Nacque poi una discussione tra loro, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».
Dopo la prima predizione della passione, Gesù aveva insegnato il giusto rapporto dell’io con se stesso: l’io si salva perdendo se stesso per Gesù, e si perde nel volere salvare se stesso lontano da Gesù (Lc 9, 23-24).
Ora, dopo la seconda predizione, insegna il rapporto dell’io con gli altri (vv.46-48) e subito dopo il rapporto del "noi" con gli altri (vv. 49-50). La paura che porta a cercare di autosalvarsi rende egoisti e avidi di cose (la ricchezza), di persone (potere e vanagloria) e di Dio stesso considerato come oggetto da strumentalizzare secondo i nostri fini (autosufficienza).
La fiducia in Dio, conosciuto come amore, invece porta a perdersi il lui, rende capaci di amare e induce alla povertà, all’umiliazione e all’umiltà. È chiaro quindi perché i discepoli pongono resistenza al cammino di umiltà della passione di Dio per l’uomo: hanno in sé il peccato del protagonismo. È il peccato di Adamo che voleva occupare il primo posto. È l’autoaffermazione, primo ed ultimo frutto dell’egoismo. È il peccato "originale" perché sta all’origine di tutti i mali: di quelli del singolo che non si accetta come creatura (= dipendenza nell’essere) di Dio, e di quelli della comunità, la quale, invece che luogo di fraternità, diventa un campo di battaglia per la supremazia. È il peccato che divide da Dio e dagli altri. Solo la conoscenza di Dio può rendere umili e solo l’umiltà può farci penetrare sempre più nella conoscenza di Dio, perché Dio è umile. In questo brano Gesù rivela il mistero della vera grandezza: essa è piccolezza e umiltà, perché il Figlio dell’Altissimo si è fatto il più piccolo di tutti. Gesù capovolge il criterio di realizzazione: non è più l’autoaffermazione, ma l’umiliazione.
In questo brano Gesù spiega anche la vera gerarchia nella comunità dei discepoli: Il più grande è il più piccolo. Perché il più piccolo è lui stesso. Chi accoglie il più piccolo infatti accoglie Dio che si è fatto piccolo per accogliere tutti. Contro ogni stoltissima ambizione di carriera e di arrivismo nella Chiesa, Gesù dichiara che la vera gerarchia trova al suo primo posto l’ultimo, perché il Figlio dell’uomo si è fatto servo di tutti. Questo tema sarà ripreso nell’ultima cena (Lc 22, 24 ss). Per Gesù è grande colui che più di tutti si è rimpicciolito per far crescere gli altri a suo apparente scapito e per far posto agli altri, anteponendoli a se stesso. La fede o la mancanza di fede è comprendere o no il mistero della piccolezza e dell’umiltà di Gesù nostro Signore e Dio, nato in una stalla e morto sulla croce per amore. Il "manifesto" di Cristo porta scritto con lettere di sangue: povertà, umiliazione, umiltà; quello di satana: ricchezza, vanagloria, superbia. Dobbiamo esaminarci sotto quale bandiera stiamo militando. I vv. 49-50 ci insegnano che il principio del settarismo nelle chiese, origine di ogni divisione, è il "noi" ecclesiale che si pone al posto dell’io di Gesù.
Ai discepoli che tentano di impedire la cacciata dei demoni nel nome di Gesù solo perché operata da uno che non è dei loro, non sta tanto a cuore la salvezza dei fratelli, quanto l’affermazione di se stessi e l’esclusiva
dell’appoggio del Signore. Non interessa loro tanto la liberazione dal demonio, quanto, paradossalmente, la sua affermazione che si è annidata e nascosta nell’orgoglio collettivo. Questo orgoglio collettivo cerca l’affermazione del "noi" mediante l’esclusione degli altri, invece che il nome del Signore e il bene dei fratelli. Questo atteggiamento del "noi" è un impedimento a vincere il maligno. È anzi un’alleanza con lui, e per di più segreta, ignara e a fin di bene, come quella di Pietro quando cerca di ostacolare il cammino di Gesù verso la croce (Mc 8, 32-33). Se Gesù si è fatto piccolo ed escluso per accogliere e includere tutti, anche noi dobbiamo lasciare ogni ricerca di potere e di grandezza personale e comunitaria per non escludere nessuno. La libertà non è dominare sugli altri e fare quello che si vuole, ma capacità di amare come Gesù. La libertà è sacrificio di sé fino alle estreme conseguenze, nel nome di Gesù: è libertà dagli idoli della ricchezza e del potere e dalla schiavitù dell’io e del noi da cui viene ogni male. Questa libertà è tanto più ampia quanto più è stretto il legame con il Signore.
Padre Lino Pedron
------------
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento