“Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”: con “questa frase ironica e geniale - ha esordito il Papa nell’omelia, ispirato dal Vangelo domenicale – Gesù risponde “alla provocazione dei farisei che, per cosi dire, volevano fargli l’esame di religione e condurlo in errore"
“È una risposta ad effetto che il Signore consegna a tutti coloro che si pongono problemi di coscienza, soprattutto quando entrano in gioco le loro convenienze, le loro ricchezze, il loro prestigio, il loro potere e la loro fama. E questo succede in ogni tempo, da sempre”.
Rendere a Dio quello che è di Dio, “significa - ha spiegato Francesco - riconoscere e professare di fronte a qualunque tipo di potere - che Dio solo è il Signore dell'uomo”, significa “aprirsi alla sua volontà”, e “cooperare al suo Regno di misericordia, di amore, di pace”:
“Questa è la novità perenne da riscoprire ogni giorno, vincendo il timore che spesso proviamo di fronte alle sorprese di Dio”.
Dio invece “non ha paura delle novità!” Lui “ci fa ‘nuovi’ continuamente” e “continuamente ci sorprende, aprendoci a vie impensate”:
“Qui sta la nostra vera forza, il fermento che la fa lievitare e il sale che dà sapore ad ogni sforzo umano contro il pessimismo prevalente che ci propone il mondo. Qui sta la nostra speranza perché la speranza in Dio non è quindi una fuga dalla realtà, non è un alibi”:
Anzi “è rispondere, con coraggio, alla innumerevole sfide nuove”, cosi come è stato - ha sottolineato Francesco - durante il Sinodo straordinario dei vescovi, che ha visto “pastori e laici di ogni parte del mondo” portare a Roma “la voce delle loro Chiese particolari per aiutare le famiglie di oggi a camminare sulla via del Vangelo, con lo sguardo fisso su Gesù”:
“È stata una grande esperienza nella quale abbiamo vissuto la sinodalità e la collegialità, e abbiamo sentito la forza dello Spirito Santo che guida e rinnova sempre la Chiesa chiamata, senza indugio, a prendersi cura delle ferite che sanguinano e a riaccendere la speranza per tanta gente senza speranza”.
E lo Spirito Santo, ha invocato il Papa, che ha permesso al Sinodo di “lavorare generosamente con vera libertà e umile creatività”, “accompagni ancora il cammino che, nelle Chiese di tutta la terra”, “prepara al Sinodo ordinario dei vescovi del prossimo ottobre 2015”:
“Abbiamo seminato e continueremo a seminare con pazienza e perseveranza, nella certezza che è il Signore a far crescere quanto abbiamo seminato.”
(Musica)
Quindi l’omaggio a Paolo VI, oggi beatificato, e la memoria delle sue parole con le quali istituiva il Sinodo dei vescovi, il 15 settembre 1965:
“…scrutando attentamente i segni dei tempi, cerchiamo di adattare le vie ed i metodi ... alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società…”
Giovanni Battista Montini, “grande Papa”, “coraggioso cristiano”, “instancabile apostolo”; “davanti a Dio oggi - ha detto Francesco - non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera ed importante”:
“Grazie! Grazie nostro caro e amato Papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa!”
“Grande timoniere” del Concilio Vaticano II, Paolo VI annotava nel suo diario, che forse il Signore lo aveva chiamato a quel compito non tanto perché governasse o salvasse la Chiesa dalle difficoltà allora presenti, perché a Dio spetta di farlo, ma perché lui soffrisse qualche cosa per la Chiesa.
“In questa umiltà risplende la grandezza del Beato Paolo VI che, mentre si profilava una società secolarizzata e ostile, ha saputo condurre con saggezza lungimirante - e talvolta in solitudine - il timone della barca di Pietro senza perdere mai la gioia e la fiducia nel Signore”.
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