Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare.
Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Con la solenne proclamazione: "Io sono il buon Pastore" (v.11) Gesù chiarisce le precedenti allusioni alla sua missione pastorale. Egli realizza pienamente le promesse dell’Antico Testamento (Ger 3,15; 23,3-4; Sal 23) tra le quali l’oracolo di Ezechiele 34,1-25 ha un ruolo primario. Nella parte finale di questo brano di Ezechiele Dio promette il pastore definitivo della discendenza di Davide, il Messia che regnerà su Israele (Ez 34,23ss). Con l’espressione "deporre l’anima a favore delle pecore" è indicato il dono della vita, il dono supremo di Gesù per salvare l’umanità che egli ama. Gesù dispone pienamente della sua vita e può deporla come un vestito (Gv 13,4) per riprenderla quando vuole (v.8): egli è il Signore della vita e della morte. Il mercenario, l’operaio stipendiato, non espone al pericolo la sua vita per salvare il gregge che non è suo. I capi di Israele si sono comportati da mercenari, come ladri e briganti, come lupi che sbranano e uccidono; per questo Dio strapperà loro di bocca le sue pecore (Ez 34,10). La conoscenza di cui parla Gesù in questo brano dev’essere intesa in senso biblico come scambio di amore profondo. Essa non consiste in una nozione intellettiva, ma in una penetrazione nell’essere della persona conosciuta. Il buon pastore Gesù ama il suo gregge come ama il Padre suo. Il pensiero del buon Pastore corre anche alle pecore che non sono del recinto ebraico: anch’esse saranno conquistate al suo amore e così tutta l’umanità diventerà un solo gregge sotto la guida dell’unico vero pastore Gesù.
Egli vuole salvare non solo gli ebrei, ma l’umanità intera (3,16-17; 4,42; 12,47).
Con la conversione dei pagani al vangelo si rompono gli steccati tra i due recinti del mondo, quello dei giudei e quello degli altri popoli, per formare un unico popolo di Dio. "Egli (Cristo) è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo" (Ef 2,14). L’unità del genere umano è operata dalla morte di croce di Gesù: egli è morto per radunare in unità i dispersi figli di Dio (Gv 11,52). Il Padre ama il Cristo perché egli dona la sua vita a favore del suo gregge. Gesù è sempre obbediente alla volontà del Padre, fino alla morte di croce (Fil 2,8). La morte di Gesù quindi non trova la sua spiegazione ultima nella violenza e nell’odio degli uomini, ma è un evento salvifico del piano divino, accettato liberamente da Cristo: egli depone la sua anima per poi riprenderla di nuovo, in conformità al comando del Padre. Gesù allude chiaramente al suo potere divino di risorgere dai morti. La morte e la risurrezione rappresentano il culmine della volontà del Padre nei confronti del Figlio (Gv 14,31).
Questo brano sottolinea l’amore tenero e profondo del buon Pastore per le sue pecore. La conoscenza reciproca tra il pastore e le pecore indica un amore concreto e forte, un rapporto intimo tra persone.
Padre Lino Pedron
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