Dal Vangelo secondo Matteo (16,13-20)
Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Batti-
sta, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io
sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Gesù pone la domanda fondamentale, sulla quale si decide
il destino di ogni uomo: "Voi chi dite che io sia?". Di-
re chi è Gesù è collocare la propria esistenza su un terreno solido, incrollabile.
La risposta di Pietro è decisa e sicura. Ma il suo discernimento non deriva dalla "carne" e dal "sangue", cioè dal-
le proprie forze, ma dal fatto che ha accolto in sé la fede che il Padre dona.
Gesù costituisce Pietro come roccia della sua Chiesa:
la casa fondata sopra la roccia (cfr 7,24) comincia a
prendere il suo vero significato.
Non è fuori luogo chiedersi se Pietro era pienamente cosciente di ciò che gli veniva rivelato e di ciò che diceva.
Notiamo il forte contrasto tra questa professione di f
ede seguita dall’elogio di Gesù: "Beato te, Simone..." e
l’incomprensione del v. 22: "Dio te ne scampi, Signore..." e infine l’aspro rimprovero di Gesù: "Via da me, satana!
Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".
Questo contrasto mette in evidenza la differenza tra la
fede apparente e quella vera: non basta professare la
messianicità di Gesù. Bisogna credere e accettare che il progetto del Padre si realizza attraverso la morte e la ri surrezione del Figlio.
Pietro riceve le chiavi del regno dei cieli. Le chiavi
sono segno di sovranità e di potere. Pietro dunque insieme
alle chiavi riceve piena autorità sul regno dei cieli. Egli es
ercita tale autorità sulla terra e non in funzione di portinaio
del cielo, come comunemente si pensa. In qualità di trasmettitore e garante della dottrina e dei comandamenti di
Gesù, la cui osservanza apre all'uomo il regno dei
cieli, egli vincola alla loro osservanza.
Gli scribi e i farisei, in quanto detentori delle chiavi fi
no a quel momento, avevano esercitato la medesima autorità.
Ma, rifiutando il vangelo, essi non fanno altro che chiuder
e il regno dei cieli agli uomini. Simon Pietro subentra al
loro posto.
Se si considera attentamente questa contrapposizione, risu
lta che il compito principale di cui è incaricato Pietro
è quello di aprire il regno dei cieli. Il suo incarico va descritto in senso positivo.
Non si potrà identificare la Chiesa con il regno dei cieli.
Ma il loro accostamento in quest’unico brano del vange-
lo offre l’opportunità di riflettere sul loro reciproco rapporto.
Alla Chiesa, quale popolo di Dio, è affidato il regno dei
cieli (cfr 21,43). In essa vivono gli uomini destinati al
Regno. Pietro assolve il proprio sevizio nella Chiesa quando
invita a ricordarsi della dottrina di Gesù, che permette agli uomini l’ingresso nel Regno.
Nel giudaismo, gli equivalenti di legare e sciogliere (‘asar
e sherà’) hanno il significato specifico di proibire e
permettere, in riferimento ai pronunciamenti dottrinali. Accant
o al potere di magistero si
pone quello disciplinare. In
questo campo i due verbi hanno il senso di scomunicare e togliere la scomunica.
Questo duplice potere viene assegnato a Pietro. Non è il ca
so di separare il potere di magistero da quello disci-
plinare e riferire l’uno a 16,19 e l’altro a 18,18. Ma non è possibile negare che in questo versetto 19 il potere dottrinale, specialmente nel senso della fissazione della dottrina, sta in primo piano.
Pietro è presentato come maestro supremo, tuttavia con
una differenza non trascurabile rispetto al giudaismo: il
ministero di Pietro non è ordinato alla legge, ma alla direttiva e all'insegnamento di Gesù.
Il legare e lo sciogliere di Pietro viene riconosciuto in cielo, cioè le decisioni di carattere dottrinale prese da Pietro vengono confermate nel presente da Dio. L’idea del giudizio finale è più lontana, proprio se si includono anche
decisioni disciplinari.
Nel vangelo di Matteo, Pietro viene presentato come
il discepolo che fa da esempio. Ciò che gli è accaduto è
trasferibile ad ogni discepolo. Questo vale sia per i suoi pregi sia per le sue deficienze, che vengono impietosamente riferite. Ma a Pietro rimane una funzione esclusiva ed unica: egli è e resta la roccia della Chiesa del Messia
Gesù.
Pietro è il garante della tradizione su Cristo com’è presentata dal vangelo di Matteo.
Nel suo ufficio egli subentra agli scribi e ai farisei, che finora hanno portato le chiavi del regno dei cieli.
A lui tocca far valere integro l’insegnamento
di Gesù in tutta la sua forza.
Padre Lino Pedron
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