I nostri peccati sono stati la causa della Passione: della tortura che deformava la fisionomia amabilissima di Gesù, perfectus Deus, perfectus homo. E sono ancora le nostre miserie a impedirci ora di contemplare il Signore, presentandoci opaca e contraffatta la sua figura. Quando la vista ci si intorbidisce, quando gli occhi si annebbiano, dobbiamo rivolgerci alla luce. E Cristo ha detto: Ego sum lux mundi! (Gv 8, 12) lo sono la luce del mondo. E aggiunge: chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Via Crucis, VI, n.1).
Questa settimana, tradizionalmente chiamata santa dal popolo cristiano, ci offre ancora una volta l'occasione di considerare — di rivivere — i momenti conclusivi della vita di Gesù. Tutti gli avvenimenti che le diverse espressioni della pietà richiamano in questi giorni alla memoria hanno come traguardo la Risurrezione che è il fondamento della nostra fede, come scrive san Paolo. Tuttavia non dobbiamo dirigerci troppo in fretta verso questa mèta; non dimentichiamo una verità elementare, ma che tanto spesso ci sfugge: noi non potremo partecipare alla Risurrezione del Signore se non ci uniamo alla sua Passione e alla sua Morte. Per essere con Cristo nella sua gloria, bisogna che prima aderiamo al suo olocausto per sentirci una sola cosa con Lui, morto sul Calvario (...).
Meditiamo su questo Signore, coperto di ferite per amor nostro. Usando un'espressione che si avvicina alla realtà, anche se non arriva a dire tutto, potremmo ripetere con un autore antico: « Il corpo di Gesù è un grande quadro di dolori ». La scena che ci presenta questo Cristo ridotto a uno straccio, un corpo martoriato e inerte deposto dalla croce e affidato a sua Madre, è come il ritratto di una disfatta. Dove sono le folle che lo seguivano? Dov'è il Regno di cui annunciava l'avvento? Ma non è una sconfitta; è una vittoria: ora Egli è più che mai vicino al momento della Risurrezione, della manifestazione della gloria che ha conquistato con la sua obbedienza. (È Gesù che passa, 95).
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