica. I discepoli sono beati perché possono conoscere il piano di Dio,
che ora viene manifestato da Gesù. Sono essi, e non la sinagoga, la continuazione del vero Israele.
Gesù che ha dichiarato «beati» i discepoli perché hanno l’opportunità di «vedere e di «sentire» (Mt 13,16-17),
ora precisa che la loro condizione dipende da lui stesso. Egli infatti spiega loro la parabola.
La prima situazione di rifiuto (v. 19) presenta il caso di chi ascolta la parola ma non la comprende. Il comprendere non è solo il capire, ma l’accogliere in sé, la comprensione profonda e spirituale (Mt 13,51; 16,12; 17,13) perché egli stesso la spiega loro (Mt 13,18.36; 15,17; 17,11-12)
Nel secondo caso (vv. 20-21) la parola viene ascoltata e recepita con gioia. La fase critica è prodotta
dall’instabilità dell’accoglienza, descritta attraverso l’immagine della pianta che non riesce ad avere radici.
L’insuccesso è causato dalle esperienze di tribolazione (Mt 24,9.21.29) e persecuzione, che sono momenti inevitabili di verifica nel cammino della fede (cf. Mt 8,23-28).
La terza situazione negativa (v. 22) è provocata dalle preoccupazioni materiali di ogni tipo. La ricchezza non è
un male in sé, ma l’inquietudine che essa inevitabilmente genera, relativizza l’unico valore primario ed essenziale: l’accoglienza della parola del Regno.
Il discepolo infatti si distingue per la libertà nei confronti dei beni materiali (Mt
6,25-34) che, se sopravvalutati, diventano un impedimento nel seguire Gesù (Mt 19,16-30).
L’accoglienza positiva della parola è sottolineata con l’espressione «fare frutto».
L’immagine del frutto viene usata spesso per descrivere la fede viva e perseverante (Mt 7,16-20; 13,33; 21,19.34.41.43).
La perdita nei tre terreni infruttuosi viene largamente ricompensata dal successo della resa del terreno buono.
Padre Lino Pedron
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