Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Séguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».
La nostra intelligenza è ottusa perché la nostra volontà ha dei desideri e delle priorità che si oppongono alla sequela di Cristo. La nostra volontà è divisa tra il desiderio di seguire lui e quello di tenere le nostre sicurezze materiali, affettive e personali. Siamo chiamati a prendere delle decisioni e a superare le ambiguità della nostra volontà. Essa vorrebbe il fine, ma senza volere i mezzi.
È necessaria una decisione che rompa con i condizionamenti del proprio io: in altre parole bisogna vivere la povertà, la castità e l’obbedienza, senza le quali non si riesce a seguire Gesù.
Essere discepoli significa avere lo stesso destino del Maestro. Egli è un ripudiato, un respinto dagli uomini, un senza-patria, un uomo continuamente in viaggio che opera instancabilmente la salvezza. Per gli uomini è duro essere senza patria, non potersi rifugiare sotto un tetto protettore, non poter sostare in un accampamento ospitale. Persino gli animali più irrequieti, come le volpi e gli uccelli, hanno una dimora. Il discepolo di Gesù deve essere pronto ad andare, ad essere respinto, a rinunciare al rifugio di una casa. Il chiamato dei vv. 59-60 è pronto, ma non immediatamente. Vuole soltanto compiere prima il suo dovere di seppellire suo padre. La richiesta di una dilazione appare quindi più che giustificata. Ma Gesù non ammette nessun rinvio. Esige che lo segua incondizionatamente.
È una risposta che sembra spietata, assolutamente estranea al sentimento e al buon senso umano, quasi del tutto immorale. Ma non è così. Questo tale chiede di fare "prima" la sua volontà e poi quella di Dio. Gesù aveva insegnato: "Cercate prima il regno di Dio" (Mt 6,33). Diversamente c’è sempre qualcos’altro prima del Signore e il Signore non è più il Signore.
Seppellire il padre è un dovere di pietà filiale (Es 20,12; Lv 19,3). Ma anche un dovere, posto come prioritario, allontana dal regno di Dio. È il dramma della fede di Abramo: prima l’amore per il figlio promesso da Dio o l’amore per Dio che l’ha promesso? Prima il dono o il Donatore?
La realtà umana, anche la più grande, non va assolutizzata. Porre la creatura prima del Creatore è invertire il rapporto vitale uomo-Dio. La chiamata al regno di Dio esige che nessun affetto sia mai prioritario e assolutizzato rispetto a Dio. È la "castità" dell’uomo, che è la sposa di Dio e deve amare solo lui in modo assoluto. Il resto lo ama in lui e per lui. Egli deve vedere in ogni dono il Donatore e amare, attraverso il dono, Colui che dona. Ciò che occupa il primo posto nel nostro tempo e nei nostri programmi è l’oggetto principale del nostro amore, è il nostro Dio. Per questo tale, il padre morto era più importante del Dio vivo. Annunciare la vita ai morti nello spirito e risuscitarli è più importante che seppellire i morti nel corpo.
La terza figura del discepolo, presentata nei vv. 61-62, assomma le difficoltà dei primi due. È lui che si propone ed è lui che pone la priorità. Questo episodio richiama la vocazione di Eliseo da parte di Elia che concesse al discepolo di congedarsi dai suoi (1Re 19,19 ss). Ma ora qui c’è ben più che Elia (cfr Lc 11, 31-32): c’è il Figlio che va ascoltato (cfr Lc 9,35). La sua presenza esige obbedienza assoluta. La risposta di Gesù parte ancora da un’immagine suggerita dalla vocazione di Eliseo, chiamato mentre stava arando con dodici paia di buoi: egli bruciò il suo aratro e sacrificò i suoi buoi per un’altra semina, quella della parola di Dio.
Volgersi indietro è l’atteggiamento del rimpianto, dell’esitazione. Quando arriva Gesù non c’è tempo da perdere. Questa scelta per Cristo esige una frattura con il passato. Chi ara e guarda indietro per continuare diritto il solco già tracciato non è adatto per il regno di Dio. L’obbedienza a Gesù esige che ognuno lasci il solco tracciato fino a questo momento: è la conversione continua. Chi è attaccato a persone, a cose o al proprio io, e cerca altre sicurezze che non siano l’obbedienza alla Parola (cfr Lc 9,35), è messo male per il regno di Dio. La radice comune di tutte le tentazioni è l’attaccamento al proprio io. Chi supera questa tentazione ha superato anche tutte le altre. Per questo Gesù dice: "Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso" (Lc 9,23).
Padre Lino Pedron
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