venerdì 9 aprile 2010

Non ricusiamo il dovere di vivere

Rimanesti molto serio, mentre mi ascoltavi: accetto la morte quando Egli voglia, come Egli voglia, dove Egli voglia; e allo stesso tempo penso che sia “una comodità” il morire presto, perché dobbiamo desiderare di lavorare molti anni per Lui, e, con Lui, al servizio degli altri. (Forgia, 1039)

Vi libererò dalla schiavitù, in qualunque luogo siate dispersi [Ger 29, 14]. Ci liberiamo dalla schiavitù, per mezzo dell'orazione: siamo e ci sentiamo liberi, sulle ali di un cantico d'anima innamorata, un canto d'amore che ci sprona a desiderare di non separarci da Dio. E un modo nuovo di camminare sulla terra, un modo soprannaturale, divino, meraviglioso.Ricordando tanti scrittori castigliani del Cinquecento, forse anche noi vorremmo assaporarne l'esperienza: vivo perché non vivo, è Cristo che vive in me [Cfr Gal 2, 20].
Si accoglie allora con gioia il dovere di lavorare in questo mondo, e per molti anni, perché Gesù ha pochi amici sulla terra. Non ricusiamo il dovere di vivere, di spenderci — spremuti ben bene — al servizio di Dio e della Chiesa. Così: in libertà, in libertatem gloriae filiorum Dei [Rm 8, 21], qua liberiate Christus nos liberavit [Gal 4, 31]; con la libertà dei figli di Dio, che Cristo ci ha guadagnato morendo sul legno della Croce.Può darsi che, fin dal principio, si alzino nuvole di polvere, e anche che i nemici della nostra santificazione impieghino una tecnica di terrorismo psicologico — di abuso di potere — così violenta e ben orchestrata, da attirare nella loro assurda direzione perfino chi, per molto tempo, ha mantenuto ben altra condotta, più logica e più retta. E benché la loro voce dia un suono da campana fessa, perché non è fusa in buon metallo ed è ben diversa dal richiamo del pastore, abusano della parola che è uno dei doni più preziosi che l'uomo abbia ricevuto da Dio, dono bellissimo per esprimere alti pensieri d'amore e di amicizia per il Signore e per le sue creature, al punto da far intendere il motivo per cui san Giacomo afferma che la lingua è un mondo d'iniquità [Gc 3, 6]. I danni che può produrre sono tanti: menzogne, denigrazioni, diffamazioni, soperchierie, insulti, mormorazioni tendenziose. (Amici di Dio, nn. 297-298)
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