Lc 17,5-10
Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste
fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel
mare», ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo:
«Vieni subito e mettiti a tavola»? Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le
vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? Avrà
forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi,
quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto
quanto dovevamo fare».
Il perdono è reso possibile dalla forza della fede: per mezzo di essa possiamo superare anche le più grandi difficoltà.
Un minimo di fede in Dio è sufficiente per operare i più grandi prodigi, perché la fede, anche quando è poca, è sempre una comunione con Dio, quindi una partecipazione alla sua onnipotenza.
Con la fede si ottiene tutto (cf. Mc 11,23-24). Tutto è possibile a chi crede (cf. Mc 9,23). Nulla è impossibile a Dio (cf. Lc 1,37; 18,37).
Credere è smettere di confidare in sé stessi e lasciare che Dio agisca in noi.
La gratuità del ministero apostolico, tema di questo brano, prolunga nel tempo ed estende nello spazio il mistero della misericordia di Dio. La gratuità è il segno essenziale dell'amore e il sigillo di appartenenza al Signore. Essa ci fa come lui, schiavi per amore.
È la massima libertà che ci rende simili a Dio. La missione dei cristiani nel mondo è, prima di tutto, testimonianza dell'amore gratuito di Dio. Nel suo addio agli anziani della Chiesa di Efeso, Paolo dice: "Non ritengo la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio" (At 20,24).
Il cristiano è chiamato servo, schiavo di Gesù Cristo perché appartiene totalmente a lui. Questa schiavitù è la più alta realizzazione della libertà di amare perché rende il cristiano simile al suo Signore Gesù che è tutto del Padre e dei fratelli. Il lavoro dello schiavo è insieme dovuto e gratuito perché, sia lui che il suo lavoro, appartengono al Signore. La traduzione: "Siamo servi inutili"(v. 10) non è esatta perché lo schiavo che compie il suo lavoro non è inutile e perché Dio non ha creato nulla di inutile.
Il termine greco "achreioi" significa inutili o senza utile, cioè senza guadagno. Ciò significa che i cristiani non fanno il loro lavoro apostolico per guadagno, per un utile personale, ma per dovere e gratuitamente: non per vergognoso interesse (cf. 1Pt 5,2), ma spinti dall'amore di Cristo Signore che è morto per tutti (cf. 2Cor 5,14).
L'apostolato è di sua natura gratuito e rivela la sorgente da cui scaturisce, l'amore gratuito di Dio: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10,8). Per l'apostolo Paolo la ricompensa più
alta è predicare gratuitamente il vangelo: "Quale è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il angelo" (1Cor 9,18).
L'amore vero rende il discepolo completamente libero da altri interessi e lo fa diventare gioiosamente servo come il suo Signore al quale appartiene totalmente.
Ciò che Dio dà all'uomo non gli è dovuto in termini contrattuali, ma è grazia. Per quanto l'uomo possa impegnarsi o fare, tutto quello che riceve non è in proporzione con quello che egli ha compiuto: è sempre un'elargizione della bontà e misericordia di Dio.
Occorre avvicinarsi sempre più a Dio e non preoccuparsi del trattamento che egli usa nei confronti dei suoi servi fedeli. Sarà sempre conforme alla sua bontà infinita, non alle umili prestazioni dell'uomo.
Padre Lino Pedron
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