sabato 3 dicembre 2011

Vedendo le folle, ne sentì compassione

In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Nel v. 35 Matteo introduce il secondo dei suoi cinque discorsi, quello missionario, dandoci una sintesi dell'attività di Gesù per insegnarci che la missione dei discepoli sarà la continuazione di quella del Maestro. Lo slancio della missione di Gesù e dei discepoli nasce dal vedere le folle "stanche e sfinite come pecore senza pastore" e la messe abbondante a cui fa riscontro la scarsità degli operai.
L'attività di Gesù che "andava per tutte le città e i villaggi" per raggiungere tutti e salvare tutti è l'esempio che i discepoli inviati in missione devono tenere sempre davanti agli occhi.
La missione di Gesù viene riassunta nei tre verbi insegnare, predicare e curare. Tale sarà anche l'attività dei missionari che egli sta per mandare "alle pecore perdute della casa d'Israele".
L'immagine del gregge senza pastore è molto conosciuta nell'Antico Testamento (Nm 27,17; Zc 13,7; Ez 34).
Gesù rivolge l'accusa ai pastori d'Israele del suo tempo (Mt 11,28). Egli intende essere il buon pastore del suo popolo (Gv 10), e i suoi discepoli dovranno continuare la sua opera con dedizione e amore gratuito (Mt 10,8; 1Pt 5,1-4). Come Giosuè prese il posto di Mosè "affinché la comunità del Signore non fosse come un gregge senza pastore" (Nm 27,17), così gli apostoli continueranno la missione di Gesù buon pastore.
I discepoli ricevono il duplice comandamento di pregare il padrone della messe e di andare a lavorare nella messe (Mt 9,38; 10,5; cfr Lc 10,2-3). La preghiera è adesione al piano di salvezza di Dio e presa di coscienza della chiamata a collaborare responsabilmente per la sua realizzazione.
Il numero dei dodici ricorda i dodici patriarchi delle tribù d’Israele e quindi ci presenta i dodici discepoli come i capostipiti spirituali del popolo di Dio che Gesù sta per ricostituire. La principale fisionomia dei dodici è quella di essere
i continuatori dell’opera di Gesù, quasi il prolungamento della sua persona.
Il potere conferito ai dodici discepoli è quello di cacciare i demoni e guarire tutte le malattie, quindi di eliminare ogni sofferenza umana. Dobbiamo però ricordare con forza che il comando di predicare il vangelo del regno di Dio precede nell’ordine tutti gli altri e li supera per importanza.
Prima Gesù ha detto che le folle "erano stanche e sfinite come pecore senza pastore" (9,36). Ora dice che sono "pecore perdute" cioè disperse, fuori dall’ovile. E’ volontà del Padre che il vangelo del regno dei cieli sia annunciato prima al popolo d’Israele. La delimitazione dell’ambito in cui vengono mandati i dodici è quella stessa del Cristo, inviato esclusivamente a Israele (Mt 15,21-28). Solo con la sua risurrezione Gesù riceve dal Padre il potere illimitato in cielo e in terra e quindi dà l’avvio definitivo alla missione universale dei suoi discepoli (Mt 28, 18-20).
La predicazione degli apostoli riprende e continua l’annuncio del regno dei cieli fatto da Gesù (Mt 4,17) e da Giovanni Battista (Mt 3,2). Questo annuncio viene fatto con la parola (v. 7), con le azioni di bene (v. 8a) e con la testimonianza della vita (vv. 8a-10).
La testimonianza della vita consiste nella gratuità. Gli inviati di Dio non lavorano per il proprio onore, né per la propria grandezza, né per il proprio arricchimento. Il non ricercare il proprio interesse è certamente la prova più grande della bontà della causa che essi promuovono (1Cor 9,18; At 20,33; 1Tm 3,8; ecc.)


Padre Lino Pedron
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