martedì 13 aprile 2010

Beata Margherita da Città di Castello

Vergine delle suore della Penitenza di S. Domenico

Il Castello della Metola, dove nacque Margherita nel 1287, era una fortezza posta sulla cresta di un’alta montagna, situata nella parte meridionale di Massa Trabaria; era stato costruito con un sistema tale di difesa da risultare pressoché inespugnabile. Per questo, quando il padre di Margherita, Parisio, lo aveva conquistato, aveva suscitato un tale entusiasmo per la sua impresa che gli era stata offerta la fortezza e tutto il vasto possedimento che la circondava. Lassù, Parisio aveva portato la giovane sposa Emilia ed aveva atteso con gioia la nascita di un erede che perpetuasse il suo nome. Pieno di sogni per l’avvenire di quel figlio, aveva ordinato grandi festeggiamenti per il lieto evento, ma la delusione dei due sposi non poté essere più cocente quando s’accorsero che era nata una bambina cieca e deforme, destinata ad essere gobba e storpia.
L’orgoglio chiuse il loro cuore e decisero di nascondere a tutti la loro disgrazia affidando la bimba ad una donna di servizio e ordinandole di tenerla sempre nascosta. Nel modo più segreto fu portata alla cattedrale di Mercatello per essere battezzata, e soltanto perché il cappellano della fortezza lo aveva chiesto.

Margherita, crescendo, manifestò una straordinaria intelligenza e imparò ben presto ad orientarsi girando per il castello, senza mai avvicinarsi alle stanze dei genitori che non volevano correre il rischio di incontrarla. Un giorno (Margherita aveva sei anni) vennero alla Metola alcuni visitatori e, mentre la piccola si recava nella cappella a pregare, fu vista da una delle dame ospiti, che ovviamente fu incuriosita dalla presenza di quella bambina cieca e storpia.
Per evitare in futuro di correre ancora il rischio che quella sua figlia deforme venisse scoperta, Parisio fece costruire una cella vicino alla chiesa di Santa Maria della Fortezza, che si trovava a quattrocento metri dal castello, in piena boscaglia, e vi rinchiuse la figlia, con l’unica possibilità di passare il tempo a pregare, in attesa che da una finestrella le venisse posto un po’di cibo.
In quella prigione, consapevole di essere rifiutata per il suo fisico anormale, Margherita comprese che era stata creata per amare Dio e trovare eterna e perfetta felicità. La bimba capì che per raggiungere un alto grado nell’amore di Dio, non è necessaria la vista, né un fisico perfetto, ma soltanto seguire l’esempio di Gesù Crocifisso e unire le nostre sofferenze alle sue. Nove anni rimase in quella cella, ricevendo frequenti visite dal cappellano che la istruiva nelle vie di Dio e rare visite dalla mamma.
Fu tirata fuori da quel luogo a causa della guerra: Massa Trabaria era stata invasa dai nemici. Margherita finì in un luogo peggiore, cioè nella cantina del palazzo di suo padre a Mercatello, con un pagliericcio ed una vecchia panca per arredamento e le regole dei carcerati da osservare. Niente più conforti religiosi, come Santa Messa, Comunione, visite del cappellano, ma una tremenda solitudine e tanta angoscia per gli esiti della guerra. La fiducia in Dio l’aiutarono a superare quelle tribolazioni e a fortificarsi per il cambiamento di vita che l’aspettava. Cessato il pericolo della guerra, i genitori decisero di condurla a Città di Castello, sulla tomba di Fra Giacomo, un francescano morto da poco tempo in fama di santità, nella speranza che un miracolo potesse guarire la loro figlia.
Il viaggio attraverso gli Appennini fu lungo e disagevole. I genitori, delusi dal mancato miracolo, presero la via del ritorno di nascosto, abbandonandola a se stessa per liberarsi per sempre di lei.
Quando la ragazza (era intorno ai quindici anni) se ne rese conto, il buio intorno a lei fu più fitto e il gelo le morse il cuore: possibile che fosse stata abbandonata in quella città del tutto sconosciuta? Eppure questa era l’amara realtà!

“Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto” dice il salmista: fu così anche per lei. Dopo un breve tempo trascorso come mendicante, senza un tetto sotto il quale ripararsi dalle intemperie, Margherita trovò una calda accoglienza presso le famiglie povere della città che la ospitarono a turno, ammirandone la gentilezza, la pazienza e l’inalterabile serenità. Con la preghiera continua ella ricompensava i suoi benefattori, ottenendo grazie di ordine materiale e morale alle loro famiglie.

Intorno ai vent’anni fu accolta in un monastero dove, con gioia, iniziò il suo cammino spirituale impegnandosi ad osservare la Regola propria di quell’Ordine di cui l’antico biografo non ci rivela il nome. Purtroppo in quel monastero le monache vivevano nella rilassatezza; dopo un po’ di mesi, la condotta di quella novizia cieca che si atteneva al silenzio, la povertà, e il raccoglimento, divenne un fattore di disagio nel convento. Poiché Margherita rifiutava ogni compromesso con la sua coscienza, fu dimessa dal monastero e si ritrovò nuovamente sola e abbandonata per la via.
Fu in questo periodo che incontrò nella chiesa della Carità, affidata ai Frati Domenicani, le Mantellate, laiche appartenenti all’Ordine della Penitenza di San Domenico. Margherita vi fu accolta, così la povera mendicante senza tetto divenne anche Mantellata. Entrando a far parte di una famiglia religiosa, trovò fratelli e sorelle ed un grande ideale per cui spendersi: contemplare Dio e trasmetterlo con la preghiera e la penitenza.

Nonostante le sue disgrazie fisiche, praticava un intenso apostolato di misericordia presso i malati e i moribondi e sollevava i cuori afflitti con una conversazione opportuna che tutto riconduceva all’Amore di Dio. Chiari segni soprannaturali dimostrarono che Margherita era molto vicina al cuore di Dio e che lo amava di un amore sempre più puro e profondo. Due volte aveva predetto il futuro e le sue profezie si erano avverate; ottenne la guarigione miracolosa di una fanciulla e fermò un incendio gettando il suo mantello tra le fiamme. Inoltre col contatto della sua mano guarì l’occhio malato di una consorella. Dopo questi fatti, la mantellata divenne sempre più celebre per santità in tutta la regione. Durante le sue intense preghiere veniva colta da profonde estasi, soprattutto se si trovava in presenza di grandi miserie e sofferenze.
All’inizio del 1320 Margherita capì che il lungo esilio lontano dal suo Dio stava per terminare: le sofferenze fisiche aumentavano, la sua anima anelava soltanto a liberarsi dal corpo mortale.

Morì il 13 aprile, seconda domenica di Pasqua, all’età di trentatré anni. Gli abitanti di Città di Castello accorsero in folla a tributarle l’ultimo saluto. Numerosi miracoli si verificarono sulla sua tomba, che fu sempre circondata di grande venerazione. Il corpo incorrotto della Beata giace ora sotto l’altare maggiore della chiesa di San Domenico a Città di Castello.

Papa Paolo V (Camillo Borghese), nel 1609, concesse ai Domenicani di quella città la Messa e l’Ufficio propri. Il 6 aprile 1675 Pp Clemente X (Emilio Altieri) estese tale privilegio a tutto l’Ordine (memoria liturgica : 13 aprile).
Nel 1988 il locale Vescovo di Urbino e Città di Castello l’ha proclamata Patrona Diocesana dei non vedenti.

--

Nessun commento:

Posta un commento