....li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
In questo brano si affrontano due problemi: il passato e il presente della storia della salvezza. Il primo è questo: il messianismo povero e umile di Gesù risponde alla promessa di Dio; e, se risponde, che ne è delle promesse di Dio?
Il secondo è questo: come può Gesù essere il Messia, cioè colui che viene a liberare dal male, se la storia dopo di lui continua ancora con il suo male, come prima?
Luca unifica i due problemi perché hanno una radice comune: l’attesa dell’uomo è diversa dalla promessa di Dio.
Egli presenta Gesù che cura e fa grazia (v. 31) ai disgraziati: questa è la realizzazione della promessa. Così l’attesa d’Israele e del mondo intero va focalizzata e corretta su Gesù. Il nocciolo della questione, sempre attuale, è il tipo di messianismo di Gesù povero e umile, che contraddice il delirio di potenza e di gloria dell’uomo: questo messianismo fece problema a Israele e continua a fare problema all’uomo di tutti i tempi, religioso o laico che sia.
Siamo chiamati a seguire Gesù povero e umile, che non ha liquidato la storia, ma si è fatto carico del male altrui arrestandolo nella propria croce, unica via alla risurrezione. Su questo argomento l’errore è costante e riguarda ebrei e cristiani, il Battista e i discepoli, gli uomini di ieri, di oggi e di domani. Tutti cercano scorciatoie per giungere al Regno e in questo modo lo ritardano. La speranza era ed è che con la venuta del Messia si risolvessero subito le nostre angustie, cessasse il male, finisse il pianto e si iniziasse immediatamente la danza della vittoria. Il Battista attendeva un Messia "più forte", giudice tremendo che spazzasse l’aia del mondo per dare inizio a un mondo nuovo (3,16-17). Gesù invece viene in estrema debolezza e senza alcun potere per vincere il male che subisce. E, proprio così, portandolo, lo vince. E’ il Salvatore; ma vuole bene ai cattivi e ai buoni, e la sua misericordia lo inserisce nella storia di miseria dell’uomo senza liquidare il malvagio. Rispetta la libertà e lascia che la storia degli uomini continui, nella sua realtà anche brutale, facendo però di ogni miseria oggetto di misericordia. Il suo amore per l’uomo concreto, che è malvagio, lo rende debole e gli fa portare il carico del suo male. Il male è il luogo storico di realizzazione della salvezza, mediante la misericordia.
Questo slittamento in tono minore della figura del Messia è il motivo costante del suo scandalo. L’aquila dell’Esodo (Es 19,4; Dt 32,11) si trasforma in gallina (Lc 13,34); il re diventa servo (Lc 22,27); il Salvatore viene condannato (Lc 23,35-37); il giusto si fa solidale con la nostra ingiustizia; Dio patisce la nostra morte (Lc 23,40-41).
E’ un messianismo che esula dall’attesa dell’uomo, perché ci presenta un Messia crocifisso, povero e umile, che si prende cura del male e fa grazia. Ogni uomo deve sapere che proprio nella sua miseria si realizza la realtà di Dio che è misericordia.
Tutta l’attività di Gesù è interpretata da lui stesso non tanto come azione di potenza quanto come passione di misericordia.
Dio si fa vicino al lontano, giustifica l’empio e da la vita al morto. La salvezza è accogliere questa bella notizia di cui i fatti sono la prova.
"Colui che viene" (v.19) è la qualifica del Messia (Gen 49,10; Sal 118,26) e del giudice (Dan 7,13; Ml 3,1-2), il compimento della promessa e della speranza d’Israele. Il dubbio di Giovanni è ben fondato: egli ha annunciato un Messia forte e un giudice severo, che avrebbe operato il giudizio di Dio e inaugurato il giorno del Signore, tremendo come il fuoco (Lc 3,16-17; Ml 3).
Gesù invece si rivela come misericordia che si china sulla miseria. Inoltre ha uno stile di povertà assoluta che rifugge da ogni pretesa di potere. Egli non giudica nessuno, è compassionevole e salva tutti coloro che si riconoscono peccatori (Lc 5,31-32). Il dubbio del Battista circa l’identità di Gesù nasce anche dal fatto che, se Gesù è il Messia, dovrebbe finire la storia del male e iniziare il tempo di Dio. E’ l’interrogativo del credente di ogni tempo: come mai la venuta di Gesù non ha cambiato il mondo e la storia? Dopo la venuta di Gesù tutto sembra come prima. I potenti sono ancora al loro posto e i poveri sempre più malconci.
Una cosa dev’essere chiara: o Gesù non è "colui che viene" e quindi dobbiamo attenderne un altro; oppure è "colui che viene" e allora dobbiamo cambiare la nostra attesa.
Gesù interpreta la sua azione ricorrendo a Isaia (29,18; 35,5ss; 42,18; 26,19; 61,1): egli realizza quelle promesse e, in questo modo, realizza appieno la volontà del Padre. L’azione del Messia non è il giudizio che separa i buoni dai cattivi, ma la misericordia che si prende cura e fa grazia a chi è nel male. La rivelazione definitiva della grazia di Dio è l’azione storica della misericordia di Gesù che continua nella Chiesa.
L’affermazione "i poveri sono evangelizzati" è messa in posizione di spicco. La buona notizia è annunciata ai poveri che ascoltano Gesù, e a tutti i popoli che ascolteranno con fede l’annuncio di un Dio di misericordia che si prende a cuore il male dell’uomo. La fede che dà salvezza è accettare con il cuore la visita di Dio in Gesù, Il Signore crocifisso per misericordia.
Padre Lino Pedron
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