San Marco sintetizza, in brevi parole, due grandi avvenimenti della vita di Gesù Cristo; il suo battesimo nel Giordano e la sua tentazione nel deserto. Avendo parlato della voce che gridava nel deserto per preparare la via del Signore, è attratto dal ricordo della voce del Padre che risuonò sul Giordano, e accenna appena alla voce di satana che tentò troncare la missione del Redentore. Una voce la preparava, una voce la proclamava, una voce tentava arrestarla. Le circostanze di questi fatti sono quasi accidentali, e l’evangelista vi si trattiene poco.
Giovanni aveva detto che il Redentore avrebbe battezzato nello Spirito Santo, e Gesù Cristo volle consolarlo, iniziando quel battesimo proprio per le mani di lui.
Andò a ricevere il battesimo della penitenza per accogliere su di sé i nostri peccati, e andò a santificare le acque con la sua presenza e con quella del Padre e dello Spirito Santo, perché si fossero mutate in lavacro di rigenerazione e di grazia. Scese nelle acque come novello Mosè, e aprì il mare della divina misericordia con la sua potenza d’amore, attraendo sulla terra lo sguardo del Padre; i cieli si aprirono e discese visibilmente lo Spirito Santo, come discese al principio del mondo sulle acque per fecondarle nella vita; si compiva solennemente quello che era stato un lontano e misterioso annuncio nella creazione, poiché il Verbo fatto uomo discendeva nell'acqua per rigenerare tutto in Lui, lo Spirito Santo discendeva sul Verbo fatto Vittima, per fecondare l’opera sua, e il Padre faceva sentire la sua voce, compiacendosi del Figlio divino che lo amava, e amandolo nella fiamma dell’infinito Amore.
Fu un momento solenne, nel quale la gloria della Santissima Trinità illuminò nuovamente la terra; il Redentore si umiliò discendendo nell'acqua e, in quell'atto di umiliazione, riconobbe la gloria di Dio, esaltandolo sopra tutte le cose; alla voce del suo amore si aprirono i cieli, cioè sparirono quasi nella immensa luce che si diffondeva, e dalle profondità luminosissime venne come una candida fiamma che sembrava una colomba; era l’infinito Amore che rispondeva all'Amore del Verbo Incarnato, era la compiacenza del Padre che spirava col Verbo l’infinito Amore, era la testimonianza del Cielo che si univa a quella della terra, e confermava la voce di Giovanni.
Si deve notare che l’evangelista descrive la scena in poche parole, perché essa fu quasi come un lampo di luce sfolgorante; in un attimo avvolse tutta la terra, poiché per tutta la terra si diffuse la voce placida e potente della divina Bontà che abbracciò le sue creature, rappresentate dal Redentore, oggetto della sua infinita compiacenza.
Nel mondo, però, satana non era stato ancora sconfitto, e nella gloriosa manifestazione del Giordano aveva dovuto sogghignare beffardamente, perché aveva ancora la preda fra gli artigli, e si riprometteva, nel suo orgoglio, di non farsela sfuggire.
Ecco perché subito lo Spirito Santo che aveva santificato tutta l’umanità del Redentore con nuovi doni, lo spinse nel deserto perché avesse dato a satana la prima sconfitta, digiunando e ricacciandolo nell'abisso.
San Marco non racconta minutamente la tentazione di satana: non aveva bisogno di farlo; gli importava opporre al primo Adamo il secondo, al peccatore il Riparatore, al ricercatore del godimento il Penitente divino che, spinto dall'amore per il Padre, va nel deserto invece che nell'Eden; digiuna invece di appetire il frutto proibito; ricaccia satana che lo tenta invece di farsi lusingare dalla sua voce infernale; rimane con le fiere invece di cercare il seducente sorriso di Eva, come fece Adamo, compiacendola, e fu servito dagli angeli, perché, proprio in questo, elevò la natura umana, rendendola compagna degli angeli di Dio.
Ecco tracciato il nostro cammino di resistenza allo spirito infernale. Dobbiamo umiliarci, riconoscendoci peccatori, sottomettendoci agli altri, e cercando unicamente la gloria di Dio. Dobbiamo offrire al Signore un cuore puro, perché la grazia dello Spirito Santo lo inondi e lo renda compiacenza di Dio.
Quello che impedisce l’effondersi della grazia in noi è proprio l’impurità, figlia dell’orgoglio e l’orgoglio maledetto della carne. Non è necessario cadere nel baratro per essere chiusi alla grazia, bastano anche quelle miserie volontarie che distraggono vanamente l’anima nelle creature. La curiosità morbosa che ci ferma esternamente nell'ammirazione della forma estetica, e che internamente ci attrae al senso con vane compiacenze e con desideri di male spesso semicoscienti, è una barriera che si frappone tra noi e la grazia, e può da sola renderci infecondi spiritualmente, e sospingerci verso gli abissi del male.
Ritiriamoci nel deserto con la modestia degli sguardi, e formiamo in noi la solitudine, impedendo che il mondo ci si avvicini attraverso quegli spettri che si formano in noi per gli sguardi dissipati.
Non crediamo che sia poi un male, magari, il non vedere un oggetto che ci può sembrare d’arte; non ci facciamo illudere dalla necessità di osservare o dal bisogno di ammirare ciò che è bello; tutte queste scuse non impediscono di respirare l’aria mefitica della carne, e ci attraggono pesantemente nelle sfere dei sensi.
Quando l’aeroplano gira su se stesso, si avvita – come si dice in termine tecnico –, e quando si avvita fa precipitare nel vortice della morte; similmente, quando ci rivolgiamo su di noi o sulle creature, la carne ci avvita, e precipitiamo facilmente nella mota, dove la divina Colomba non può fermarsi.
Andiamo nella solitudine, appartandoci da tutto ciò che è vano e curioso, da tutto ciò che ci distrae nell'ansietà di voler vedere, osservare, ammirare; lo diciamo proprio per la salvezza e la santificazione delle anime, e per renderle oggetto di compiacenza innanzi a Dio; amiamo la solitudine interiore, facciamolo almeno per prova; rifuggiamo dagli sguardi che fanno giungere a noi le voci di satana, alimentiamo l’anima nelle placide visioni del Cielo, e sentiremo nel cuore e nei sensi una libertà dolcissima che ci farà volare fino a Dio, e ci farà conversare con gli angeli.
Padre Dolindo Ruotolo
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